Parafrasi della poesia
“La pioggia nel pineto”
di Gabriele d’Annunzio.
I
Alcyone.
Nel 1903, d’Annunzio pubblicò la sua maggiore opera poetica con il titolo generale Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. La prima poesia dell’opera poetica, “Alle pleiadi e ai Fati” che introduce il progetto delle laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, inizia con questi versi: “Gloria al Latin che disse: -Navigare /è necessario; non è necessario/ vivere-. A lui sia gloria in tutto il Mare!” D’Annunzio, oltre ad annunciare una rinascita pagana, secondo il paganesimo nietzschiano, riprese il motto del poeta latino Pompeo Magno “Navigare necesse est, vivere non est necesse” con il quale il Kaiser Guglielmo I voleva rilanciare il potenziamento della marina militare della Germania. D’Annunzio, aprendo la prima poesia con questo motto, voleva riportare, in auge, l’importanza della marina italiana nel Mediterraneo, dato che secondo d’Annunzio, erano stati i Latini e l’Italia, in primo luogo, gli eredi dei navigatori romani. Nella seconda poesia, “L’ANNUNZIO” d’Annunzio espone e propone il suo messaggio poetico che afferma e ripete, più volte, che “Il gran Pan non è morto!” Queste due poesie sono le poesie di proemio dell’intera opera poetica. In queste due poesie proemiali d’Annunzio enuncia ed annuncia il suo messaggio poetico che lui aveva maturato in quegli anni. Questo messaggio poetico gli derivava sia dalle idee di Nietzsche e sia dal grido di Giosuè Carducci, secondo il quale il Dio Pan è risorto. Il primo libro dell’intera opera progettata, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, è Maia, che vuole essere un inno alla vita e alla diversità del mondo. La prima poesia è LAVS VITAE, che significa Lode alla vita. L’ultima poesia del primo libro termina con l’incitamento: “Odi il vento. Su! sciogli! Allarga! Riprendi il timone e la scotta; ché necessario è navigare, vivere non è necessario”, che si ricollega, così, alla prima poesia introduttiva dell’opera poetica. Io, B. C., affermo che è vero il contrario e cioè che “È necessario vivere, non è necessario navigare”. Il secondo libro Elettra rievoca e celebra tanti nomi illustri italiani: da Dante Alighieri a Giuseppe Verdi da Vincenzo Bellini a Vittore Hugo. Poi seguono le poesie dedicate alle città del silenzio. Il terzo libro del progettato poema di poesie Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi è Alcyone. Questo libro è composto da 88 componimenti poetici, scritti fra il 1899 e il 1903. Le poesie descrivono l’inizio dell’Estate da giugno fino alla fine di settembre. Il tema predominante è il panismo, cioè la fusione dell’uomo con la natura, nel quale l’uomo acquista caratteristiche vegetali o animali e gli elementi della natura appaiono in forma e vesti umani. Le altre poesie paniche di Alcyone sono: 1. LUNGO L’AFFRICO, NELLA SERA DI GIUGNO DOPO LA PIOGGIA; 2. LA SERA FIESOLANA; 3. LA PIOGGIA NEL PINETO; 4. LE STIRPI CANORE; 5. MERIGGIO; 6. L’OLEANDRO; 7. L’ONDA; 8. STABAT NUDA AESTAS; 9. IL NOVILUNIO. Nel componimento L’OLEANDRO, d’Annunzio narra in versi la favola di Apollo e Dafne raccontata, in prosa, dall’autore latino Ovidio, nella celebre opera “Le metamorfosi”.
II
Una parafrasi della poesia
“La pioggia nel pineto”.
Introduzione alla poesia.
