PAGINE SCELTE DAI “QUADERNI DEL CARCERE” DI ANTONIO GRAMSCI.

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PAGINE SCELTE DAI “QUADERNI DEL CARCERE” DI ANTONIO GRAMSCI.

In occasione e in prossimità della ricorrenza dell’8 novembre 1926, quando A. Gramsci fu arrestato a Roma, nonostante l’immunità parlamentare, arresto che rappresenta, ancora oggi, uno dei tanti fatti, fattacci e misfatti ignominiosi perpetrato dal regime fascista e dopo, il 28 maggio del 1928, quando il detenuto A. Gramsci, subì un altro processo, alla fine del quale, il pubblico ministero Michele Isgrò affermò: “Per 20 anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”, io, B. Carrubba, a distanza di 92 anni da quel terribile e ingiusto processo, propongo e presento, con molto piacere, alcune pagine scelte del grande politico A. Gramsci, il quale a dispetto della sentenza del pubblico ministero, ha scritto la sua imperitura, grandissima, bellissima e immortale opera politica, filosofica, poetica e letteraria.

QUADERNI DEL CARCERE.

Il tema, che io, B. C., ho scelto, riguarda “Il rapporto tra intellettuali ed egemonia”, sviluppato da A. Gramsci in diverse pagine dei “QUADERNI DEL CARCERE”.

Intellettuali ed egemonia.

