UN’ANALISI DI ALCUNE NOVELLE DI LUIGI PIRANDELLO

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UN’ANALISI DI ALCUNE NOVELLE
DI LUIGI PIRANDELLO

I

Le bellissime, deliziose e suggestive novelle di Pirandello sono in tutto 225; alcune sono brevissime, altre sono lunghissime. Luigi Pirandello le raccolse tutte, dal 1922 al 1936, con il titolo “Novelle per un anno”. Alcune, fra le novelle più famose, sono: “Il treno ha fischiato”; “Tu ridi”; “La Giara”; “Felicità”; “Dal naso al cielo”; “La carriola”; “Soffio”; “C’è qualcuno che ride”; “Visita” e altre. I primi 11 volumi contengono le novelle scritte dal 1894 al 1920. Il XII volume contiene la novella “Pubertà” scritta nel 1926, una delle poche, composta negli anni del 1920, perché Pirandello era concentrato ed impegnato a scrivere le più importanti e belle opere teatrali e per le sue tournées in Europa e in America del Sud. I volumi XIV e XV contengono tutte le novelle scritte fra il 1931 e il 1936. La nona novella “Il buon cuore” del XV volume fu pubblicata postuma nel 1937. Le novelle di questi due ultimi volumi sono molto diverse dalle novelle dei primi volumi perché alcune novelle hanno come soggetto principale i sogni; infatti i personaggi sognano, mescolando insieme realtà e sogno, come nella novella “Effetti d’un sogno interrotto” (XV volume) o come nell’ultima novella “Una giornata” del XV volume. Invece la novella “Di sera, un geranio” (XIV volume) racconta e descrive le sensazioni di un uomo appena morto, che rimane a galla nella sua camera da dove guarda il suo letto dove il suo corpo giace, senza vita; ed è, ancora, disteso morto sul letto; e, da lì sopra, l’anima del protagonista osserva tutto ciò che vedeva e godeva fino all’ultimo momento della sua vita. Il finale di molte novelle è sempre fuorviante e sorprendente. È, sempre, diverso da come il lettore non se lo aspetta. Il più delle volte, il finale è, sempre, tragico ed esiziale, come nella novella “Dal naso al cielo” (VIII volume), oppure nella novella “Pubertà” (XII volume), dove la giovane donna si suicida senza un perché e senza un motivo reale ed incombente. Anche la novella “Nell’albergo è morto un tale” (XIII volume) il finale è micidiale; infatti c’è uno che muore in una stanza d’albergo senza sapere chi è e chi è stato e senza sapere come è morto. Un tale qualsiasi, un anonimo. “Mah niente. Nell’albergo è morto un tale…”. Invece nella novella “Lucilla” (XIV volume), una fanciulla di 20 anni, ma che aveva il corpo di una ragazzina di 8 anni, il finale è tutto intriso di tristezza e di immaginazione, dal momento che Lucilla viene presa in giro e derisa da Nino, il quale le fa trovare un sudicio ragazzaccio di 14 anni per marito. Ma lei, delusa e sconcertata, scappa via e fugge tra i boschi, guardando il cielo, “dove vorrebbe sparire, sparire, se Dio, come spera, vorrà alla fine darle le ali”. L’unica novella nella quale il finale è positivo, logico, gradevole e piacevole è nella novella “Felicità” (XII volume), nella quale la figlia del duca di Rosabia, vincendo ogni resistenza paterna e ogni difficoltà creatale dal marito, truffatore e ladro, riesce, alla fine, a ottenere ciò che ardentemente lei desiderava più di ogni altra cosa al mondo. Lei voleva, a tutti i costi, un figlio e alla fine, nel finale della novella, lei partorisce e ha un bambino, tutto suo, e così lei “levò alto sulle braccia il suo bambino al sole che entrava festivamente, con la frescura degli orti, dai balconi spalancati”. Come si evince da questa mia rapida e sintetica analisi di alcune novelle di Pirandello, il finale è quasi sempre drammatico e tragico con la morte che incombe e sopravviene in qualche personaggio della storia, mentre fuori la vita dei personaggi continua, concitata e anonima, il suo corso. In questo modo la vita degli uomini e delle donne si consuma indifferentemente e indaffaratamente, come avviene nella novella “Candelora” (XIII volume), nella quale tutto si incentra sul dramma della gelosia, del rancore e della vendetta per arrivare al suicidio finale della moglie. A questo punto il marito si butta su di lei e piange disperatamente. “E rompe in un pianto disperato abbattendosi sul cadavere di Loretta”. Questa contrapposizione fra la vita in movimento e la morte indifferente indica in modo chiaro ed evidente lo stile e l’esposizione delle storie fantastiche di Pirandello. Questa contrapposizione fra la vita e la morte è il marchio ed il segno distintivo delle novelle fantasiose ed originali di Pirandello. Io, B. C., riporto, ora, un lacerto della novella “L’uscita del vedovo” (II volume) nel quale questa contrapposizione fra la vita dell’uomo e la morte indifferente viene bene esplicitata e descritta dallo stesso Pirandello in modo chiaro e semplice: “Il mondo seguitava a vivere intorno a lui; col tramenio incessante, con le mille cure, le brighe giornaliere, svariate: lui n’era rimasto fuori, là serrato in quel cerchio di diffidente clausura, in quella casa vuota, ma pur tutta piena, come l’anima sua, degl’irti sospetti della moglie”. Ma la novella, modello, esemplare, perfetta, che esprime la contrapposizione fra la vita indaffarata degli uomini che continua quotidianamente e la morte, anonima e indifferente, di tanti che muoiono senza lasciare traccia e di cui nessuno ha notizia è sicuramente la novella “Leviamoci questo pensiero” (XII volume).