Questa poesia è la 16ª su 88 componimenti del terzo libro delle Laudi: Alcyone. La poesia è composta da quattro strofe di 32 versi con rima libera. L’Ermione di cui parla la poesia è Eleonora Duse. Essa fu scritta probabilmente nell’estate del 1902, a Romena, nel Casentino. La poesia è ricca di figure retoriche fonosimboliche che assicurano al componimento poetico un ritmo musicale, lieve e continuo, conferendogli una scorrevolezza orecchiabile, piacevole e gradevole. Inoltre le frequenti rime a fine verso, le rime interne e i continui enjambement coincidono, secondo me, con le particolari sensazioni che il poeta percepisce e descrive e che fa coincidere con le particolari trasformazioni fisiche, sensoriali e sentimentali dei due protagonisti. Infatti ogni parte del corpo si metamorfizza in un aspetto della vita arborea. Così d’Annunzio descrive sensazioni umane e sensazioni silvane, emozioni umane con emozioni silvestri e metamorfosi umane con metamorfosi arboree. Per fare un esempio: il cuore diventa una pesca; gli occhi si trasformano in una polla d’acqua e i denti, trascolorando nel verde, diventano mandorle acerbe. Alla fine del componimento, la fusione tra vita sentimentale dei due protagonisti risulta perfetta e compenetrata con la vita arborea della pineta toscana, così l’innamoramento fra i due protagonisti si trasforma nell’amore tra due esseri umani che, a loro volta, si trasfigurano in una simbiosi e fusione con la natura panica della pineta. In questo modo d’Annunzio fa rinascere il dio Pan che vive e vegeta sia nella vita naturale del bosco e sia nella vita umana dei due protagonisti, fusi e confusi nell’ambiente naturale che li assorbe completamente. In questa metamorfosi, perfetta e completa, consiste, secondo me, la magia e la bellezza del componimento musicale e poetico.
Testo della poesia
La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi e irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il cielo australe
non impaura,
né il cielo cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia,
come una foglia
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Parafrasi della poesia
Prima strofa.
Taci. Non odo,
sulle soglie del bosco,
le tue parole umane
che dici, ma ascolto
i nuovi suoni della pioggia
che imitano, cadendo,
le gocce di pioggia e
il fruscio delle foglie lontane.
Piove dalle nuvole sparse.
Piove sulle tamerici
salmastre e riarse,
piove sui pini,
scagliosi e pungenti,
piove sui mirti
divini,
piove sulle ginestre splendenti,
abbondanti di fiori profumati,
sui ginepri rigogliosi
di bacche profumate,
piove sui nostri volti
arborei,
piove sulle nostre mani
nude,
piove sui nostri vestiti
leggeri,
piove sui nostri pensieri
nuovi,
che la nostra anima rinata
schiude,
piove sulla nostra bella
favola d’amore,
la quale ieri ti ha fatto innamorare di me
e che oggi mi fa innamorare di te,
o Ermione.
Seconda strofa.
Odi? La pioggia scende
sulla vegetazione
solitaria
con un crepitio
che dura e varia nell’aria
a secondo delle foglie,
più folte, meno folte.
Ascolta. Il frinire delle cicale,
che né la pioggia del sud,
né il cielo grigio, fa cessare
risponde al bruire della pioggia.
Il pino ha un suono,
il mirto ha un altro suono
il ginepro ha un’altra
tonalità, ancora;
tutti suoni diversi
che assomigliano alla sinfonia
di una orchestra di strumenti
percossi da numerose mani.
Noi siamo compartecipi
dello spirito arboreo,
siamo vita vivente
della vita arborea;
il tuo volto vivido è
bagnato di pioggia, è
morbido come una foglia.
I tuoi capelli profumano
come le luminose ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Terza strofa.
Ascolta, ascolta. Lo stridio
delle cicale aeree,
sotto la pioggia, che croscia,
si fa, a poco a poco,
sempre più cupo;
ma un altro suono vi si mescola
più roco, che proviene da laggiù,
dall’umida terra lontana.
È un suono sordo e flebile
che aumenta e diminuisce.
Si ode, soltanto una nota,
che vibra ancora, si spegne
risorge, vibra e poi si spegne.
Non si ode lo sciacquio del mare.
Invece ora si ode, nel fogliame,
lo scrosciare
della pioggia limpida,
che lava (le foglie e l’aria).
In tutta la pineta si sente
lo scroscio, che varia
a secondo della foglia,
più fitta, meno fitta.
Ascolta.
La cicala diventa
silenziosa; ma la rana,
figlia del fango,
gracida nell’ombra più profonda,
chissà da dove chissà da dove!
E piove sulle tue ciglia,
o Ermione.
Quarta strofa
Piove sulle tue ciglia nere
cosicché pare che tu pianga (non di dolore)
ma di piacere; tu, non più bianca,
sei diventata quasi verde, cosicché
sembra che tu esca dalla corteccia.
Tutta la vita (silvestre)
è in noi fresca e profumata;
il cuore nel nostro petto
è diventato come una pesca intera;
gli occhi, tra le palpebre,
somigliano a sorgenti tra le erbe;
i denti trascolorano nel verde
come mandorle acerbe.
Noi andiamo di cespuglio in cespuglio
ora uniti ora disgiunti
(gli arbusti verdi e aggrovigliati della pineta
ci avviluppano le caviglie
ci intralciano i ginocchi)
chissà dove! chissà dove!
