PAGINE SCELTE DAI “QUADERNI DEL CARCERE” DI ANTONIO GRAMSCI.

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PAGINE SCELTE DAI “QUADERNI DEL CARCERE” DI ANTONIO GRAMSCI.

L’8 novembre 1926 è la ricorrenza dell’arresto di Antonio Gramsci, quando fu arrestato a Roma, nonostante avesse l’immunità parlamentare, arresto che rappresenta, ancora oggi, uno dei tanti fatti, fattacci e misfatti ignominiosi perpetrato dal regime fascista e dopo, il 28 maggio del 1928, quando il detenuto A. Gramsci, subì un altro processo, alla fine del quale, il pubblico ministero Michele Isgrò affermò: “Per 20 anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Io, B. Carrubba, a distanza di 92 anni da quel terribile e ingiusto processo, propongo e presento, con molto piacere, alcune pagine scelte del grande politico A. Gramsci, il quale a dispetto della sentenza del pubblico ministero, ha scritto la sua imperitura, grandissima, bellissima e immortale opera politica, filosofica, poetica e letteraria.

QUADERNI DEL CARCERE.

Il tema, che io, B. C., ho scelto, riguarda “La filosofia della praxis”, sviluppato da A. Gramsci in diverse pagine dei “QUADERNI DEL CARCERE”.

La filosofia della praxis.

Io, Biagio Carrubba, presento alcune pagine di Antonio Gramsci, molto importanti, scelte da “Quaderni del carcere” che condivido e apprezzo e che ritengo ancora valide ed attuali per l’attuale società post-moderna e globalizzata. I lacerti da me scelti hanno come tema principale la filosofia della praxis, cioè la nuova formulazione filosofica e teorica che Gramsci dà alla filosofia del materialismo storico formulata da Marx ed F. Engels. Gramsci ri-definisce il materialismo storico con la nuova dicitura di filosofia della praxis prendendo spunto da un passo di Benedetto Croce.
(Quaderni del carcere – quaderno 10 – paragrafo 41.XII – pag. 1319). L’obiettivo fondamentale di Gramsci è quello di togliere le incrostazioni che diversi autori marxisti avevano aggiunto alla teoria originale di Marx; in questo lavoro di ripulitura e purificazione Gramsci salva soltanto il lavoro di Antonio Labriola, mentre critica aspramente sia G.V. Plekhanov che N.I. Bucharin, due presunti autori marxisti. L’intento di Gramsci è quello di riportare alla luce l’originalità e la purezza delle teorie marxiste, togliendo le incrostazioni dei due presunti autori marxisti ed altri autori, anche italiani, che avevano travisato le idee originali di Marx ed Engels. Gramsci analizza, esplicita e restaura il vero significato del marxismo in moltissime pagine dei “Quaderni del carcere” ed il lavoro più corposo su questo tema Gramsci lo concentra nei quaderni numero 10 e 11 con un confronto continuo tra la filosofia di Croce e quella di Marx. Gramsci, tenuto conto della condizione di isolamento in cui era tenuto ed era costretto a scrivere, e cioè tagliato fuori dal mondo attivo degli anni ’30 e privo di molti stimoli culturali e politici, fa un lavoro di recupero del marxismo per darne una nuova versione ed interpretazione, più nuova ed adeguata ai compiti del proletariato e dei partiti comunisti europei dell’epoca che soffrivano le terribili condizioni storiche di quel periodo, soffocati dal nazismo di Hitler, dal fascismo di Mussolini e dal comunismo di Stalin.
Io, Biagio Carrubba, penso che i risultati più importanti che Gramsci raggiunge, alla fine dei “Quaderni del carcere”, siano i seguenti.
1) Gramsci riconosce l’originalità e l’integralità del marxismo come nuova Weltanschauung adeguata al proletariato degli anni ’30.
2) il carattere rivoluzionario del marxismo;
3) il recupero del concetto di egemonia formulato e realizzato da Lenin dopo la conquista del potere in Russia;
4) Gramsci dà molta importanza alle superstrutture che il partito comunista deve sfruttare per conquistare il potere;
5) l’importanza che Gramsci dà, in questa lotta di egemonie, al fattore della coscienza e della volontà che costituiscono per Gramsci le due grandi forze culturali che hanno la funzione di rinnovare il marxismo e adeguarlo ai tempi, per la conquista del nuovo stato guidata dal proletariato.