Io, Biagio Carrubba, presento alcune pagine di Antonio Gramsci scelte da “Quaderni del carcere” che condivido e apprezzo e che ritengo ancora valide ed attuali per l’attuale società post-moderna e globalizzata. Queste pagine di Antonio Gramsci rispondono all’analisi e alla spiegazione che fa Gramsci sulla funzione e sul ruolo degli intellettuali e sul rapporto tra gli intellettuali-gruppi sociali-egemonia-democrazia. Gramsci nei suoi quaderni ha sviluppato in modo razionale e concreto le sue riflessioni sugli intellettuali e sul concetto di egemonia partendo dai presupposti teorici e filosofici di Karl Marx, di Lenin ma anche di Piero Gobetti e di Benedetto Croce. Ovviamente Gramsci ha ri-trascritto e ri-formulato tutte le sue analisi teoriche in modo nuovo adattandole alla società e alla tradizione italiana del suo tempo. Le pagine sugli intellettuali e sull’egemonia sono molte e dislocate in moltissimi quaderni per cui occorre un lavoro di selezione e di interpretazione di esse per ordinarle e sistemarle in un ragionamento logico e funzionale alla società italiana di allora e di oggi. In sintesi Gramsci dice che ogni gruppo sociale crea al proprio interno il proprio gruppo di intellettuali che ha lo scopo di dare coscienza, consapevolezza, omogeneità e funzionalità al gruppo sociale che li ha creati, che li mantiene, li sorregge e li paga. Gramsci definisce questi intellettuali “intellettuali organici”, cioè funzionali allo sviluppo progressivo della classe che li crea. A questo punto Gramsci differenzia gli “intellettuali organici” dagli intellettuali tradizionali che sono tutti gli intellettuali che si credono un gruppo a parte e quindi si auto pongono come indipendenti e liberi dal gruppo sociale che li ha creati. Gramsci ritiene che la più tipica categoria di intellettuali indipendenti ed autonomi è stata storicamente quella degli intellettuali ecclesiastici che si credono indipendenti dai gruppi sociali che li hanno creati e che li mantengono anche se in effetti non sono indipendenti perché dipendono dal gruppo sociale che li ha creati. In tutti i casi entrambe le categorie di intellettuali hanno il compito importante di elaborare l’egemonia del proprio gruppo sociale cioè di creare e sviluppare le cognizioni sociali, intellettuali e finali per la classe per cui lavorano. Gramsci definisce egemonia il ruolo degli intellettuali che, con il loro lavoro intellettuale e morale, danno al gruppo di appartenenza l’egemonia della classe dominante verso tutti i gruppi subalterni. Gramsci fa capire che l’egemonia, che definisce “direzione intellettuale e morale”, è un’azione positiva della classe dominante perché praticamente in quel momento quella classe è quella progressiva che trascina tutte le altre classi verso un aumento di civiltà e di produzione; così come la borghesia ha imposto l’egemonia al mondo feudale e ha trasformato la società in senso capitalistico, così, secondo Gramsci, ora il proletariato deve sviluppare la propria egemonia prima verso gli altri gruppi subalterni e poi, una volta alleato con questi, deve sostituire la propria egemonia a quella capitalistica borghese così come la filosofia della prassi deve imporsi a quella di Croce. A questo punto Gramsci fa una importante differenza tra egemonia e dominio; l’egemonia è la direzione politica, culturale ma anche estetica ed artistica elaborata dagli intellettuali per favorire lo sviluppo della classe dominante sulle altre classi subalterne; il dominio è invece l’imposizione e l’idea dei gruppi dominanti, attraverso l’egemonia diretta elaborata dai propri intellettuali organici, su tutti i gruppi subalterni imponendo loro il dominio, delle idee della classe dominante, in modo ferreo e costrittivo; il dominio quindi anziché essere motore di sviluppo diventa un freno allo sviluppo di tutta la società. Quindi ogni gruppo sociale tende, oltre che a crearsi e mantenere al proprio interno i propri intellettuali organici, a conquistare e a portare dalla sua parte, nel suo gruppo dirigente, quanti più intellettuali possibile, organici e tradizionali, affinché lavorino per il gruppo dominante facendo quindi piazza pulita e togliendo energie intellettuali alle classi subordinate che si vedono ridurre le proprie aspirazioni e le proprie libertà dal dominio imposto dal gruppo dominante. Io, Biagio Carrubba, credo che questi rapporti di forza tra intellettuali, gruppo dominante, egemonia e dominio, così illustrati da Antonio Gramsci, possano spiegare, oggi, anche la vittoria elettorale del connubio Salvini – Di Maio nelle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018; infatti credo che se oggi si facesse una breve ricerca sugli intellettuali italiani, il risultato più probabile sarebbe questo: l’80% di essi lavora per il centro-destra e il rimanente 20% per il centro-sinistra. Il lavoro di questo 80% di intellettuali, intesi in senso ampio, di destra, ha portato, giorno per giorno, in questi trenta anni in Italia, quasi tutti gli italiani ad introiettare e a fare loro i valori etici, culturali e filosofici della destra inoculati loro da questi intellettuali, ognuno nel suo campo. Un certo imprenditore milanese, per primo, aveva capito già trent’anni fa che se voleva vincere le elezioni doveva bombardare gli italiani con le sue idee e ha fatto questo creando le televisioni Mediaset che oggi sono diventate tre. Ma per fare questo dovette allearsi con Bettino Craxi che, con la sua potente azione politica, lo fece entrare nel mondo politico permettendogli di ottenere le frequenze per potere trasmettere con le sue televisioni private e arrivare quindi nelle case degli italiani dove tutti i suoi intellettuali sono stati capaci di convincere gli italiani ad abbandonare le loro convinzioni politiche di sinistra e democratiche e sostituirle con i suoi valori di destra. Da allora ad oggi Berlusconi, ovviamente, ha fatto molta strada e con i suoi potenti mezzi finanziari è riuscito a portare dalla sua parte moltissimi intellettuali del mondo accademico, politico, televisivo, editoriale e letterario che oggi lavorano per lui e che ormai da anni gli permettono di vincere le elezioni lasciando in surplace gli avversari; questo accade perché ormai da anni tutti gli intellettuali di destra, nascosti ed apparenti, famosi e non, hanno inoculato le idee di destra a moltissimi italiani che votano supinamente e passivamente Berlusconi. Molti di questi intellettuali vogliono apparire indipendenti da Berlusconi ma in effetti, direttamente o indirettamente, sono retribuiti da lui, che quindi li condiziona, e tramite loro, impone la sua egemonia. Ma gli intellettuali hanno stipulato con la classe dominante normali contratti economici ed ecco come Gramsci spiega il rapporto tra classe dominante e intellettuali: “Si rivela qui la verità di un criterio di ricerca storico-politico: non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma ogni classe ha i suoi intellettuali; però gli intellettuali della classe storicamente progressiva esercitano un tale potere di attrazione, che finiscono, in ultima analisi, col subordinarsi gli intellettuali delle altre classi e col creare l’ambiente di una solidarietà di tutti gli intellettuali con legami di carattere psicologico (vanità ecc.) e spesso di casta (tecnico-giuridici, corporativi).” (da Quaderni del Carcere – Edizione Einaudi – A cura di Valentino Gerratana – Quaderno 1 – Paragrafo 44 – Pagina 42).

