Sintesi e trama dell’Eneide
(Parte prima- Sintesi dei primi tre libri)
Primo libro
Il naufragio di Enea a Cartagine
Il primo libro è composto da 756 esametri. Il primo libro comincia con la famosa protasi a cui segue l’invocazione (vv. 1-11).
Protasi: Le armi canto e l’uomo che per primo dalla terra di Troia
esule raggiunse l’Italia e i lidi di Lavinio, spinto
dal Fato e flagellato in terra e mare dalla ostilità
degli dei, dall’ira implacabile dell’atroce Giunone,
e dopo aver sofferto a lungo in guerra, per poter fondare
la sua città e introdurre nel Lazio i Penati, dando radici
alla stirpe latina, ai padri albani e alle mura eccelse di Roma.
Invocazione:
Musa, dimmi tu le cause: per quali offese al suo onore,
per quale mai rancore la regina degli dei costrinse un uomo
così devoto a dibattersi in tante sventure, a subire
tanti affanni? A tal punto giunge l’ira dei celesti?
Dopo questo proemio comincia la narrazione vera e propria del libro dell’Eneide. Enea si trova sopra una nave che guida la flotta dei troiani. Naviga lieto nel Mar di Sicilia ma la dea Giunone ostile sempre ai troiani, appena li vede si reca da Eolo, dio dei venti, e lo prega di scatenare una tempesta sulla flotta troiana. Eolo esegue l’ordine, scatena i suoi venti che trascinano le navi di Enea sulla costa della Libia. Enea guarda esterrefatto la tempesta e prega gli dei di salvare i suoi compagni di viaggio. Interviene allora il dio Nettuno a calmare le acque; intanto Enea, insieme ad altri naufraghi, giunge sulle coste della Libia e si inerpica su un’altura. Venere allora vedendo tutto questo va da Giove, il quale la rassicura sul Fato di Enea. Venere, rassicurata da Giove, va dal figlio Enea e lo nasconde in una nube di luce. Intanto gli altri superstiti si presentano al palazzo della Regina Didone e chiedono ospitalità; a questo punto Enea esce dalla nube di luce e si presenta a Didone. Ma la dea Venere non tranquilla per l’imprevedibilità e per la reazione di Giunone chiama l’altro suo figlio “Cupido-Eros” e lo prega di infiammare il cuore di Didone per Enea. Cupido esegue l’ordine; si distende sulle gambe di Didone e la fa innamorare di Enea. Quindi l’infelice Didone presa dall’amore per Enea allestisce un banchetto e lo invita a cena, a cui lui partecipa. Tutta la corte di Didone prepara il banchetto con tante portate e l’Aedo Iopa suona l’aurea cetra. Didone durante la cena invita Enea a raccontarle tutte le sue peripezie e gli dice: “Avanti, narraci, straniero, sin dalle lontane origini/ le insidie dei greci, le sventure dei tuoi/ e il tuo peregrinare dato che ormai questa è la settima estate/ che ti porta a vagare di terra in terra, di mare in mare.”
Secondo libro
Il saccheggio di Troia
Il secondo libro è composto da 804 esametri. Enea allora comincia a raccontare a Didone gli ultimi giorni e l’ultima notte del saccheggio di Troia, con un lungo flashback. L’ultimo giorno di vita della città di Troia, i troiani videro la spiaggia deserta e scesero dalla città a visitare i luoghi della battaglia. Erano contenti per la partenza improvvisa dei greci, ma videro con stupore un immenso cavallo di legno; poco dopo esce dalla città Laocoonte, il quale di fronte al cavallo urla e dice: “Qualunque cosa sia, temo i greci anche se recano doni” lancia, a questo punto, un’asta nel fianco del cavallo che rimbomba e rintrona. Ad un certo punto alcuni soldati troiani portarono un giovane greco con le mani legate di fronte a Re Priamo. Qui comincia la storia incredibile di Sinone, il quale con un discorso veramente ingannevole ma credibile, riesce a far credere ai troiani che quel cavallo è un dono dei greci alla dea Atena e che se lo avessero trasportato dentro la città, i troiani avrebbero vinto la guerra contro i greci. Priamo crede a queste menzogne e dà ordine di portare il cavallo dentro Troia. Intanto, un altro prodigio che convince e affretta i troiani è la morte di Laocoonte e dei suoi figli per opera di un serpente che uscito dal mare li stritola e si rifugia sotto la statua di Atena. A questo punto i troiani, presi dalla paura del prodigio, trasportano il cavallo dentro la città. Durante la notte, Sinone apre lo sportello del cavallo e i soldati scendono, aprono le porte della città e Sinone con una fiaccola lancia il segnale alla flotta greca nascosta, che rapidamente arriva sulla spiaggia e i soldati greci velocemente entrano in città. Inizia il saccheggio di Troia che viene bruciata e messa a ferro e a fuoco. Enea, atterrito dalle fiamme, si sveglia di soprassalto e incontra altri troiani ed insieme ingaggiano duelli con altri soldati greci. Poi Enea va a casa di Priamo e vede la sua morte ad opera di Neottolemo, figlio di Achille. Venere si fa vedere da Enea e gli ricorda di salvare il padre Anchise, il figlio Ascanio e la moglie Creusa. Enea, quindi, ritorna a casa e trova il padre il quale, però, si rifiuta di seguirlo. Poco dopo Anchise, dopo aver visto un grande prodigio, segue Enea il quale se lo carica sulle spalle. Enea dice al figlio Ascanio di stargli accanto e di camminare più spedito e dice a Creusa di stare un po’ più indietro. Tutti e quattro escono dalla città in mezzo alle fiamme ed al saccheggio, ma una volta arrivati fuori città, ormai rasa al suolo, Enea non trova più la moglie. Allora decide di ritornare a ritroso verso casa per cercarla, ma ad un certo punto gli appare il fantasma di Creusa che lo rassicura e lo prega di fuggire da Troia e gli dice: “La grande Madre degli dei mi trattiene su questa terra/ed ora addio, serba a nostro figlio il tuo amore.”. Enea, sbalordito e sconcertato da questa visione, raggiunge gli altri compagni che erano scampati all’incendio e riuniti sul monte Ida. Allora Enea chiude il secondo libro con queste parole: “Ormai i greci sorvegliavano/tutte le porte, non restava alcuna speranza d’aiuto. /Mi arresi e, sollevato il padre, mi diressi ai monti.”.
