
Un’analisi del romanzo “Il processo” di Franz Kafka.
I
Gli imputati sono appunto i più belli.
(Dall’ottavo capitolo. Pagina 167)
Il processo è un romanzo composto da dieci capitoli scritto da Franz Kafka tra l’agosto del 1914 e il gennaio del 1915 e ripreso fino al 1917. Kafka lasciò il romanzo incompiuto, ma ha ordinato i singoli capitoli con brevi titoli. In questo modo Franz Kafka evitava, così, il pericolo della digressione. Come spiega la nota di Malcolm Pasley, dal libro “Il processo” di Franz Kafka (Feltrinelli editore, terza edizione aprile 2000). “Nel caso del romanzo Il processo ha innanzitutto scritto il capitolo finale e il capitolo iniziale; questa volta la meta già fissata obbligava a trovare una strada per arrivarci” (Pagina 236). La scrittura del capitolo iniziale e del capitolo finale è molto importante perché il romanzo ha, così, un inizio e un finale certo che corrisponde alla tesi e al messaggio che Kafka, secondo me, voleva inserire e trasmettere alla trama e al finale del romanzo. Nel 1920, il manoscritto del romanzo arrivò nelle mani del suo amico Max Brod, e già, nel 1921, Max Brod definì Il processo l’opera maggiore di Kafka (Pagina 235). Max Brod pubblicò Il processo nel 1925, e, per dare compiutezza e completezza al romanzo, apportò delle leggere modifiche al testo originale “sulla numerazione dei capitoli, sull’ortografia e sulla punteggiatura.” (pagina 14). Per capire il messaggio del romanzo è, anche, importante conoscere ciò che scrisse Bruno Schulz nella prefazione all’edizione del 1936 e ora riportata come introduzione all’edizione Feltrinelli del Processo: “Il romanzo, che Max Brod ricevette nel 1920 dall’autore sotto forma di manoscritto, è incompiuto. Alcuni capitoli frammentari, che avrebbero dovuto trovare la loro collocazione prima del capitolo conclusivo, vennero da lui (Max Brod) separati dal romanzo, basandosi su quanto dichiarato da Kafka, e cioè che questo processo in idea è a dire il vero incompiuto e che le sue ulteriori peripezie non avrebbero apportato più nulla di essenziale al senso fondamentale della questione”. (Pagina 11).
Nel primo capitolo Il processo racconta la storia di Josef K. procuratore di una grande banca (di Praga). La mattina del suo 30° compleanno due uomini sconosciuti entrarono nel suo pensionato dove lui stava dormendo. I due uomini gli comunicarono che lui era in arresto. Si alzò, s’infilò rapidamente i pantaloni e chiese spiegazioni sull’arresto. Ma i due sorveglianti non diedero nessuna spiegazione sull’arresto, e aggiunsero che: “Le nostre autorità, per quanto le conosco, e io le conosco solo ai livelli più bassi, non cercano la colpa tra la popolazione, ma, come è scritto nella legge, sono attirati dalla colpa e costrette a inviare noi sorveglianti”. (pagina 19). Anche l’ispettore confermò che lui era in arresto e che era iniziato un procedimento a suo carico, senza, però, fornirgli né l’accusa né la colpa per cui era iniziato Il processo. Ecco il famoso incipit del romanzo: “Qualcuno doveva aver denunziato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”. (pagina 15). Ma l’ispettore aggiunse che, per il momento, lui avrebbe potuto condurre una vita regolare e andare a lavorare in banca come aveva sempre fatto.
Nel secondo capitolo Josef K., la stessa sera, dopo essere rientrato dalla banca, parlò con la signora Grubach, la quale lo rassicurò su quanto era successo la mattina e gli disse: “Lei non deve prendersela troppo a cuore. Che cosa non capita nel mondo!” (pagina 31). E poi la signora Burstner aggiunse. “Si tratta della sua felicità e questa mi sta veramente a cuore, più di quanto forse mi è consentito, giacché io sono soltanto l’affittacamere.” (Pagina 31). Poi Josef K. parlò, anche, con la signorina Burstner con la quale si scusava per il disordine che lei aveva trovato nella sua camera, data l’intrusione dei due sorveglianti. “Ciò facilita il mio compito” – disse K. – “Stamattina, in un certo qual modo per mia colpa, la sua camera è stata messa un po’ in disordine, è successo ad opera di sconosciuti, contro la mia volontà, e tuttavia, come ho detto, per colpa mia; perciò volevo chiedere scusa.” (Pagina 35).
