RECENSIONE ANALITICA DEL LIBRO “QUANDO NON MORIVO” DI MARIANGELA GUALTIERI. (4)

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La quinta sezione ha per titolo “Specie con orchi e animali estatici” e contiene 18 poesie. Le poesie di questa sezione hanno temi e contenuti diversi ed eterogenei fra di loro. La sezione è una miscellanea di poesie curiose, originali, strane, astratte, quasi strampalate. Ogni poesia non ha un tema vero e proprio, ma si sviluppa attraverso delle riflessioni a ruota libera della poetessa. La maggior parte delle poesie non ha un principio vero e proprio e non ha nemmeno una conclusione. Le poesie non hanno neanche una struttura sintattica regolare e ordinata e la punteggiatura va a farsi benedire. I versi sono pieni di zeppe cioè sono composte da frasi inserite nelle poesie, senza una ragione logica o un’apprezzabile ragione estetica, ma servono soltanto a riempire e concludere il testo poetico. La quinta sezione è un affastellamento di contenuti e di forme, disordinate e scomposte, che si susseguono in un ordine sparso senza che ci sia una continuità e una contiguità di valori e di temi, per cui in questa 5a sezione tutto è recondito, enigmatico, misterioso e aleatorio. Io, B. C., come poesia emblema della quinta sezione, ho scelto la poesia n. 5 di pagina 79 ed è la n. 63 dell’intera raccolta.

Testo della poesia.

Abbiamo forse assaggiato
un’acqua di comete
e resta celebrata in noi
tutta la turbolenza delle alture
quell’aspirare ad una magnitudine
tanto immensa che forse solo
la giovinezza, solo solo
l’agonizzante
può reggere dentro sé.

Commento alla poesia.

In questa poesia, secondo me B. C., non c’è un tema vero e proprio, ben preciso e chiaro, ma c’è soltanto un insieme di riflessioni generiche che fanno da soggetto, indefinito e indefinibile. Non c’è neanche un incipit che dà inizio alla poesia e non c’è nemmeno un finale che conclude la poesia. Vi sono soltanto delle frasi riempitive, o zeppe, che servono soltanto ad allungare il testo poetico. I versi si susseguono con immagini varie e astratte, senza dare né un messaggio chiaro e preciso e senza che ci sia una struttura sintattica regolare. Non esiste nemmeno la punteggiatura cosicché il testo poetico risulta, alla fine, incomprensibile e noioso. Il risultato complessivo della poesia è quello di essere un testo monotono e astruso che non suscita né sensazioni estetiche né sentimenti estatici, così come lo è l’insieme di tutte le poesie della 5a sezione. Tutt’al più, io B. C., penso e suppongo che molti componimenti della 5a sezione si possano leggere, interpretare, comprendere e giustificare come dei collage di pensieri e parole che si intrecciano fra di loro, senza ordine e senza significato, creando così immagini fantastiche, varie e libere, così come un collage di colori crea disegni fantasiosi che sanno suscitare nuove sensazioni e nuove emozioni, libere e fantastiche. Infine mi sembra che la 5a sezione si possa paragonare alle composizioni pittoriche, astratte, libere, indefinibili, multiforme, policromatiche e poliedriche, del famoso e celebre pittore americano Jackson Pollock, sperimentatore e innovatore della pittura americana degli anni ’60.

VII
La sesta sezione contiene il Requiem, alle piccole e alle grandi ombre.

La sesta sezione ha per titolo “Requiem alle piccole e grandi ombre” e contiene un’unica preghiera e invocazione divisa in cinque parti. Ogni parte ha una epigrafe tratta dalla famosa preghiera “Requiem aeternum dona eis, domine, et lux perpetua luceat eis …”. Come è evidente dai titoli di queste sezioni ogni sezione è autonoma e indipendente dalle altre sezioni, dato che i temi e i contenuti di ogni sezione sono molto diversi gli uni dagli altri. Infatti, secondo me, le sei sezioni non hanno né una continuità tematica né una continuità logica, dato che ogni sezione è molto diversa dalle altre. Se c’è un minimo denominatore comune questo è, sicuramente, lo spirito religioso che anima e che è contenuto in tutta l’opera poetica. Infatti, nella prima sezione, due poesie sono dedicate alla Madonna Maria a cui la poetessa rivolge delle domande indiscrete e impertinenti, ma, anche, nelle altre sezioni del libro, lo spirito religioso pervade la raccolta poetica; e l’afflato religioso si espande in molti versi di molte poesie, sparsi in tutte le sezioni dell’opera poetica.

