Un’analisi del carme “Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo.

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Un’analisi del carme
“Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo.

Il carme “Dei Sepolcri” fu composto da Foscolo tra il giugno e il settembre 1806, ma fu pubblicato nell’aprile del 1807 a Brescia. Nel 1804 fu promulgato l’editto napoleonico di Saint-Cloud che poi fu esteso all’Italia il 5 settembre 1806. L’editto imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri fuori città e che non ci fosse nessuna distinzione tra morti oscuri e morti celebri. Il carme è composto di 295 endecasillabi sciolti ed è dedicato ad Ippolito Pindemonte carissimo amico di Foscolo e poeta che aveva scritto poesie ed epistole sui cimiteri inglesi.

Il carme Dei sepolcri in sintesi.

Prima parte.
Il carme si apre con due domande retoriche, la cui risposta è implicitamente negativa. La morte è meno dolorosa dentro le tombe? La tomba consola della vita perduta? No, perché il tempo che passa travolge tutto nella sua oscurità e perché la natura distrugge ogni cosa nel suo incessante movimento e perché il tempo trasforma ogni uomo e ogni cosa della terra e del cielo. Ma l’uomo perché, prima di morire, deve negarsi l’illusione di rimanere vivo tra i suoi cari? Solo chi muore senza amore ha una tomba solitaria ubicata in una terra desolata e (solo chi muore senza amore) immagina o il suo spirito vagare tra i luoghi dell’inferno o vede la sua anima rifugiata sotto le ali di Dio; in ogni caso lascia le sue spoglie in un posto isolato, dove né donna verrà a pregare, né passeggero solitario sentirà l’odore della tomba. Oggi, però, una nuova legge proibisce le tombe dentro le città e proibisce di scrivere il nome del defunto sulle lapidi. A causa di questa legge il poeta Giuseppe Parini giace in una fossa comune anonima e la sua tomba non è più riconoscibile. Parini scrisse una opera poetica che pungeva e scherniva il vizioso nobile ozioso lombardo come ad esempio Sardanapalo. Tu, o Talia, cerchi Parini nel cimitero dei plebei, dove una cagna raminga erra e dove l’Upupa svolazza tra le croci, togliendo il silenzio ai morti. E tu, Talia, invano implori una pioggia sulla tomba del poeta poiché nessun fiore nasce sulle tombe quando non è coltivato da pianto affettuoso (vv. 1 – 90).

Seconda parte.
Le nozze, la giustizia e la religione hanno istituito la civiltà per gli uomini, così che essi hanno con le tombe sottratto i resti del corpo all’aria malvagia e alle fiere. I cimiteri sono stati testimoni delle glorie delle famiglie e il giuramento fatto sulle tombe era temuto e tenuto sacro. Il culto dei morti non è stato sempre triste e lezzoso come nel medioevo, quando le madri erano terrorizzate dalle effigie dei morti sui muri. Anticamente i cipressi e i cedri riempivano l’aria dei cimiteri di profumi e stendevano le loro ombre perenni sulle tombe e anche preziosi vasi raccoglievano le lagrime dei parenti. E gli amici dei defunti rapivano una scintilla al sole per illuminare le tombe dei morti, perché gli occhi di chi muore cercano morendo la luce del Sole. I parenti versavano il latte sulle tombe e colloquiavano con i defunti. Ancora oggi le giovani donne inglesi vanno a pregare nei giardini cimiteriali, dove li conduce l’amore per la madre morta e dove ricordano e pregano l’eroe O. Nelson, il quale, dopo aver sconfitto la flotta francese, ricavò la propria bara dall’albero maestro della nave conquistata. Mentre in Italia, dove la ricchezza e la viltà dominano sui ricchi e sul popolo, le tombe sono ostentazione di lusso e inutili monumenti della morte. La morte riservi a me una tomba silenziosa e quando la sorte avversa mi risparmi dalle sue vendette, gli amici raccolgano non la mia eredità materiale, ma sentimenti appassionati e l’esempio della mia poesia libera. (vv. 91 – 150).

Terza parte.
Le tombe dei grandi uomini esortano a compiere nobili azioni negli animi dei virtuosi. Io quando vidi le tombe di N. Machiavelli, di M. Buonarroti, e di G. Galilei, nella chiesa di Santa Croce a Firenze, città che mitigò l’ira a Dante e diede la lingua e i genitori a F. Petrarca, gridai te felice, o Firenze, per le acque che l’Appennino versa nei tuoi colli, ma gridai te più beata perché raccogli in quella chiesa le tombe di questi grandi uomini, che sono le uniche cose rimaste da quando le Alpi, mal difese, e la triste sorte ti hanno sottratto ogni cosa tranne la memoria del passato. Proprio da queste tombe nascerà la gloria dell’Italia, quando rinascerà negli animi degli italiani il desidero di riscatto nazionale. E proprio qui veniva per ispirarsi V. Alfieri che, irato contro gli dei della Patria, errava lungo l’Arno guardando i campi e il cielo e poiché nessuna cosa gli addolciva l’angoscia per la patria, aveva sul viso il pallore della morte e la dignità della speranza. Ora è sepolto con gli altri grandi. È proprio da queste tombe che nasce una religiosa pace e da qui un Dio infonde coraggio e forza come un Nume infuse la virtù e l’ira ai greci che sconfissero i persiani nella famosa battaglia di Maratona, per la quale Atene consacrò le tombe ai suoi valorosi eroi. Il navigante che veleggiò quella notte vide i guerrieri cercare la pugna, vide il pianto e sentì il canto e gli inni delle Parche. (vv. 151 – 212).