II

Praticamente, dal 2010 ad oggi si è capovolto il rapporto tra intellettuali e popolo; oggi abbiamo l’80% degli intellettuali di destra e il rimante 20% di sinistra mentre dal 1950 al 1980 i rapporti erano opposti con l’80% degli intellettuali di sinistra e il 20% di destra. Il quarantennio dal ’50 all’80 è stato il bellissimo periodo in cui hanno egemonizzato la cultura registi come Pasolini, Monicelli, Dino Risi, Michelangelo Antonioni e tanti altri, attori come Totò, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Manfredi, Gassmann e tantissimi altri che hanno dato lustro alla cultura di sinistra e democratica all’Italia e in tutto il mondo; in quel periodo gli intellettuali di destra se ne stavano nascosti perché in minoranza e provavano quasi vergogna a farsi vedere. Oggi tutto questo è stato ribaltato soprattutto con l’opera sovversiva del duo Salvini – Di Maio, i quali attraendo a sé moltissimi intellettuali, e tanti altri che sono saltati sul suo carro vittorioso, oggi dominano con questi nuovi intellettuali in modo spietato e inesorabile. Esempio classico recente della vittoria della destra sono state le elezioni in Sicilia che ha riconfermato la fiducia alla Lega di Salvini e al Movimento 5 stelle di Di Maio, grazie agli intellettuali di destra che confermano il predominio di Salvini e Di Maio e della destra in generale, compreso Berlusconi e la Meloni, confermando la netta diminuzione dei partiti di sinistra, in primo luogo del PD di Gentiloni e di Renzi. I più noti intellettuali di destra di oggi sono: Vittorio Sgarbi, Alessandro Sallusti, Maurizio Belpietro, Nicola Porro, Vittorio Feltri, Mario Giordano, Augusto Minzolini e tanti altri che hanno molta popolarità tra le masse popolari mentre non si può dire lo stesso di intellettuali di sinistra come Gianni Vattimo, Massimo Cacciari, Massimo Giannini e Vittorio Zucconi, che pur facendo parte della cultura di sinistra, non hanno nessuna visibilità e popolarità, e quindi nessuna influenza tra le masse; questo rende evidente lo scollamento tra gli intellettuali di sinistra e il popolo italiano; questo scollamento spiega anche, in parte, la sconfitta elettorale, della sinistra, del marzo 2018. Molti altri giornalisti e conduttori, che non sono schierati politicamente, sono: Lilli Gruber, Paolo Mieli e tanti altri che ogni sera discutono di politica ed orientano, in un senso o nell’altro, la maggioranza degli italiani. Gramsci aveva capito tutto questo già ottant’anni fa, negli anni ’20/’30 e aveva scritto le sue analisi, previsioni e profezie in moltissime pagine dei suoi “Quaderni del carcere” dove appunto lui, con una grande lucidità culturale e razionale, ha scritto queste analisi sugli intellettuali che oggi purtroppo scontiamo sulla nostra pelle perché si sono dimostrate realistiche.

III

Gramsci capendo la differenza tra dominio diretto ed egemonia ha spiegato bene la differenza tra un gruppo dominante “dominatore” e un gruppo subalterno “egemone”; il gruppo dominante “dominatore” in questo momento è rappresentato dal duo Salvini – Di Maio, che tenta di “dominare” tutti gli altri gruppi subalterni. In questo dominio del duo Salvini – Di Maio, non bisogna sottovalutare il ruolo del poderoso esercito di conduttori, giornalisti, politici, tecnici televisivi, attori, registi, quindi di tutti coloro che svolgono attività intellettuali per Berlusconi, Di Maio e Salvini. Infatti i mass media, pubbliche e privati, ogni giorno bombardano tutti gli italiani con servizi ed articoli asfissianti che attraggono tutti gli italiani verso la cultura di destra con la conseguenza della vittoria di Berlusconi, della Lega e del Movimento 5 stelle nelle elezioni degli ultimi anni. Ecco come Gramsci ha espresso il rapporto tra gruppi “dominanti” e gruppi “dominati”: “Il criterio storico-politico su cui bisogna fondare le proprie ricerche è questo: che una classe è dominante in due modi, è cioè “dirigente” e “dominante”. È dirigente delle classi alleate, e dominante delle classi avversarie…” (da Quaderni del Carcere – Edizione Einaudi – A cura di Valentino Gerratana – Quaderno 1 – Paragrafo 44 – Pagina 41). È evidente che la destra estrema di Salvini e quella moderata di Berlusconi tentino di passare dall’”egemonia” al “dominio diretto” e di questo maggiore potere sono esempio gli ultimi decreti legge approvati dal governo, come quello “salva-premier”, con i quali Berlusconi vuole stroncare l’opposizione del PD. Oltre alle capacità comunicative del duo Salvini e Di Maio e dei gruppi di intellettuali che lavorano per loro, si è purtroppo verificato che, nel nord, molti gruppi subordinati, per reagire alla paura derivante da una insicurezza generale, ingigantita ad arte dalle televisioni private e statali, ha trovato terreno fertile in moltissime persone che hanno manifestato paura e incertezza verso questo clima di tensione contro di loro e quindi lo hanno votato quasi che cercassero un padre “padreternale” che li rassicurasse da questa paura del nuovo, del nemico, dello straniero, rappresentato da milioni di extra comunitari che ogni giorno arrivano in Italia da ogni parte del mondo.