Introduzione al Requiem.

Il Requiem è una invocazione alle piccole e grandi ombre dei suoi antenati, assurti alla gloria divina. Il testo evocativo è stato recitato, per la prima volta, il 12 / 07/ 2017 sul sagrato del Duomo di Spoleto, come informa la poetessa nella nota a pagina 110. La voce narrante era quella di M. Gualtieri in dialogo con altri strumenti solisti e orchestra. Il Requiem è diviso in 5 parti tutte preceduti da un brano della preghiera latina Requiem aeternum dona, eis, Domine. Io, B. C., penso e suppongo che il Requiem sia stato il primo testo ad essere scritto e composto, anche se nell’opera poetica, il componimento poetico compare alla fine del libro come la VI sezione. Il Requiem non è, però, solo una invocazione alle anime beate dei suoi morti, ma è, anche e soprattutto, una Requisitoria di accuse contro Dio. Le 5 parti del Requiem sono, quindi, diverse fra di loro perché ogni parte ha un proprio Requirente principale che si rivolge a diversi interlocutori. Nella I parte, il Requirente è la poetessa che si rivolge alle sue piccole e grandi ombre; nella II parte, la poetessa si rivolge a Dio a cui rivolge una serie, dura e provocatoria, di accuse; nella III parte, la poetessa si rivolge a Dio a cui rivolge altre accuse; nella IV parte la poetessa, ragionando sul giudizio universale, alla fine dei tempi, conclude che la maggiore pena per l’umanità sarà quella di rimanere sola, separata da Dio; nella V parte, la poetessa, rivolgendosi alle piccole e grandi ombre dei suoi antenati, chiede perdono per tutte le manchevolezze che lei ha commesso nella sua vita, elencandone molte fino all’ultima sua colpa che consiste nella sua disattenzione per tutte le cose belle che lei non ha visto, né osservate, né cantate, né ammirate e goduto nella sua vita. Infine la poetessa si rammarica se non ha ringraziato le piccole e grandi ombre per tutto quello che loro hanno inviato a lei per alleggerire la sua vita. “Il sole, / le arance sul tavolino, il cioccolato, il vino”.

Sintesi della prima parte del Requiem. (Pagine 99 – 100).

La poetessa si rivolge direttamente alle sue piccole e grandi ombre dei suoi antenati e prega loro che essi ricevano “Ebbrezza” e “Giocondità” e li prega di sostenere lo sguardo degli uomini quando noi (umani) contempliamo “nell’aperta notte, quell’impero enigmatico di stelle”. E quasi noi (uomini) non reggiamo “tutta l’eleganza armonica del cielo”. La poetessa prega che loro stiano bene e di trovarsi bene dentro “un vapore di fornelli, dove si fa il pane/ dove si beve latte”. E spera che loro possano andare “nello svelato mistero” e li esorta ad andare a scoprire quello che noi non sappiamo, “al quale diamo il tetro nome di morte”, e spera che ciò che non sappiamo si riveli “un seme che si schiude, a più vaste vite, a più vaste vedute. Forse”.

Sintesi della seconda parte del Requiem. (Pagina 101).

La poetessa, ora, si rivolge a Dio a cui lancia una serie di accuse terribili, ma vere. Per prima cosa, la poetessa non sa spiegarsi “La sua imperturbabilità”; poi vorrebbe sentire “il suo avvilimento” e vorrebbe “sentirlo piangere/ come piangiamo noi” e la poetessa conclude “Io non so invocarlo questo tuo Dio/ né bestemmiarlo. Troppo duro per me”.

Sintesi della terza parte del Requiem. (Pagina 102).

