
L’opera poetica “Satura”
di Eugenio Montale.
I
Introduzione all’opera poetica “Satura” (1962 – 1970).
1) Situazione politica mondiale nel periodo 1953-1970.
2) Situazione politica e sociale italiana nel periodo 1955-1970.
3) Produzione culturale e poetica italiana.
4) Fatti personali di Montale.
1) Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica.
La morte di Stalin nel 1953, dà impulso alla politica del “disgelo” nei rapporti internazionali e avvia così una “coesistenza pacifica”, portata avanti dal capo del partito comunista e dell’URSS N.Kruscev. Anche negli USA il nuovo presidente John Kennedy avvia una politica democratica e di riforme e pone fine al “maccartismo”. Nello Stato Pontificio il nuovo Papa Giovanni XXIII avvia una modernizzazione della Chiesa che porta al Concilio Vaticano II. Con Giovanni XXIII, nell’azione della Chiesa si accentua la prospettiva ecumenica, ossia, universale, che mira al recupero dei valori di fede comuni, al superamento delle divisioni storicamente determinate fra le varie confessioni religiose e quindi alla loro unificazione. Ma la morte, quasi contemporanea, di questi due grandi uomini politici e del Papa, chiude la coesistenza pacifica e riapre un periodo di diffidenza e di contrasto politico tra le due super potenze ridando impulso alla “guerra fredda” già in atto dal 1947.
2) Situazione politica e sociale italiana nel periodo 1955-1970.
La svolta del centro-sinistra.
Il boom economico italiano dal 1955 al 1965.
Dal 1955 al 1965 si assiste in Italia al boom economico o miracolo economico che trasforma l’Italia da paese agricolo a paese industrializzato. Alcuni dati di questa trasformazione sono: nel 1953 – 54 l’agricoltura fornisce oltre il 25% del prodotto nazionale lordo, nel 1962 invece solo il 16%; nel periodo tra il 1958 e il 1963 il prodotto lordo sale da 17.114 a 23.669 miliardi; la produzione industriale arriva a produrre una notevolissima quantità di prodotti; la FIAT raddoppia i propri dipendenti. È avvenuta insomma, concentrata in un decennio, una profonda trasformazione strutturale, consistente nel passaggio da un’economia di tipo prevalentemente agricolo a una di tipo prevalentemente industriale (Sintesi tratta da Salvatore Guglielmino – Guida al novecento – Principato Editore – Pag. 371).
La svolta del centro-sinistra.
Di fronte a questa esplosiva trasformazione dell’Italia risulta sempre più chiara l’insufficienza dei governi centristi e si approfondisce la ricerca di nuove formule politiche, ma con esitazioni, passi avanti e passi indietro, bizantinismi. La terza legislatura (1958 1963) trascorre nella ricerca di una apertura a sinistra, di un coinvolgimento cioè di una parte della sinistra, il PSI, nel potere. Il primo governo di centro sinistra è guidato da Amintore Fanfani, che fa delle riforme: la creazione dell’Enel, l’istituzione della scuola media unica che eleva l’obbligo scolastico fino a 14 anni, l’imposta sui dividendi azionari come primo passo per una perequazione fiscale. Nel 1964 inizia la quarta legislatura che durerà fino al ’68, guidata da Aldo Moro, che guida all’insegna delle cautele, dell’equilibrio compromissorio, della vocazione “Dorotea”. Nel luglio del 1964 ci fu in Italia un tentativo di colpo di stato organizzato dal generale Giovanni De Lorenzo che ebbe colloqui anche con il presidente della Repubblica Antonio Segni, ostile al centro sinistra. I governi di centro sinistra durano fino a metà degli anni Settanta ma non attuano fino in fondo tutte le riforme che gli italiani attendevano. Questa capacità di programmazione e di intervento mancò: sia per le tenaci resistenze all’interno della DC, che costituì sempre la forza egemonica della coalizione, sia per una pratica di sotto governo e di interessi clientelari comune più o meno a tutti i partiti della coalizione.
La contestazione studentesca del 1968.