Quarta parte.
Felice te, o Ippolito, che da giovane hai solcato le acque del mar antistante la terra di Troia, e certamente hai sentito il rumore delle acque che hanno portato via le armi di Achille sulle coste Retee sopra le ossa di Aiace, togliendole dalla nave raminga di Ulisse. La morte è giusta dispensatrice di gloria. Io spero che le Muse, stimolatrici del pensiero umano, mi chiamino per evocare gli eroi. Le muse siedono sulle tombe degli eroi e il loro canto vince il silenzio di mille secoli. E oggi nella Troade c’è la tomba di Elettra, amante di Giove, la quale diede l’origine alla dinastia di Troia. Ed Elettra, prima di morire, si rivolge a Giove affinché il padre degli dei rendesse sacra ed immortale la sua tomba. Giove acconsentì, chinando la testa e dai suoi capelli spandeva ambrosia sulla ninfa, rendendo sacri quel corpo e la sua tomba. E in questo luogo sono sepolti Erittonio ed Ilo. E presso questa tomba venne Cassandra, la quale ispirata da un Dio, profetizzò la distruzione di Troia e parlò ai suoi nipoti dicendo: “Se il destino permetterà a voi guerrieri troiani di ritornare dalla Grecia, troverete le mura della città distrutta e data alle fiamme. E voi, palme e cipressi, piantate dalle nuore di Priamo, crescerete presto per le lacrime delle vedove; proteggete i miei avi. E un giorno (voi palme e cipressi) vedrete un povero cieco (il poeta Omero) interrogare le tombe che racconteranno la distruzione di Troia, successivamente ricostruita per dare maggiore gloria a greci. Omero, dopo aver placato le anime degli sconfitti (dei troiani), renderà immortali i principi greci per tutto il mondo. E anche tu, Ettore, avrai l’onore di essere ricordato dovunque il sangue sarà versato per la patria e fino a quando il Sole risplenderà sulle calamità umane”. (vv. 213 – 295).

Testo del carme “Dei Sepolcri”.

A Ippolito Pindemonte

Deorum manium iura sancta sunto.
(I diritti degli dei Mani saranno sacri).

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove più il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali, 5
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò più il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né più nel cor mi parlerà lo spirto 10
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte? 15
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l’obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe 20
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite? 25
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi, 30
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo 35
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli. 40
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ali 45
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura. 50
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro 55
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino 60
lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov’io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi 65
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch’or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi 70
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la citta, lasciva
d’evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l’ossa 75
col mozzo capo gl’insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando; 80
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle 85
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d’umane
lodi onorato e d’amoroso pianto. 90
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura 95
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
ed are a’ figli; e uscían quindi i responsi
de’ domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento: 100
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
fean pavimento; né agl’incensi avvolto 105
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d’effigïati scheletri: le madri
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l’amato capo 110
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando 115
perenne verde protendean su l’urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte, 120
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole 125
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti 130
de’ suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
che tronca fe’ la trïonfata nave 135
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l’opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell’Orco 140
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi 145
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l’esempio. 150
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande 155
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide 160
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
– Te beata, gridai, per le felici 165
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli 170
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma 175
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte 180
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’ invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto. 185
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto 190
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza. 195
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, 200
la virtú greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche 205
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti 210
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna 215
oltre l’isole egèe, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi 220
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei. 225
E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando 230
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata 235
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente. 240
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: – “E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso 245
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama” -.
Cosí orando moriva. E ne gemea 250
l’Olimpio: e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne 255
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso, 260
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospiranda: – “Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta 265
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono 270
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure 275
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre 280
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto 285
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante 290
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane”-. 295

Parafrasi e costruzione diretta “Dei Sepolcri “.

Deorum manium iura sancta sunto.
(I diritti degli dei Mani siano sacri).