Nel terzo capitolo Josef K. va in un quartiere della città per partecipare alla prima udienza del processo. Josef K. arrivò in questo quartiere lontano dal centro; quartiere, abitato da povera gente di povere famiglie di operai e di commercianti. Le abitazioni erano grandi edifici tutti uguali. Josef K., per trovare la commissione d’indagine, inventò il cognome Lanz per girare tutte le stanze del caseggiato e trovare la stanza delle udienze. Alla fine arrivò al quinto piano dove trovò l’aula delle udienze e trovò anche un giudice istruttore che lo aspettava. Josef K. tenne un discorso di fronte alla sala dove molta gente che era assiepata nella galleria sotto il soffitto; e vide altra gente che era seduta dentro le stanze del Tribunale. Josef K. disse, con voce concitata, che lui aveva scoperto che il Tribunale non era altro che una grossa organizzazione piena di impiegati corrotti, di giudici venali e di ispettore inetti. E il senso di questa organizzazione stava nel fatto “che si arrestano persone innocenti e si intenta nei loro confronti un procedimento insensato e il più delle volte, come nel caso mio, inutile. Come si può, data l’insensatezza del tutto, impedire la peggiore corruzione dei funzionari?”. (Pagina 54). Questi signori ascoltarono il suo discorso; ma, in effetti, Josef K. si accorse che era gente pagata dallo stesso Tribunale, perché “tra le barbe, sui baveri delle giacche – e questa fu la vera scoperta di K. – tralucevano dei distintivi di dimensioni e colori diversi.” (Pagina 55).
Nel quarto capitolo Josef K. ritorna la domenica seguente nel palazzo del Tribunale, ma questa volta non c’era udienza. Incontra la moglie dell’usciere alla quale dice che a lui non gli importa niente del processo e che una eventuale condanna lo faceva ridere soltanto. “Ma anche di questo non ha motivo di offendersi, se considera che dell’esito del processo non mi importa nulla e che di una eventuale condanna me la riderò soltanto.” (Pagina 61).
Nel quinto capitolo Josef K. sentì dei lamenti in un ripostiglio della sua banca. Aprì il ripostiglio e scoprì che un picchiatore stava per picchiare i due sorveglianti che la mattina del suo arresto lo avevano tenuto sotto sorveglianza. Josef K. tentò di convincere il picchiatore di non bastonare i due sorveglianti, ma non ci riuscì. “Perché non li ritengo colpevoli, colpevole è l’organizzazione, colpevoli sono gli alti funzionari”. (Pagina 81). Anche il giorno dopo, Kafka si accorse che il picchiatore continuava a picchiare i due sorveglianti, “che subito cominciarono a lamentarsi gridando”: “Signore!”. (Pagina 84).
Nel sesto capitolo Josef K. ricevette una visita da suo zio, il quale gli spiegò che aveva saputo del processo di Josef K., dalla figlia. Dopo un lungo colloquio tra i due, lo zio portò Josef K. in un avvocato per difendere la causa di Josef K. Lo zio portò Josef K. dall’avvocato Huld, conosciuto “come difensore e avvocato dei poveri.” (Pagina 92). Nello studio dell’avvocato Josef K. conobbe la sua assistente infermiera Leni che accudiva l’avvocato quotidianamente. Leni mostrò molta simpatia per Josef K. il quale ricambiò, subito, la sua simpatia e la sua amicizia, con alcuni baci. Ecco le parole finali che Leni rivolse a Josef K. “Eccoti le chiavi di casa, vieni quando vuoi – furono le sue ultime parole – e un bacio a casaccio lo raggiunse sulla schiena mentre se ne andava”. (Pagina 103).
Nel settimo capitolo Josef K. ritornò nello studio dell’avvocato Huld, il quale gli spiegò come funzionano gli uffici del Tribunale e come andava avanti anche il suo processo. L’avvocato gli disse che il Tribunale tollera soltanto gli avvocati difensori e non rende pubblico Il processo: “Per questa ragione anche i documenti del Tribunale, soprattutto l’atto d’accusa, non sono accessibili all’imputato e alla sua difesa, quindi generalmente non si sa, o perlomeno non si sa bene, contro che cosa si debba indirizzare la propria memoria, perciò può darsi che solo accidentalmente contenga elementi importanti per la causa”. (Pagina 107). Josef K pensò allora che: “Soprattutto era necessario, se bisognava ottenere qualcosa, respingere fin da principio qualunque idea di una possibile colpa. Non c’era colpa”. (Pagina 117). Dopo di che Josef K. pensò e si rammaricò che lui stesso doveva scrivere una memoria personale da presentare al Tribunale: “Ma adesso che K. aveva bisogno di tutti i pensieri per il suo lavoro, che ogni ora passava velocissima, poiché era ancora in ascesa e rappresentava ormai una minaccia per il vicedirettore, adesso che voleva godersi le serate e le notti brevi da quell’uomo giovane che era, adesso doveva incominciare a redigere quella memoria. Di nuovo il suo pensiero esplodeva in lamenti”. (pagina 118). E si chiedeva: “Ma cosa sarebbe successo dopo? Che giornate lo aspettavano! Avrebbe trovato la strada capace di attraversare il tutto e condurlo a buon fine?” (Pagina 122). Un giorno venne a trovarlo in banca un industriale che gli disse che un suo amico pittore, un certo Titorelli lo poteva aiutare nel suo processo. Josef K. andò, subito, a trovare il pittore, il quale abitava in un solaio di un quartiere che apparteneva anch’esso al Tribunale. Josef K. incontrò, sulle scale dell’abitazione del pittore, delle ragazzine che lo guidarono a trovare l’abitazione del pittore Titorelli. Dopo un lungo colloquio tra i due, il pittore Titorelli chiese a Josef K.: “Lei è innocente”, “Si” rispose Josef K. (Pagina 136). Il pittore aggiunse: “Bisogna tener conto di tutte le sottigliezze, nelle quali il Tribunale si perde. Ma alla fine tira fuori da qualche parte, dove in origine non c’era niente, una grave colpa”. (Pagina 136). E subito dopo, il pittore aggiunse: “Il Tribunale, una volta che accusa, è fermamente convinto della colpa dell’imputato e difficilmente lo si può fare recedere da questa convinzione” … “Il Tribunale non recede mai”. (Pagina 137).
