
Poesie 1954 – 1956
di Bertolt Brecht.
I
Nel 1954, una casa di due piani nella Chausseestrasse, che distava pochi minuti dal nuovo teatro Berliner Ensemble, fu assegnata a Bertolt Brecht e alla sua famiglia. Bertolt fu felice di abitare in questa casa dalla quale egli poteva tranquillamente osservare il silenzioso cimitero protestante che si trovava di fronte alla sua casa. Nel cimitero era sepolto, da tempo, il grande filosofo Hegel, che era uno dei filosofi preferiti, apprezzati e amati da Bertolt Brecht. Nella nuova casa, Bertolt Brecht, portò la sua macchina da scrivere portatile, sigari stampe cinesi e fotografie giovanili di Marx e di Engels, libri, giornali e numerosi suoi manoscritti in progress. Brecht, per questo dono, della R.D.T. era molto contento perché non doveva più percorrere giornalmente parecchi chilometri per raggiungere la nuova ubicazione del teatro. In questo modo Brecht organizzò rigorosamente la sua giornata, tanto che, negli ultimi anni, egli visse “con l’orologio alla mano”. Con questo stato d’animo, lieto, appagato e soddisfatto, Brecht compose tutte le poesie dell’anno in corso e degli ultimi anni della sua vita. La prima poesia nella quale Brecht esprime e manifesta il suo stato d’animo, pieno di appagamento e di forte pienezza, è, per l’appunto, la poesia: 1954: PRIMA META’, scritta nel luglio 1954, nella quale Brecht elenca tutte le sue soddisfazioni che ha vissuto nella prima metà dell’anno. Segue la poesia LA SERRA, sempre dello stesso periodo, scritta, sicuramente a Buckow, nella quale Brecht esprime tutta la sua soddisfazione e il proprio compiacimento sull’innaffiare gli alberi da frutto della serra. Brecht ammira, con voluttà, i fiori e le piante del giardino. Un’altra poesia, particolare e personale, è la seguente “Contento di mangiare la mia parte di carne, la succosa lombata” nella quale Brecht esprime tutta la sua contentezza di poter mangiare una succosa lombata con il pane di segale. Brecht conclude la poesia affermando che: “ma io penso: scendere nella fossa/senza avere gustato un buon boccone di carne/è disumano, e lo dico io, che sono/un pessimo mangiatore.” A questa poesia seguono altre due poesie di argomento amoroso rivolte alla sua giovane attrice Isot Kilian. Subito dopo, a queste poesie, segue la bellissima e stupenda poesia, sempre del 1954, PIACERI nella quale Brecht esprime tutto il suo profondo piacere e godimento che vive per tutte le piacevoli attività mattutine e per il suo comportamento gentile che ha verso gli altri. Ecco il testo della poesia (volume II, pagina 1364).
PIACERI
Il primo sguardo dalla finestra il mattino
il vecchio libro ritrovato
volti entusiasti
neve, il mutare delle stagioni
il giornale
il cane
la dialettica
fare la doccia, nuotare
musica antica
scarpe comode
capire
musica moderna
scrivere, piantare
viaggiare
cantare
essere gentile.
A questa poesia ne segue un’altra molto interessante dal titolo UN GIORNO, QUANDO NE AVREMO IL TEMPO, nella quale Brecht esprime tutta la sua fantasia, gioiosa e burlesca, sulla vita, sulle donne e sugli uomini. Seguono altre poesie, del 1955, brevi e intense, come la poesia MANDAMI UNA FOGLIA, inviata a Ruth Berlau e come la poesia TEMPI DIFFICILI, del 1955, fino ad arrivare alla poesia CONTROCANTO del 1956, nella quale Brecht incita a insorgere e a non rinunciare al piacere e di organizzarsi il mondo a suo gusto. Proprio nel 1956, Brecht, fra l’aprile e il maggio, fu ricoverato nell’ospedale della Charitè e proprio in questa occasione scrisse la bellissima e stupenda poesia “Quando nella bianca stanza d’ospedale della Charitè”, nella quale Brecht mostra e chiarisce a sé stesso di non aver più paura della morte, di riconciliarsi con essa e di essere contento per tutti i canti dei merli che ci saranno dopo di lui. Ecco il testo della poesia (volume II, pagina 1389).
Quando nella bianca stanza d’ospedale della Charitè
mi svegliai verso il mattino
e udii il merlo cantare
mi resi conto: da tempo
non avevo più paura della morte. Poiché
nulla può più mancarmi, posto
che io manchi. Ora
riuscivo a rallegrarmi di tutti
i canti di merli anche dopo di me.