IV

Io, Biagio Carrubba, di fronte a questa legislatura iniziata da poco e allo strapotere della destra, non posso fare altro che concordare con altre pagine di Antonio Gramsci nelle quali il pensatore comunista descrive i rapporti di forza tra le classi dominanti e i gruppi subalterni; in sostanza Gramsci dice che quando c’è un gioco equilibrato tra classe dominante e gruppi subalterni si realizza una democrazia normale perché il gioco dei partiti è aperto e quindi non c’è un partito che domina ma ce ne è uno che impone la sua egemonia a tutti gli altri subordinati; ciò significa che storicamente il gruppo sociale dominante in quel momento è il gruppo più progressivo ed innovativo e quindi tutti i gruppi subordinati lo accettano, volente o nolente; comunque in questo caso l’egemonia del gruppo dominante è positiva perché porta innovazione e aumenta la civiltà in tutte le classi subordinate. Io, Biagio Carrubba, traendo spunto dalla grande quantità di ragionamenti politici, filosofici, culturali scritti da Antonio Gramsci, propongo una mia piccola tesi su come potrebbe essere una società “democratica, responsabile, matura e anche creativa”. Io credo che, in una società altamente capitalistica e complessa, come l’Italia inserita nell’economia globalizzata di tutto il mondo, una democrazia per diventare “responsabile, matura e creativa” abbia bisogno della presenza di un gruppo dominante che governi e diriga, e quindi il gruppo è egemone ma non dominante, che deve essere collaborato da tutti gli altri gruppi, non subordinati ma paritari e diversi dal gruppo egemone, in un gioco aperto tra il gruppo egemone, e governativo, e tutti gli altri gruppi sociali in un rapporto aperto, paritario, concorrente, creativo in cui ogni gruppo paritario dovrebbe essere propositivo e propulsivo verso tutti gli altri gruppi sociali paritari ed egemoni. In questo modello di democrazia “responsabile, matura e creativa” ogni individuo è libero all’interno del proprio gruppo, dominante o paritario; in questo senso responsabile vuol dire cittadino con diritti e doveri che deve essere un individuo libero nelle sue azioni, nei suoi pensieri e nelle sue scelte; maturo cioè consapevole delle responsabilità sue verso gli altri, socievole e pronto ad aiutare gli altri; creativo nel senso che deve esserlo nel suo lavoro dove deve avere il massimo di gratificazione; la creatività sarà a sua volta immediatamente diffusa alla collettività. Queste stesse caratteristiche, “responsabilità, maturità e creatività”, devono essere anche importanti e fondamentali per ogni classe sociale, egemone e paritaria, in cui ogni gruppo sociale deve essere per gli altri responsabile perché deve cooperare ed essere solidale con gli altri gruppi; maturo nel senso che deve essere disponibile a collaborare con gli altri e creativo nel senso che la funzione e i risultati del lavoro che svolge, come gruppo completo, devono essere funzionale a tutti gli altri gruppi sociali. Questa tipo di democrazia certamente non esiste in Italia ma credo si avvicini al modello delle democrazie popolari dei paesi scandinavi come Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia; noi come italiani dobbiamo lavorare per avvicinarci sempre più a questo modello di democrazia. Invece in Italia, la nostra democrazia, è immatura, conflittuale, diseguale, mediocre, bloccata, grezza, costruita sui sotterfugi, sugli intrighi, sulle differenze economiche e civili e sulle sperequazioni sociali.