Il sonno della morte è forse meno duro all’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto? (1 – 3). (Qualora) Quando il sole non riscaldi più per me la bella famiglia delle piante e degli animali, e quando l’ore future non danzeranno davanti a me piene di lusinghe, e quando non udrò più da te, dolce amico, la poesia e la mesta armonia che la realizza, e quando l’ispirazione della poesia e dell’amore, uniche consolazioni alla mia vita vagabonda, non mi parleranno più al cuore, quale conforto avrò io, se non una tomba che distingua le mie ossa dalle infinite altre che in terra ed in mare semina la morte? (4 – 15). Tutto ciò è ben vero o Pindemonte! anche la Speranza, ultima Dea, fugge la morte; l’oblio distrugge ogni cosa nella notte e la forza della Natura continuamente le decompone con il movimento; il tempo distrugge l’uomo, le sue tombe, le sue forme e le sue ultime sembianze della terra e del cielo. (16 – 22). Ma perché prima del tempo l’uomo deve perdere l’illusione che, dopo la sua morte, non sarà ricordato più dai suoi cari? Egli continua a vivere anche sottoterra, anche quando gli sarà muta la luce del giorno, se vive nella mente dei suoi se costoro accudiscono e coltivano la tomba del morto? Questa corrispondenza d’amorosi sensi tra vivi e morti è Celeste, dono divino è negli uomini; e spesso si vive con l’amico morto e il morto vive con il vivo, se la pia terra, che lo allevò e lo nutrì, porgendo l’ultimo asilo nel suo grembo materno, rende le sue reliquie inviolabili dalle intemperie e dai piedi sconosciuti del popolo, e se una tomba conserva il nome, e se un mazzo profumato di fiori consola con le molli ombre le ceneri. (23 – 40). Solo i malfattori che non lasciano buoni affetti non hanno gioia dell’urna; e se egli guarda dopo la sua morte, vede il suo spirito errare o fra i templi acherontei o rifugiarsi sotto le grandi ali di Dio, comunque sia lui lascia le sue ceneri alle ortiche di una terra deserta, dove non andrà nessuna donna innamorata, e dove nessun forestiero sentirà il profumo che la Natura manda a noi dal tumulo. (41-50). Nonostante ciò una nuova legge oggi impone le tombe fuori dalle città, e vuol togliere il nome ai morti. (A causa di questa legge) il tuo poeta (Giuseppe Parini), o Talia, non ha una tomba. Egli (Giuseppe Parini), ispirandosi a te nella sua povera casa, ha scritto un’opera con lungo amore; ti dedicava i suoi canti e tu gli ispiravi i suoi canti ironici e sarcastici, che colpivano il lombardo Sardanapalo al quale soltanto il muggito dei buoi dell’Adda e del Ticino è dolce e che lo fanno beato di ozi e di bevande. (51 -61). O bella Musa, dove sei tu? Non sento il tuo profumo, segno della tua presenza divina, spirare fra queste piante dove io siedo e dove io desidero la mia città natale. E tu (Talia) venivi e sorridevi a lui sotto quel tiglio, il quale ora con foglie dimesse freme perché non copre la tomba del poeta al quale dava calma e ombra. Forse tu cerchi il luogo, vagando qua e là tra i cimiteri plebei, dove riposa la sacra spoglia del tuo Parini? La città, lasciva e adoratrice di evirati cantanti, non pose né cipressi, né lapide e né un’epigrafe; e forse il ladro, che pagò le sue colpe sul patibolo, gli insanguina le ossa col capo mozzato. Tu, Talia, senti la derelitta cagna raspare fra le macerie e gli sterpi mentre gira sulle fosse e ulula famelica; e vedi uscire l’Upupa dal teschio, dove fuggiva alla luna, e vedi l’immonda lamentarsi con il suo orribile verso contro le pie stelle che mandano la luce alle dimenticate sepolture. Invano chiedi, o Dea, pioggia all’arida notte. Ahi! Sui morti non cresce un fiore, se non è alimentato da preghiere umane e da pianti amorosi. (62-90). Da quando le istituzioni civili delle nozze, dei tribunali e degli altari diedero agli uomini bestiali la possibilità di essere pietosi verso sé stessi e versi gli altri, i vivi tolsero all’aria e alle fiere i poveri resti che la Natura trasforma perpetuamente in altre forme. Nella società greca le tombe erano testimonianza delle gloriose imprese ed erano sacre ed altere per i figli; da esse i responsi degli dei Lari uscivano, e il giuramento su di esse fu ritenuto sacro: tanto che le virtù patrie e la pietà congiunta tramandarono e mantennero in vita con diversi riti questo culto per lunghissimi anni. (91-103). Le lapidi sepolcrali non sempre hanno fatto da pavimento nelle chiese; né il lezzo dei cadaveri, misto all’incenso, contaminò i preganti; né le città furono tristi per gli scheletri effigiati sui muri, tanto che le madri si risvegliavano dal sonno esterrefatte e tendevano le braccia nude sul bambino affinché il lamento delle anime morte chiedenti la piccola preghiera dal santuario non lo destasse. (104-114). Ma i cipressi e i cedri, impregnando i venti di puri profumi, proiettavano sulle tombe un verde continuo per memoria perenne, e preziosi vasi raccoglievano le lagrime versate. Gli amici rapivano una fiamma al Sole affinché illuminasse la notte dei cimiteri, perché gli occhi degli uomini morendo cercano il Sole e tutti i petti mandano l’ultimo respiro alla fuggente luce. Le fontane, versando acque purificatrici, innaffiavano viole ed amaranti nella terra cimiteriale; e chi sedeva sulla tomba per versare latte e chi per raccontare le sue pene all’estinto sentiva un profumo uguale a quello dei giardini Elisi. (115- 129). Pietosa illusione è questa che fa gli orti dei cimiteri suburbani cari alle giovani inglesi dove l’amore perduto della madre le conduce e dove i Geni clementi pregarono il ritorno del Prode (Orazio Nelson) che dopo aver conquistato la nave (dei francesi) troncò l’albero maestro e ne ricavò la sua bara. (130 -136). Ma se il desiderio di nobili imprese dorme e mentre la ricchezza e la paura governano il vivere civile, allora ivi sorgono cippi e mausolei vuoti per inutile pompa e sorgono malaugurate cenotafi dell’Orco. In Italia i dotti, i ricchi e i nobili, decoro e vanto del bel Regno italiano, hanno già sepoltura vivi nei palazzi ed hanno solo gli stemmi come unica laude. (137 – 145). La morte mi prepari una tomba sicura, dove la fortuna cessi di perseguitarmi, e l’amicizia raccolga non l’eredità di tesori materiali, ma nobili passioni e l’esempio di una poesia libera (146 – 150). Le tombe dei grandi uomini incitano il forte animo a compiere nobili imprese, o Pindemonte; ed esse fanno la terra