
Il mio giudizio critico sulla produzione poetica di Ungaretti.
Io, Biagio Carrubba, ho grande ammirazione per Giuseppe Ungaretti, ne apprezzo le poesie e giudico la sua produzione poetica molto bella e fra le più importanti del XX secolo. Non c’è dubbio che Ungaretti è stato un buon maestro di poesia da seguire e da leggere per i lettori di tutto il mondo. In Italia la sua produzione poetica è stata (ed è tuttora) un modello da seguire e da apprezzare perché indubbiamente contiene molte verità e mote riflessioni da leggere, ascoltare e su cui meditare. Il suo percorso poetico inizia nel 1915 e finisce nel 1970 e quindi copre una buona parte della storia d’Italia: dalla prima guerra mondiale all’allunaggio nel 1969, che Ungaretti vide direttamente in televisione. Il poeta visse anche gli orrori della seconda guerra mondiale, la ricostruzione economica dell’Italia degli anni ’60 e vide anche la contestazione studentesca del 1968. C’è una foto che ritrae Ungaretti, ormai vecchio e con i capelli bianchissimi durante la contestazione alla biennale di Venezia del 1968. Ma le sue esperienze fondamentali Ungaretti iniziò a farle molti anni prima; in Egitto prima, in Francia poi, in Italia in seguito, in Brasile dopo, per ritornare in Italia che era la sua vera Patria di origine e di cultura. Ungaretti ha attraversato il XX secolo non da turista ma da uomo impegnato e attivo come cittadino e come poeta, come lui stesso ha scritto nella prefazione del 1931 a “L’Allegria”: “Questo vecchio libro è un diario. L’autore non ha altra ambizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazioni del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo. Egli si è maturato uomo in mezzi ad avvenimenti straordinari ai quali non è mai stato estraneo. Senza mai negare le necessità universali della poesia, ha sempre pensato che, per lasciarsi immaginare, l’universale deve attraverso un attivo sentimento storico, accordarsi colla voce singolare del poeta” (Da Ungaretti Vita di un uomo – Tutte le poesie – Oscar Mondadori – Pagine 527 – 528). Dunque l’universale si esprime attraverso la singolare voce del poeta. Io credo giusta questa affermazione e credo che Dio ci parli attraverso la voce dei poeti. E Ungaretti è stato un grande poeta, perché di tutte le circostanze della sua vita ne ha fatto tesoro e da esse ne ha tratto ispirazione per la sua struggente e malinconica poesia. Come Omero ha tratto ispirazione dalla guerra di Troia, così Ungaretti ha tratto ispirazione dalle vicende storico politiche e da quelle sue personali. Dapprima fu la Grande Guerra del 1914-1918 a ispirargli la poesia sul dolore dei soldati che morivano nelle trincee; in questa tragico evento poetava soprattutto il dolore universale che nasce da tutte le guerre, giuste o ingiuste che siano. È impossibile dimenticare la poesia che descrive il soldato morto con i denti digrignati e con la faccia rivolta al plenilunio della luna; immagini atroci ma bellissime. Come si può dimenticare il suo amico egiziano (Moammed Sceab) che è sepolto in un camposanto di un sobborgo d’Ivry che sembra una giornata che finisce come una fiera che si sbaracca? Anche a me la vita sulla terra sembra si svolga in una giornata di una decomposta fiera, dove tutti siamo in procinto di preparare i bagagli per andare nel vero mondo, nel mondo della luce e della felicità eterna. Non si possono dimenticare i fiumi: il Serchio, il Nilo, la Senna e l’Isonzo, i fiumi più importanti della sua vita dove il poeta è cresciuto, ha conosciuto sé stesso e dove ha fatto la guerra. Non si può nemmeno dimenticare “La pietà”, la lunga preghiera che Ungaretti ha rivolto a Dio, tra mille dubbi e perplessità, e con la consapevolezza che l’uomo rimane in fondo un bestemmiatore. Ungaretti, dopo avere vissuto il terribile periodo della Grande Guerra e l’altro grande evento della sua