Dopo questa poesia vi sono altre quattro poesie che si riferiscono al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica che si era svolto nel febbraio di quell’anno e nel quale Nikita Chruscev aveva denunciato il culto della personalità di Stalin. In queste quattro poesie Brecht esprime il suo giudizio sul nuovo corso del Partito Comunista sovietico. Le ultime due poesie di Brecht scritte negli ultimi giorni della sua vita sono due brevi poesiole di argomento amoroso, rivolte, forse, alla sua amica amante Ruth Berlau. Ecco il testo delle due intense e belle poesie (volume II, pagine 1399 – 1401). Testo della prima poesia.
*
Prima la gioia mi tolse il sonno,
poi l’angoscia mi vegliava di notte.
Quando non ebbi né l’uno né l’altra
dormii. Ma ahimè ogni mattino di maggio
mi portava una notte di novembre.
Testo della seconda poesia.
COM’ERA
Il tuo cruccio era il mio cruccio
il mio cruccio era il tuo
se tu non avevi nessuna gioia
neppure io ne avevo.
Con queste ultime poesie scritte negli ultimi giorni della sua vita, e forse completate nel suo letto di morte, Brecht si congedò, sereno, quieto e soddisfatto, dalla vita. Ecco come Federico Ewen, nel suo libro, Bertolt Brecht. La vita, l’opera e i tempi, (Feltrinelli editore) a pagina 431, descrive gli ultimi giorni della sua vita. “Il drammaturgo di Berlino Ovest Charles Hubalek andò a trovarlo verso la metà del 1956, nella sua casa della Chausseestrasse, e gli chiese che effetto gli facesse abitare così vicino al cimitero Dorotheen. “Ci ho fatto l’abitudine, disse Brecht”. Hubalek replicò “Non deve farci l’abitudine signor Brecht. Non è là che andrà. Non è più in funzione”. Brecht lo rassicurò. “Ho delle conoscenze”. Disse. Brecht morì per trombosi alle coronarie, la sera del 14 agosto del 1956.
Il mio giudizio personale su queste poesie.
Io, B. C., penso che gli ultimi anni di vita che Brecht ha vissuto a Berlino Est, dal 1948 al 1956, sono stati gli anni più belli e più appaganti di tutta la sua vita. Io, B. C., suppongo che questi ultimi anni di vita lo abbiano ripagato, risarcito e ricompensato per tutti gli anni della sua vita, precaria ed incerta di esule, che egli ebbe a subire e sopportare a causa del terrificante e nefasto regime hitleriano. Brecht è stato tra i primi poeti e drammaturghi ad essere inseguito e ricercato dalla polizia hitleriana, infatti i suoi libri furono messi a rogo già nel 1933, come ci informa Frederic Ewen nel suo libro. Bertolt Brecht. La vita, l’opera, i tempi (Feltrinelli editore) a pagina 250. “Fra coloro che fuggirono il 28 febbraio (1933) c’era anche Bertolt Brecht. Il 10 maggio i suoi libri furono bruciati, insieme con quelli di altri scrittori tedeschi e non tedeschi.” Dunque, io, B. C., penso e suppongo che Brecht abbia vissuto gli ultimi anni della sua vita in un modo intenso e impegnato nel suo lavoro sia nella produzione teatrale sia nella produzione poetica. Negli ultimi 3 anni Brecht si impegnò soprattutto nella regia teatrale del Berliner Ensemble ma anche nella creazione poetica, sentita, praticata e appassionata da sempre. In questi ultimi anni egli scrisse, secondo me, due bellissime e stupende poesie che sono PIACERI e QUANDO NELLA BIANCA STANZA D’OSPEDALE DELLA CHARITE’, che testimoniano l’altissima produzione poetica di Brecht. Infine io B. C. penso e reputo che la poesia redatta nell’ospedale della Charitè sia, veramente, una speciale, incantevole e piacevole poesia, che mostra tutto il fascino poetico e la fascinazione della vita di Brecht. Secondo me questa poesia andrebbe letta da mattina a sera perché induce a pensare alla nostra vita e alla nostra morte, che va superata pensando al canto dei merli dopo di noi. Infatti Brecht, in questa poesia, immagina che egli sente già il canto dei merli che verranno dopo di lui. Questa poesia richiama alla memoria un’altra poesia nella quale la vita effimera di ognuno di noi non finisce con la morte, come Brecht aveva scritto nella poesia (Biblioteca della Pleiade a cura di Luigi Forte. Volume II, pagina 1377)
SE NON AVESSIMO FINE.
*
Se non avessimo fine
tutto cambierebbe
ma siamo effimeri e molto
resta com’è.
Modica 30/01/2020 Prof. Biagio Carrubba
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