V

Elenco delle pagine complete, sotto esposte, dei “Quaderni del carcere” dove Gramsci sviluppa gli argomenti suesposti: In questa pagina Gramsci spiega il nesso tra gruppi sociali e gruppi degli intellettuali che definisce “i commessi” del gruppo sociale a cui appartengono. “Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto finora il processo storico reale di formazione delle diverse categorie intellettuali.
Le più importanti di queste forme sono due:
1) Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico: l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto, ecc. ecc. Occorre notare il fatto che l’imprenditore rappresenta una elaborazione sociale superiore, già caratterizzata da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè intellettuale): egli deve avere una carta capacità tecnica, oltre che nella sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, anche in altre sfere, almeno in quelle più vicine alla produzione economica (deve essere un organizzatore di masse d’uomini, deve essere un organizzatore della “fiducia” dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce ecc.). Se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi, fino all’organismo statale, per la necessità di creare le condizioni più favorevoli all’espansione della propria classe; o deve possedere per lo meno la capacità di scegliere i “commessi” (impiegati specializzati) cui affidare questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni all’azienda, Si può osservare che gli intellettuali “organici” che ogni nuova classe crea con se stessa ed elabora nel suo sviluppo progressivo, sono per lo più “specializzazioni” di aspetti parziali dell’attività primitiva del tipo sociale nuovo che la nuova classe ha messo in luce”.
(da “Quaderni del carcere” Quaderno 12 (Paragrafo) 1 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagine 1513 – 1514).
In questa pagina, sotto esposta, Gramsci spiega come il compito fondamentale degli intellettuali sia quello di attirare il consenso delle masse subordinate, consenso alla classe dominante che deriva dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione. “Il rapporto tra gli intellettuali e il mondo della produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma è “mediato”, in diverso grado, da tutto il tessuto sociale, dal complesso delle superstrutture, di cui appunto gli intellettuali sono i “funzionari”. Si potrebbe misurare l’“organicità” dei diversi strati intellettuali, la loro più o meno stretta connessione con un gruppo sociale fondamentale, fissando una gradazione delle funzioni e delle soprastrutture dal basso in alto (dalla base strutturale in su). Si possono, per ora, fissare due grandi “piani” superstrutturali, quello che si può chiamare della “società civile”, cioè dell’insieme di organismi volgarmente detti “privati” e quello della “società politica o Stato” e che corrispondono alla funzione di “egemonia” che il gruppo dominante esercita in tutta la società e a quello di “dominio diretto” o di comando che si esprime nello Stato e nel governo “giuridico”. Queste funzioni sono precisamente organizzative e connettive. Gli intellettuali sono i “commessi” del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso “spontaneo” dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce “storicamente” dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione; 2) dell’apparato di coercizione statale che assicura “legalmente” la disciplina di quei gruppi che non “consentono” né attivamente né passivamente, ma è costituito per tutta la società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella direzione in cui il consenso spontaneo vien meno. Questa impostazione del problema dà come risultato un’estensione molto grande del concetto di intellettuale, ma solo così è possibile giungere a una approssimazione concreta della realtà”. (da “Quaderni del carcere” Quaderno 12 (Paragrafo) 1 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagine 1518 – 1519).
In queste pagine, sotto esposte, Gramsci spiega il nesso tra intellettuali tradizionali e il nuovo tipo di intellettuale che secondo Gramsci non deve più consistere nell’eloquenza ma nel diventare attivo nella vita pratica, conoscitore del mondo del lavoro e avvicinarsi alla politica; il nuovo intellettuale adesso acquista la sua vera nuova dimensione politica che lo trasforma da un intellettuale che lavora per le classi dominanti, quindi regressivo, a un intellettuale che lavora per le classi subordinate, quindi progressivo. “Quando si distingue tra intellettuali e non-intellettuali in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica professionale, se nell’elaborazione intellettuale o nello sforzo muscolare-nervoso. Ciò significa che se si può parlare di intellettuali, non si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono. Ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale. Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare. Il problema della creazione di un nuovo ceto intellettuale consiste pertanto nell’elaborare criticamente l’attività intellettuale che in ognuno esiste in un certo grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo muscolare-nervoso verso un nuovo equilibrio e ottenendo che lo stesso sforzo muscolare-nervoso, in quanto elemento di un’attività pratica generale, che innova perpetuamente il mondo fisico e sociale, diventi il fondamento di una nuova e integrale concezione del mondo. Il tipo tradizionale e volgarizzato dell’intellettuale è dato dal letterato, dal filosofo, dall’artista. Perciò i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i “veri” intellettuali. Nel mondo moderno l’educazione tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Se questa base ha lavorato l’“Ordine Nuovo” settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per determinare i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni del suo successo, perché una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo delle forme reali di vita. Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, “persuasore permanentemente” perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane “specialista” e non si diventa “dirigente” (specialista + politico)”. (da “Quaderni del carcere” Quaderno 12 (Paragrafo) 3 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagine 1550 – 1551).
In queste pagine, sotto esposte, Gramsci spiega la differenza tra il gruppo sociale dominante e il gruppo dominato e inoltre definisce anche il concetto di egemonia come “direzione intellettuale e morale” di una classe sulle altre. In questo senso si può accettare una classe egemone ma non si può accettare la classe che vuole dominare sulle altre. “Il criterio metodologico su cui occorre fondare il proprio esame è questo: che la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come “dominio” e come “direzione intellettuale e morale”. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a “liquidare” o a sottomettere anche con la forza armata ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche “dirigente”. (da “Quaderni del carcere” Quaderno 19 (Paragrafo) 24 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagine 2010 – 2011).
In questa pagina, sotto esposta, Gramsci spiega come durante il Risorgimento i moderati rappresentavano la classe egemone mentre il Partito d’Azione quella dominata; gli intellettuali dei moderati erano omogenei ed organizzati e la classe dei moderati rappresentava la classe progressiva. “I moderati erano intellettuali “condensati” già naturalmente dall’organicità dei loro rapporti con i gruppi sociali di cui erano l’espressione (per tutta una serie di essi si realizzava l’identità di rappresentato e rappresentante, cioè i moderati erano un’avanguardia reale, organica delle classi alte, perché essi stessi appartenevano economicamente alle classi alte: erano intellettuali e organizzatori politici e insieme capi d’azienda, grandi agricoltori o amministratori di tenute, imprenditori commerciali e industriali, ecc.). Data questa condensazione o concentrazione organica, i moderati esercitavano una potente attrazione, in modo “spontaneo”, su tutta la massa d’intellettuali d’ogni grado esistenti nella penisola allo stato “diffuso”, “molecolare”, per le necessità, sia pure elementarmente soddisfatte, della istruzione e dell’amministrazione. Si rileva qui la consistenza metodologica di un criterio di ricerca storico-politica: non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma ogni gruppo sociale ha un proprio ceto di intellettuali o tende a formarselo; però gli intellettuali della classe storicamente (e realisticamente) progressiva, nelle condizioni date, esercitano un tale potere d’attrazione che finiscono, in ultima analisi, col subordinarsi gli intellettuali degli altri gruppi sociali e quindi col creare un sistema di solidarietà fra tutti gli intellettuali con legami di ordine psicologico (vanità ecc.) e spesso di casta (tecnico-giuridici, corporativi, ecc.)- Questo fatto si verifica “spontaneamente” nei periodi storici in cui il gruppo sociale dato è realmente progressivo, cioè fa avanzare realmente l’intera società, soddisfacendo non solo alle sue esigenze esistenziali, ma ampliando continuamente i propri quadri per la continua presa di possesso di nuove sfere di attività economico-produttiva. Appena il gruppo sociale dominante ha esaurito la sua funzione, il blocco ideologico tende a sgretolarsi e allora alla “spontaneità” può sostituirsi la “costrizione” in forme sempre meno larvate e indirette, fino alle misure vere e proprie di polizia e ai colpi di Stato”. (da “Quaderni del carcere” Quaderno 19 (Paragrafo) 24 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagina 2012). In questa pagina, sotto esposta, Gramsci spiega come le classi subalterne rimangono sempre disgregate e subiscono sempre le iniziative dei gruppi dominanti; i gruppi subalterni riusciranno ad ottenere la propria unità soltanto quando riusciranno a vincere la classe dominante. “La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria “permanente” spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata (questa verità si può dimostrare con la storia della Rivoluzione francese fino al 1830 almeno). Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere”.