II

Un’altra incredibile ed eccezionale novella è, senza dubbio, la bella novella “Soffio” (XIV volume). La novella fa parte, certamente, del genere “fantastico – onirico – surreale”. Il protagonista si accorge di avere, involontariamente e inavvertitamente, il potere di uccidere altre persone, facendo il semplice gesto di soffiare fra il pollice e l’indice, “Come a far volare una piuma che tenessi tra quelle due dita”. Il protagonista a questa scoperta esclama: “Ah la vita cos’è! basta un soffio a portarsela via”. Il protagonista si accorge, allora, che aveva già ucciso, inconsapevolmente, il suo amico Calvetti. Dopo il protagonista va fra la gente e, con il suo gesto, uccide ancora tante altre persone. “Novecento sedici in una sola notte”. Poi incontra un giovane dottore il quale gli dice che in paese è scoppiata un’epidemia. Allora il protagonista pensa che sia lui la causa di questa epidemia: “Ero io, ero io; la morte ero io”. Poi facendo sempre lo stesso gesto uccide altre persone per la strada e ne uccide altre sei in ospedale. Poi arriva davanti a un giardino e guarda una giovinetta vestita con un abito celeste. Invece di soffiare fra il pollice e l’indice, si intenerisce di tanta dolcezza e guarda, invisibile, la ragazza e la mira da lontano. A questo punto il protagonista, davanti alla fanciulla, comincia a non sentire più il suo corpo perché diventa invisibile; infatti la sua immagine è sparita, soffiata via, “non avevo un corpo e non avevo ombra”. Infine il protagonista dice che “il suo sguardo era l’aria stessa che accarezzava senza che lei se ne sentisse toccare”. Su questa novella mi piace riportare il commento e il giudizio di Luigi Filippo d’Amico nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio 207), quando a pagina 103 pensa e suppone che sia lo stesso Pirandello, per fare un dispetto a suo genero che teneva lontano, in Cile, sua figlia, “che si attribuisce un misterioso potere mortale, e si prende la soddisfazione di uccidere un personaggio che appunto rappresenta il genero, con un soffio”.