La poetessa, ora, si rivolge direttamente a Dio a cui continua a lanciare le sue accuse. La prima accusa è questa. Noi requirenti. “Diremo: è stato duro qui traversare”. La seconda accusa è la seguente. Noi requirenti “diremo che ad alcuni fu assegnato/ un carico possente di dolore/”. La terza accusa si riferisce al bene ricevuto dagli uomini, ma che “tutto di colpo, (viene) strappato/ rotto sghembo scancellato”. La quarta accusa è la seguente. Noi requirenti “Diremo che tutto quel dolore/ è rimasto inspiegato”. Poi, infine, la poetessa rivolge a Dio la quinta e più grave accusa. “Ci sono stati capitoli in cui noi/ siamo stati causa d’infamia e d’orrore/ e altri in cui è stata feroce/ la sua mano”. E noi (umanità) eravamo soli soli “in quel suo grande tacere”.

Sintesi della quarta parte del Requiem. (Pagina 103).

In questa quarta parte del Requiem, la poetessa, rivolgendosi a coloro che invocano l’apparizione di un “Re tremendo e maestoso” chiede loro “Quando appare? … quando viene?”. Soltanto allora, quando apparirà questo Dio nella sua maestà, stupiremo e saremo spalancati “di comprensione/ di compassione”. Solo allora capiremo, anche, tutto il dolore che c’è sulla Terra e fra gli uomini.
La poetessa, in questa parte del Requiem, immagina, dunque, come sarà il giorno del giudizio Universale quando l’Umanità capirà tutto il creato e intenderà ogni filo d’erba e l’unica sua pena sarà quella di essere separata da Dio e di rimanere soltanto umana. L’unico pericolo è, infatti, per il genere umano quello di “Essere solo uno, / lontano, solo. Da tutto separato. Umano solamente. Solamente/ umano”.

Sintesi della quinta parte del Requiem. (pagina 104).

La poetessa suppone che, nel giorno del Giudizio Universale, tutti possono essere perdonati e ripuliti dei loro peccati. Allora la poetessa comincia ad elencare una serie di piccole e grandi mancanze della sua vita, tra cui quelle di “non aver adorato/ la varietà mutevole del mondo/” e quella di aver “riso troppo poco” e quella di non aver ringraziato le piccole e le grandi ombre, le quali le hanno mandato la cagnetta “che festeggia al mattino la mia entrata in cucina”. Un’altra manchevolezza della poetessa è stata quella di non essere sempre stata “innamorata del mondo, della vita, sedotta e vinta dalla rivelazione/”. La poetessa termina la poesia chiedendo perdono alle piccole e grandi ombre per la sua disattenzione. Ecco i due versi finali del componimento poetico. “Questo più di ogni altra cosa perdonate. / La mia disattenzione.”

Commento personale al Requiem.

Io, B. C., penso che le 5 accuse che la poetessa rivolge a Dio, nella seconda e terza parte del Requiem, siano giuste e legittime. La prima accusa è “la sua imperturbabilità – non me la spiego”. La seconda accusa è “non sento il suo urlo di collera o d’amore”. La terza accusa è “non lo vedo piangere come piangiamo noi”. La quarta accusa è “tutto quel dolore rimane inspiegato”. La quinta accusa è “ci sono capitoli in cui è stata feroce la sua mano”. Io, B. C., reputo che queste accuse siano vere, a maggior ragione, in questi mesi di coronavirus che sta devastando il mondo, mentre Dio continua a tacere e non muove un dito per salvare l’umanità. Infine, anch’io, B. C., condivido tutte queste accuse espresse, acclamate, reclamate, manifestate ed esplicitate della poetessa, contro l’insensibilità e la imperturbabilità di Dio, il quale guarda noi mentre siamo afflitti e straziati dalla profonda pandemia che sta imperversando in tutto il mondo.

II

Io, B. C., riporto qui di seguito la seconda parte del Requiem, dove sono contenute alcune fra le più dure e provocatorie accuse della poetessa, nella sua requisitoria, a Dio. (Pagina 101).

Dies irae, dies illa,
solvet saeculum in favilla,
teste David cum Sibylla …

Tu preghi, tu invochi. Giorno dell’ira,
giorno del tremore. Questo dici. Ma adesso
ti chiedo, adesso, in queste ore di tormento.
Il Dio che invochi? Tace. Quanto tace.

La sua imperturbabilità – non me la spiego.
E non mi spiego di non udire
Il suo grave lamento, il suo urlo di collera
o d’amore. Sentire almeno
il suo avvilimento, sentirlo piangere
come piangiamo noi
guardando le facce serie del dolore,
facce in sgomento davanti alle macerie.

