In occasione del ventennale dell’uscita del libro di poesie CANZONIERE DELLA MORTE e in omaggio al suo autore e poeta Salvatore Toma.

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In occasione del ventennale dell’uscita del libro di poesie CANZONIERE DELLA MORTE e in omaggio al suo autore e poeta Salvatore Toma.

Introduzione.

Io, Biagio Carrubba, in occasione del ventennale dell’uscita del bel libro di poesie CANZONIERE DELLA MORTE e in omaggio al suo autore e poeta Salvatore Toma (nato a Maglie nel 1951, morto nel 1987 a solo 35 anni), ho il grande privilegio e l’intenso ed emozionante piacere di ripubblicare la recensione che feci allora quando lessi per la prima volta il volume di poesie pubblicato nella collana bianca dell’Einaudi nel febbraio 1999. Aggiungo, semplicemente, qualche piccola integrazione e altre poesie prese dallo stesso libro. Inoltre, riporto la mia poesia che è citata nella recensione ma che allora non fu pubblicata.

Io e Salvatore Toma.

Questo “Canzoniere della Morte” di Salvatore Toma (Einaudi editore numero 277 del 1999 a cura di Maria Corti), è stato davvero una piacevole sorpresa per me, perché di questo autore sconoscevo tutto. Mi sono piaciute molte delle poesie che ho letto con avidità e con piacere di tutta la raccolta poetica. Le poesie più belle, comunque, sono: “Lasciatelo in pace. / Dio è mio / e non è quello che dite, pieno di croci e di spine…” (3a Poesia, pag. 9); “Io e la morte” (7a Poesia, pagg. 13 – 14); ” Nessuno se lo sarebbe immaginato;/ come lo si poteva sospettare?” (9a Poesia pag. 16); “La canzone di chi parte” (21a Poesia, pag. 28); “Un giorno/ sarò albero e radice/ sarò terra contesa…” (23a Poesia, pag. 30); la bellissima “Colonna sonora” (32a Poesia, pag. 39); “Ultima lettera di un suicida modello” (34a Poesia, pag. 41). Riporto anche alcune poesie della sezione “Bestiario salentino” e la poesia “Non ci credo è un sogno, / un sogno/…”. (59a Poesia, pag. 79). La lettura di queste poesie mi ha fatto ricordare che anch’io negli anni ’70 scrivevo poesie sullo stesso tema e con le stesse caratteristiche formali, ed anch’io ero un pensatore e un poeta solitario come lui. Io scrissi allora molte poesie sulla morte percepita in modo molto simile a quello che viene fuori dal “Canzoniere della Morte” di S. Toma. Ho la vaga impressione di aver letto queste poesie, anche se mi pare di non averle mai lette coscientemente, forse erano e sono nel mio subconscio. Questo fatto credo sia dovuto, forse, al fatto che avevamo come denominatore comune il nostro sentire, benché molte diversità ci differenziavano. Le differenze tra di noi due riguardavano soprattutto la nostra situazione esistenziale. Dal “Canzoniere” emerge con tutta evidenza una maturità psicologica di S. Toma davvero notevole e compiuta perchè aveva una donna tutta per sé, un territorio tutto proprio, una personalità ben definita e strutturata che si consumava ora nell’alcool ora nel rinchiudersi e ritirarsi nel suo “ giardino “ privato a vivere con gli animali e contemplare la natura e come si dice nell’introduzione alla raccolta delle poesie si ritirava “nei dintorni di Maglie in un bosco di querce chiamato “delle Ciàncole” (introduzione pag. VII), dove trascorreva delle ore su un albero antico appunto di quercia, oggi segnalato da una targa col nome del poeta”. Questo “vivere tra svagato e anarchico” aveva in comune con me soltanto la seconda parte e cioè il sentire anarchico della vita. Io, invece, facevo un’altra vita del tutto differente. Intanto avevo una maturità tutta raccolta e rivolta verso il conseguimento della laurea in