Raccolta Steffin 1938 – 1941 di Bertolt Brecht.

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Raccolta Steffin 1938 – 1941
di Bertolt Brecht.

La “Raccolta Steffin” segue, amplia, accompagna e integra i temi e gli argomenti delle raccolte poetiche precedenti: Canzoni, poesie e cori e Poesie di Svendborg. Margarete Steffin, preziosa collaboratrice di Brecht, negli anni tra il 1938 e il 1941, aveva ordinato e sistemato altre poesie di Brecht che il poeta aveva composto in questi anni. In questa raccolta, Brecht, dopo la notizia della morte di Margarete, appose di suo pugno soltanto il titolo Raccolta Steffin, in omaggio e in onore della sua insostituibile collaboratrice e cara amante. La Raccolta Steffin aggiunge, di nuovo, rispetto alle raccolte precedenti, soltanto la descrizione dei luoghi e delle città di esilio dove Brecht, insieme alla sua famiglia e a Margarete Steffin, alloggiavano e abitavano in modo precario. Infatti la Raccolta Steffin traccia il profilo del percorso umano e poetico del suo esilio: dalla Danimarca alla Svezia e dalla Finlandia alla Russia, dove Margarete Steffin morì il 4 giugno 1941 ricoverata d’urgenza in un ospedale di Mosca. Le poesie raccolte e ordinate dalla Steffin sono, quindi, le poesie scritte a Svendborg (Danimarca), nell’isola di Lidingo (Svezia) e ad Helsinki (Finlandia). Anche in queste poesie della Raccolta Steffin, Brecht intreccia e simpatizza la sua visione di esule con i terribili eventi guerreschi che Hitler minacciò e mise in pratica in tutta Europa. Brecht, nella Raccolta Steffin, annuncia ed esprime la situazione di precario in cui è costretto a vivere nel suo esilio. Brecht esprime questi sentimenti di esule nella prima poesia con questi versi.

E questo è tutto e non è già che basti.
Ma forse, vi dirà: esisto ancora.
Son come quello che con sé portava
sempre un mattone per mostrare al mondo
com’era stata un giorno la sua casa.

Brecht indicò come Raccolta Steffin una serie di poesie “raccolte dalla mia collaboratrice Margarete Steffin, scritte all’incirca dal 1937 in poi in Danimarca, Svezia, Finlandia”. (Da B. Brecht. Poesie. Einaudi tascabili, 1942. Pagina 325). Margarete Steffin, da tempo malata di tubercolosi, morì il 4 giugno 1941 in un ospedale di Mosca. Brecht seppe la notizia della sua morte durante il viaggio in treno sulla Transiberiana verso Vladivostok. Brecht partì il 13 giugno 1941 e arrivò a Los Angeles, il 21 luglio 1941. La prima poesia della raccolta è “Primavera 1938”, seguono le poesie “Il ladro di ciliegie”, “1940”. Nella prima poesia, Brecht mostra tutta la paura che ha difronte alle minacce di guerra con le quali Hitler minacciava e ricattava tutta l’Europa. Ecco la prima strofa della poesia nella quale, per l’appunto, Brecht manifesta tutto il suo timore per le conseguenze nefaste per l’imminente e incombente guerra di Hitler (volume II, pagina 321).

PRIMAVERA 1938

Oggi, mattina di Pasqua
una improvvisa bufera di neve è passata sull’isola.
Tra le siepi già verdi c’era neve. Mio figlio
mi portò verso un arboscello d’albicocco lungo il muro di casa
via da un’opera, dove a dito indicavo chi erano
a prepararla, una guerra che
il continente, quest’isola, il mio popolo, i miei e me stesso
può sterminare. Senza parole
abbiamo messa una tela di sacco
sull’albero che raggelava.

Nella poesia 1940, Brecht descrive, rappresenta, testimonia e segna il passaggio dalla Svezia alla Finlandia. (Da Lidingo a Helsinki). Ecco il testo di questa poesia. (Volume II, pagine 327 – 341).

“1940”
1
Viene la primavera. I venti miti
dalle gelate d’inverno van liberando gli scogli.
I popoli del nord aspettano tremando
le squadre di battaglia dell’Imbianchino.

2
Dalle biblioteche
escono i massacratori.
Stringendo i figli a sé
le madri stanno e scrutano atterrite
nel cielo le scoperte dei sapienti.

3
I progettisti sgobbano
curvi sui tavoli da disegno:
una cifra sbagliata e le città del nemico
restano incolumi.

4
La nebbia fascia
le strade
i pioppi
i cascinali e
l’artiglieria.

5
Mi trovo nella piccola isola di Lidingo.
Ma, non molto tempo fa, una notte
ho fatto un brutto sogno e mi sognavo che ero
in una città e, m’accorgevo, le insegne
erano in lingua tedesca. Molle di sudore
mi sono svegliato e con esso ho veduto
il pino nero – notte di fronte alla finestra e ho compreso:
ero in un paese straniero.

6
Mio figlio mi chiede: devo imparare la matematica?
Perché, vorrei dirgli: che due pezzi di pane sono più di uno
te ne accorgerai lo stesso.
Mio figlio mi chiede: devo imparare il francese?
Perché, vorrei dirgli. Quella potenza declina. E
basterà tu ti passi la mano sul ventre, gemendo,
che ti si capirà.
Mio figlio mi chiede: devo imparare la storia?
Perché, vorrei dirgli. Impara a ficcarti col capo per terra
e forse sarai risparmiato.
Si, impara la matematica, dico,
impara l’inglese, impara la storia!