(da “Quaderni del carcere” Quaderno 25 (Paragrafo) 2 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagine 2283 – 2284).
In questa pagina, sotto esposta, importantissima Gramsci spiega che la classe subalterna riuscirà a liberarsi della classe dominante soltanto quando riuscirà a conquistare il governo dello Stato, con libere elezioni, e a proporre la propria cultura democratica e quindi ad imporre la propria egemonia. Nel nostro caso ciò avverrà quando il PD vincerà le elezioni e quindi andrà ad occupare la maggioranza del Parlamento e a proporre le sue soluzioni politiche e legislative imponendo la sua egemonia alla destra in generale e al duo Salvini – Di Maio. “L’unità storica delle classi dirigenti avviene nello Stato e la storia di esse è essenzialmente la storia degli Stati e dei gruppi di Stati. Ma non bisogna credere che tale unità sia puramente giuridica e politica, sebbene anche questa forma di unità abbia la sua importanza e non solamente formale: l’unità storica fondamentale, per la sua concretezza, è il risultato dei rapporti organici tra Stato o società politica e “società civile”. Le classi subalterne, per definizione, non sono unificate e non possono unificarsi finché non possono diventare “Stato”: la loro storia, pertanto, è intrecciata a quella della società civile, è una funzione “disgregata” e discontinua della storia della società civile e, per questo tramite, della storia degli Stati o gruppi di Stati. Bisogna pertanto studiare: 1) il formarsi obbiettivo dei gruppi sociali subalterni, per lo sviluppo e i rivolgimenti che si verificano nel mondo della produzione economica, la loro diffusione quantitativa e la loro origine da gruppi sociali preesistenti, di cui conservano per un certo tempo la mentalità, l’ideologia e i fini; 2) il loro aderire attivamente o passivamente alle formazioni politiche dominanti, i tentativi di influire sui programmi di queste formazioni per imporre rivendicazioni proprie e le conseguenze che tali tentativi hanno nel determinare processi di decomposizione e di rinnovamento o di neoformazione; 3) la nascita di partiti nuovi dei gruppi dominanti per mantenere il consenso e il controllo dei gruppi subalterni; 4) le formazioni proprie dei gruppi subalterni per rivendicazioni di carattere ristretto e parziale; 5) le nuove formazioni che affermano l’autonomia dei gruppi subalterni ma nei vecchi quadri; 6) le formazioni che affermano l’autonomia integrale ecc.”. (da “Quaderni del carcere” Quaderno 25 (Paragrafo) 5 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagine 2287 – 2288).
In questa pagina, sotto esposta, Gramsci spiega come ogni intellettuale reagisce in modo diverso verso la classe sociale di appartenenza; c’è chi si mostra servile, chi indipendente, chi si nasconde, chi è fiero di appartenere alla sua classe ma tutti insieme lavorano per attirare il consenso delle classi subordinate e per imporre loro l’egemonia della classe dominante. “Altrettanto graduata è l’indipendenza relativa dei rispettivi ceti intellettuali, naturalmente in senso inverso a quello dei proprietari. (Per intellettuali occorre intendere non solo quei ceti comunemente intesi con questa denominazione, ma in generale tutto lo strato sociale che esercita funzioni organizzative in senso lato, sia nel campo della produzione, sia in quello della cultura, e in quello politico-amministrativo: corrispondono ai sotto-ufficiali e ufficiali subalterni nell’esercito e anche in parte agli ufficiali superiori di origine subalterna). Per analizzare la funzione politico-sociale degli intellettuali occorre ricercare ed esaminare il loro atteggiamento psicologico verso le classi fondamentali che essi mettono a contatto nei diversi campi: hanno un atteggiamento “paternalistico” verso le classi strumentali? o credono di esserne una espressione organica? hanno un atteggiamento “servile” verso le classi dirigenti o si credono essi stessi dirigenti, parte integrante delle classi dirigenti?”
(da “Quaderni del carcere” Quaderno 19 (Paragrafo) 26 – edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Pagina 2041).

Finale.

Io, Biagio Carrubba, quando guardo la televisione, pubblica o privata, mi rendo conto del variegato comportamento di molti intellettuali, conduttori, giornalisti e lavoratori di esse. Io, Biagio Carrubba, osservo che questa classe media e gli intellettuali di destra assumono un atteggiamento ognuno diverso fra di loro e diverso verso la classe dominante e la classe dominata. C’è chi si mostra servile, chi indipendente, chi si nasconde, chi è fiero di lavorare per la classe dominante e per il proprio padre-padrone.

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Modica, 10 novembre 2018.                                                           Prof. Biagio Carrubba

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