che le accoglie, bella e santa, come è vista dal forestiero. Quando io vidi la tomba dove riposa N. Machiavelli, il quale, rafforzando il potere dei principi, nello stesso tempo ha svelato alle genti di quante lagrime e di sangue esso è pieno; e quando vidi la tomba di Michelangelo Buonarroti che innalzò a Roma la Cupola di San Pietro a Dio; e quando vidi la tomba di G. Galilei, il quale liberò l’astronomia da tanti errori e che per primo vide ruotare più pianeti intorno al sole immobile per cui poi l’inglese Newton fece altre scoperte, allora io gridai te, Firenze beata, per le acque limpide che l’Appennino versa a Te dai suoi colli. La luna, lieta per il tuo cielo, illumina di una luce limpidissima i tuoi colli (di Firenze), festanti per la vendemmia, e le vallate piene di case e di oliveti mandano mille profumi di fiori al ciel: e tu per prima, o Firenze, ascoltavi la poesia che mitigava l’ira a Dante e tu desti i genitori e la lingua a F. Petrarca, il quale, adornando con un velo candido l’amore sensuale dei greci e dei romani, lo porse nel grembo di Maria Vergine Celeste. Ma io gridai te, Firenze, più beata, perché raccolte in una chiesa (Santa Croce), raccogli le tombe di grandi uomini italiani, le uniche glorie che sono rimaste dopo che le mal difese alpi e la violenza degli stranieri hanno depredato le armi, le sostanze e gli altri e ti hanno portato via tutto, ad eccezione della memoria. Allorché la speranza della gloria rinasca negli italiani, noi da queste tombe trarremo gli auspici per una nuova rinascita italiana. (151 – 188). E V. Alfieri venne presso queste tombe ad ispirarsi e a calmarsi. Poiché era irato contro i Numi, girovagava muto dove l’Arno è più deserto e guardava insoddisfatto i campi e il cielo; e poiché nessuna cosa vivente lo calmava, qui, l’Austero si fermava e aveva nel volto il colore della morte e della speranza. Egli (Alfieri) riposa eternamente con questi grandi uomini e ancora oggi, pare che le sue ossa diffondano amore per la patria (189 – 197). Da questa pace religiosa delle tombe un Nume parla, lo stesso Nume che alimentò l’ira e il valore dei greci nella battaglia di Maratona, dove Atene consacrò ed innalzò tombe ai suoi valorosi guerrieri. Il navigante che solcò il mar presso Eubea, vedeva quella notte scintille d’elmi e di spade e vedeva le pire bruciare igneo vapore e vedeva fantasmi di guerrieri pieni di armi ferree lampeggianti cercare la guerra; e vedeva un tumulto di soldati e sentiva un suono di trombe che si espandeva nei campi e si sostituiva all’orrore dei notturni silenzi; e vedeva un incalzare di cavalli che si posavano scalpitanti sugli elmi dei moribondi; e vedeva il pianto, gli inni e il canto delle Parche (198 – 212). O Ippolito, felice te che quando eri giovane hai girato per il mare! se il timoniere della nave ti portò oltre le isole Egèe, certamente hai sentito nelle spiagge dell’ Ellespondo parlare di antichi fatti e hai sentito il risuonare delle onde uguale a quando le onde riportarono le armi di Achille sopra la tomba di Aiace nel promontorio Reteo: la morte è giusta dispensatrice di glorie per i generosi; né il senno astuto, né il favore di re serbò a Ulisse le armi pesanti, perché le onde agitate dagli Dei infernali le hanno ritolte alla nave raminga di Ulisse (213 – 225). Le Muse, animatrici del mortale pensiero umano, chiamino me, che i tempi fanno andare fuggitivo di popolo in popolo, ad evocare gli eroi greci omerici. Esse siedono custodi delle tombe e quando il tempo passa con le sue fredde ali e distrugge ogni cosa fino nelle sue più lontane rovine, esse fanno i deserti lieti e il loro canto e l’armonia della poesia vince il silenzio di mille secoli. E oggi nella Troade deserta un luogo eterno splende eternamente ai forestieri a motivo di una Ninfa (Elettra) alla quale andò in sposo Giove e a Giove diede il figlio Dardano, da cui nacquero Troia e Assaraco e poi i cinquanta figli e poi il regno dei Romani. Ma allorché la parca, la Dea della morte, chiamò Elettra, dalle vitali arie del giorno ai cori dei giardini dell’Eliso, Elettra mandò un’ultima preghiera a Giove e così moriva pregando, dicendo: “Se mai i miei capelli, il mio viso e le veglie amorose ti furono care e se la volontà del Fato non mi concede premio migliore, almeno proteggi dal cielo la mia morte affinché di Elettra tua resti la fama”. (226 – 250). E Giove addolorandosi di questa morte, annuendo con il capo, faceva cadere dai capelli ambrosia sulla Ninfa, e fece quel corpo, e la sua tomba, sacri. Erittonio si posò in quel luogo sacro (a Troade), e il corpo di Ilo vi riposa; le donne troiane scioglievano i capelli e invano pregavano l’imminente fato e lo scongiuravano di allontanarsi dai loro mariti; in questo luogo venne Cassandra, dopo che, il Dio Apollo le fece vaticinare il giorno della distruzione di Troia e rivolgendosi alle anime dei morti cantò loro un carme dolce; Cassandra guidava i nipoti e insegnava ai giovinetti un lamento amoroso e sospirando così diceva: “Se mai il Cielo vi concede il ritorno dalla Grecia dove pascerete i cavalli a Diomede e ad Ulisse, invano troverete la vostra Patria! Le mura di Troia, benché costruite da Febo, fumeranno sotto il crollo. Ma gli Dei della Patria avranno posto nelle tombe, perché è dono degli Dei conservare alto il loro nome anche nelle miserie. E voi palme e cipressi, che piantati dalle nuore di Priamo, crescerete presto perché innaffiati dai pianti delle vedove, proteggete i miei antenati; e chi pio non colpirà le vostre foglie non avrà lutti tra i parenti e con mani pulite potrà toccare l’altare. Proteggete i miei antenati. Un giorno vedrete un cieco povero (Omero) errare sotto le vostre antichissime ombre e lo vedrete, brancolando, penetrare nelle tombe e lo vedrete abbracciare le urne e interrogarle. Le tombe dapprima gemeranno, ma poi ogni tomba racconterà la storia di Troia che due volta distrutta e due volte è risorta splendidamente sulle nuove strade per far più bello l’ultimo trofeo ai fatati Pelidi. Il sacro vate (Omero), dopo aver placato con la poesia i troiani afflitti, renderà eterni gli eroi greci per tutte le terre che il gran padre Oceano abbraccia, in tutto il mondo. E tu, Ettore, avrai onori di pianto fino a quando il sangue, santo e lagrimato, sarà versato per la Patria, e fino a quando il Sole risplenderà sulle sciagure umane”. (251 – 295).

