
Il mio giudizio conclusivo sulla produzione poetica di Brecht.
Il pensare è uno dei massimi piaceri
concessi al genere umano. Bertolt Brecht.
Citazione da Vita di Galileo
I
Io, B. C., penso e reputo che Brecht abbia voluto portare la sua rivoluzione, non solo nel teatro, ma anche nella poesia. La rivoluzione di Brecht nel teatro fu quella di tentare di cambiare il comportamento del pubblico, di renderlo critico, di non far creare nel pubblico sentimenti uguali a quelli del protagonista in scena; in modo, così, da evitare l’immedesimazione del pubblico nel protagonista teatrale, com’era nella tradizione catartica aristotelica. Brecht voleva che il pubblico del teatro fosse libero e razionale, creativo e critico, che non si immedesimasse nei protagonisti della scena teatrale. Brecht voleva che il pubblico si appassionasse ma che rimanesse, contemporaneamente, critico e capace di riflettere su ciò che avviene sul palcoscenico, così come fa il pubblico della boxe che critica e riflette su ciò che accade sul ring. Allo stesso modo la poesia di Brecht vuole fare riflettere i lettori sulla realtà sociale e politica. A distanza di molti decenni, io B. C., suppongo e stimo che la rivoluzione di Brecht non si sia realizzata perché, ancora oggi, la maggior parte del pubblico va al teatro per immedesimarsi nel protagonista positivo della commedia o della tragedia. Come il grande tentativo di Brecht nel teatro fu quello di creare un teatro marxista, allora nuovo e rivoluzionario rispetto al teatro classico, aristotelico, romantico, così nel campo poetico la grande rivoluzione del poeta è stata quella di produrre una poesia marxista rivoluzionaria rispetta alla poesia tradizionale, classica, formalistica, generica e pura. Ma io, B. C., penso e ritengo che queste due rivoluzioni siano ancora molto lontane dal produrre gli effetti sperati, perché sia il pubblico teatrale che quello poetico sono ancora attaccati al teatro tradizionale e romantico e alla poesia romantica e formalistica. Concludo dicendo che la rivoluzione brechtiana è praticamente utopica perché la gran massa del pubblico ignora sia lo straniamento teatrale che lo straniamento poetico. Io, B. C., penso e suppongo che Brecht sia stato il primo vero poeta e unico drammaturgo marxista che, con le sue idee sulla dialettica e sulle contraddizioni, con le sue poesie sul dubbio, con il suo spirito di indipendenza da tutto e da tutti e con la sua vita da esiliato, abbia dato un modello di vita esemplare e positivo a tutti coloro che hanno creduto nel marxismo. Inoltre credo che la sua vita abbia illuminato non solo i molti comunisti tedeschi coevi al nazismo ma illumini, ancora oggi, chi, come me, crede in un progresso della società in senso democratico e non più marxista, perché penso che oggi non si possa più credere in uno sviluppo della storia come aveva scritto e predetto Marx. La società odierna ha globalizzato il sistema capitalistico che non può prendere altra strada che quella di uno sviluppo democratico, ma all’interno una economia capitalistica. Pensare, credere e auspicare, oggi, alla nascita di un sistema comunista è, francamente, un’utopia. Brecht è stato un grande drammaturgo, ma anche un grande poeta marxista. Dopo il ritorno a Berlino la poesia di Brecht ha però perso, ovviamente, lo spirito di lotta politica precedente dato che ormai viveva in uno stato comunista. Questo nuovo ambiente sociale di Berlino est, sicuramente più tranquillo, sereno e consono alla vita, politica, economica e culturale di Brecht, fece sì che la sua poesia diventasse più personale, intima, elegiaca, filosofica e quotidiana. Questa nuova e ultima produzione, dal 1950 al 1956, termina con le bellissime poesie scritte nei pochi anni, prima della morte, tra cui “Piaceri” e “Quando nella bianca stanza d’ospedale della Charitè”.
Ecco il testo di “Piaceri”. (Biblioteca della Pléiade – pag. 1363).