All’inizio degli anni ’60, in America sorgono movimenti di protesta dei neri contro la politica razzista dei bianchi e si formano anche alcuni gruppi di contestatori estremistici come le “pantere nere”. Anche tra i giovani delle famiglie americane bianche, nascono gruppi eversivi pacifisti che predicano l’amore e la pace, come gli “Hippies”, cioè i figli dei fiori, che predicavano il rifiuto della civiltà dei consumi, la non violenza e la vita comunitaria. In Cecoslovacchia nasce un grande movimento di ribellione al potere sostenuto dall’URSS, ma questo fervore di iniziative viene stroncato dall’intervento sovietico dell’agosto 1968, che così ripete quanto già successo in Ungheria nel 1956. (Sintesi tratta da Salvatore Guglielmino – Guida al novecento – Principato Editore – Pag. 375).
In conseguenza ai grandi movimenti giovanili in tutto il mondo, anche in Italia, nel biennio ’66-’67, il mondo giovanile e gli intellettuali discutono di questi grandi problemi sociali e politici attaccando anche i partiti della sinistra, soprattutto il PCI, discutendo dell’ordinamento scolastico italiano e nel ’67 viene pubblicato il libro di don Lorenzo Milani “Lettera ad una professoressa” che ebbe notevole successo tra il mondo giovanile e studentesco italiano. Gli intellettuali e il mondo giovanile discutono anche della famiglia, delle istituzioni e del nuovo ruolo della donna nella società. In sintesi, è l’istituzione, ogni istituzione così come è storicamente configurata, ad essere impietosamente discussa, anzi negata: è una contestazione globale. Da queste premesse, anche in Italia, sull’esempio del “maggio francese” e di quello che accade in Germania, nasce la “grande tempesta del sessantotto” che si scatena contro il potere politico, culturale, accademico e contro il costume, i modi di vita, i valori borghesi. Università e licei occupati, agitazioni studentesche, scontri violenti con la polizia, attacchi contro i più rappresentativi esponenti dell’Establishment accademico, culturale e politico ne sono le manifestazioni più vistose. Dalla contestazione giovanile e studentesca si passa nel 1969 all’autunno caldo, nel quale gruppi di studenti e di operai scendono nelle piazze per manifestare la loro protesta contro il governo e contro gli industriali attaccando anche i sindacati tra cui Luciano Lama che durante un discorso fu aggredito e cacciato via dal palco con urla e fischi.
3) Il dibattito politico – culturale in Italia tra il 1945 e il 1970.
La situazione della società italiana, che si viene a creare in conseguenza della resistenza e della ripresa economica, ha dirette ripercussioni sulla vita letteraria ed artistica italiana: inizia un vero e proprio nuovo corso che si suole identificare come l’età del neorealismo. Alla base di questa fervida tensione c’era una varietà di prospettive, l’attesa del nuovo, la convinzione di voltar pagina dopo l’esperienza del Fascismo e della guerra. Gli intellettuali, i poeti e gli scrittori discutevano, non solo sulla fisionomia di una letteratura “nuova”, ma sui problemi della vita associata, sulle scelte politiche, sul ruolo dell’intellettuale nella società, sui rapporti fra impegno politico e lavoro intellettuale. Molti scrittori produssero una buona quantità di romanzi ispirati dal neorealismo e anche molti registi girarono parecchi film ispirati dalla realtà lasciata dalla guerra e dalla nuova società italiana in via di ricostruzione. Parecchi poeti pubblicarono molte opere di poesie distaccate ormai dalla poesia ermetica, che aveva contraddistinto il periodo fascista. Un altro grande poeta, Pier Paolo Pasolini, pubblica diverse raccolte di poesie e fonda con altri poeti la rivista “Officina”, che dura dal maggio 1955 al giugno 1959. Pasolini nel decennio tra il ’50 e il ’60 pubblica tre opere importanti che danno una forte scossa al neorealismo: “Le ceneri di Gramsci” del 1957, “L’usignolo della Chiesa Cattolica” del 1958 e “La religione del mio tempo” del 1961.
Franco Fortini pubblica “Foglio di via” nel 1946.