I temi del carme Dei sepolcri.

I temi Dei sepolcri sono diversi e tutti sviluppano un unico ragionamento filosofico; secondo il quale partendo dalla domanda retorica iniziale arriva alla affermativa conclusione: la poesia rende eterne le tombe dei grandi uomini e dei grandi eroi che un popolo esprime nel corso della propria civiltà. Il tema centrale del carme è, dunque, quello dei sepolcri, cioè delle tombe viste e giustificate da vari punti di vista: da quello igienico a quello privato, da quello sociale a quello civile, da quello della civiltà a quello poetico, da quello fisico a quello metafisico, da quello architettonico a quello legislativo, da quello simbolico a quello filosofico. Ma la tesi più importante e propositiva del carme è la considerazione di Foscolo che le tombe sono importanti più per i vivi che per i morti, perché i vivi ricevano dalle tombe il ricordo e l’esempio del morto. Le tombe sono importanti, dunque, perché: 1) contengono il corpo del defunto; 2) consentono i riti funebri ai familiari; 3) permettono ai vivi di poter continuare a commemorare i defunti anche dopo la loro morte; 4) consentono, con il nome del defunto scritto sulla lapide, di mantenere l’identità del morto; 5) acconsentono che la madre terra, che nutrì il corpo da vivo, gli dia ospitalità anche da morto; 6) gli alberi profumati rendono le tombe un luogo gradevole e confortevole anche ai familiari che vanno a curare e ornare le tombe; 7) le tombe dei cattivi sono lasciate in terre aride e non sono visitate da nessuno; 8) le tombe dei cimiteri plebei, ovvero le fosse comuni, sono saccheggiate da cani e da uccelli notturni che svolazzano sopra le croci e funestano e violano la pace dei camposanti; 9) le tombe, insieme alle nozze e ai tribunali, sono istituzione della civiltà del progresso dei popoli; 10) gli uomini civili con le tombe sottraggono i miseri resti dei morti agli agenti atmosferici e agli animali; 11) le tombe sono state nel passato testimonianza delle glorie delle famiglie; 12) le tombe permettevano agli Dei di proferire i propri responsi tramite le sibille; 13) il giuramento fatto sulle tombe era considerato sacro e temuto; 14) le tombe rafforzavano le virtù patrie e la pietà dei cittadini; 15) le tombe non sempre hanno fatto da pavimento alle chiese; 17) i cimiteri degli antichi pagani erano ornati di cipressi e palme che profumavano l’aria e i familiari si confessavano con i morti sentendo nell’aria una fragranza uguale a quella dei giardini dell’eliso; 18) i camposanti degli inglesi adornano le città e sembrano dei giardini; 20) le tombe hanno anche, e soprattutto, una funzione sociale e civile, perché stimolano gli animi forti ad imitare le imprese dei grandi uomini come sono stati N. Machiavelli, M. Buonarroti, G. Galilei, le cui tombe sono ubicate nella chiesa di Santa Croce a Firenze, città che ha dato i natali anche a D. Alighieri e a F. Petrarca; 21) le tombe di questi grandi uomini italiani hanno reso l’Italia grande e stimolano i viventi a emulare il loro esempio per riscattare la nazione dalla invasione dello straniero; 22) le tombe di Santa Croce ispirano anche V. Alfieri, le cui ossa invocano l’amore di patria; 23) le tombe ispirano anche le virtù civili e l’orgoglio nazionale che servono per liberare la patria dagli invasori, come Atene ha consacrato le tombe dei valorosi guerrieri greci che hanno sacrificato la loro vita pur di difendere la Grecia dai Persiani; 24) le tombe degli eroi sono ricordate e custodite nella memoria dai poeti, i quali celebrano le loro imprese e il loro valore ed in questo senso il poeta è colui che fa da mediatore tra il presente e il passato dei morti e il presente dei vivi, cioè colui che dà la voce alle tombe; 25) le tombe sono la giusta ricompensa alle ingiustizie subite da vivi, come la tomba di Aiace sopra la quale il mare ha portato le armi di Achille, sottratte con l’inganno da Ulisse, ma vinte meritatamente da Aiace, il quale si suicidò per la disperazione; 26) le tombe rendono immortali i corpi dei grandi come Elettra che diede vita alla progenie che fondò Troia; 27) Cassandra profetizzò la venuta del poeta Omero che, con la sua poesia, ha reso eterni sia i greci vincitori sia i troiani sconfitti così che Ettore sarà ricordato sempre dagli uomini fino a quando gli eroi difenderanno la loro patria e fino a quando il Sole risplenderà sulle sventure umane. Un altro tema dispiegato con forza ne “Dei Sepolcri” è la concezione materialistica e meccanicistica della natura affermata soprattutto nei versi 16-22 e nei versi 95-96. Un altro grande tema affermato è il progredire della civiltà attraverso le istituzioni civili, come le nozze, i tribunali e le tombe che hanno trasformato le umane belve in uomini pietosi verso sé stessi e verso gli altri. Un altro grande tema è la bellezza della vita e dei suoi valori come l’amicizia, l’amore, la poesia, la patria e le virtù civili. Altri grandi temi del carme sono: l’illusione, cioè quella credenza che fa credere agli uomini di continuare a vivere anche dopo la morte, la forza della poesia che restituisce al passato la sua voce, superando secoli di silenzio cioè di morte, e andando al di là della distruzione compiuta dal tempo, le virtù civili e in particolare l’abnegazione degli eroi che sacrificano la loro vita per difendere la patria.

I messaggi del carme Dei sepolcri.