filosofia, cercando di spendere in modo parsimonioso i pochi soldi che mio padre mi poteva dare per mantenermi all’università. Ero terribilmente solo, anche se vivevo qualche piccola e tormentata relazione sentimentale. La mia più forte dimensione era la prospettiva anarchica, tant’è che ero l’unico anarchico pubblico di Scicli (1977-1982), divenendo per questo motivo molto noto tra tutti gli intellettuali e i politici del paese. Non bevevo assolutamente, cosa che continuo a fare ancora oggi. Non avevo una personalità compiuta, cosa che si è prolungata fino ad oggi. Ma certamente ci accomunava con Toma sia l’essere soli ed appartatati che il sentire anarchico della vita e della morte. Appunto su questi temi scrivevo anch’io e, per fortuna, ancora di quel periodo mi resta la mia bella poesia “Da quando cerco il senso della vita”.
Essa è l’unica che mi è rimasta perché piacque molto a Carmela, con la quale decidemmo di stamparla insieme ad un’altra, incorniciarle e appenderle nella nostra camera da letto. In questo modo essa si è salvata dal macero a cui io mandai tutte quelle poesie di allora. L’altra poesia riguardava la mia storia d’amore con Carmela, la quale mi ha salvato dalla mia vita esistenziale universitaria solitaria di allora e mi diede anche quel senso di concretezza e di fiducia alla vita che adesso mi trovo dentro e sul quale ho costruito la mia vita attuale. Lei mi aiutò tanto sia economicamente, sia esistenzialmente, sia sessualmente, sia psicologicamente, sia culturalmente, sia politicamente, tant’è vero che nel giro di pochi anni ritornai a votare PCI e ad amare E. Berlinguer, che da allora cominciai ad apprezzare e ad amare e feci in tempo anche ad ammirare e ad addolorarmi per l’assassinio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che avvenne proprio nel settembre dell’82. Le poesie di S. Toma mi piacciono tanto per diversi motivi. Esse trattano e giocano con la morte da pari a pari; egli non ha paura della morte, anzi la morte è per lui un’amica di tutti i giorni. Il poeta si avvicina alla morte e non la sente come nemica, ma la sente come una compagna cruda e nuda, dalla quale è inutile scappare via, ma che è meglio accettare per quello che è: una dura necessità alla quale abituarsi a convivere, senza averne né paura né timore, e quasi quasi quando la morte non c’è, allora sembra che gli manchi. Purtroppo la morte non è il sonno, perché dopo il sonno uno ritorna a respirare, a vivere, a ritornare sulle proprie idee, magari a rifiutarle, magari ad abbracciarne di nuove, ma sempre avendo una volontà e una visione della realtà e del sole che da solo da il senso alla vita, mentre dalla morte non si ritorna più e non si può dire che cosa essa sia. A me piace come certe volte S. Toma parla di Dio e della sua libertà come in questi versi. “Lasciatelo in pace. Dio è mio/ e non è quello che dite, / pieno di croci e di spine/. Dio è libero, ha soffici ali e vola dappertutto, / come le fronde al vento in prateria, / come la morte sui tetti delle città.” (3a Poesia, pag. 9). Bella anche l’immagine “della fine del mondo. / Non ci sarà nessuna apocalisse/ nessuna catastrofe colossale/ né un dio decantato/ seduto a un bivio/ che con un cenno studiato della mano/ sotto lingue di fuoco/ e voragini indicibili/ manda a destra e a sinistra/ manda a destra e a sinistra/ ora i buoni ora i cattivi / come una macchina industriale.” Immagini, invece, che oggi mi frullano ancora, per la testa. Ma credo che S. Toma avesse capito tutto della vita così come riesce a descriverla brevemente, ma intensamente nella bellissima poesia: “Colonna sonora” (pag. 39).