Nell’ottavo capitolo Josef K. andò, di nuovo, dall’avvocato Huld e gli disse che gli revocava il mandato del suo processo. Nello studio dell’avvocato incontrò Leni e anche il commerciante Block il quale gli parlò della sua quinquennale esperienza sui processi che lui aveva in corso. Il commerciante Block gli raccontò, anche, delle superstizioni che circolavano tra gli imputati e come ogni imputato viveva da solo il proprio calvario e questo spiegava il perché gli imputati non agissero in comune contro il Tribunale. “Non è possibile un’azione comune contro il Tribunale. Ogni caso viene esaminato a parte, in fin dei conti è il Tribunale più accurato che ci sia”. (Pagina 159). Poi l’avvocato fece entrare Josef K. che gli revocò il mandato. L’avvocato continuò a parlare di Leni che, secondo lui, aveva “una singolarità che consiste nel fatto che Leni trova belli la maggior parte degli imputati.” (Pagina 166). L’avvocato aggiunse: “Se si ha occhio per una cosa del genere, spesso si trova che gli imputati sono veramente belli.” (Pagina 166). Poi l’avvocato fece entrare il commerciante Block, che sentendosi offeso da K., si rivolse a Josef K. e lo apostrofò con questa vecchia sentenza: “Per colui che è sospettato meglio è il movimento che la quiete, perché chi sta fermo può sempre trovarsi, senza saperlo, sopra il piatto di una bilancia ed essere pesato insieme ai suoi peccati”. (Pagina 173). L’avvocato comunicò al commerciante Block che il suo processo non procedeva favorevolmente. (Pagina 176). Subito dopo Leni si rivolse al commerciante Block e gli disse: “Adesso lascia stare la pelliccia e ascolta l’avvocato.” (Pagina 178).
Nel nono capitolo Josef K. andò al duomo dove doveva incontrare un corrispondente italiano per mostrargli le bellezze artistiche della cattedrale. Ma il cliente italiano non arrivò. Era una mattinata piena di pioggia e Josef K., prima di andarsene, volle entrare nel Duomo, buio e umido. Vide un sacerdote che, dal pulpito, lo chiamò con il suo nome e gli indicò di avvicinarsi a lui. “Ma non era la comunità che il sacerdote chiamava, era inequivocabile e non c’erano scuse, stava gridando: Josef K.!” (Pagina 189).
Josef K. guardò in alto vide il sacerdote e gli chiese chi fosse. Il sacerdote gli rispose che era il cappellano del carcere e che sapeva di tutto Il processo di Josef K. Il cappellano gli disse allora che Il processo stava andando male per Josef K.: “Ti ritengono colpevole. Forse il tuo processo non andrà nemmeno oltre un Tribunale di grado inferiore. Almeno per il momento ritengono dimostrata la tua colpa”. (Pagine 190 – 191). Subito dopo il sacerdote gli parlò della Giustizia della legge e gli raccontò la parabola della porta della legge sorvegliata da un custode.
La parabola raccontava la storia del custode della porta della Legge e di un uomo venuto dalla campagna. “A questo custode si presenta un uomo venuto dalla campagna e prega di essere ammesso alla Legge.” (Pagina 193). Il custode disse all’uomo che per il momento non può farlo entrare, forse più tardi. L’uomo di campagna allora si sedette davanti alla porta e aspetta, giorni e anni, affinché il custode lo facesse entrare. Ma passano, giorni e anni, il custode non lo fa entrare, fino a quando l’uomo di campagna, prima di morire, chiese al custode: “Tutti tendono alla Legge, – dice l’uomo, com’è possibile che in tanti anni nessuno oltre a me abbia chiesto di entrare?”. (Pagina 194). Il custode gli rispose: “Qui non poteva entrare nessun altro perché quest’ingresso era destinato solo a te. Adesso vado a chiuderlo”. (Pagina 194). Allora tra il cappellano e Josef K. nacque una discussione accesa e lunga sull’interpretazione della parabola. Alla fine della discussione, però, Josef K. non era d’accordo con la tesi del cappellano che lo lasciò andare dicendo: “Perché dovrei volere qualcosa da te. Il Tribunale non vuole nulla da te. Ti accoglie quando vieni e ti congeda quando vai”. (Pagina 200).