Il carme Dei sepolcri è un testo poetico polisemantico, cioè ha più messaggi, alcuni impliciti e altri espliciti. Tra i messaggi diretti vi sono: 1) non esiste nessuna vita dopo la morte; 2) l’illusione di poter continuare a vivere anche da morto è una fede divina, perché credere nell’illusione vince la morte; 3) le leggi disumane e inique non devono rendere anonime le tombe dei grandi uomini, come il Parini; 4) le tombe rappresentano la civiltà di un popolo ed indicano il progresso culturale, sociale e scientifico di una nazione; 5) le tombe dei grandi uomini fanno grande e famosa la nazione che li ospita e li mette in mostra; 6) le tombe dei grandi uomini incoraggiano le grandi virtù, come le tombe dei valorosi greci, a cui Atene consacrò monumenti immortali, sono il segno di valore e dal quale si origina nuova virtù; 7) le tombe dei grandi uomini servono a far amare la patria e sacrificarsi per essa; 8) le tombe conservano le memorie del passato; 9) le tombe sono la fonte di ispirazione dei poeti che, con i loro versi, non solo tramandano e tengono vivi i valori del passato, ma spingono, esaltano, risvegliano e celebrano, nel presente, per i viventi, nuovi valori e nuove virtù.

Le tesi del carme Dei Sepolcri.

Secondo me, B. C., le tesi Dei sepolcri sono numerose e diverse nei significati e nelle tesi. La prima tesi, enunciata già nei primi versi, è questa: la vita è bella e le tombe non possono ripagare in nessun modo la sua perdita. La bellezza della vita è data dall’amore, dalla poesia, dalle lusinghe e dagli ideali che la rendono accettabile e meno noiosa. (come Foscolo aveva già affermato nel libro “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” nella lettera del 15 maggio 1798 “Illusioni! Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o nella rigida e noiosa indolenza”). La seconda tesi è la fede nelle illusioni che fanno credere all’uomo di rimanere immortale, almeno nella memoria dei suoi cari. La terza tesi è data dall’esempio che ogni uomo lascia ai superstiti: chi lascia un cattivo esempio muore senza amore e senza affetti; chi lascia un buon esempio muore con amore e con gli affetti degli altri. La quarta tesi è data dall’amore per la patria; quando non c’è amore per la patria, questa va in decadenza e le tombe dei ricchi manifestano sfarzo e provocano repulsione perché rappresentano soltanto immagini inutili della morte. La quinta tesi è quella che si riferisce alle tombe dei grandi uomini che spingono gli uomini virtuosi a compiere eroiche azioni. La sesta tesi è quella riferita alle virtù sociali e civili, come la difesa della patria. E come ha detto Foscolo, il carme vuole predicare non la resurrezione dei corpi ma delle virtù. La settima tesi è quella che si riferisce alla poesia che rende immortali le tombe dei grandi eroi. L’ottava tesi è quella che si riferisce alla insopprimibile aspirazione di immortalità che hanno gli uomini le donne come è il caso di Elettra, la quale, quando si sente prossima alla morte, implora Giove affinché la sua fama resti immortale tra gli uomini. La nona tesi si riferisce al poeta stesso e alla sua aspirazione di diventare immortale tramite la poesia, come scrive nei versi 226- 229.

“E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici”.

Contesto politico, sociale, filosofico e letterario Dei sepolcri.