III

Io, B. C., giudico e reputo che, sul piano della composizione stilistica, la lexis e lo stile di composizione delle novelle siano sempre chiari e limpidi e ciò predispone le novelle di Pirandello ad una lettura amena, leggiadra e piacevole, creando così, nel lettore, molte immagini fantastiche e piene di suggestioni. Io, B. C., reputo e ritengo che la delicata e fragile bellezza delle novelle di Pirandello stia proprio nel fatto che le novelle rappresentino delle trame e delle vicende, sempre uniche, irripetibili, fantastiche, strabilianti, inverosimili, ma, nello stesso tempo, le novelle sono, anche, realistiche, veritiere e quotidiane tanto che il lettore, in qualche modo e in qualche circostanza, le ha sentite raccontare nella realtà in cui vive; le ha già conservate nella sua memoria. Io, B. C., reputo che, per tutti questi motivi, fantastici e realistici, e per il fascino che tutte le novelle emanano, il lettore, alla lettura di esse, provi un sussulto nel cuore ed è smosso dal risveglio dei sui sensi e della sua fantasia. Queste novelle pirandelliane contengono, secondo me, un equivoco di fondo, come ho cercato di mostrare e spiegare sopra, analizzando alcune novelle. Esse non sono vere e proprie novelle perché non hanno un lieto fine; ma sono, invece, piccoli e grandi drammi che finiscono in tragedia. Ogni novella presenta una condizione umana particolare ed eccezionale, come nelle novelle “Soffio” e “Cinci” (Volume XIV). Tutte le novelle sono scritte, secondo me, in modo meraviglioso e particolare perché hanno un linguaggio chiaro, preciso, ricercato e articolato. La lexis delle novelle è personale, articolata, ricercata e forbita. Essa presenta, a volte, un periodare paratattico, secco, conciso e incisivo. Altre volte la lexis si riduce a una frase nominale. Ma, molte altre volte, il periodare delle novelle è composto da periodi ipotattici, lunghi, aperti, spezzati da una folta e fitta punteggiatura personale. Le frasi sono divise da molte virgole e da molti punti e virgola cosicché il periodare complessivo è molto allungato fino a rasentare ed avvicinarsi al perfetto periodare ciceroniano. Tutte le novelle presentano, anche, una trama e un procedere dell’azione, particolare e singolare, presentando situazioni ingarbugliate e vicende difficili che si concludono, nella maggioranza dei casi, con la malasorte dei protagonisti, come nella novella “Uno di più” (XIV volume), dove la bambina innocente, morendo improvvisamente, salva l’unione, disgraziata e miserabile, dei suoi genitori. Il punto di vista delle novelle è sempre soggettivo, arguto e sarcastico, e ciò provoca nel lettore una lettura lirica, suggestiva e personale, ma nello stesso tempo procura, nel lettore, una passione e un avvicinamento caldo e personale verso la vicenda narrata. Pirandello si rivela, secondo me, uno scrittore e uno psicologo universale perché è capace di svelare i sentimenti interiori delle loro individualità e ciò provoca nel lettore una lettura godibile, amabile, accattivante, ammaliante e sorprendente. Pirandello scrisse novelle per tutta la vita. L’ultima novella, lui vivente, intitolata “Effetti d’un sogno interrotto” fu pubblicata il 9 dicembre del 1936, dal Corriere della sera, il giorno prima della sua morte, avvenuta il 10 dicembre 1936, a Roma, nella sua casa – studio, in via Antonio Bosio n. 15, assistito dai suoi tre figli: Stefano, Lietta e Fausto. Luigi Filippo d’Amico, nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio 2007), ha descritto, nelle pagine 174 – 175, efficacemente, la narrazione e la descrizione dei suoi ultimi giorni di vita. Ecco le sue parole: “Il 9 dicembre si accentuarono le difficoltà di respirazione e quando Lietta finalmente si accorse che erano stati compromessi i polmoni, aggredì il medico inetto (- Imbecille… imbecille – mormorava il maestro) e cercò il numero uno dei medici romani, l’osannatissimo Frugoni. Era ormai troppo tardi, come troppo tardi arrivò la bombola d’ossigeno. Troppo tardi, per impartirgli l’estrema unzione, giunse don Giuseppe De Luca (il sacerdote che aveva cura degli artisti), con il quale Pirandello aveva già avuto dei sereni colloqui. Don Giuseppe trovò lì, impotenti e disfatti, intorno al piccolo letto, Stefano, Lietta e Fausto, dai quali il padre qualche giorno prima aveva scritto di voler fuggire. In quel grigio mattino dell’autunno romano le fantasie e le sofferenze del grande ed infelice artista erano cessate.”