Nel decimo capitolo Josef K. era alla vigilia del suo 31° anno di età. Due signori, verso le nove di sera, vestiti di finanziera nera e con cappelli a cilindro, (pagina 201) si presentarono alla sua casa e se lo portarono via. Josef K. capì che questi due signori avevano il compito di eseguire la sentenza emessa dal Tribunale e li seguì. Loro lo presero sotto le braccia e tutte e tre insieme andarono in giro fino a quando arrivarono in una casa vicino alla quale c’era una cava di pietra. Durante il percorso Josef K. cercò dapprima di fare qualche resistenza per gustare ancora l’ultima parvenza della vita. (Pagina 203), ma poi si disse che era inutile opporre resistenza e così docilmente corse anche lui verso il luogo designato: “L’unica cosa che posso fare è conservare fino alla fine la capacità di discernere con calma. Ho sempre voluto entrare nel mondo con venti mani e oltretutto non per scopi lodevoli. Era sbagliato, adesso dovrei mostrare che nemmeno un anno di processo è riuscito a educarmi? Dovrei andarmene come una persona dura di comprendonio? Dovranno dire di me che all’inizio del processo volevo che giungesse al termine, e che ora è alla fine voglio che ricominci?” (Pagina 203). Dopo che i due signori trovarono un posto adatto per l’esecuzione, adagiarono la testa di Josef. K. sopra un masso distaccato. Uno di loro estrasse un coltello affilato, da macellaio, lo guardò attentamente, ripetendo i convenevoli con l’altro uomo. Josef K. diede un’ultima occhiata verso il cielo; vide un uomo che si stava sporgendo da una finestra e si chiese: “Chi era? Un amico? Una persona buona? Un tipo partecipe? Uno che voleva aiutare? Era una persona sola? Erano tutti? C’era ancora aiuto? Esistevano obiezioni che erano state dimenticate? Sicuramente ne esistevano. La logica è sì incrollabile, ma non resiste a una persona che vuole vivere. Dov’era il giudice che non aveva mai visto? Dov’era l’alta corte a cui non era mai arrivato? Alzò le mani e divaricò le dita”. (Pagina 205). Infine i due esecutori strinsero la gola di Josef K. e gli piantarono un coltello nel cuore. “Ma sulla gola di K. si posarono le mani di uno dei signori, mentre l’altro gli piantava il coltello nel cuore e ve lo girava due volte. Con gli occhi che si velavano K. vide ancora, vicini al suo viso, i signori accostati guancia a guancia che osservavano il momento decisivo. “Come un cane!” disse, fu come se la vergogna dovesse sopravvivergli”. (Pagina 205). Questa frase era talmente importante per Franz Kafka che la riportò tale e quale nella sua lunga Lettera al padre del 1919. “Memore di questo senso di smisuratezza, una volta ho scritto giustamente su di un tale: – Teme che la vergogna addirittura gli sopravviva.” Ma nel caso del Processo, però, il referente della Vergogna non è il padre Hermann Kafka ma è lo stesso Franz Kafka.
II
L’allegoria vuota del romanzo “Il processo”.
La vana ricerca della felicità e della verità.
Si tratta della sua felicità.
(Capitolo II pagina 31.)
“Il processo” è un romanzo allegorico – metaforico, perché la storia del protagonista Josef K. rappresenta la condizione dell’umanità sulla terra. L’Umanità vive una condizione assurda, smarrita, insensata, disorientata perché non sa da dove viene e non sa dove andrà. Questa condizione alienata e confusa è aggravata dalla incomprensibilità del Mistero che circonda l’Umanità. Kafka rappresenta il Mistero, ovvero l’enigma della vita, con il Tribunale, ovvero con un sistema burocratico, che sorveglia, accusa, processa e condanna gli uomini che a suo parere commettono colpe. Il Tribunale, ovvero il mistero, è inspiegabile con la ragione umana. Il Tribunale ha però i suoi uffici e i suoi tribunali in luoghi nascosti perché rappresenta una giustizia parallela alla giustizia umana. In sintesi il messaggio più elementare e più sicuro del romanzo consiste nel fatto che Josef K., che simboleggia l’umanità, insegue e persegue la verità, ma questa continuamente gli sfugge e diventa inafferrabile, tanto da diventare un enigma, un mistero che grava continuamente sull’umanità come un potere oscuro e indecifrabile. Questo mistero oscuro è già tutto scritto nel celebre incipit del romanzo:” Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina fu arrestato”. Incipit che contiene tutto il mistero del romanzo e il labirinto in cui brancola l’umanità. Il processo presenta una struttura interna coesa e coerente sul piano delle azioni umane, ma