Giudice giusto, punitore dici.
Io non so invocarlo questo tuo Dio
né bestemmiarlo. Troppo duro per me.

Commento alla poesia.

Io, B. C., penso e reputo che alcuni versi di questa poesia siano adatti ed opportuni per rappresentare e descrivere la pandemia che sta imperversando in tutto il mondo. Infatti penso che i versi “ti chiedo, adesso, in queste ore di tormento. / Il Dio che invochi? Tace. Quanto tace” siano appropriati e adeguati alle circostanze e al maltempo che stiamo vivendo e subendo. Inoltre penso che anche i versi (vorrei) “Sentire almeno/ il suo avvilimento, sentirlo piangere/ come piangiamo noi/ guardando le facce serie del dolore, / facce in sgomento davanti alle macerie” siano adeguati e adatti per esprimere tutta la paura e il terrore dovuti alla pandemia del covid-19. Infine, io, B. C., penso e reputo che anche i versi finali della poesia “Io non so invocarlo questo tuo Dio/ né bestemmiarlo. Troppo duro per me” siano adeguati ad esprimere la penosa e dolorosa condizione dell’umanità, devastata e mortificata dalla pandemia in corso. Infatti, secondo me, questi versi finali esprimono molto bene l’impotenza, l’insensibilità e l’imperturbabilità di Dio nei confronti di una umanità malata e sofferente. Infine, io, B. C., sono propenso a credere e a meditare che questa pandemia totale e mondiale sia talmente devastante e talmente mortificante che sarà funesta per l’intera umanità.

VIII
Analisi della forma dell’opera poetica.

Genere e metrica.

La raccolta poetica “Quando non morivo” è composta, secondo me, da poesie di genere postmoderno. Infatti le poesie hanno, quasi tutte, un andamento allungato verso il basso e una forma verticale, tipica della poesia postmoderna, in primis quella di Mario Luzi. I versi sono brevi e smorzati in versi più piccoli fino ad avere il verso formato da una sola parola. In questo modo la poetessa dà un movimento sinuoso alle strofe che si allungano verso il basso. Altre poesie però rispettano la forma massiccia della strofa unica, tipica della poesia moderna. Questo intrecciarsi tra poesia moderna e postmoderna e altre forme particolari, prosastiche, costituisce la caratteristica principale dell’opera poetica. I versi sono liberi dalle rime, cosicché i versi sono sciolti da ogni struttura ritmica. Infatti la metrica è irregolare perché nessuna poesia tiene conto del numero delle sillabe, cosicché ogni verso risponde di più e soprattutto al ritmo musicale e interiore della poetessa.

Linguaggio poetico.

Il linguaggio poetico è, secondo me, altamente selezionato, ricercato e raffinato. Infatti le parole poetiche sono scelte dalla poetessa con cura e con attenzione per conferire alle poesie un notevole scarto linguistico e lessicale dal linguaggio comune che, comunque, fa capolino in molte poesie della raccolta poetica.

Sintassi e punteggiatura.

La sintassi delle poesie è, il più delle volte, irregolare e personale secondo lo stile della poetessa. Il periodare delle frasi è sempre molto frastagliato e franto, conferendo alle poesie una suggestione poetica particolare e personale voluta e cercata dalla poetessa. La punteggiatura è anch’essa molto irregolare. A volte i periodi si susseguono uno dopo l’altro con una punteggiatura continua e ferma; altre volte, invece, i periodi sono molto lunghi e la punteggiatura scompare quasi del tutto, creando, così, una lettura più veloce ma anche più aritmica. Nel complesso la sintassi e la punteggiatura delle poesie hanno una funzione particolare e importante perché danno alla raccolta poetica un ritmo di lettura spezzata e più lenta.

Le figure retoriche.

Le figure retoriche delle poesie sono poche e si riferiscono soprattutto alla metafora e alla simbologia delle immagini e del discorso della poetessa. In generale la poetessa preferisce comporre le sue poesie con un periodare logico e personale cosicché non ha bisogno di alterare e modificare la lexis del testo. Un’altra caratteristica della struttura sintattica è, certamente, l’uso di molte zeppe che hanno lo scopo di riempire e di dare una conclusione alle poesie.

Lo stile delle poesie.