Testo della poesia.

Vita
Continue grida
Amore
Sempre dolore
Fantasie di felicità
Capo chino e malinconia
Di tutto carenza
Fatua credenza
Assidua astinenza
Ambigua sorte
Poi, dopo tutto, morte.

Ed in quest’altra che si potrebbe dire il suo naturale seguito.

Testo della poesia.

“Non ci credo è un sogno” (pag. 79)

Non ci credo è un sogno,
un sogno
tutto che accade
non posso credere
che i vivi
siano carne
capace di tramontare.
È proprio un sogno
Tutto ciò che accade.
La vita ancora dura,
irresistibile agonia
assurda consistenza
un brutto sogno ho fatto,
irreale
ma così crudele
così vero
che tanta è la voglia
di morire.

Un’altra bellissima poesia è questa che parla di ciò che S. Toma si aspettasse di diventare dopo la sua morte: “Un giorno/ sarò albero e radice/ sarò terra contesa. / Mi vorranno i vermi/ i lombrichi le stelle/sarò cosa che cambia/chissà cosa diventerò. / Sarò fiore o montagna/ o terra da cemento/ per un buon palazzo/ eppure un giorno ero vivo/ e ho visto il mondo/ eppure un giorno ero vivo/ e ho visto il mondo.” Versi bellissimi, degni dei più grandi poeti di tutti i tempi. Anch’io spero un giorno di vivere accanto a te come un fiore, sebbene per poco tempo perché poi io voglio volare e parlare con tutti gli altri grandi pensatori e poeti e con Dio in persona. E a proposito di grandi poeti le poesie di S. Toma mi richiamano alla mente tanti nomi illustri, tra cui il Leopardi, Calderon de la Barca, C. Pavese e tanti altri che hanno parlato di morte e di vita e mi ricordo anche di un personaggio del film “L’uomo delle stelle “: un contadino che dice: “Io, delle volte, quando guardo le stelle, e parlo, ma vero c’è il mondo, non è vero che c’è il mondo, sono farfanterie.” Le poesie si rimandano l’un l’altra come in un gioco di specchi, dove la vita rimanda al sogno, che richiama il sonno e il sonno assomiglia alla morte. Ma credo che, mentre, S. Toma non riuscì a vincerla, anzi fu vinto da essa, forse per un gioco perverso di debolezza o forse per un gioco di sfida, io, per fortuna, grazie all’aiuto di Carmela, uscii fuori dalla sua idea fissa e oggi credo che, se Toma fosse ancora vivo darebbe le stesse risposte che oggi do io. Caro Salvatore Toma, se tu avessi superato quei momenti terribili che precedono il suicidio, se tu avessi vinto quella disperazione psicologica che porta al suicidio, se tu avessi vinto quella solitudine interiore che conduce dritto dritto al suicidio, se tu avessi giocato con la morte anziché prenderla sul serio, se tu fossi arrivato alla fine degli anni ’80 e se avessi visto dapprima la politica di trasparenza di M. Gorbaciov e poi la caduta del muro di Berlino, allora credo che oggi tu apprezzeresti tanto la vita, che è così tanto cara e tanto preziosa per ogni uomo. Essa è talmente breve e fugace che passa senza nemmeno accorgersene di come essa sia volata via, rapida e veloce come un volo di jet supersonico, tanto che io oggi dico che è meglio vivere magari nella più squallida miseria anziché essere decomposto dentro una bara.

Scritta il 7 aprile ’99.
Riveduta, corretta e modificata il 27 dicembre 2006

Riporto, infine, altre due bellissime poesie di S. Toma in occasione di questo ventennale, prese dalla sezione Bestiario salentino del XX secolo.

Testo della prima poesia. (Poesia n. 35, pag. 95).

Il poeta esce col sole e con la pioggia
come il lombrico d’inverno
e la cicala d’estate
canta e il suo lavoro
che non è poco è tutto qui.
D’inverno come il lombrico
sbuca nudo dalla terra
si torce al riflesso di un miraggio
insegna la favola più antica.

Testo della seconda poesia. (Poesia n. 36, pag. 46).

Io spero che un giorno
tu faccia la fine dei falchi,
belli alteri dominanti
l’azzurrità più vasta,
ma soli come mendicanti.

Finale.

Oggi, 12 marzo 2019, io, Biagio Carrubba, potrei riportare in questo posto molte tante altre poesie di Salvatore Toma, perché sono una più bella dell’altra. Consiglio di leggerle e gustarle direttamente a chi piace e ama la poesia. Io le ho rilette in questi giorni e continuano a piacermi. Riporto infine la mia prima poesia che ho scritto negli anni ’70, scritta quando ero all’Università, e che è citata nella recensione. Anche questa mia poesia mi piace tuttora.

Testo della poesia.

Da quando cerco il senso della vita.

Da quando cerco il senso della vita
Sono andato contro il senso di tutti
Contro la logica dello sfruttamento
Contro l’alienante religione
Contro i formalismi borghesi
E la bruttura dell’esercito.
E non l’ho trovato nella natura
Non l’ho trovato nella morte
E nemmeno nella vita stessa.
Non voglio neppure pensare
Al tempo nel quale lo potrei trovare
Non lo troverei neppure lì.
L’amore tanto cercato dagli uomini
Si è rivelato un nonsenso
Di fronte alla morte, a un futuro
Di materia dentro una tomba.
Ma che cos’è il senso della vita?
Per i pesci il senso della vita è l’acqua,
per gli uccelli il senso della vita ò l’aria
per me che cos’è?
Far l’amore con una donna
O bere una sorsata d’acqua, assetato,
o gustare una sigaretta?
Non vi è un senso della vita.
O, se vi è, è proprio il senso della vita,
che regola la malvagità degli uomini,
l’istinto bestiale del più forte
la pazzia che è dentro di noi nascosta,
l’esistenza di tante galassie
che appaiono senza un motivo apparente.
O il senso della vita
Sono IO stesso che me lo rappresento?

 

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Modica 12 marzo 2019                                                                                                        Prof. Biagio Carrubba

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