All’inizio di questo lavoro analitico di restaurazione, Gramsci dedica una pagina fondamentale al rapporto tra Marx e Lenin nella quale stabilisce, una volta per tutte, l’importanza storica di Lenin nei confronti di Marx. Gramsci fa un bellissimo parallelismo tra Cristo-Weltanschauung e San Paolo-organizzatore; Gramsci afferma che così come il cristianesimo si potrebbe chiamare cristianesimo-paolinismo, così, dopo l’apporto dato da Lenin marxismo, questo si potrebbe chiamare marxismo-leninismo; ora, dopo le aggiunte culturali e teoriche apportate da Gramsci, il nuovo marxismo, si può chiamare, secondo me, marxismo-gramsciano.
Ecco il lacerto completo, sotto esposto, in cui Gramsci ristabilisce l’importanza di Lenin nei confronti del marxismo:
1) Posizione del problema. Produzione di nuove Weltanschauung, che feconda e alimenta la cultura di un’età storica e produzione indirizzata filosoficamente secondo le Weltanschauung originali. Marx è un creatore di Weltanschauung – ma quale è la posizione di Ilic? È puramente subordinata e subalterna? La spiegazione è nello stesso marxismo-scienza e azione.
Il passaggio dall’utopia alla scienza e dalla scienza all’azione. La fondazione di una classe dirigente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung. L’espressione che il proletariato tedesco è l’erede della filosofia classica tedesca, come deve essere intesa? Non voleva indicare Marx l’ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilic questo è realmente avvenuto in un territorio determinato. Ho accennato altrove all’importanza filosofica del concetto e del fatto di egemonia, dovuto a Ilic. L’egemonia realizzata significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica. Confrontare ciò che scrive Graziadei nell’introduzione a Prezzo e sovrapprezzo: egli pone Marx come unità di una serie di grandi scienziati. Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un’età storica che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all’avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata (concezione della necessità, superata dalla concezione della libertà). Fare un parallelo tra Marx e Ilic per giungere a una gerarchia è stolto e ozioso: esprimono due fasi: scienza-azione che sono omogenee ed eterogenee nello stesso tempo. Così, storicamente, sarebbe assurdo un parallelo tra Cristo e san Paolo: Cristo-Weltanschauung – san Paolo-organizzatore, azione, espansione della Weltanschauung: essi sono ambedue necessari nella stessa misura e però sono della stessa statura storica. Il Cristianesimo potrebbe chiamarsi storicamente: cristianesimo-paolinismo e sarebbe l’espressione più esatta (solo la credenza della divinità di Cristo ha impedito un caso di questo genere, ma questa credenza è anch’essa solo un elemento storico, e non teorico). (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 7 – Paragrafo 33 – Pagg. 881 – 882)
Gramsci in questa altra pagina, molto famosa, ristabilisce l’importanza teorica dell’interpretazione data da Antonio Labriola, che secondo Gramsci è l’unica giusta rispetto alle tante, scadenti ed inadeguate, fornite da autori russi come G.V. Plekhanov che N.I. Bucharin.
Ecco il lacerto completo in cui Gramsci riabilita il Labriola rispetto agli altri autori marxisti:
2) In realtà il Labriola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi. La tendenza dominante si è manifestata in due correnti principali:
1) Quella così detta ortodossa, rappresentata dal Plekhanov (cfr. I Problemi fondamentali) che in realtà, nonostante le sue affermazioni in contrario, ricade nel materialismo volgare. Non è stato bene impostato il problema delle “origini” del pensiero del fondatore della filosofia della prassi: uno studio accurato della cultura filosofica del M. (e dell’ambiente filosofico generale in cui egli si formò direttamente e indirettamente) è certo necessario, ma come premessa allo studio ben più importante, della sua propria e “originale” filosofia, che non può esaurirsi in alcune “fonti” o nella “cultura” sua personale: occorre, prima di tutto, tener conto della sua attività creatrice e costruttrice. Il modo di porre il problema da parte del Plekhanov è tipicamente proprio del metodo positivistico e mostra le sue scarse facoltà speculative e storiografiche.