Lo stile delle poesie è, decisamente, personale ed originale voluto e cercato dalla poetessa, la quale segue il suo stile espressivo e comunicativo personale. Lo stile poetico, cioè le caratteristiche principali e peculiari, che si ripetono e che contraddistinguono la lexis della poetessa, è, secondo me, quello di comporre una lexis chiara e sobria fino alla 4a sezione. Invece nella 5a sezione la lexis della poetessa diventa molto frastagliata e variegata, frasi enigmatiche ed ermetiche. Anche i contenuti delle poesie si moltiplicano e svaniscono nell’aria senza portare a nessuna conclusione concreta. In ultimo, anche la forma delle poesie diventa una forma postmoderna, enigmatica, frastagliata e reclusa.

IX

I cinque motivi della bellezza poetica dell’opera.

Io, B. C., reputo e penso che l’opera poetica “Quando non morivo” della poetessa romagnola Mariangela Gualtieri sia una notevole e bella opera poetica perché contiene molta poesia e molta poeticità per i seguenti 5 motivi. Il primo motivo riguarda la poeticità dell’opera poetica. Infatti io, B. C., ritengo che le poesie da me scelte e analizzate contengono, certamente, l’afflato poetico dovuto sia al linguaggio poetico e sia ad uno spirito poetico che elevano, di molto, la raccolta poetica dal linguaggio comune. Questa elevazione poetica proiettano l’opera poetica in una dimensione di alta poeticità e di suggestione poetica, almeno nelle prime sezioni. Invece la quarta e la quinta sezione scadono in contenuti e ragionamenti astratti e astrusi e lontani da ogni dimensione realistica. Inoltre, io, B. C., penso che la maggior parte delle poesie sia dettata e sorretta da una profonda Ispirazione poetica. Il secondo motivo è dovuto al linguaggio poetico, selezionato e raffinato, e alla scelta dei temi sviluppati e poetati dalla poetessa, come il tema della vita e della morte e il tema di Eros e Thanatos, oltre ai temi personali ricavati dalla vita ordinaria di casalinga della poetessa. Il terzo motivo è dato dalla struttura sintattica dei periodi. Nella maggior parte dei casi il periodare è regolare ma vi sono anche frasi spezzare che molte volte si riducono a una sola parola. Un’altra caratteristica ben evidente delle frasi è l’uso continuo delle zeppe che permettono alla poetessa di riempire e concludere molte poesie in modo personale e originale. Inoltre, io, B. C., penso e giudico che l’opera poetica della poetessa M. Gualtieri sia un’opera poetica sostanziosa e preziosa in tempi di penuria poetica e del nostro tempo postcontemporaneo nel quale mala tempora currunt, a causa del Covid-19 che viviamo e subiamo e siamo tutti sgomenti dal possibile contagio occasionale. Il quarto motivo è dato dai temi personali della poetessa della sua vita ordinaria e monotona che, secondo me, sono i meno riusciti e i meno poetici e meno avvincenti di tutta l’opera poetica. Invece i temi che riguardano la lotta tra Eros e Thanatos e i temi riferiti alla poesia sono quelli più riusciti, più poetici e più avvincenti di tutta l’opera poetica. Pur con queste caratteristiche, positive ed utili, l’opera poetica in questione non raggiunge, secondo me, il fascino poetico e il prestigio completo di un capolavoro poetico assoluto per due motivi. Il primo motivo è dovuto, certamente, alla non riuscita composizione della 4a e 5a sezione che limita molto la bellezza poetica di tutto il libro. Il secondo motivo è dovuto, certamente, alla brevità e alla pochezza dell’opera poetica cosicché essa risulta modesta e succinta rispetto alla grande e ampia produzione poetica di Giacomo Leopardi e di Cesare Pavese. Infine, secondo me, il libro poetico della Gualtieri manca della sezione della poesia postcontemporanea e post climatica. Il quinto motivo riguarda la lotta tra Eros e Thanatos. Questo tema è poetato in modo molto convincente e poetico, anche se, apparentemente, la poetessa assegna la vittoria a Thanatos, mentre in realtà l’attribuisce a Eros. Io, B. C., reputo e penso che un altro motivo di bellezza dell’opera poetica consista nel fatto che la poetessa si sia accostata a questo tema già sviluppato, in modo magistrale e meraviglioso, sia dal sommo poeta Giacomo Leopardi e da Cesare Pavese nelle rispettive opere poetiche. Il fatto che M. Gualtieri abbia ripreso questo tema, sia per continuità cronologica e sia per continuità di temi, dà all’opera poetica, secondo me, una importanza notevole e una vicinanza di valore che la accosta ai due grandi poeti. Infine, per tutti questi motivi, io, B. C., affermo e reputo che questa opera poetica è un’opera poetica veramente suggestiva perché sa destare una intensa e sobria emozione estetica e perché sa suscitare dei soavi sentimenti estatici.