Il carme, si può dire, sintetizza tutte le idee filosofiche, politiche, sociale e culturali di Foscolo. Contesto politico. Ugo Foscolo è l’autore più rappresentativo dell’età napoleonica, epoca di crisi e di transizione. Il poeta vive in una Italia divisa in tanti stati diversi, quasi estranei tra di loro, che avevano dimenticato la comune e gloriosa origine dell’impero Romano e l’appartenenza alla stessa lingua nazionale: l’italiano. Contesto sociale. Ugo Foscolo vive in un Italia socialmente povera, e politicamente divisa dalla Restaurazione, dove dominano pochi grandi nobili aristocratici e la stragrande maggior di cittadini, costituita per la maggior parte da contadini ed artigiani, vive in condizioni di povertà. Il poeta vive nell’Italia del nord, dove si stava affermando ed espandendo la borghesia tessile e manifatturiera. L’Italia settentrionale è dominata da Napoleone e il suo editto di Saint-Cloud del 1804 e poi esteso all’Italia nel 1806, prescriveva per motivi igienico sanitari di seppellire i cadaveri in cimiteri lontani dall’abitato e di ornare tutte le tombe con lo stesso tipo di lapide. L’editto napoleonico fu l’occasione esterna che, nell’estate-autunno del 1806, diede a Foscolo l’incipit di scrivere, quasi di getto, il carme. Contesto filosofico. Foscolo ha una concezione sensistica e meccanicistica di derivazione illuminista, secondo cui l’universo, uomo compreso, è governato da leggi naturali legate alla materia, rifiuta ogni spiegazione metafisica e fa proprio il principio che la natura trasforma tutto in un moto meccanico ed incessante di nascita, di sviluppo e di morte. Accanto a questa concezione Foscolo tenne in vivo conto anche la visione dello storicismo di Giambattista Vico. Secondo la teoria di Vico la civiltà inizia con l’istituzione della famiglia, della religione, e del culto dei morti. Si profila così il grande tema delle illusioni, cioè dei valori, che influiscono sugli avvenimenti dell’uomo e della storia. Contesto letterario. In Foscolo l’ideale neoclassico di bellezza e di armonia si fonde con l’inquietudine, il dolore, l’impeto e le passioni della sensibilità romantica. Ma diversamente dai romantici, per i quali l’arte implica un impegno diretto nella realtà e nella storia, per Foscolo la poesia e l’arte mantengono un carattere aristocratico ed eroico. I due principi della poetica di Foscolo sono: la passione e il mirabile, cioè la facoltà di creare poesia e miti, cioè immagini di bellezza che consolano l’esistenza dell’uomo. I riferimenti letterari Dei sepolcri sono notevoli, a cominciare dalle opere di Parini, di Alfieri, di D. Alighieri, di Petrarca, Pindaro e Omero. Inoltre Foscolo ha presente anche i poeti preromantici inglesi: Thomas Gray (1716 – 1771), James Macpherson (1736 – 1796), Edward Young (1683- 1765), Melchiorre Cesarotti (1730 – 1807). Molto forte è, anche, l’influenza poetica di Orazio Flacco. Foscolo riprende da Orazio la concezione della poesia “quale monumento più resistente del bronzo, rilanciato dalla tradizione classicista della nostra storia letteraria da Petrarca in poi”. Ma secondo me, Biagio Carrubba, c’è un motivo meno evidente, ma altrettanto importante, che si riferisce a Orazio Flacco e riguarda proprio l’incipit del carme. Secondo me l’incipit del carme “Dei Sepolcri” non è dovuto al caso: il Foscolo inizia il carme con la celebre domanda retorica, con la quale ha voluto riprendere e rispondere proprio a Orazio Flacco che aveva fatto dei cipressi degli alberi, tristi e cupi, dei morti. Orazio aveva scritto che la funzione dei cipressi era solo ornativa ed esornativa ed erano l’unica cosa che i morti lasciano in eredità, ai vivi. Orbene secondo me Foscolo con la sua domanda retorica iniziale vuole mettere in dubbio proprio questa affermazione di Orazio poiché i cipressi non sono solo gli alberi dei morti, ma sono anche gli alberi che testimoniano la presenza dei morti che vivono ancora nella vita dei vivi; inoltre i cipressi, oltre ad abbellire i cimiteri, rendono meno triste le tombe dei propri defunti, ai parenti che visitano le tombe dei morti. Infine i cipressi arricchiscono il paesaggio monumentale ed ambientale dei cimiteri, perché creano con le loro ombre un paesaggio quieto, sereno, silenzioso ed ombroso, idoneo per rasserenare e consolare gli animi dei parenti, che passeggiando sotto la loro ombra, possono pregare per le anime dei defunti. Per Orazio i cipressi sono testimonianza della morte come dice nei vv 23-28 della bellissima ode n° 14 del secondo libro, dedicata a Postumo quando scrive: “Bisognerà lasciarla/ la terra, la casa, la donna/ che ti riposa:/ e di queste molte piante che coltivi solo il triste cipresso al minuto padrone sarà scorta”. Foscolo inizia il carme proprio da questa affermazione negativa per contestarla e riprenderla come incipit del suo carme; anzi, tutto il carme vuole essere la dimostrazione logica, storica e filosofica per confutare la tesi oraziana e giungere al suo opposto e cioè che la morte la si può vincere con la poesia che rende immortali gli uomini grandi che stanno dentro le tombe, anche quando sono distrutte dal tempo. E la tesi che la poesia renda immortali era già molto conosciuta da Foscolo, che l’aveva letta ed appresa proprio da Orazio prima, e da Vico poi, che aveva scritto: “Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prendere cose inanimate tra mani e, trastullarsi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive. Questa dignità filologica filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti”. Degnità n° XXXVII.

Analisi della forma.
Il genere Dei sepolcri.

Foscolo definisce Dei Sepolcri, un carme, cioè un genere di poesia impegnato e solenne. Carme deriva dal latino carmen che significa “verso, poesia” e indica, in particolare, alcuni componimenti poetici di forma classica volti a lodare un fatto, una persona o una consuetudine. Il riferimento implicito è alle Carmina cioè alle odi di Orazio Flacco.

La metrica Dei sepolcri.

I Sepolcri sono costituiti da 295 endecasillabi sciolti, cioè senza rima. Il carme è scritto in terza persona; è prevalente il discorso indiretto libero per cui Foscolo esprime essenzialmente il suo pensiero e la sua Weltanschauung. Il punto di vista è quello a focalizzazione zero, nel quale il narratore domina dall’alto gli avvenimenti, conosce le situazioni meglio dei personaggi di cui esplora il mondo interiore e interpreta i pensieri più intimi e segreti; il narratore conosce non solo il presente, ma anche il passato e il futuro dei personaggi. Si tratta di una narrazione diegetica, nella quale Foscolo giudica i fatti e rende evidente la propria presenza con interventi e giudizi.

Le figure retoriche Dei sepolcri.

Le figure retoriche sono parte essenziale della bellezza Dei sepolcri. Esse sono tante a cominciare dalla celebre domanda retorica dell’incipit; continuando vi è il perfetto parallelismo tra le prime due interrogative retoriche (vv. 1 – 15) e le due interrogative dei vv. 23 – 29. I vv. 23 – 40 contrappongono al nichilismo dell’esordio una prospettiva di moderata positività. In questo modo è valorizzata, con l’aiuto della sintassi, la difficile dialettica tra materialismo cosmicamente sconsolato e materialismo civilmente fiducioso. Le altre figure retoriche sono: uso sistematico delle inversioni, iperbati, parole di origine latina, selezione raffinata del lessico, usi inediti o rari di sostantivi, tropi sublimi, metafore preziose, personificazioni ardue. I frequenti enjambement rafforzano il senso di difficoltà e di densità espressiva. Anche la metrica partecipa insomma alla scommessa audace di Foscolo, creatore di una originale poesia che non descrive, ma ragiona.

Il tono emotivo Dei sepolcri.