IV

Pirandello voleva scrivere una novella al giorno per un anno, da cui il titolo “Novelle per un anno”, ma ne scrisse soltanto 225; più altre novelle sparse e non incluse nei volumi definitivi che sono 15. L’ultimo volume “Una giornata” fu pubblicato postumo nel 1937. Nel 1938, nell’almanacco letterario Bompiani, fu pubblicato uno scritto intitolato “Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra”, nel quale, ancora una volta, Pirandello ribadisce la sua volontà e la sua determinazione a volere essere sepolto nella sua isola nativa. Ecco le parole definitive di Pirandello di questo scritto: “Sono caduto, non so di dove né perché, caduto un giorno in un’arida campagna di secolari olivi saraceni, di mandorli e di viti affacciata sotto l’ondata azzurra del cielo sul nero mare africano…”.

Ecco i titoli dei 15 volumi:

Volume 1 – Scialle Nero.
Volume 2 – La vita nuda.
Volume 3 – La rallegrata.
Volume 4 – L’uomo solo.
Volume 5 – La mosca.
Volume 6 – In silenzio.
Volume 7 – Tutte e tre.
Volume 8 – Dal naso al cielo.
Volume 9 – Donna Mimma.
Volume 10 – Il vecchio Dio.
Volume 11 – La giara.
Volume 12 – Il viaggio.
Volume 13 – Candelora.
Volume 14 – Berecche e la guerra.
Volume 15 – Una giornata.

V

DALLE NOVELLE AL TEATRO

Le novelle degli ultimi due volumi sono particolari e si differenziano da tutte le altre composte precedentemente, perché tessono e tramano vicende surrealistiche, in quanto molte di esse raccontano vicende di sogni allucinanti e onirici; in tal modo esse si accostano, molto, alla produzione surrealistica delle novelle di Kafka. Anche Luigi Filippo d’Amico conferma questo rapido accostamento tra le novelle surreali di Pirandello e le novelle del genere fantastico di Kafka, come scrive nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” a pag. 23, “né di Kafka che pure aleggia nelle sue ultime novelle”. Pirandello sistemò in ogni volume 15 novelle, tranne il XII volume che ne comprende 12 e il XIV volume che ne comprende 8. Le novelle non hanno né un ordine cronologico né tematico; l’unica legge delle novelle, nei 15 volumi, è quella del caos, perché sono inserite nei volumi secondo l’intenzione e la volontà misteriosa e arcana di Pirandello, senza rispettare l’ordine tematico e l’ordine della loro composizione. Pirandello riscrisse e trasformò molte novelle in romanzi e in commedie teatrali. Fra le principali novelle di Pirandello ricordo: Lumie di Sicilia scritta nel 1900 e successivamente riscritta e portata in scena nel 1910. La Morsa fu trasformata in atto unico e messa in scena nel 1910. La Patente fu trasformata in atto unico nel 1918. La signora Frola e il signor Ponza, suo genero, del 1915, fu trasformata in commedia nel 1917 con il titolo Così è (se vi pare). La morta addosso del 1918 fu trasformata in atto unico nel 1923 con il titolo L’uomo dal fiore in bocca. Anche la novella “Quando s’è capito il giuoco” (1913) fu trasposta da Pirandello nella commedia teatrale “Il giuoco delle parti” (1918). Nel 1929 Pirandello aveva scritto la commedia “Sogno (ma forse no)” (1929) sul tema del sogno. Sullo stesso tema Pirandello scrisse le ultime novelle, oniriche e surreali, “Effetti di un sogno interrotto” e “Una giornata”. Quest’ultima novella è stata trasposta dai registi e fratelli, Paolo e Vittorio Taviani, nel film “Tu ridi”.

VI

Sintesi della novella “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”.

Introduzione.