X
Conclusione.
Il mio giudizio personale sull’intera opera poetica.

I

Io, B. C., reputo e giudico che l’opera poetica “Quando non morivo” della poetessa romagnola Mariangela Gualtieri non è, certamente, un’opera poetica che plachi gli animi confusi e tristi di oggi; non è la poesia che lenisce le ansie e le preoccupazioni dei lettori postcontemporanei; non è la poesia che rinfranchi dalle delusioni e dalle amarezze di questi mesi amareggiati e sferzati dalla pandemia del Coronavirus. Penso che la poesia di M. Gualtieri sia, semplicemente, una poesia che esprima, soltanto, i suoi sentimenti personali e le sue emozioni interiori, senza però farci sapere quale sia la sua rappresentazione e la sua interpretazione delle nostre società postcontemporanee. Insomma il libro poetico “Quando non morivo” della poetessa romagnola M. Gualtieri, certamente, non rappresenta e non interpreta lo spirito del nostro tempo, il nostro zeitgeist, perché si sofferma soprattutto a comunicarci il suo spirito, irrequieto e inquieto, il suo vigore nascosto e il suo potenziale slancio vitale e il suo spirito di osservazione. E questo tipo di percorso e di rappresentazione è tipico della poesia moderna, nel contenuto, ed è tipico della poesia postmoderna nella forma. L’opera poetica, in definitiva, è la rappresentazione e l’espressione dei sentimenti e dell’io della poetessa. In questo modo la poetessa, non riesce ad agganciarsi ai contenuti delle società postcontemporanee di oggi e ai problemi dei cambiamenti climatici che oggi stiamo vivendo e subendo. Quindi, secondo me, B. C., l’opera della poetessa non descrive lo zeitgeist postcontemporaneo. Infatti nessuna poesia dell’opera poetica fa riferimento alla nostra cara Italia postcontemporanea né nomina le altre società europee postcontemporanee. La sua opera poetica risulta, così, secondo me, quindi, un monologo interiore personale e non un dialogo né con i lettori né con le attese e i problemi delle attuali società postcontemporanee. Io, B. C., affermo che la poetessa romagnola è, per questo motivo, ferma a parlarci solo di sé stessa e di una società postmoderna quale fu l’Italia di fine XX secolo e di inizio XXI secolo, cioè l’Italia del 1980 al 2010, quando è iniziata, secondo me, l’epoca postcontemporanea. Io, B. C., infine, voglio esprimere il mio giudizio personale sul libro poetico. Secondo me, il libro poetico si limita ad esprimere, ad esporre e a descrivere i sentimenti e le riflessioni della poetessa sulla sua vita personale ed intimistica. Il libro poetico è fermo, secondo me, al Romanticismo più cupo o tuttalpiù ad un post Romanticismo personale. Il libro poetico non contiene, infatti, nessuno aggancio con le società postcontemporanee in cui viviamo. Ciò comporta, secondo me, che il libro della poetessa romagnola risulti, ancora oggi, un libro che vive nell’intemporaneo e non ci rivela e non ci fa rivivere nessun problema, nessuna speranza e nessuna bellezza e concretezza del nostro tempo postcontemporaneo, vario, struggente, tempestoso e flagellato dal Covid-19.