Il primo sguardo dalla finestra il mattino
il vecchio libro ritrovato
volti entusiasti
neve, il mutare delle stagioni
il giornale
il cane
la dialettica
fare la doccia, nuotare
musica antica
scarpe comode
capire
musica moderna
scrivere, piantare
viaggiare
cantare
essere gentili.
Ecco il testo della poesia “Quando nella bianca stanza d’ospedale della Charitè”. (Biblioteca della Pléiade – pag. 1389).
Quando nella bianca stanza d’ospedale della Charitè
mi svegliai verso il mattino
e udii il merlo cantare
mi resi conto: da tempo
non avevo più paura della morte. Poiché
nulla può più mancarmi, posto
che io manchi. Ora
riuscivo a rallegrarmi di tutti
i canti di merli anche dopo di me.
II
Finale.
Non lasciar andare in rovina nessuno,
nemmeno sé stessi. A tutti, anche a sé stessi,
dare la felicità: ecco il bene. Bertolt Brecht.
Citazione da L’anima buona del Sezuan.
Io, B.C., penso e affermo che l’importanza, la fortezza e il merito dell’opera poetica e teatrale di Bertolt Brecht consistano, soprattutto, secondo me, in almeno 5 fattori, particolari ed originali, che Brecht ha saputo creare e produrre durante la sua vita di scrittore teatrale e compositore poetico.
In primo luogo, io B, C., penso e ritengo che il primo e importantissimo merito di Brecht consista nel fatto che Brecht cercò e tentò di innovare e rivoluzionare il teatro drammatico borghese in senso filosofico e marxista. Come ha scritto e confermato Frederic Ewen nella sua biografia di Bertolt Brecht a pagina 171. “La teoria epica di Brecht presuppone una teoria generale, una Weltanschauung, in questo caso il marxismo, che egli giudica fusa con i vari elementi che costituiscono il teatro: pubblico, esecutori, forma e contenuto dell’opera, allestimento scenico e musica. Sotto questi punti di vista il teatro epico di Brecht richiede non un rinnovamento dell’elemento o degli elementi più antichi, ma una totale trasformazione.” In effetti Brecht parla del teatro borghese come di teatro gastronomico, perché procura solo godimento di palato, ma non insegna niente sulla realtà sociale, e soprattutto non trasforma niente, mentre il teatro epico ha in primo luogo quello di insegnare qualcosa di nuovo al pubblico e si trasformare la realtà. Ed ecco che Brecht mostra la tabella tra il vecchio, tradizionale, aristotelico teatro e il suo nuovo teatro epico, antiromantico e antiaristotelico.
Forma drammatica del teatro. Forma epica del teatro.
1_Attiva 1_Narrativa
2_Involge lo spettatore in un’azione scenica 2_Fa dello spettatore un osservatore critico
3_Ne esaurisce l’attività 3_Ne stimola l’attività
4_Gli consente dei sentimenti 4_Lo costringe a decisioni
5_Delle emozioni 5_A una visione generale
6_Lo spettatore viene immerso in qualcosa 6_Viene posto di fronte a qualcosa
7_Suggestioni 7_Argomenti
8_Le sensazioni vengono conservate 8_Vengono spinte fino alla consapevolezza
9_Lo spettatore sta nel ben mezzo 9_Lo spettatore sta di fronte
10-L’uomo si presuppone noto 10_L’uomo è oggetto di indagine
11_L’uomo immutabile 11_L’uomo mutabile e modificatore
12_Tensione riguardo all’esito 12-Tensione riguardo all’andamento
13_Una scena serve l’altra 13_Ogni scena serve per sé
14_Crescita 14_Montaggio
15_Corso lineare degli accadimenti 15_A curve
16_Determinismo evoluzionistico 16_Salti
17_L’uomo come dato fisso 17_L’uomo come processo
18_Il pensiero determina l’esistenza 18_L’esistenza sociale determina il pensiero
19_Sentimento 19_Ratio.