2) La tendenza “ortodossa” ha determinato la sua opposta: di collegare la filosofia della prassi al kantismo o ad altre tendenze filosofiche non positivistiche e materialistiche, fino alla conclusione “agnostica” di Otto Bauer che nel suo libretto sulla “Religione” scrive che il marxismo può essere sostenuto e integrato da una qualsiasi filosofia, quindi anche dal tomismo. Questa seconda non è quindi una tendenza in senso stretto, ma un insieme di tutte le tendenze che non accettano la così detta “ortodossia” del pedantismo tedesco, fino a quella freudiana del De Man. Perché il Labriola e la sua impostazione del problema filosofico, hanno avuto così scarsa fortuna? Si può dire a questo proposito ciò che la Rosa disse a proposito dell’economia critica e dei suoi problemi più alti: nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. Ecco la necessità di rimettere in circolazione Antonio Labriola e di far predominare la sua impostazione del problema filosofico. Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a-privativi e gli anti- (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 11 – Paragrafo 70 – Pagg. 1507 – 1508 – 1509).
In questa altra pagina Gramsci stabilisce, una volta per tutta, l’importanza del marxismo originario, la cui teoria, da sola, “basta a sé stessa” ed è autonoma ed indipendente da tutte le altre teorie filosofiche nate nell’Europa del XIX secolo accanto all’hegelismo di Hegel e al neohegelismo di Croce e Gentile. Ecco il lacerto iniziale del paragrafo:
3) L’ortodossia non deve essere ricercata in questo o quello dei seguaci della filosofia della prassi, in questa o quella tendenza legata a correnti estranee alla dottrina originale, ma nel concetto fondamentale che la filosofia della prassi “basta a se stessa”, contiene in sé tutti gli elementi fondamentali per costruire una totale ed integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali, non solo, ma anche per vivificare una integrale organizzazione pratica della società, cioè per diventare una totale, integrale civiltà. Questo concetto così rinnovato di ortodossia, serve a precisare meglio l’attributo di “rivoluzionario” che si suole con tanta facilità applicare a diverse concezioni del mondo, teorie, filosofie. Il cristianesimo fu rivoluzionario in confronto del paganesimo perché fu un elemento di completa scissione tra i sostenitori del vecchio e del nuovo mondo. Una teoria è appunto “rivoluzionaria” nella misura in cui è elemento di separazione e distinzione consapevole in due campi, in quanto è un vertice inaccessibile al campo avversario. Ritenere che la filosofia della praxis non sia una struttura di pensiero completamente autonoma e indipendente, in antagonismo con tutte le filosofie e le religioni tradizionali, significa in realtà non aver tagliato i legami col vecchio mondo, se non addirittura aver capitolato. La filosofia della prassi non ha bisogno di sostegni eterogenei; essa stessa è così robusta e feconda di nuove verità che il vecchio mondo vi ricorre per fornire il suo arsenale di armi più moderne ed efficaci. Ciò significa che la filosofia della praxis comincia ad esercitare una propria egemonia sulla cultura tradizionale, ma questa, che è ancora robusta e soprattutto è più raffinata e leccata, tenta di reagire come la Grecia vinta, per finire di vincere il rozzo vincitore romano. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 11 – Paragrafo 27 – Pagg. 1434 – 1435)
Nello stesso paragrafo, nelle pagine successive, Gramsci ribadisce lo stesso concetto affermando che la filosofia della praxis non si può confondere con le altre filosofie perché è immanentistica e non speculativa come è invece la filosofia idealistica di Hegel:
4) In sede teorica la filosofia della praxis non si confonde e non si riduce a nessuna altra filosofia: essa non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, ma specialmente in quanto apre una strada completamente nuova, cioè rinnova da cima a fondo il modo di concepire la filosofia stessa. In sede di ricerca storico-biografica si studierà da quali interessi il fondatore della filosofia della prassi ha preso occasione per il suo filosofare, tenendo conto della psicologia del giovane studioso che volta per volta si lascia attrarre intellettualmente da ogni nuova corrente che studia ed esamina, e che si forma una sua individualità per questo stesso errare che crea lo spirito critico e la potenza di pensiero originale dopo avere sperimentato e messo a confronto tanti pensieri contrastanti, – quali elementi ha incorporato rendendoli omogenei al suo pensiero, ma specialmente ciò che è nuova creazione. È