Terzo libro
Il viaggio di Enea: da Antandro a Cartagine
Il terzo libro è composto da 718 esametri.
Nel terzo libro Enea continua il suo racconto di fuga da Troia a Cartagine. Enea e i suoi compagni allestiscono una flotta alle falde del monte Ida e dopo un anno di lavoro nella primavera successiva partono dal Golfo di Antandro. Dapprima Enea, incerto sul tragitto da percorrere, si dirige verso la Tracia e si ferma sulla costa, dove fonda la città di Eneade. Qualche giorno dopo Enea, mentre officia sacrifici agli dei, strappa un ramo da un virgulto da cui esce sangue nero, poi svelle una seconda pianta e riesce ancora altro sangue nero; ritenta per la terza volta per capire cosa succede e a questo punto sente un gemito di pianto che gli dice: “Perché Enea fai scempio di un infelice? Fuggi, da questa terra atroce, da questa spiaggia rapace:/Io sono Polidoro. Qui una ferrea selva di dardi/mi inchiodò, mi coperse, e crebbe in punte aguzze.”. Enea, a questo punto, parte con i suoi compagni dalla Tracia ed insieme si fermano a Delo; qui la voce di Febo gli dice: “Cercate l’antica madre/lì la casata di Enea dominerà su tutta la Terra/e i figli dei figli e chi nascerà da loro”. L’antica madre è l’Italia. Enea, su consiglio di Anchise, riparte con i suoi compagni ed insieme giungono a Creta. Qui Enea fonda un’altra città ma vengono colpiti da una pestilenza che li costringe a rifuggire; ripartono e arrivano nelle isole Strofadi. Qui i soldati di Enea ingaggiano una lotta contro le Arpie, una delle quali Celeno gli fa una profezia. Enea e i suoi compagni ripartono, giungono sul promontorio di Leucate, sostano ad Azio e si fermano nella città di Butroto. Qui Enea sente la storia di Andromaca, vedova di Ettore. Allora Enea insieme al figlio Ascanio e ad alcuni compagni va a trovarla e incontra anche il suo nuovo marito Eleno, che era diventato, nel frattempo, il re della Caonia. Eleno allora gli predice il lungo viaggio che egli dovrà affrontare per raggiungere il Lazio; gli comunica di evitare Scilla e Cariddi e gli consiglia di parlare con la Sibilla cumana, la quale gli dirà cose importanti sul suo destino. Prima di partire Andromaca ed Eleno fanno molti doni ad Enea che però li lascia nella nuova terra. Da qui ricomincia il viaggio di Enea; la flotta, su consiglio di Palinuro, vira nel punto più stretto tra l’Epiro e l’Italia ed il giorno dopo Enea ed i suoi compagni intravedono la bassa Italia; sogguardano la Puglia, la costeggiano e raggiungono così, il giorno dopo, la Calabria; evitano lo stretto di Messina e arrivano ai piedi dell’Etna. Qui Enea ammira e contempla l’eruzione dell’Etna che manda faville incandescenti in aria e al voltarsi di Encelado erutta boati per tutta la Sicilia. Il mattino seguente prima di partire, Enea e gli altri scorgono sulla spiaggia un uomo sconosciuto di una magrezza estrema e di miserevole aspetto. Il giovane comincia a parlare e gli dice che si chiama Achemènide, che proveniva da Itaca e che era stato compagno di Ulisse; poi gli descrive l’accecamento di Polifemo da parte di Ulisse e come da questi fu dimenticato sulla spiaggia. Dopo tre mesi di quella vita, ora Achemènide, vuole scappare da quella terra perché non vuole morire mangiato dai ciclopi. In questo frangente arriva Polifemo con il suo occhio accecato e sanguinante ed Enea scappa di fretta con la sua flotta e porta con sé Achemènide. Comincia, allora, la circumnavigazione della Sicilia: da Catania arrivano a Siracusa, circumnavigano Pachino, arrivano a Camerina, oltrepassano Gela e vedono da lontano Agrigento fino ad arrivare a Trapani. Qui si fermano sulla spiaggia per una sosta e all’improvviso muore Anchise, il padre di Enea. Enea conclude il suo racconto dicendo: “Questa (fu) l’ultima pena, questa la meta del mio lungo errare. /Partito di qui, un Dio mi ha sospinto sulle vostre rive.”. Enea, così, dopo aver rievocato il volere degli dei ed il suo viaggio, pose fine al racconto, tacque e s’acquietò.
Modica, 27/06/2020 Prof. Biagio Carrubba
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