Brecht continua a sviluppare la concezione del teatro funzionale alla borghesia e chiarisce quali dovrebbero le caratteristiche del teatro funzionale al proletariato. Alla fine di questa riflessione sul nuovo teatro marxista Brecht arriva alla nuova idea che differenzia il teatro epico dal teatro drammatico. Questa nuova nozione è Lo straniamento (Verfremdung).
Non è stato grazie a Marx che sei arrivato a renderti conto
Del declino del teatro. Non è stato grazie a Marx che sei arrivato
A parlare del teatro epico. Infatti, posso dirlo in tutta tranquillità,
il teatro epico sei tu, caro Brecht. Frederich Ewen, pagina 170.
Fritz Sternberg a Brecht, 1927.
Pensare, o scrivere, o rappresentare un dramma significa
anche trasformare la società, trasformare lo stato, sottoporre
le ideologie a un’attenta disamina. Frederic Ewen, pagina 170.
Brecht, 1931.
Brecht arriva a scoprire lo straniamento dopo aver analizzato il teatro tradizionale e borghese. Nel teatro borghese, drammatico e romantico, il pubblico assiste a una storia nella quale lo spettatore si immedesima con il personaggio principale o nei comprimari. Quando il protagonista soffre, anche lo spettatore, e alla fine lo spettatore subisce, secondo le indicazioni di Aristotele, la catarsi cioè la purificazione dei sentimenti emersi nella storia messa in scena. Lo spettatore ne esce liberato, ma esce confermato sul fatto che gli avvenimenti del protagonista non potevano andare altrimenti, cioè egli esce con la persuasione che tutto è già scritto prima e che nulla può essere cambiato nella realtà. Invece lo scopo primario del teatro deve essere l’esatto opposto, lo spettatore deve uscire dal teatro con la convinzione che la realtà può essere trasformata. Allora compito del teatro è quello di far nascere nello spettatore la volontà e la forza di voler cambiare la realtà. E per far questo il dramma deve creare nello spettatore l’effetto dello straniamento, cioè deve sviluppare nello spettare la capacità critica e razionale verso la realtà per poterla trasformare su nuove basi, che dovrebbero essere le basi della nuova società comunista. Come scrive, ancora una volta, Frederic Ewen, nella sua biografia di Brecht, a pagina 180, alla base della rivoluzione teatrale di Brecht ci sta un pensiero fondamentale di Marx. “Queste erano le idee in cui Brecht credeva e che determinarono il suo atteggiamento verso il teatro. Parafrasando le famose parole di Marx sulla funzione della filosofia nel nostro tempo, Brecht affermò che il teatro interessava anche i filosofi, – perlomeno quei filosofi che non cercano solo d’interpretare il mondo ma anche di cambiarlo -. D’ora in poi, l’interesse di Brecht per il teatro avrebbe avuto lo scopo non solo d’interpretare il mondo ma anche di trasformarlo.”