certo che l’hegelismo è il più importante (relativamente) dei motivi al filosofare del nostro autore, anche e specialmente perché l’hegelismo ha tentato di superare le concezioni tradizionali di idealismo e di materialismo in una nuova sintesi che ebbe certo una importanza eccezionale e rappresenta un momento storico-mondiale della ricerca filosofica. Così avviene che quando nel Saggio si dice che il termine di “immanenza” nella filosofia della praxis è impiegato in senso metaforico, non si dice proprio nulla; in realtà il termine di immanenza ha acquistato un significato peculiare che non è quello dei “panteisti”, né ha altro significato metafisico tradizionale ma è nuovo e occorre sia stabilito. Si è dimenticato in un’espressione molto comune che occorreva posare l’accento sul secondo termine “storico” e non sul primo di origine metafisica. La filosofia della praxis è lo “storicismo” assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia. In questa linea è da scavare il filone della nuova concezione del mondo. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 11 – Paragrafo 27 – Pagg. 1436 – 1437)
Gramsci, in molte pagine, cerca di dare nuova linfa al marxismo originario affermando che gli elementi di novità del marxismo devono essere il concetto di egemonia formulato da Lenin, per cui c’è sempre lotta tra egemonie, “C’è dunque sempre stata lotta tra due principii egemonici, tra due “religioni”, e occorrerà non solo descrivere l’espansione trionfale di una di esse, ma giustificarla storicamente” (Quaderno 10 – Paragrafo 13 – Pagina 1236). A questo concetto fondamentale, Gramsci aggiunge che il nuovo marxismo deve sfruttare al massimo le idee di volontà e di coscienza che sono concetti culturali nuovi per rinnovare il marxismo. Gramsci prende questi nuovi concetti dalla filosofia di Croce che aveva rivalutato l’elemento culturale nella formazione del nuovo stato. Ecco il lacerto completo in cui Gramsci mette in primo piano il concetto di egemonia e l’attività culturale del marxismo.
5) Per esempio in qualche luogo il Croce ha affermato che non sempre occorre ricercare lo “Stato” là dove lo indicherebbero le istituzioni ufficiali, perché talvolta esso potrebbe trovarsi invece nei partiti rivoluzionari: l’affermazione non è paradossale secondo la concezione Stato-egemonia-coscienza morale, perché può infatti accadere che la direzione politica e morale del paese in un determinato frangente non sia esercitata dal governo legale ma da una organizzazione “privata” e anche da un partito rivoluzionario. Ma non è difficile mostrare quanto sia arbitraria la generalizzazione che il Croce di questa osservazione di senso comune. Il problema più importante da discutere in questo paragrafo è questo: se la filosofia della praxis escluda la storia etico-politica, cioè non riconosca la realtà di un momento dell’egemonia, non dia importanza alla direzione culturale e morale e giudichi realmente come “apparenze” i fatti di superstruttura. Si può dire che non solo la filosofia della praxis non esclude la storia etico-politica, ma che anzi la fase più recente di sviluppo di essa consiste appunto nella rivendicazione del momento dell’egemonia come essenziale nella sua concezione statale e nella “valorizzazione” del fatto culturale, dell’attività culturale, di un fronte culturale come necessario accanto a quelli meramente economici e meramente politici. Il Croce ha il torto grave di non applicare alla critica della filosofia della praxis i criteri metodologici che applica allo studio di correnti filosofiche molto meno importanti e significative. Se questi criteri impiegasse potrebbe trovare che il giudizio contenuto nel termine “apparenze” per le superstrutture è niente altro che il giudizio della “storicità” di esse espresso in polemica con concezioni dogmatiche popolari e quindi con un linguaggio “metaforico” adatto al pubblico cui è destinato. La filosofia della praxis criticherà quindi come indebita e arbitraria la riduzione della storia a sola storia etico-politica, ma non escluderà questa. L’opposizione tra il crocismo e la filosofia della praxis è da ricercare nel carattere speculativo del crocismo. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 10 – Paragrafo 7 – Pagg. 1223 – 1224)
In questo lacerto Gramsci evidenzia la storicità del marxismo depurata dall’idealismo di Croce e mette in rilievo che il neo marxismo è la nuova formulazione, superiore e più comprensiva per le masse del marxismo adeguato alla funzione storica del proletariato.
Ecco il lacerto Gramsci in cui Gramsci mette in rilievo la “storicità o puro umanesimo” del marxismo.