Questa novella è inserita nell’ultimo volume “Una giornata” della sua produzione novellistica ed occupa la XIV posizione dell’intero volume. La novella, benché scritta nel 1916 – 17, è stata inserita nell’ultimo volume e ciò comprova, secondo me, il caos tematico e cronologico della disposizione e della posizione delle novelle all’interno di ogni volume. La novella “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero” fu scritta nel 1915 e poi, nel 1917, fu trasposta da Luigi Pirandello nella commedia dal titolo “Così è (se vi pare)”, che rende ancora più chiaro e lineare il messaggio della novella e della filosofia sociale di Luigi Pirandello. Il titolo “Così è (se vi pare)” sta ad indicare che la vicenda tra il signor Ponza e sua suocera, signora Frola, è così ingarbugliata tanto che è difficile da credere e da comprendere da parte dei lettori e da parte degli spettatori; perché gli altri non potranno mai conoscere la verità sui veri rapporti personali che intercorrono tra i due congiunti. Infatti l’uno afferma l’esatto opposto dell’altra, in modo tale che l’apparente familiarità che c’è tra i due è solo apparenza, mentre, in realtà, i loro rapporti sono basati su convincimenti personali e opposti fra di loro. In questo modo, i protagonisti rasentano la pazzia dei sentimenti e ciò spiega, anche, l’anomalia dei comportamenti sociali. Ed infatti il tema della novella è la pazzia, ma non la pazzia accertata clinicamente, ma la pazzia sociale, dov’è molto difficile distinguere tra pazzia vera e pazzia falsa, e dove i convincimenti personali si scontrano con la drammaticità della pazzia altrui, dando luogo, così, a situazioni particolari, paradossali e a rapporti anomali, rispetto alla normalità della vita civile, comune e regolare dei cittadini. In altre parole, la storia viene presentata dal narratore in un certo modo apparente, ma i compaesani di Valdana conoscono e vedono, soltanto, l’apparenza e la sembianza della situazione e perciò non possono conoscere mai l’intera verità per cui essi restano nel dubbio e nell’incertezza fino alla fine e ciò spiega e giustifica il titolo della commedia teatrale “Così è (se vi pare)”.

VII

Trama e sintesi della novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero.

La novella racconta, – tramite la voce narrante della vicenda, che è poi, anche, un testimone oculare della vicenda e che partecipa, fino alla fine, come giudice dei fatti narrati, – il rapporto paradossale, strano e particolare che il signor Ponza intrattiene con la signora Frola. La voce narrante racconta e dice che il signor Ponza è venuto ad abitare nella cittadina di Valdana da circa tre mesi ed è andato ad abitare in un appartamento fuori città, mentre ha affittato un altro piccolo appartamento per la signora Frola, sua suocera, al centro della città. La voce narrante spiega che non si capisce perché la signora Frola, che si dice suocera del signor Ponza, non vada ad abitare presso la figlia, sposata con il signor Ponza. La spiegazione la dà il signor Ponza, il quale afferma che la signora Frola, poveretta, non pare, ma è pazza, perché lei crede che sua figlia sia ancora viva; mentre il signor Ponza afferma che sua figlia è morta da quattro anni. Il signor Ponza afferma, inoltre, che, ora, lui si è risposato con una seconda moglie. Ma egli, per spirito di carità, asseconda la pazzia della signora Frola, la quale crede che sua figlia sia, ancora, viva. Il signor Ponza affitta, così, un secondo appartamento per la signora Frola, che, ogni giorno, passa a casa del signor Ponza a vedere la seconda moglie del signor Ponza, che lei crede sua figlia. La signora Ponza, con un panierino, dall’alto del terzo piano, cala, ogni giorno, dei bigliettini alla signora Frola che la rassicurano sulla sua salute. Subito dopo però arriva la signora Frola che afferma, invece, che il pazzo è il signor Ponza che è convinto, al contrario, che la prima moglie è morta davvero e che questa nuova moglie è la seconda moglie. Ma, in realtà, la signora Frola racconta che il signor Ponza ha risposato la prima moglie cioè sua figlia. Il narratore afferma che nessuno riesce a capire questa situazione ingarbugliata e a scoprire come, in realtà, stiano i fatti. Allora il narratore spiega che sarebbe più semplice chiedere direttamente alla seconda moglie del signor Ponza chi lei sia in realtà; se è la figlia della signora Frola o è la seconda moglie del signor Ponza. Ma la moglie dice a lui: che è la seconda moglie e alla signora Frola dice, invece, che è la sua figliola; in questo modo, la signora Ponza non chiarisce la sua posizione e la sua identità, cosicché nessuno dei compaesani di Valdana riesce mai a capire e a sapere la verità di come stiano i reali e veri rapporti tra la signora Frola e suo genero signor Ponza. Ma sia il signor Ponza che la signora Frola hanno l’uno verso l’altra e l’altra verso l’uno, una reciproca stima e fiducia cosi ché essi si incontrano spesso e si frequentano giornalmente, tanto che “La signora Frola va spesso a trovare il genero alla Prefettura per aver da lui qualche consiglio, o lo aspetta all’uscita per farsi accompagnare in qualche compera; e spessissimo, dal canto suo, nelle ore libere e ogni sera il signor Ponza va a trovare la signora Frola, nel quartierino mobigliato; e ogni qual volta per caso l’uno si imbatte nell’altra per via, subito con la massima cordialità si mettono insieme; egli le dà la destra e, se stanca, le porge il braccio, e vanno così, insieme, tra il dispetto aggrondato e lo stupore e la costernazione della gente che li studia, li squadra, li spia, e, niente! non riesce ancora in nessun modo a comprendere quale sia il pazzo dei due, dove sia il fantasma, dove la realtà”. Anche il finale della commedia teatrale è molto simile al finale della novella: nessuno riesce a capire la verità della situazione e della reciproca posizione fra il signor Ponza e la signora Frola.