II

Io, B. C., penso che la definizione di post-ideologico si addice e si adatta meglio alle società postmoderne che si sono sviluppate in Italia e nel mondo tra il 1980 e il 2010. Secondo me, infatti, le società post-ideologiche corrispondono alle società postmoderne e alla poesia postmoderna. Io colloco l’opera poetica “Quando non morivo” della poetessa M. Gualtieri come un’opera poetica postmoderna perché ha tutte le caratteristiche del postmoderno e delle società post-ideologiche, quando la maggioranza della popolazione italiana abbandonò le ideologie tradizionali di destra e di sinistra e diede vita e vittoria ai nuovi partiti di centro destra, come Forza Italia e la Lega di Bossi. Questa tendenza a rafforzare e far vincere i partiti di destra è andata sempre più affermandosi in Italia anche, dopo il decennio berlusconiano, di Forza Italia (2001 – 2011). In questi ultimi anni la destra è ritornata al potere con l’affermazione di Salvini (2018-19), dopo il breve intervallo del centro sinistra con M. Renzi (2015 – 2018). Ma, nell’agosto del 2019, dopo il brutto pasticciaccio di Matteo Salvini, il Governo è ritornato nelle mani del centro sinistra a guida di Giuseppe Conte, che era stato anche il primo Ministro del centro destra guidato da M. Salvini e L. Di Maio. Ora, io, B. C., penso che, ormai, siamo e viviamo nel mondo del postcontemporaneo e in società postcontemporanee, nelle quali il futuro condiziona e vive nel nostro presente, mentre nella società postmoderna (1980 -2010) era il presente a condizionare il passato e il futuro. Io, B. C., penso che, ormai, viviamo da più di un decennio in società postcontemporanee che hanno inglobato, superato, inverato e conquiso le società postmoderne (1980 – 2010). Intorno al 2010 è iniziata, secondo me, l’epoca postcontemporanea e post climatica; società globalizzate che contengono e conquidono le società postmoderne. Le società postcontemporanee, infatti, hanno superato e inglobato, dentro di sé le epoche postmoderne e post-ideologiche del secolo passato. Infatti, alla fine del XX secolo, sono nati i partiti di centro destra, come Forza Italia di Berlusconi e della destra violenta e stravagante di Bossi, e ora diventata, invece, di estrema destra con Matteo Salvini che, con la sua ideologia sovranista e antieuropea, voleva fare uscire l’Italia dall’Europa. Io, B. C., penso e affermo che le società postcontemporanee siano iniziate nel 2010, quando il nuovo, ulteriore e parossistico sviluppo di internet, della robotica e di tutte le altre scienze hanno dato una forte e robusta accelerazione a tutta le società postcontemporanee di oggi, che viaggiano ad un’altissima velocità di trasformazione in tutti i campi delle società postcontemporanee: dal settore produttivo al settore culturale, dal settore scientifico a quello tecnologico, mettendo, così, ai margini tutti coloro che non riescono ad aggrapparsi allo sviluppo delle scienze delle attuali società postcontemporanee e a coloro che non riescono a inserirsi nel sistema produttivo delle società postcontemporanee. Purtroppo il libro postmoderno della Gualtieri non si riferisce alle società postcontemporanee perché esprime soltanto la sua vita personale di casalinga e non fa riferimenti a tutti i problemi, alle attese e alle speranze attuali delle società postcontemporanee italiane e internazionali. Per questi motivi, io, B. C., reputo e penso che l’opera poetica della Gualtieri sia un’opera postmoderna, sia per la forma e sia per i contenuti, in quanto la poetessa esprime soltanto la sua poetica postmoderna, perché esprime un tempo e uno spazio personale tutto suo e perché la poetessa attraverso l’opera poetica manifesta una espressività personale legata all’Italia postmoderna e non all’Italia postcontemporanea di oggi. Detto tutto ciò, come premessa, sull’importanza e sulla collocazione storica del libro della Gualtieri, ora io, B. C., passo ad elencare i lati buoni e positivi dell’opera poetica e ad esporre il bene che vi ho trovato.
Il primo motivo, o bene che vi ho trovato, è, sicuramente, la descrizione e la narrazione della lotta tra Eros e Thanatos. Mi ha fatto piacere leggere poche ma buone poesie dedicate all’Amore, sentimento che ancora oggi rappresenta la maggior forza, interiore e positiva, per combattere la tristezza e l’amarezza del Covid -19 che in questi giorni imperversa sulla Terra e sta provocando in tutto il mondo la morte di migliaia di persone.
Il secondo motivo, o bene che vi ho trovato, è dato, sicuramente, dalle accuse che la poetessa rivolge contro Dio, che tace. La prima accusa si trova nella seconda parte del Requiem e proclama. “Il Dio che invochi? Tace. Quanto tace.” La seconda accusa è quella inserita sempre nella seconda parte del Requiem e proclama. “Sentire almeno il suo avvilimento, sentirlo piangere.” La terza accusa si trova nella terza parte del Requiem quando afferma “è stata feroce/ la sua mano. E noi eravamo/ in quel suo grande tacere. Soli soli”. La quarta accusa si trova nella quarta parte del Requiem e afferma. “Questo Re tremendo e maestoso/ se come dici appare, quando appare”. Anch’io B. C. condivido queste accuse, legittime e giuste, che la poetessa svolge e rivolge, nella sua requisitoria, contro Dio.
Il terzo motivo, o bene che ti ho trovato, riguarda il fatto che questo libro poetico della Gualtieri costituisce il primo bel libro poetico che ho letto dopo 5 anni di penuria poetica. Infatti gli ultimi due libri, buoni e belli di poesia, che avevo letto, erano stati quello di Donatella Bisutti e l’ultimo della stessa Gualtieri.
Anche l’ultimo libro poetico di Franco Marcoaldi “Cento poesie” dedicato all’Amore e pubblicato nel febbraio del 2019, non mi era piaciuto e non mi piace, per niente, ancora oggi.
Il quarto motivo, o bene che vi ho trovato, riguarda il fatto di avere scoperto e letto nel libro poetico della Gualtieri molte parole difficili, ricercate e raffinate come disagiare, disadornare, disamorare, regge, raschio ed altre “parole/ uccello/ e parole prede”. (Pagina 19).
Il quinto ed ultimo motivo, o bene che vi ho trovato, si riferisce al fatto che la lettura di queste poche ma belle poesie dedicate all’Amore mi hanno permesso di trascorrere, con più tranquillità e con più forza d’animo, questo tremendo e drammatico periodo flagellato dal Covid–19, che sta provocando migliaia di morti in tutto il mondo. Io, B. C., leggendo il libro della Gualtieri, ho ricevuto, ho apprezzato, ho ammirato e goduto, nel libro della Gualtieri, molta suggestione e molta bellezza poetica. Infine, la piacevole lettura del libro della Gualtieri mi ha confortato, ha dilettato e ha rallegrato molto le mie giornate, brutte e logoranti, di questi ultimi mesi trascorsi sotto la tensione, la pressione e lo stress della didattica a distanza e per il terrore e la paura di essere contagiato dal coronavirus.