In secondo luogo, io, B. C., penso che il secondo merito importantissimo di B. Brecht consista nel fatto che Brecht non ha avuto paura del folle Hitler, ma, anzi, ha mostrato tutto il suo coraggio, mettendo in ridicolo e denigrando il Fuhrer, chiamandolo “Imbianchino” o “Tamburino” così come negli stessi anni ha fatto il grande regista inglese Charlie Chaplin, che nel film “Il grande dittatore” del 1940 ha ritratto e raffigurato Hitler, come un brutto fanatico e megalomane, il quale era, nello stesso tempo, feroce e massacratore dell’umanità. Io, B. C., su questo aspetto, sono concorde con quanto hanno scritto sia Klaus Volker che Frederic Ewen. Entrambi sono d’accordo e concordi nel ritenere che il maggior merito di Brecht sia stato, per l’appunto, aver ridicolizzato Hitler, presentandolo come un folle e un megalomane dittatore, che aveva il solo scopo di annientare l’umanità. Ecco dunque i lacerti dei due biografi di Brecht nei quali, per l’appunto, ognuno di loro ha messo in rilievo la forza e il coraggio di Brecht nella poesia e nel teatro, parallelo a quello di Chaplin, nel cinema. Il primo brano, che riporto, è quello di Klaus Volker che, nel suo libro, Vita di Bertolt Brecht (Einaudi editore), a pagina 289, così dipinge e raffigura Hitler. “Con l’Arturo Ui Brecht continuò lo smontaggio di grandi personaggi storici iniziato col romanzo su Cesare. Era sua intenzione demolire la concezione romantica della storia dei ceti piccolo – borghese e distruggere il rispetto per gli uccisori. Come Chaplin che in quel periodo girò il suo film “Il grande dittatore”, anche lo scrittore di drammi riteneva che un uomo lordo di sangue come Hitler potesse essere rappresentato con la satira ed esposto al ridicolo: – Il furfante in piccolo non può, ove i potenti glielo consentano, diventare un furfante in grande, acquistare rilievo non solo nella furfanteria ma anche nella nostra considerazione storica. E in generale vale il principio che la tragedia, molto più spesso della commedia, prende alla leggera le sofferenze dell’umanità” -. Lo stesso giudizio lo dà F. Ewen nel suo libro Bertolt Brecht. La vita, l’opera, i tempi. (Feltrinelli editore, a pagina 328). “In seguito alle discussioni suscitate da questo dramma (La contenibile ascesa di Arturo Ui) dopo il 1945, Brecht dimostrò di essere sensibile alle critiche che potevano essere mosse all’opera per il suo umorismo. – I grandi criminali politici – sostenne – devono essere denunziati, e soprattutto denunziati in modo da destare il riso. In realtà essi non sono affatto dei grandi criminali politici, ma i colpevoli di grandi crimini politici, cosa che è completamente diversa. Il dramma, secondo lui, doveva evitare lo spirito della parodia, e anche se molte delle sue scene erano grottesche l’elemento dell’orrore non doveva mai essere dimenticato. L’importante era ottenere una completa demolizione del – rispetto degli assassini” –. Poi Frederic Ewen, in un altro capitolo, a pagina 354, aggiunge. “Ora Brecht ritornò ancora una volta a un soggetto che lo interessava da quasi due decenni, quello del buon soldato Schweyk, e, come Charlie Chaplin nel film Il dittatore, riuscì a trasformare l’avventura nazista in un motivo di irresistibile comicità.”
In terzo luogo, io, B. C., reputo e sostengo che un altro grande e fondamentale merito e fortezza di B. Brecht siano stati la sua caparbietà, la sua capacità e la sua tenacia a continuare e ad amare la vita e le belle donne, anche nelle sue condizioni di vita precaria e di esule. Egli amò per tutta la sua vita le sue mogli, le sue collaboratrici e le sue amanti occasionali, anche se Brecht non sempre mostrò di avere un carattere forte e battagliero, come quando si trattava di scendere in campo e di prendere le armi contro il nemico. Questo aspetto della sua personalità è messo bene in chiaro da Klaus Volker quando scrive, a pagina 250: “Per Brecht era fin già troppo pericoloso un breve viaggio nella città di Madrid assediata e affamata. Egli sapeva combattere soltanto con le parole e con le idee. Che lo si dichiari pure un vile: il gusto dell’avventura di un Hemingway era sconosciuto a lui in quanto scrittore. Quando sentiva il pericolo doveva mettersi al sicuro e allora non era assolutamente il caso di pensare alla produzione letteraria. Semplicemente non riusciva a capire come si potesse abitare in un albergo di Madrid, bersaglio ogni giorno di una trentina di pallottole e intanto scrivere anche un dramma.” Brecht ha condotto, secondo me, la sua vita di esule con coraggio, con tenacia e con determinazione, ben sapendo che le contraddizioni e i problemi della vita sono enormi e innumerevoli, ma producono nuove soluzioni e nuove speranze, come afferma anche Frederic Ewen, nel suo libro sulla biografia di Brecht a pagina 393. “Dovunque, in questa vita, – scrisse Brecht – dobbiamo scoprire gli elementi di crisi, di conflitto, gli aspetti problematici, altrimenti come potremo mostrare quanto c’è in essa di creativo? Ogni volta, – affermò -, che mostriamo delle soluzioni dobbiamo indicare il problema; ogni volta che mostriamo delle vittorie dobbiamo mostrare il pericolo del fallimento e della sconfitta: perché non è facile ottenere delle vittorie.”