VIII
Finale della commedia “Così è (se vi pare)”

IL PREFETTO (commosso) Ma noi vogliamo rispettare la pietà, signora. Vorremmo che lei ci dicesse…
SIGNORA PONZA: – Che cosa? La Verità? È solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola. TUTTI – Ah!
SIGNORA PONZA: E la seconda moglie del signor Ponza.
TUTTI: Oh! E come! SIGNORA PONZA: – si, e per me nessuna! Nessuna! (verità).
IL PREFETTO: – Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l’una o l’altra!
SIGNORA PONZA: Nossignori. Per me io sono colei che mi si crede.
LAUDISI: Ed ecco, o signori, come parla la verità. Siete contenti? Ah! Ah! Ah!                                                  Tela.

IX
Conclusione della novella.

Con questa risposta, secondo me, B. C., la moglie del signor Ponza lascia tutti di stucco e in sospeso perché non dice chi lei sia veramente: se è la figlia della signora Frola oppure se è la seconda moglie del signor Ponza. Anche Luigi Filippo d’Amico, nel suo libro, “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio 2007) conferma che Pirandello fino all’ultimo non volle mai svelare chi fosse in realtà la signora, come scrive a pagina 79, dove dice: “Si favoleggia che gli fu offerta una forte somma perché Pirandello, rivelasse quale era la “verità”: quella del Signor Ponza o quella della Signora Frola? Pirandello ovviamente rispose con una mefistofelica risata”.

X

Una novella surrealistica dell’ultima produzione di Pirandello è Di sera, un geranio (1934).

Trama e sintesi della novella “Di sera, un geranio”.