Gran finale.

Per concludere questa recensione analitica sull’opera poetica “Quando non morivo” della poetessa romagnola M. Gualtieri, voglio esprimere ed esplicare la mia seguente supposizione ed ipotesi sulla possibile idea e convincimento che la poetessa potrebbe avere sul rapporto fra poesia e l’attuale pandemia del covid-19. Io, B. C., infatti, penso e suppongo che se la poetessa avesse scritto e pubblicato la sua ultima raccolta poetica durante il periodo della pandemia, che stiamo vivendo e subendo, non avrebbe composta, certamente, una strofa della poesia dedicata alla sua bambina, della IV sezione a pagina 66. Ecco la strofa in questione.

C’è splendore
in ogni cosa. Io l’ho visto.
Io ora lo vedo di più.
C’è splendore. Non avere paura.

Infatti, io, B. C., oggigiorno, vedo che non c’è nessuno splendore in ogni cosa; ma anzi, vedo e constato che tutti i popoli del mondo sono in sgomento per il diffondersi inesorabile del coronavirus che ha contagiato fino ad oggi più di 4.500.000 persone e ha ucciso più di 300.000 vittime in tutto il mondo. In questo momento tutta l’umanità ha paura del coronavirus perché ancora non è stato trovato il vaccino contro il covid–19. Io, B. C., personalmente e come me miliardi di persone, non vedo nessuno splendore che splende e si irraggia sul pianeta Terra in questo periodo di pandemia. Infine, io, B. C., penso che, anche, la poetessa sarebbe concorde con questa mia riflessione perché, suppongo che, anche, lei stia subendo la stessa malasorte e perché tutti noi siamo trasaliti, trasecolati, sbigottiti e sgomenti dalla pandemia del coronavirus.

 

20200201_151703

Modica 15/05/2020                                                                                        Prof. Biagio Carrubba

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