In quarto luogo, Brecht amò tutte le donne che incontrò, nella sua vita. Io, B. C., per questo motivo definisco Bertolt Brecht un raffinato amatore a cominciare dalla sua collaboratrice Ruth Berlau la quale in certe occasioni si dimostrò infida e infedele, come quando nel 1937 Ruth Berlau decise di andare il Spagna per sostenere la guerra civile spagnola. Ecco come Klaus Volker descrive, nella stessa pagina, la repentina decisione di Ruth Berlau. “La decisione di Ruth Berlau di volare in Spagna con Kol’cov e di imbracciare il fucile fece inorridire Brecht e lo umiliò profondamente. Non riuscì a trattenere l’amante e gli mancò il coraggio di seguirla. Egli si rifiutò di considerare rivoluzionario il comportamento di lei, l’arte della guerra che lui le aveva insegnato era concepita soltanto per una guerra in cui non si spara.” Non solo Ruth Berlau, andando in Spagna, non obbedì a Brecht, ma quando doveva rientrare in Danimarca Ruth Berlau non scese dalla nave in cui aveva viaggiato, perché durante il viaggio aveva stretto amicizia con uno svedese, con il quale continuò il viaggio perché portò il suo nuovo amico nella sua casa, cosicché quando Brecht, andò ad accogliere Ruth Berlau nel porto non la trovò. Brecht rimase deluso di questo voltafaccia di Ruth Berlau, ma qualche giorno dopo Brecht perdonò la sua amante e così, poco dopo, lei ritornò ad essere la preziosa collaboratrice e la buona amante come era sempre stata. Ecco come Klaus Volker descrive la delusione di Brecht, a pagina 250, quando non la trovò nella nave indicata. “Quando finalmente Ruth Berlau annunciò il suo arrivo con una certa nave, Brecht viaggiò oltre le isole con la sua Ford per andare a prenderla, ma non la trovò. […] E a pagina 251 scrive. “Il poeta era andato a prenderla nella casa dal tetto di paglia a Skovsbostrand. Ma la sua amica si dimostrò imprevedibile e malfida. […] In questo caso Brecht aveva effettivamente motivo di essere deluso perché Ruth Berlau era tornata con la nave in questione, solo che durante il viaggio aveva stretto amicizia con uno svedese combattente in Spagna e non aveva fatto che continuare con lui il viaggio fino a Copenaghen per poi, di là, portarlo con sé nella casa di Vallensbaek dato che le era difficile immaginarsi in Brecht che la stesse ad aspettare. All’occasione l’amata Lai-Tu contravveniva all’impegno di non avere rapporti con altri uomini visto che anche Brecht andava regolarmente a letto con altre donne.” Ma subito dopo Brecht perdonò la sua amica e collaboratrice come afferma Klaus Volker sempre nelle pagine 251-252. “Grazie al lavoro che li univa, la scarsa arrendevolezza dell’amica cadde presto nell’oblio perché Brecht sapeva: – Lai-tu mi ama. Viene da me quando è lieta e quando è triste… Ride con me della sua stoltezza ed è fiera con me della sua saggezza. E così facciamo anche per la mia stoltezza e per la mia saggezza.” Anche in America Ruth Berlau su dimostrò infedele a Brecht, come scrive Klaus Volker a pagina 320. “Ma alquanto sbigottito Brecht dovette poi costatare che evidentemente la sua amica non lo aspettava affatto con tanta urgenza. Ella aveva una relazione con un marinaio danese e, contravvenendo a tutte le promesse, non aveva più fatto uso della – cintura di castità -, una pietra che Brecht le aveva dato quando era partita proprio perché la proteggesse dalle tentazioni sessuali. Ma la piccola delusione fu presto dimenticata e i due furono di nuovo vicini come un tempo.” Insomma anche per Brecht la vita, con il suo esilio, si dimostrò, infida, imprevedibile e infedele, come, in qualche occasione, lo fu Ruth Berlau. Io, B. C., concludo affermando che, come la sua amica Ruth Berlau si dimostrò, in qualche occasione, imprevedibile, infedele e malfida, così la vita si dimostrò imprevedibile, precaria, e povera a Brecht. Ma Brecht seppe resistere alle proprie peripezie con la fuga e con l’esilio, mostrando uno sprezzo del pericolo e qualche volta facendo lo gnorri. Brecht seppe condurre, secondo me, la sua vita sempre con raziocinio e con fortezza d’animo ed ebbe, anche, la fortuna di ritornare nella sua amata patria, nella Germania Comunista dell’Est, nella Rdt, dove Brecht, instancabile e incontenibile, visse e trascorse gli ultimi 8 anni della sua vita.