6) La filosofia del Croce rimane una filosofia “speculativa” e in ciò non è solo una traccia di trascendenza e di teologia, ma è tutta la trascendenza e la teologia, appena liberate dalla più grossolana scorza mitologica. La stessa impossibilità in cui pare si trovi il Croce di comprendere l’assunto della filosofia della praxis (tanto da lasciare l’impressione che si tratti non di una grossolana ignoratio elenchi ma di una gherminella polemica meschina e avvocatesca) mostra come il pregiudizio speculativo lo acciechi e lo devii. La filosofia della praxis deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità o a puro umanesimo. Se il concetto di struttura viene concepito “speculativamente”, certo esso diventa un “dio ascoso”; ma appunto esso non deve essere concepito speculativamente, ma storicamente, come l’insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano, come un insieme di condizioni oggettive che possono e debbono essere studiate coi metodi della “filologia” e non della “speculazione”. Come un “certo” che sarà anche “vero”, ma che deve essere studiato prima di tutto nella sua “certezza” per essere studiato come “verità”. Non solo la filosofia della prassi è connessa all’immanentismo, ma anche alla concezione soggettiva della realtà, in quanto appunto la capovolge, spiegandola come fatto storico, come “soggettività storica di un gruppo sociale”, come fatto reale, che si presenta come fenomeno di “speculazione” filosofica ed è semplicemente un atto pratico, la forma di un contenuto concreto sociale e il modo di condurre l’insieme della società a foggiarsi una unità morale. L’affermazione che si tratti di “apparenza”, non ha nessun significato trascendente e metafisico, ma è la semplice affermazione della sua “storicità”, del suo essere “morte-vita”, del suo rendersi caduca perché una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, più comprensiva, superiore, che si pone come sola “vita”, come sola “realtà” in confronto del passato morto e duro a morire nello stesso tempo. La filosofia della praxis è la concezione storicistica della realtà, che si è liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima incarnazione speculativa; lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologico-speculativa. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 10 – Paragrafo 8 – Pagg. 1225 – 1226).
In questo lacerto Gramsci esprime a chiare lettere i compiti che devono avere le masse subalterne nei confronti delle ideologie filosofiche e politiche della classe dominante. Gramsci afferma che le ideologie non sono mere apparenze, come affermava Croce, ma sono degli “strumenti di dominio” che la classe egemone dei governanti usa contro la classe subalterna dei governati. Gramsci afferma che fin quando la classe subalterna non prenderà coscienza delle ideologie dei governanti la sua lotta risulterà sterile e perdente. Il primo passo della classe subalterna, deve essere quindi quello di prendere coscienza delle ideologie avversarie per potere controbattere adeguatamente ad esse; inoltre le ideologie servono anche a dare obiettivi alle masse. Le ideologie alle classi subalterne servono, non per creare altre ideologie e altra egemonia, ma “hanno lo scopo fondamentale di educare sé stesse all’arte del governo e hanno lo scopo di conoscere tutte le verità anche le più sgradevoli e ad evitare gli inganni (impossibili) della classe superiore”. Ecco il lacerto completo in cui Gramsci spiega l’importanza delle ideologie di dominio delle classi dominanti e l’importanza del marxismo come teoria politica da contrapporre alla classe dominante.
7) Per la filosofia della prassi le superstrutture sono una realtà (o lo diventano, quando non sono pure elucubrazioni individuali), oggettiva ed operante; essa afferma esplicitamente che gli uomini prendono conoscenza della loro posizione sociale e quindi dei loro còmpiti sul terreno delle ideologie, ciò che non è piccola affermazione di realtà; la stessa filosofia della praxis è una superstruttura, è il terreno in cui determinati gruppi sociali prendono coscienza del proprio essere sociale, della propria forza, dei propri còmpiti, del proprio divenire. In questo senso è giusta l’affermazione dello stesso Croce (M.S.E.M., 4° ed., p. 118) che la filosofia della prassi “è storia fatta e in fieri”.
C’è però una differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche perché contraddittorie, perché dirette a conciliare interessi opposti e contraddittori; la loro “storicità” sarà breve perché la contraddizione affiora dopo ogni avvenimento di cui sono state strumento.
La filosofia della praxis invece non tende a risolvere pacificamente le contraddizioni esistenti nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni; non è lo strumento di governo di gruppi dominanti per avere il consenso ed esercitare l’egemonia su classi subalterne; è l’espressione di queste classi subalterne, che vogliono educare se stesse all’arte di governo e che hanno interesse a conoscere tutte le verità, anche le sgradevoli e ad evitare gli inganni (impossibili) della classe superiore e tanto più di se stesse. La critica delle ideologie, nella filosofia della praxis investe il complesso delle superstrutture e afferma la loro caducità rapida in quanto tendono a nascondere la realtà, cioè la lotta e la contraddizione, anche quando sono “formalmente” dialettiche (come il crocismo), cioè spiegano una dialettica speculativa e concettuale e non vedono la dialettica nello stesso divenire storico. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 10 – Paragrafo 41.XII – Pagg. 1319– 1320).