Piove sui nostri visi
arborei,
piove sulle nostre mani
nude,
piove sui nostri vestiti
leggeri,
piove sui nostri pensieri
nuovi
che la nostra anima rinata
schiude,
piove sulla nostra bella
favola d’amore
che ieri mi fece innamorare di te
e che oggi ti fa innamorare di me,
o Ermione.
Mio commento personale alla poesia.
I
Io, B. C., penso e reputo che questo componimento poetico di Gabriele d’Annunzio sia molto bello e riuscito, sia sotto l’aspetto musicale e sia sotto l’aspetto sintattico. Infatti il componimento poetico presenta una bella struttura musicale, una lettura orecchiabile e un’ottima scorrevolezza sintattica. Anche la forma dei versi, lunghi e verticali, conferisce al componimento una veste nuova e ben riuscita, cosicché il componimento acquista uno stile eccezionale, una limpidezza sintattica e una straordinaria chiarezza di contenuto, nel quale d’Annunzio riesce ad esprimere i sui sentimenti, affettivi e amorosi, tutto il panismo e la fusione dei due protagonisti con la natura. Infatti, ciò che mi colpisce di più della composizione poetica è, certamente, la metamorfosi panica, fisica e spirituale dei due protagonisti del testo. I due protagonisti del componimento, non solo subiscono la metamorfosi fisica, trasformandosi in alberi, in foglie e in radici, come la metamorfosi di Dafne, inseguita e afferrata dal dio Apollo. Ma soprattutto ciò che è preminente ed evidente della poesia, è il fatto che i due amanti (d’Annunzio e la Duse) subiscono e ricevono una trasfigurazione fisica, sentimentale e amorosa. Infatti i loro sentimenti vengono trasfigurati e inglobati nel panismo, vivo e vegeto, della natura, attuando così, completamente la metamorfosi umana, sia quella fisica che quella spirituale, prendendo la forma e i colori arborei. Questa metamorfosi diventa, così, perfetta e assoluta, com’era nell’intento poetico e panico di d’Annunzio. Nella prima strofa, è la Duse che s’innamora di d’Annunzio, mentre nell’ultima strofa è d’Annunzio che s’innamora della Duse. Questa trasformazione da esseri umani ad alberi fa, sicuramente, pensare alla celebre opera marmorea di Lorenzo Bernini che effigiò il mito di Apollo e Dafne nella famosa scultura Apollo e Dafne, del 1622 – 24. Ma le novità positive del componimento, secondo me, si fermano qui; ma non sono poche, secondo me, se si pensa che d’Annunzio pensava più alla forma estetica e musicale che al contenuto sociale della poesia. Infatti la poesia vuole essere, soltanto, una descrizione poetica della pineta e della sua metamorfosi naturalistica. Il componimento poetico non ha altro da dire sul piano dei contenuti; comunque malgrado questa limitazione, la poesia resta una buona prova di poesia formale, personale e sentimentale, dato che il finale del componimento sublima il suo innamoramento e il suo amore con la famosa attrice Eleonora Duse, trasformandosi in albero. Tutto il terzo libro Alcyone resta, secondo me, un capolavoro assoluto del primo ‘900 italiano. Dopo di che, d’Annunzio scrisse tante altre opere poetiche ma non raggiunse mai, secondo me, la bellezza musicale e la perfezione formale di Alcyone. Io, B. C., penso e reputo che il motivo, precipuo e principale, che spiega il periodo creativo e produttivo che d’Annunzio ebbe tra il 1895 e il 1904 sia stato la presenza spirituale e artistica della famosissima attrice Eleonora Duse, la quale con il suo amore e con la sua presenza ispirava e infondeva, ogni giorno, l’ispirazione poetica, creativa e artistica a d’Annunzio. Infatti questi dieci anni furono per d’Annunzio un periodo alacre e produttivo di creatività poetica e compositiva. Quando nel 1905 Eleonora Duse abbandonò d’Annunzio finì, anche, l’effusione e la profusione dell’ispirazione poetica e la produzione narrativa e teatrale di d’Annunzio, il quale restò, così, senza la Musa ispiratrice della sua poesia. Fin quando nella vita di d’Annunzio ci fu Eleonora Duse, il poeta ricevette il dono divino dell’amore e dell’ispirazione poetica. Quando, però, Eleonora Duse abbandonò d’Annunzio, il poeta perse ogni comunione divina e d’Annunzio finì di scrivere e comporre le migliori opere della sua vita, come lo furono tutte le opere poetiche e teatrali, scritte, per l’appunto, tra il 1895 e il 1904.
Modica, 01/03/2020 Prof. Biagio Carrubba
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