7
Davanti alla parete imbiancata
sta la nera cassetta militare con i manoscritti.
Sopra c’è il servizio da fumo coi porta ceneri di rame.
Il dipinto cinese, con l’Uomo Che Dubita,
è appeso lì sopra. Anche le maschere ci sono. E accanto alla branda
sta la piccola radio a sei valvole.
Di prima mattina
giro la manopola e ascolto
i notiziari di vittoria dei miei nemici.

8
In fuga davanti alla gente del mio paese
eccomi ora in Finlandia. Amici
che ieri non conoscevo, hanno messo qualche letto
in camere pulite. Nell’altoparlante
sento i notiziari di vittoria delle canaglie. Incuriosito
considero la carta del continente. Lassù, in Lapponia
verso il Mare Glaciale Artico,
vedo ancora una piccola porta.

Segue la poesia (Volume II, pagina 333).

AL LUOGO DI ASILO DANESE.

Tu fra il Sund e i pomari, casa, ascolta:
LA VERITA’ È CONCRETA, il vecchio detto
che in te il fuggiasco murava una volta,
sopravvive alle bombe sul tuo tetto?

La penultima poesia è “PAESAGGIO FINNICO”.

Ecco il testo di questa poesia. (Volume II, pagina 369).

Acque pescose! Boschi di begli alberi! Odore
di mirtilli e betulle!
Vento di molte voci che va ondulando un alito
mite come se fossero, quei recipienti di ferro del latte
che rotolano là dalla fattoria bianca, aperti!
Sentore e suono e immagine e senso diffusi si perdono.
Il rifugiato siede nella valletta dei salici e torna
a riprendere ancora il suo arduo mestiere: sperare.

Bene egli osserva la spiga bella colma
e la forte creatura che sull’acqua si inclina
ma anche chi non ciba grano e latte.
Chiede al convoglio di tronchi sulle acque: “non è
il legno questo senza cui non si farebbero
gambe di legno?” E
vede una gente che in due lingue tace.

La bellezza della Raccolta Steffin.

Io, B. C., giudico che tutte queste poesie della Raccolta Steffin sono belle perché mostrano la paura che Brecht aveva della guerra ed esprimono tutto il disagio di Brecht che viveva una vita precaria e angosciata dall’esilio. Gli altri motivi di bellezza sono dovuti, secondo me, alle preoccupazioni di Brecht nei confronti del figlio che non aveva un futuro sicuro e mostrano, anche, il disagio di Brecht costretto al suo eterno peregrinare e a fuggire da un giorno all’altro e da uno Stato all’altro, per salvare sé stesso, la sua famiglia e le sue devote collaboratrici e amanti, come Klaus Volker, a pagina 286, descrive e racconta, in modo simpatico e divertente, a proposito delle sue collaboratrici e amanti. “Speravano di potersi imbarcare in agosto su una nave che salpava da Petsamo per gli Stati Uniti. Brecht doveva provvedere, oltre che alla famiglia, anche alle due amiche di cui si era assunto la responsabilità. Margarete Steffin era molto malata e ormai difficilmente in grado di viaggiare; lo scrittore di drammi doveva continuamente esortarla a non cedere al suo stato di indebolimento e ricordarle che avevano bisogno di lei.”

Finale.

A queste poesie della Raccolta Steffin, io, B. C., aggiungo altre tre bellissime, stupende, delicate e potenti poesie che Brecht dedicò alla sua insostituibile e preziosa collaboratrice Margarete Steffin.

Prima poesia. (Volume II, pagina 997).

*
Quando fu l’ora e la morte non inesorabile
mi mostrò alzando le spalle i cinque lobi distrutti
del suo polmone,
incapace di imporle una vita solo con il sesto
mi affrettai a radunare ancora cinquecento impegni,
faccende da sbrigare subito e domani, l’anno dopo
e nei sette anni successivi
le posi innumerevoli domande, decisive, a cui lei sola
poteva rispondere e così indaffarata
morì più facilmente.

Seconda poesia. (Volume II, pagina 1005).

*
In memoria della mia piccola maestra
dei suoi occhi, dell’azzurro fuoco iracondo
e del suo cappotto logoro con l’ampio cappuccio
e con l’orlo alto, io battezzai l’Orione
in cielo COSTELLAZIONE DI STEFFIN.
Guardando in su e osservandola turbato
mi par di sentire lievi colpi di tosse.

Terza poesia. (Volume II, pagina 1011).

*
Da quando sei morta, piccola maestra,
io erro senza sguardo, senza pace
stupito in un mondo grigio
senza niente da fare, come un licenziato.

Precluso
mi è l’ingresso all’officina, come
a tutti i non addetti.
Ormai vedo le strade e i parchi
a ore insolite, così
più non li riconosco.
A casa
non posso tornare: mi vergogno
di essere licenziato e
della mia disgrazia.

Queste tre poesie furono scritte da Bertolt Brecht subito dopo avere ricevuto la notizia della morte di Margarete Steffin nel 1941 o, forse, nel 1942.

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Modica 28/01/2020                                                                               Prof. Biagio Carrubba

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