Il tono emotivo Dei sepolcri, alto e solenne, impetuoso e talora visionario, si ricollega, in effetti, a certa poesia greca. In particolare i fulminei passaggi da un argomento all’altro richiamano i voli pindarici, cioè gli sbalzi rapidi ed improvvisi che caratterizzano la poesia di Pindaro. Lo stesso Foscolo ha definito il tono emotivo del carme nella lettera di risposta a Guillon quando scrisse: “Ho desunto questo modo di poesia dai greci, i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo dei lettori, ma alla fantasia e al cuore”.

La lexis e il linguaggio poetico Dei sepolcri.

Ciò che caratterizza Dei sepolcri sono le transizioni cioè i bruschi cambiamenti di prospettiva tra i concetti e le immagini. I concetti del carme non si susseguono logicamente l’un l’altro, ma sono espressi per quadri separati, tutti a sostegno della tesi centrale che sintetizza la visione della vita di Foscolo: grazie alla corrispondenza di amorosi sensi, tra l’estinto e i vivi, il sepolcro dà all’uomo l’illusione di potere sopravvivere alla morte, e anche quando i sepolcri degli uomini illustri saranno distrutti dal tempo sopravvivrà la poesia come dispensatrice della gloria eterna. Il linguaggio poetico Dei sepolcri è un linguaggio costituito e costruito con la più alta ricercatezza formale della tradizione della letteratura italiana, da Dante a Monti.

Aspetti estetici Dei sepolcri.

Gli aspetti estetici Dei sepolcri sono molti, diversi e notevoli. Il primo aspetto deriva dalla giustapposizione o transizione dei vari temi del Carme. Il secondo aspetto deriva dal carattere etico del carme. Il terzo aspetto deriva dallo spirito patriottico immerso nel carme. Il quarto aspetto si potrebbe definire aspetto romantico, poiché, non c’è dubbio che il carme trascini l’animo del lettore verso la bellezza estetica che emana l’opera. Il quinto aspetto deriva dallo stile sublime poiché il carme smuove le grandi passioni e i grandi sentimenti per la liberazione dell’Italia di allora e per l’unità dell’Italia di oggi contro le tendenze secessionistiche.

Commento e valutazione mie personali su Dei Sepolcri.

Io, B. C., ho sempre amato “Dei Sepolcri”, perché mi hanno sempre suscitato un sentimento estetico particolare ed intenso. Secondo me il fascino estetico “Dei Sepolcri” rimane intatto e pieno, dovuto alla sua raffinata lexis, ai sentimenti espressi e agli ideali di libertà che contiene. Io amo la poesia e, dunque, amo Dei Sepolcri che proclamano l’ideale che la poesia sia una delle produzioni più libere dello spirito umano. Io amo la poesia e, dunque, amo Dei Sepolcri che soddisfano il mio bisogno estetico e sostengono il bisogno dell’immortalità dell’uomo, perché io aspiro a non morire né fisicamente né spiritualmente. Benché Foscolo visse in una società europea uscita dall’illuminismo riformato e all’inizio della formazione dei nuovi stati nazionali, io, Biagio Carrubba, penso e suppongo che Foscolo avesse una visione di vita elastica, flessibile e aperta agli ideali della libertà e degli altri e non credo che avesse una Weltanschauung rigida e gerarchica della società e degli uomini. Questa visione aperta di Foscolo della società e il suo amore per l’Italia sono dimostrati dal suo esilio in Inghilterra. Io, Biagio Carrubba, ammiro Foscolo perché scelse l’esilio pur di non rimanere sotto il dominio austriaco; e amo Foscolo perché, per amore dell’Italia, rimase un apolide e un trasgressivo, come dimostra tutta la sua vita di infaticabile peregrino per amore della sua libertà personale e patriottica. Infine questa vita raminga dimostra che Foscolo ebbe, per tutta la sua vita, un carattere ribelle per indole, per sogno e per idealità, che il Foscolo ha reso viva e drammatica perché ha sacrificato la sua vita per l’indipendenza e la libertà dell’Italia. Insomma Ugo Foscolo, grande poeta e patriota italiano, ha sacrificato la sua vita per l’Italia e per questo suo grande sacrificio non si può che ammirarlo e amarlo.

Il mio giudizio personale sui “Dei sepolcri” di Ugo Foscolo.

Io, Biagio Carrubba, reputo che “Dei sepolcri” siano un’opera poetica ancora oggi bella e suggestiva. Reputo attuale la parte dedicata alle virtù civili e quella dedicata alla corrispondenza di amorosi sensi tra il defunto e i suoi familiari. Io, B. C., giudico che ancora oggi, “Dei sepolcri” mantengono una bellezza formale e soprattutto hanno ancora vivo lo spirito romantico della Sehnsucht, cioè l’aspirazione struggente e inappagata all’infinito e alla immortalità. Inoltre Dei Sepolcri mantengono intatto il sentimento di inquietudine e di nostalgia e il desiderio di conoscere ciò che sta al di fuori dei limiti del finito e mantengono la sofferenza per l’impossibilità di appagare tale desiderio. È attuale il tema della ispirazione delle tombe dei grandi uomini: infatti le tombe esortano sempre gli animi dei grandi uomini a compiere nobili gesta o “egregie cose”. È attuale il tema delle tombe come ornamenti architettonici e per la bellezza e ombrosità degli alberi cimiteriali. È attuale, anche, il tema dei cimiteri come luoghi di comunicazione intima tra defunti e vivi. È attuale, anche, il tema delle illusioni tra vivi e morti attraverso i riti funebri. Anche oggi, come da sempre, i vivi ricordano i morti attraverso le tombe e le candele votive, “perché gli occhi dell’uom cercan morendo/il Sole; e tutti l’ultimo sospiro/mandano i petti alla fuggente luce” (vv. 121 – 123. È attuale, insomma, il sentimento all’immortalità dell’uomo, sentimento eterno che regge tutto il ragionamento filosofico del carme.

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Modica 30/08/2019                                                                                                       Prof. Biagio Carrubba

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