presenta anche una logica che non è spiegabile con la sola attività mentale degli uomini. La logica inspiegabile è costituita dal fatto che c’è un Tribunale sconosciuto agli uomini, che attirato dalla colpa di alcuni di loro, istruisce un processo, alla fine del quale emette una sentenza definitiva di condanna. Questo Tribunale non è autorizzato dagli uomini, ma agisce sugli uomini come afferma Josef K.: “La questione principale è: da chi sono accusato? Quale autorità istruisce il procedimento?” (Pagina 24). La presenza di questo Tribunale dunque costituisce la presenza dell’Assurdo nella vita degli uomini. Il Tribunale fa pensare ovviamente a un Dio che ha potere di giudicare gli uomini, ma può essere Qualsiasi Altra Cosa Misteriosa che ha potere di vita e di morte sugli uomini. Può essere: il Nulla, l’Ignoto, il Male, ma in tutti i casi è qualcosa o qualcuno che giudica gli uomini. Esso è attirato dalla colpa di ciascuno. Nel caso del Processo, il Tribunale è attirato dalla colpa di Josef K. che non riesce all’inizio a capire quale sia la sua colpa, ma che alla fine intuisce, ammette e accetta che, forse, ha fatto un’azione colpevole come dice in una delle ultime pagine del romanzo: “Ho sempre voluto entrare nel mondo con venti mani e oltretutto non per scopi lodevoli”. (Pagina 203). Josef K. cerca di capire quale sia stata la sua colpa e quale sia stato lo scopo riprovevole e, andando indietro nella memoria, ripensa che la sua unica colpa è quella di aver voluto godere la vita come già aveva pensato quando doveva scrivere la sua memoria per il Tribunale: “Ma adesso che K. aveva bisogno di tutti i suoi pensieri per il suo lavoro, che ogni ora passava velocissima, poiché era ancora in ascesa e rappresentava ormai una minaccia per il vicedirettore, adesso che voleva godersi le serate e le notti brevi da quell’uomo giovane che era, adesso doveva cominciare a redigere quella memoria”. (pagina 118). Il processo è, sicuramente, un romanzo allegorico che esprime ed espone in modo simbolico tutti i tentativi che l’uomo fa per raggiungere la propria felicità, ma sono tentativi che risultano vani e inutili. Nel Processo Josef. K. tenta in tutti i modi di conoscere chi è l’Autorità che giudica gli uomini, tenta di conoscere i giudici che indagano sugli uomini e scopre che essi sono venali e corrotti, pur tuttavia potenti e implacabili. E alla fine non riesce nemmeno a sapere quale è la sua colpa e la sua accusa. Subisce solo la condanna che viene effettuata nel modo più ignobile possibile perché avviene senza un vero processo dove lui poteva difendersi e perché avviene in un luogo anonimo e desolato dove lui viene ucciso da sicari rozzi e ignoranti. Subisce la pena capitale senza sapere niente dei suoi giudici e senza sapere quale è l’Autorità che lo uccide, e senza capire qual è la logica che lo condanna a morte, come pensa prima di morire: “C’era ancora aiuto? Esistevano obiezioni che erano state dimenticate? Sicuramente ne esistevano. La logica è sì incrollabile, ma non resiste a una persona che vuole vivere. Dov’era il giudice che non aveva mai visto? Dov’era l’alta corte a cui non era mai arrivato”. (Pagina 205). Il processo è, anche, un romanzo che espone il tema dell’incomprensibilità della realtà da parte dell’uomo. Josef K. non comprende la realtà e la logica che lo governa e lo domina. Josef K. non si rivolge alla scienza, ma si rivolge alla Legge, la quale però non spiega niente e non svela niente; infatti Josef K. non è d’accordo con le spiegazioni che gli dà il cappellano del carcere nel duomo. La sua mente razionale non gli basta per spiegare l’incomprensibilità della realtà. Ma una cosa certa è che Josef K. non smette di fare tentativi per scoprire la logica che regola il mondo e la vita degli uomini. Il senso della sua condanna sta proprio in questo monito. Josef K. è condannato alla morte perché vuole scoprire e conoscere quale sia il senso della vita e qual è l’incomprensibilità di essa. Josef K. è condannato perché vuole indagare e capire quale sia il mistero che circonda la vita e l’angoscia che genera negli uomini. Questo mistero della vita e della sua incompressibilità è ripreso anche nella Lettera al padre, quando Franz Kafka scrive. “D’altro canto, alla lunga queste impressioni piacevoli non hanno sortito altro effetto che quello di ingigantire il mio senso di colpa e di rendermi il mondo ancora più incomprensibile.”
III
L’Allegoria vuota.