In quinto luogo, io, B. C., penso e suppongo che Bertolt Brecht sia stato un grande viveur. Anche Brecht, infatti, si dimostrò un uomo imprevedibile, infedele e malfido sia nei confronti delle sue amanti ed in particolare di Ruth Berlau e soprattutto nei confronti della moglie Helene Weigel. Comunque siano andati i rapporti sessuali di Brecht con le sue collaboratrici ed amanti, io B. C., reputo che Brecht abbia voluto condurre una vita di grande viveur e di un gran signore, fino a che i suoi soldi e le sue aspirazioni e composizioni poetiche e teatrali glielo hanno permesso. Brecht fu, insomma, secondo me, un genio del teatro e della poesia, come scrive, ancora una volta, Frederic Ewen a pagina 171. “Brecht prese molto sul serio la sua teoria. Ciò che Piscator ed altri avevano già indicato, Brecht fu in grado di metterlo in pratica in virtù del suo talento proteiforme, perché era un poeta, un commediografo e un regista di prima grandezza, e, in minor grado un musicista, nonché, come ora ci proponiamo di dimostrare, un pensatore. Ma il suo pensiero abbracciò non solo quanto accadeva sul palcoscenico, ma anche quanto aveva luogo fra il pubblico e quanto avveniva nel mondo esterno al teatro.” Io, B. C., ritengo che Brecht abbia fatto della sua vita un’opera d’arte e posso dire che Brecht visse d’arte e visse d’amore. Infine penso che Brecht abbia vissuto una gran bella vita di signore, pericolosa e spericolata, fu un grande innovatore e, anche, un maestro di pensiero, ammirato e odiato da tutto il mondo. Quindi, per concludere questa disamina sull’opera poetica e teatrale di Brecht, io B. C., mi piace riportare con piacere e con gioia la breve poesia di Brecht nella quale lo scrittore di drammi immagina di ritornare nella sua patria già nel 1936. In questa poesia Brecht immagina e prefigura il suo ritorno in patria così come Ulisse aveva fatto dopo il suo lungo peregrinare in lungo e in largo nel mar Mediterraneo. Testo della poesia (volume II, pagina 815).
IL RITORNO DI ULISSE
Quello è il tetto. Il primo timore arretra.
Perché dalla casa si leva fumo, è abitata.
Sulla nave già pensavano: forse
qui soltanto la luna è immutata.
Questa poesia è incredibile perché, pur essendo stata scritta nel 1936, in Danimarca, preannuncia le poesie scritte a Buckow nel 1953. Brecht immagina già nel 1936 che come Ulisse fece ritorno ad Itaca, dopo il lungo peregrinare nel mar Mediterraneo, così Brecht immagina e prefigura a sé stesso il suo ritorno in Germania e nella sua casa natale dopo il suo lungo girovagare dall’Europa in America. Egli immagina cosa troverà nella sua Berlino Est e già si prefigura il fumo della sua casa di Buckow.
Modica, 30/01/2020 Prof. Biagio Carrubba
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