conversione a Dio, ha vissuto un altro terribile periodo che è quello della seconda guerra mondiale. Anche da queste condizioni terribili, Ungaretti ha tratto motivo di una poesia ansiosa ed eterna, rivolgendosi a Dio, invocando l’amore e la misericordia per tutti gli uomini e chiedendo la pace dopo la seconda guerra mondiale, come scrive nella bella poesia “Mio fiume anche tu”. Ma il dolore personale non ha mai abbandonato il grande poeta: dapprima la morte del fratello e poi la morte del figlio gli hanno procurato un dolore infinito che lui ha espresso in maniera magistrale e pulita, limpida e impegnata, come esprime nella bellissima poesia “Gridasti: soffoco”. Ungaretti ha dato inizio in modo diretto alla poesia ermetica con la sua lirica vaga e indefinita, chiusa e polisemantica. Ha detto che il Nulla non esiste, ed anche io condivido ciò, perché se esistesse il Nulla non esisterebbe Dio. (Da Ungaretti Vita di un uomo – Tutte le poesie – Oscar Mondadori – Pag. 559). Il poeta ha creduto profondamente in Dio, a cui ha demandato la salvezza di tutta l’umanità. Ungaretti ha fatto sua la metafora dell’aurora come pura idea di un paradiso primigenio dove un giorno tutti vorremmo andare così come i giardini elisi nella cultura classica rappresentano un luogo perfetto, puro ed incontaminato in cui tutti vorremmo vivere una vita immortale. Ha creduto nell’amore delle donne, prima di sua moglie e poi negli amori senili, ma lo ha fatto sempre con delicatezza e con discrezione rispettando sempre questi amori. La sua poesia, nella prima fase, è stata limpida, laconica, sintetica, franta; successivamente ha riscoperto la metrica classica italiana e ha saputo esprimersi anche con l’endecasillabo classico della tradizione poetica italiana. La grandezza di Ungaretti sta nella sua capacità straordinaria di partire sempre dai fatti, dalle circostanze, il più delle volte brutte, orribili, difficili, per trarne poesia metafisica e originale, capace di penetrare nei cuori dei lettori. Ha sofferto e ha trasmesso questa sofferenza, ha amato e ha trasmesso questo amore. In una delle ultime raccolte, ha seguito le grandi scoperte della scienza e i grandi progressi della tecnologia, ma ne ha tratto motivo di pessimismo per il futuro dell’umanità, come ha scritto nel quarto frammento di “Apocalissi”: “La verità, per crescita di buio/Più a volarle vicino s’alza l’uomo, /Si va facendo la frattura fonda”. Un pessimismo che ricorda ovviamente il pessimismo leopardiano, poeta che lui amava molto. Dopo il grande dolore per la perdita della moglie tanto amata, Ungaretti ha cantato anche l’amore per una giovane poetessa brasiliana con la quale manifestava ancora tutta la sua vitalità di uomo e di poeta. Partendo dal basso, dai fatti concreti della vita di tutti i giorni, dagli eventi terribili delle guerre, Ungaretti ha elevato la sua poesia a poesia metafisica, a contatto di un mondo “dove il vivere è calma, è senza morte” (Dalla poesia Gridasti: Soffoco). Ungaretti non scrisse per 5 anni, dal 1961 al 1966. Cinque lunghi anni di silenzio poetico totale, in quella parte della vita vicina oramai agli ottant’anni. Ed ecco, nel ’66, preceduto dall’annuncio di un piccolo proverbio, una intensa stagione di poesie d’amore con l’esplosione dell’ultimo opera “Dialogo” (1966 – 1968) formata da nove composizioni e che riporta anche le “Repliche di Bruna”. Nel 1968 è a Venezia durante una manifestazione studentesca dove viene fotografo in mezzo ai giovani. “Memorabile una foto presa alla Biennale di Venezia, nel ’68: Ungaretti in tripudio tra gli striscioni, che ride deliziato tra le ragazze del Movimento. Il Poeta come senex, insomma; ma, vivaddio, anche come puer” (Da Andrea Cortellessa – Ungaretti – Einaudi Tascabili – Pag. 120).
Modica 16 aprile 2019 Prof. Biagio Carrubba
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