Molti critici hanno cercato di identificare, di volta in volta, il Tribunale, secondo la teoria dell’Allegoria vuota, proposta da W. Benjamin. Il Tribunale è stato identificato, secondo la Weltanschauung del critico, con. 1) un Dio indifferente e implacabile; 2) con l’alienate società moderna; 3) con la società capitalistica; 4) con la burocrazia austriaca e con la burocrazia spersonalizzante in generale; 5) con la crisi dei valori della società ottocentesca e con la crisi dei valori scientifici e culturali del secondo decennio del secolo; 6) con la prima guerra mondiale; 7) con la Legge Ebraica ortodossa; 8) con il Padre; 9) con un Dio indifferente e assente; 10) con la Legge divina. Ma alla base di questi giudizi interpretativi recenti ci sta la fondamentale opera di Walter Benjamin, che nel libro IL dramma del barocco, scritto tra il 1923 e il 1925 ha parlato per le opere di Kafka di Allegoria Vuota. L’allegoria vuota è un tipo particolare di allegoria che si distingue dalla Allegoria tradizionale. “Infatti l’allegoria vuota è di tipo particolare: non comunica un significato positivo o una tesi precisa e razionale, come faceva l’allegoria tradizionale, ma esprime un bisogno di significato che resta senza risposta. Per questo la critica del novecento ha coniato la formula di “Allegoria vuota”. Come ogni autore allegorico, Kafka rappresenta una vicenda per dire altro; ma questo altro resta indecifrabile e dunque indicibile: il significato è fuggito dalla vita e ne resta solo l’esigenza. È evidente poi la differenza tra allegorismo moderno, che tende spesso ad assumere forme vuote e l’allegorismo tradizionale, che invece presuppone una lettura prestabilita, “a chiave” e muove da una verità generale condivisa dalla società (si pensi all’allegorismo dantesco, fondato sul dogma religioso). La formula di “Allegoria vuota” è ripresa da Lukas (nella sua Estetica) che la deriva da Benjamin, ma con un significato opposto, e cioè negativo. Mentre Benjamin valuta positivamente l’“Allegoria vuota” e considera Kafka un maestro dell’arte novecentesca, Lukas valuta negativamente lo scrittore boemo, così come dà un giudizio negativo delle avanguardie in generale. Nella rinuncia a rivelare un significato e dunque anche nella Allegoria vuota ci sarebbe infatti a suo parere, una resa all’insignificanza e alla crisi”. Io (Biagio Carrubba sono d’accordo più con W. Benjamin che con Lukas). Tutti questi giudizi finali ed interpretazioni scritte sopra sono giuste e parziali e non potrebbero essere altrimenti perché come ha già scritto T.W Adorno la chiave di interpretazione della opera di Kafka non c’è: “Si tratta di parabole di cui è stata sottratta la chiave”. Pienamente giustificato è quindi l’orientamento della critica che intende studiare “Kafka senza kafkismi” come ha scritto in un penetrante saggio Ladislao Mittner. (Sintesi tratta da un manuale scolastico liceale).
IV
Il comportamento decisivo e determinato di Josef K.
Il comportamento di Josef K. presenta due aspetti contraddittori e complementari: da un lato K. si ribella all’accusa e all’arresto e dall’altro lato, alla fine, accetta, inevitabilmente, la condanna di morte. Molti critici hanno insistito sul primo comportamento di Josef K. per sottolineare la volontà di K. di non desistere dalla lotta e di resistenza al potere oscuro e annullante del Tribunale. Josef K., simboleggia l’umanità impreparata al giudizio del Tribunale sovraumano. Secondo me, B. C., le caratteristiche di Josef K., sono due: la renitenza e la trasformazione finale del protagonista, che da un atteggiamento iniziale di indifferenza e di distacco dall’accusa, passa ad avere un comportamento, decisivo e determinato, fino all’accettazione, stoica e silenziosa, della sentenza di morte emessa da Tribunale. Dapprincipio Josef K., si mostra renitente all’accusa e all’arresto; dice non riconosce il Tribunale, o se lo riconosce lo riconosce solo per compassione, (pagina 49), poi afferma che ride di una eventuale condanna, ma nello stesso tempo vuole conoscere il Tribunale perché avverte anche la sua posizione isolata e disorientata nella società. Quando si accorge che la sua renitenza non basta e che il Tribunale è più forte di lui allora accetta, riluttante, ma consenziente la pena e non si ribella più al Tribunale. Io, B. C., reputo e giudico che l’importanza, la bellezza e il fascino di questa opera letteraria consista proprio nel comportamento decisivo e determinato di Josef K. il quale con la sua determinazione, con la sua costanza e coesione vuole scoprire quale sia stata la sua colpa e quale sia stato il Tribunale che ha emesso la sua sentenza, finale e inappellabile, di morte, anche se alla fine il suo tentativo di indagine rimane vuoto, vano e sterile. Nonostante ciò Josef K. ha messo in mostra e in rilievo, secondo me, il suo comportamento, decisivo e determinato, contro un Tribunale ignoto, inflessibile e duro.
V
Le caratteristiche dominanti del Tribunale.
Le caratteristiche dominanti del Tribunale sono due: la sua reticenza e la sua struttura, nascosta e fatiscente, con la sua collocazione in soffitte grigie e prive di aria. Ecco come Franz Kafka descrive l’organizzazione interna del Tribunale. “Una organizzazione che non solo ingaggia sorveglianti venali, ispettori inetti e giudici istruttori nel miglior dei casi di modesta capacità, ma che per di più mantiene magistrati di alto e di altissimo grado, con l’innumerevole, inevitabile corteo di uscieri, scrivani, gendarmi e altri addetti, forse, non mi tiro indietro davanti a questa parola, persino di boia.” (Pagine 53-54). Inoltre il Tribunale ha una struttura interna fatta da funzionari corrotti e dà giudizi corrotti e ha le sue aule giudiziarie in soffitte maleodoranti piene di aria stantia senza finestre e ubicate in quartieri popolari della città. Ecco come Kafka descrive uno degli aspetti più importanti del Tribunale. “Cercare di capire che questo grande organismo giudiziario resta in una certa misura eternamente in equilibrio e che, se uno cambia automaticamente qualcosa lì dove si trova, si scava il terreno sotto i piedi e può precipitare, mentre il grande organismo per quel piccolo disturbo si procaccia agevolmente altrove una compensazione – tutto è in collegamento – e resta immutato, se non diventa forse, cosa che è addirittura probabile, ancora più chiuso, ancora più attento, ancora più severo, ancora più cattivo”. (Pagina 112). Inoltre il Tribunale è reticente perché non comunica ai presunti colpevoli la loro colpa. Il tribunale, infine, interviene direttamente nella vita dell’imputato mandandogli i sorveglianti e l’ispettore per notificargli e comunicargli oralmente, semplicemente, il loro arresto. Ecco come Franz Kafka spiega e descrive la reticenza del Tribunale. “Il processo è appunto entrato in una fase in cui non è più consentito prestare aiuto, in cui passa sotto la competenza di corti giudiziarie inaccessibili, in cui l’imputato non è più raggiungibile neanche dall’avvocato.” (Pagina 113).