In questo lacerto Gramsci dà alcune indicazioni su come il singolo deve costruirsi la propria volontà e la propria personalità; questa costruzione di una nuova personalità deve avvenire seguendo la propria volontà e in una continua attività verso l’esterno perché non ci può essere un miglioramento interiore senza questa attività “verso la natura”. Gramsci conclude che l’uomo, in quanto trasforma l’esterno, realizza “la sua umanità, la sua natura umana”. Ecco il lacerto completo in cui Gramsci esplica e definisce l’essenza della “natura umana”.
8) La quistione è sempre la stessa: cos’è l’uomo? cos’è la natura umana? Se si definisce l’uomo come individuo, psicologicamente o speculativamente, questi problemi del progresso e del divenire sono insolubili o rimangono di mera parola. Ma se si concepisce l’uomo come insieme dei rapporti sociali, intanto appare che ogni paragone tra uomini, nel tempo, è impossibile, perché si tratta di cose diverse, se non eterogenee. D’altronde, poiché l’uomo è anche l’insieme delle sue condizioni di vita, si può misurare quantitativamente la differenza tra il passato e il presente, poiché si può misurare la misura in cui l’uomo domina la natura e il caso. La possibilità non è la realtà, ma è anch’essa una realtà: che l’uomo possa fare una cosa o non possa farla, ha la sua importanza per valutare ciò che realmente si fa. Possibilità vuol dire “libertà”. La misura della libertà entra nel concetto d’uomo. Che ci siano le possibilità obbiettive di non morire di fame, e che si muoia di fame ha la sua importanza, a quanto pare. Ma l’esistenza delle condizioni obbiettive, o possibilità o libertà non è ancora sufficiente: occorre “conoscerle” e sapersene servire. Volersene servire. L’uomo, in questo senso, è volontà concreta, cioè applicazione effettuale dell’astratto volere o impulso vitale ai mezzi concreti che tale volontà realizzano. Si crea la propria personalità: 1) dando un indirizzo determinato e concreto (“razionale”) al proprio impulso vitale o volontà; 2) identificando i mezzi che rendono tale volontà concreta e determinata e non arbitraria; 3) contribuendo a modificare l’insieme delle condizioni concrete che realizzano questa volontà nella misura dei propri limiti di potenza e nella forma più fruttuosa. L’uomo è da concepire come un blocco storico di elementi puramente individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l’individuo è in rapporto attivo. Trasformare il mondo esterno, i rapporti generali, significa potenziare sé stesso, sviluppare sé stesso. Che il “miglioramento” etico sia puramente individuale è illusione ed errore: la sintesi degli elementi costitutivi dell’individualità è “individuale”, ma essa non si realizza e sviluppa senza un’attività verso l’esterno, modificatrice dei rapporti esterni, da quelli verso la natura a quelli verso gli altri uomini in vari gradi, nelle diverse cerchie sociali in cui si vive, fino al rapporto massimo, che abbraccia tutto il genere umano. Perciò si può dire che l’uomo è essenzialmente “politico”, poiché l’attività per trasformare e dirigere coscientemente gli altri uomini realizza la sua “umanità”, la sua “natura umana”. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 10 – Paragrafo 48.II – Pagg. 1337 – 1338).
Io, Biagio Carrubba, concordo pienamente con queste pagine di Antonio Gramsci perché le reputo ancora attuali e vitali, poiché vivo in questa Italia ormai rassegnata e completamente sottomessa all’ideologia del “duo Salvini – Di Maio”, cioè della destra estrema e del qualunquismo di destra. I risultati delle ultime elezioni (4 marzo 2018), che hanno assegnato l’Italia al governo di destra, mi producono, ancora oggi, molta rabbia e frustrazione perché io credo che gli italiani debbano prendere, di nuovo, coscienza della loro indipendenza culturale ed economica, per costruire una Italia libera, democratica, moderna, rinnovata e liberarsi da questa destra, voluta dalla maggioranza degli italiani nelle ultime elezioni del marzo scorso.

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Modica, 13 novembre 2018.                                                                       Prof. Biagio Carrubba

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