Ogni novella di Pirandello ha il proprio fascino e la propria originalità. Questa novella Di sera, un geranio è, fra tutte le bellissime e affascinanti novelle pirandelliane, una novella, come al solito, particolare, insolita ed unica nel suo genere. È originale perché essa non ha nessun protagonista vivente, non ha nessun personaggio che si muove in carne ed ossa, nessuna vicenda da raccontare; la novella racconta, invece, in terza persona il momento della morte di un uomo qualsiasi e anonimo. La novella inizia, per l’appunto, descrivendo il distacco dell’anima dal corpo di un uomo. Ora l’originalità e la singolarità della novella consiste nel fatto che di ogni uomo si può raccontare ogni attimo della sua vita, dai suoi primi momenti di vita fino ai suoi ultimi respiri, ma non si può descrivere cosa avviene subito dopo che è stato emesso l’ultimo respiro; la novella inizia, invece, proprio da questo momento e cioè dopo la morte. La voce narrante descrive le prime sensazioni e le prime riflessioni del morto. Ecco l’incipit della novella: “S’è liberato nel sonno, non sa come”. La prima sensazione del distacco dal corpo è uguale a quella che si prova quando ci si tuffa nell’acqua del mare e si rimane a galla; in questo caso il protagonista rimane nell’aria, sospeso ed invisibile, al centro della sua cameretta alleggerito dal peso del suo corpo morto. Allora il protagonista prova la sensazione che il suo corpo pesante rimane giù, mentre la sua anima risale su leggera e impalpabile. Ora egli si è liberato dal suo corpo; ora si è svegliato in un’altra vita, ma non sa chi sia veramente. Si sente sospeso, a galla, nell’aria da dove guarda la stanza, dove è rimasto negli ultimi giorni della sua vita. Ora l’anima del morto è separata dai suoi sensi, ma li percepisce ancora una volta e “giudica” la realtà circostante della sua camera. Sente ancora un minimo rumore, vede ancora un barlume di luce, vede ancora il letto con le coperte, “sotto le quali s’indovina un corpo che giace inerte”. Il protagonista aveva paura di morire e si sentiva, piano piano, mancare del tutto. Aveva paura di morire e per questo fissava oggetto per oggetto e aveva timore di addormentarsi. Paura vera, poiché è morto nel sonno. Quel corpo inerte è proprio Lui; uno che non c’è più. Ricorda, ancora, le ultime parole che lui ebbe a dire con il dottore, il quale gli disse che ormai c’era poca speranza di sopravvivere anche all’operazione. Ora l’anima prova per il suo corpo più rancore che antipatia. E non è vero che egli si sentiva solo nel suo corpo come pensavano gli altri “Lui non era quel suo corpo; c’era anzi così poco; era nella vita lui, nelle cose che pensava, che gli si agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza più vedere sé stesso”. Ora egli sente uno sgomento per il disgregarsi del suo corpo e il suo diffondersi in ogni cosa. Ora egli si sente un oggetto tra i tanti della sua camera: “l’orologio sul comodino, il quadretto alla parete, la lampada rosea sospesa in mezzo alla camera”. Lui ora è come quelle cose: “quelle cose che per sé stesse non hanno alcun senso e che ora dunque non sono più niente per lui”. L’anima capisce che è proprio questo distacco dalle cose che è il morire: diventare una cosa inerte, morta, priva di vita. La voce narrante dice che l’anima del morto ora esce dalla camera e vola alta nel cielo, da dove vede la vasca dell’acqua giù nel giardino. L’acqua entra nella vasca ora esile, ora a spruzzo, e ora vi cade a goccia a goccia. Sull’orlo della vasca, l’acqua entra dentro un buco in cui affluiscono tante foglioline bianche e verdi che sono risucchiate dalla bocca dello scarico. Le foglioline si affrettano nella bocca dello scarico e fanno ressa tutt’attorno ad essa. Altre nuotano sull’acqua verde lievemente. E la bocca dello scarico è come la bocca della morte che fa la misura, che stabilisce la vita dei fiori e appiana tutto. L’anima del morto percepisce ora anche l’illusione dei sensi che “a poco a poco si svuota di cose che pareva ci fossero e che invece non c’erano: suoni, colori”. Ora l’anima sente solo freddo, silenzio, niente e la morte è proprio “questo niente della vita com’era”. Il finale della novella è sorprendente perché quando sembra che l’anima accetti il silenzio della morte, improvvisamente ed inavvertitamente, cambia aspirazione e vuole ritornare nella vita seppur in una cosa inanimata e provare anche per poco il respiro della terra. L’anima allora vuole provare la fragranza del verde così fresco e nuovo. Vuole essere come le “bianche radici vive abbarbicate a succhiar l’umore della terra nera”. Ora l’anima vorrebbe sciogliersi o nella fragranza del verde dell’erba o nel respiro del “vapore ancora sensibile che si dirada e che vanisce, ma senza finire, senz’avere più nulla vicino”. L’anima vorrebbe ritornare sulla terra, anche se in un oggetto inanimato, inorganico, come una pietra. Meglio in un geranio rosso, giù nel giardino. Ed ecco il bel finale della novella: “Oh guarda giù, nel giardino, quel geranio rosso. Come s’accende! perché?