VI
Il mio giudizio personale sul romanzo “Il processo”.
Io, Biagio Carrubba, reputo che la frase finale del romanzo “Come un cane!” disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere” (Pagina 205) esprima tutta la solitudine (che corrisponde al nostro detto – Solo come un cane -) dell’Uomo circondato da una realtà incomprensibile, sconosciuta, ignota, ostile e come è scritto nel retro della copertina del libro della Feltrinelli: “E allora il Tribunale è il mondo stesso, tutto quello che esiste al di fuori di Josef K. è processo: non resta che attendere l’esecuzione di una condanna da altri pronunciata”. Io, B. C., voglio soltanto aggiungere un’altra considerazione alla conclusione del libro. Secondo me, la condanna finale di Josef K. non lascia dubbi sulla concezione pessimistica di Kafka e sulla tragica destinazione dell’Umanità, destinata e condannata alla morte eterna. Infatti, secondo me, B. C., non ci sarà salvezza per l’Umanità. Alcuni critici hanno sottolineato anche la fierezza di Josef K., il quale fino all’ultimo cerca di resistere al Tribunale e conoscere il supremo reggitore, è una resistenza vana ed inutile. Alla fine anche Josef K., si convince della sua colpa e accetta ineluttabilmente la condanna di morte. Io, B. C., reputo che le pagine più importanti e positive del libro siano quelle che si riferiscono al dialogo tra il pittore Titorelli e Josef K. riguardanti l’assoluzione apparente ed il rinvio. Josef K, quasi incredulo, disse: “E Il processo ricomincia daccapo? – Certo, rispose il pittore, Il processo ricomincia daccapo, ma c’è di nuovo la possibilità, come prima, di ottenere un’assoluzione apparente. Bisogna raccogliere le forze e non ci si deve arrendere. Questa ultima cosa il pittore la disse forse sotto l’impressione che K., un po’ depresso, gli stava facendo.” (Pagina 145). E poi il pittore Titorelli concluse: “ -Entrambi i metodi hanno in comune il fatto di impedire una condanna dell’imputato-”. “-Ma impediscono anche l’assoluzione vera” – disse K. – “sottovoce, come se si vergognasse di essersene reso conto”. (Pagina 147). Io, B. C., suppongo che proprio questa sconsolata conclusione esprima tutto il pessimismo Kafkiano. Infine io, B. C., penso e reputo che Il processo è il racconto più completo, più compiuto e più bello fra tutti i racconti e i romanzi di Franz Kafka. Il processo, per l’appunto, è il racconto più estroso, più elaborato e più originale fra tutti i racconti lunghi di Franz Kafka. Per tutti questi motivi io, B. C., reputo Il processo, il racconto più affascinante di Franz Kafka. Invece, secondo me, tutti gli altri romanzi di Kafka, essendo incompleti e incompiuti, perché, interrotti in tronco, perdono il loro fascino dal momento che gli manca il finale e ciò li rende monchi e insoddisfacenti; e, secondo me, senza il finale, quindi, perdono il loro fascino letterario. Per capire la perdita della bellezza degli ultimi romanzi io, B. C., faccio questo paragone. È come di chi inizia un viaggio per andare da un posto e arrivare a un altro posto. Ma il viaggio si interrompe a metà, per cui non si sa se il viaggiatore arriva o non arriva, lasciando in sospeso chi li aspetta nel luogo dell’arrivo; così anche la mancanza del finale degli ultimi romanzi di Kafka lascia in dubbio e in sospeso i lettori dei romanzi dal momento che non sanno come finisce la storia dei protagonisti. (L’esempio più convincente e memorabile per mettere in evidenza l’importanza del finale di un romanzo con l’arrivo dell’aereo nell’aeroporto, è quello dei viaggiatori morti, precipitato con l’aereo, ad Ustica nel 1980, che viaggiava verso Palermo). Io, B. C., reputo che l’unica cosa certa del romanzo del Processo è il fatto che Josef K. ha lottato, con determinazione e decisione, per trovare la verità sul suo processo cercando dove fosse il Tribunale e indagando sulla sua organizzazione. Il finale del racconto, poiché Josef K. non riesce a sapere niente, anzi viene brutalmente ucciso, dimostra che la sua lotta, la sua indagine e la sua determinazione, per scoprire la verità sul suo processo e sulla sua condanna, risultano vane, vuote e sterili. Ecco il brano nel quale Josef K. confessa e manifesta chiaramente a sé stesso il fallimento della sua indagine e della sua lotta. “Mi sono dato molto da fare, ma finora senza risultato. D’altronde non ho ancora pronta la mia memoria difensiva. – Come ti immagini la fine? – chiese il sacerdote. – Prima pensavo che dovesse finire bene. – disse K. – adesso a volte ne dubito io stesso. Non so come finirà. Tu lo sai? – “No”, disse il sacerdote, “ma temo che finirà male.” (Pagina 190).
VII
La mia interpretazione personale del Processo.
L’importanza e la bellezza del Processo.
1. L’importanza del Processo.
Io, B. C., penso e reputo di avere capito chi sia il Tribunale a cui si riferisce Franz Kafka nel racconto. Io, B. C., suppongo che il Tribunale a cui si riferisce Franz Kafka sia il Tribunale militare che ogni Stato aveva istituito e istruito per minacciare e trascinare ogni giovane cittadino a partecipare e a combattere i nemici nel pieno della guerra. Penso e suppongo, quindi, che io, B. C., abbia risolto l’enigma chi fosse il Tribunale di cui parla Il processo. Secondo me, B. C., il Tribunale non è altro che il Tribunale militare di ogni Stato belligerante il quale condannava ogni cittadino che, per qualsiasi motivo, non volesse partecipare alla guerra. Josef Kafka nell’agosto del 1914 era stato esonerato dal servizio militare. Il protagonista del Processo, Josef K., che è lo stesso Franz Kafka, per sua fortuna non partecipò, così, alla guerra, rimanendo a Praga a lavorare nella banca. Allora, Franz Kafka, conoscendo e apprendendo tutti i drammi e tutti i morti che la guerra stava mietendo nei campi di battaglia, si sentì in colpa rispetto ai soldati che morivano in guerra e quindi, preso dal rimorso di essere un imboscato in città, immaginò ed elaborò la trama del Processo. Il protagonista Josef K. è lo stesso Franz Kafka che alla fine del racconto viene condannato dal Tribunale militare perché, in qualche modo, era riuscito a scappare dalla guerra. Invece il Tribunale militare lo scopre e quindi lo condanna a morire solo e al buio in una cava ad opera di due ignoti esecutori che gli conficcano un coltello girandolo due volte. La vergogna finale del libro consiste, per l’appunto, nel fatto che, anche se lui fu ucciso, rimaneva la vergogna di non aver partecipato alla prima guerra mondiale dove, nel frattempo, morivano tanti altri giovani per difendere la propria Patria e sconfiggere i nemici.
2. La bellezza del Processo.
Io, B. C., reputo e penso che la bellezza del Processo consista nel fatto che il racconto è una metafora della prima guerra mondiale che si stava combattendo, svolgendo e massacrando in tutta l’Europa. Il racconto è, anche, una rappresentazione dell’umanità la quale, pur combattendosi con sé stessa, rimane il genere più importante e più bello fra tutti gli esseri della Terra. Quindi Josef K. rappresenta l’umanità e tutti gli imputati come Josef K., i quali, anche se sono brutti o furbi o disertori, rimangono comunque gli individui più importanti e più belli per continuare il genere e la storia dell’umanità. Quindi, io, B. C., suppongo che la bellezza del Processo sia dovuta alla bella e convincente allocuzione che l’avvocato declama quando si rivolge a Josef K. parlando della singolarità di Leni che trova belli tutti gli imputati. L’allocuzione dell’avvocato è, dunque, una lode del genere umano e termina con queste belle parole. “D’altronde tra i belli ce ne sono anche di particolarmente belli. Belli però sono tutti, persino Block, quel misero verme.” (Pagina 167). Infine, io, B. C., trovo che il messaggio più profondo e recondito del Processo sia per l’appunto questo: l’umanità, nonostante sia composta da tante persone varie, cattive, false e omicide, nel suo complesso però crea e dà origine alla bellezza della storia e dell’umanità stessa. Essa, quando vuole e può, sa creare le condizioni della pace e dell’amore. Infatti, io, B. C., penso che il messaggio conclusivo del Processo sia un messaggio positivo e costruttivo, nonostante la bruttura della guerra così come la vedeva e osservava Franz Kafka nel 1914 quando scoppiò la prima guerra mondiale.
VIII
Gran finale.
Io, B. C., penso e reputo che il monito e il migliore messaggio, positivo e fiducioso, del racconto si possa riassumere e sintetizzare con questo brano del Processo. “Non si poteva desistere da questi sforzi, bisognava organizzare e controllare tutto, era necessario che il Tribunale si imbattesse una buona volta in un imputato in grado di far valere i propri diritti.” (Pagina 117). E, io, B. C., infine, penso e giudico che il comportamento, decisivo e determinato, distingua e contraddistingua l’azione decisiva e volontaria di Josef K. e che questa azione di Josef K. sia, anche, il filo logico che articola, sviluppa, tesse e svolge, in modo estroso, sorprendente e brillante, tutta la trama, piacevole e originale, del Processo.
Modica 08/12/2019 Prof. Biagio Carrubba
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