Di sera, qualche volta, nei giardini s’accende così, improvvisamente, qualche fiore; e nessuno sa spiegarsene la ragione”.

XI

Commento e conclusioni mie personali sulle novelle di Luigi Pirandello.

È evidente che all’interno del corpus novellistico di Pirandello non c’è, secondo me, B. C., né un ordine tematico, né uno sviluppo cronologico. Le novelle sono paragonabili ai frammenti di uno specchio rotto ciascuno dei quali riflette la realtà secondo una sua inevitabile deformazione e una particolare rifrazione. Dalla lettura delle novelle si ricava un senso amaro e penoso della vita, la quale addossa ai protagonisti un enorme carico di dolore, di sgomento e di sofferenza. Pirandello sembra credere, insomma, soltanto alla ragione come strumento per giungere alla verità relativa come si evince dall’intero corpus delle novelle. Io, B. C., inoltre, suppongo e reputo che dalle novelle di Pirandello emerga una visione di vita del novelliere conosciuta come Pirandellismo. Infatti, Pirandello, descrive i personaggi e le loro storie sempre in situazioni particolari, assurde, inconsuete, paradossali, quasi inverosimili e quasi incredibili. Pirandello analizza il carattere, le fobie, le manie, le idiosincrasie e i ragionamenti di molte persone e personaggi, penetrando dentro la loro psiche e la loro personalità mettendo a nudo la loro essenza interiore e chiarendo, di volta in volta, il perché essi agiscano in quel modo e non in un altro. Certe volte i drammi dei personaggi scadono nell’umorismo o nel ridicolo ma essi sono soltanto la facciata della tragedia che stanno vivendo, come nella novella “La realtà del sogno”, dove i due protagonisti, marito e moglie, vivono a loro modo, il loro dramma personale e lo vivono parallelamente senza mai congiungersi. Pirandello stesso distingue persona da personaggio, le persone sono quelle vere, sono gli uomini che soffrono e gioiscono nella loro vita; mentre i personaggi sono le persone che agiscono in pubblico e recitano molte parti che non gli piacciano o che magari odiano. La grandezza artistica e letteraria di Pirandello consiste nel fatto che egli sa descrivere molto bene le persone e i personaggi e le situazioni in cui vivono. Egli sa mettere a nudo le passioni e le tragedie delle persone, ma sa anche cogliere la loro meschinità o la loro generosità di uomini di tutti i ceti sociali: dai contadini più poveri ai borghesi più ricchi, dai piccoli borghesi ai nobili più blasonati. Io, Biagio Carrubba, affermo con piacere e sicurezza che Pirandello nelle sue novelle e, in tutte le opere, riesce benissimo a svelare e a discoprire il mondo interiore degli uomini dandone una rappresentazione icastica, cioè nuda e cruda della realtà, senza falsi sentimentalismi o dolci illusioni. Ogni personaggio di Pirandello esprime una tragica condizione esistenziale, diversa da ogni altro uomo e per questo motivo, unica e inconfondibile e degna di essere giustificata e rispettata. Ma ogni situazione umana è nello stesso tempo giudicata da punti di vista diversi; può apparire, ora, tragica e comica nello stesso tempo. E la grandezza dell’arte pirandelliana sta, secondo me, tutta qua: Pirandello riesce a far sorridere e a far piangere contemporaneamente, come negli stessi anni ci riusciva un altro grande del cinema: Charlie Chaplin, sia nel bellissimo film “Il monello” e sia nell’altro stupendo film “Tempi Moderni”. Io, B. C., penso e affermo che la lettura delle novelle di Pirandello sia una lettura suggestiva, gradevole e piacevole e che il tempo dedicato ad essa sia un tempo speso bene perché le novelle di Pirandello riescono a dare vigore all’anima, a ricreare e a rigenerare lo spirito di ogni lettore attento e curioso della psiche umana. La produzione, creativa ed originale, della novellistica di L. Pirandello, crea e suscita, certamente, secondo me, grandi suggestioni nell’animo dei lettori e desta una coscienza critica e lucida nella mente dei lettori di ogni tempo.

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Modica 12/11/2019                                                                                                        Prof. Biagio Carrubba

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