Salvatore Quasimodo pubblica “Giorno dopo giorno” nel 1947;
Giuseppe Ungaretti pubblica “Il dolore” nel 1947;
Umberto Saba pubblica “Mediterranee” nel 1947;
Vittorio Sereni pubblica “Diario d’Algeria” nel 1947;
Sandro Penna pubblica “Appunti” nel 1950;
Attilio Bertolucci pubblica “La capanna indiana” nel 1951;
Giorgio Caproni pubblica “Passaggio d’Enea” nel 1955;
Eugenio Montale pubblica “La bufera e altro” nel 1956;
Mario Luzi pubblica “Onore del Vero” del 1957;
Pier Paolo Pasolini pubblica “Le ceneri di Gramsci” nel 1957;
Giorgio Caproni pubblica “Il seme del piangere” nel 1959;
Alfredo Giuliani pubblica “I Novissimi” nel 1961;
Pier Paolo Pasolini pubblica “La religione del mio tempo” nel 1961;
Giorgio Bassani pubblica “I Giardini dei Finzi Contini” nel 1962;
Elio Pagliarani pubblica “La ragazza Carla” nel 1962;
Franco Fortini pubblica “Una volta per sempre” nel 1963.
Pier Paolo Pasolini pubblica “Poesia in forma di rosa” nel 1964;
Mario Luzi pubblica “Nel magma” nel 1964;
Vittorio Sereni pubblica “Gli strumenti umani” nel 1965;
Elsa Morante pubblica “Il mondo salvato dai ragazzini” nel 1968;
Andrea Zanzotto pubblica “La beltà” nel 1968;
Pier Paolo Pasolini pubblica “Trasumanar ed organizzar” nel 1971.
Intanto a Palermo si era formato il Gruppo ’63 che presentava i nuovi poeti della neo avanguardia; vi facevano parte Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Antonio Porta.
4) Fatti personali e privati di Eugenio Montale tra il 1948 e il 1970.
Montale, nel 1948, si trasferisce a Milano dove è assunto come redattore del giornale “Il corriere della sera” e grazie a questo lavoro compie numerosi viaggi in tutta l’Europa e in varie parti del mondo. Nel 1963 sposa Drusilla Tanzi, ma il 20 ottobre dello stesso anno la moglie muore. Rimane accanto a Montale negli anni successivi e fino alla sua morte, Gina Tiossi, la sua governante, che aveva seguito Mosca, cioè la moglie Drusilla Tanzi, da Firenze a Milano. La morte della moglie sarà all’origine della ripresa dell’attività poetica del poeta. Nel 1967 il Presidente della Repubblica Italiana gli conferisce la nomina di senatore a vita. Montale riceve in questi anni alcune lauree “Honoris causa” da molte università straniere ed italiane. Tutti questi riconoscimenti non gli cambiano il carattere fondamentalmente schivo e orgoglioso, fedele a sé e alla sua operosa solitudine; quindi Montale rimane uno scrittore che si riconosce solo nel proprio lavoro e nei propri libri, e più che mai non si riconosce in un mondo scosso, di nuovo, da guerre e da violenze. Dal 1967 al 1970 continua a passare le sue estati a Forte dei Marmi impegnato in una attività italiana ed internazionale. A gennaio del 1971 pubblica Satura.
II
L’opera poetica “Satura”.
Epigrafe
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla.
(Versi 11-14 della poesia “Gli uomini che si voltano” dell’opera poetica Satura).
Satura, il quarto libro di poesie di Montale, raccoglie, ordina e sistema le poesie scritte tra il 1962 e il 1970 e fu pubblicato nel 1971 dalla Casa editrice Mondadori. Il libro contiene 103 poesie divise in quattro grandi sezioni, introdotte dalle due poesie introduttive “Il tu” e “Botta e risposta I”.
La prima sezione è Xenia I;
la seconda sezione è Xenia II;
la terza sezione è Satura I,
la quarta sezione è Satura II.
Il titolo Satura riprende una precedente pubblicazione di poesie di Montale del 1962 che conteneva 5 poesie pubblicate per le nozze Fagioli – Crespi.
I nomi delle sezioni sono indicativi dei temi e degli argomenti trattati nelle poesie.
Xenia è termine latino che Montale riprende dal poeta latino Marziale e significa “doni votivi inviati a qualcuno che si era avuto ospite”; nella sezione le poesie sono indicate come doni mandati dal poeta alla donna che era stata ospite della sua vita. Satura è termine latino ed indica il piatto ricolmo di vari frutti offerti agli Dei (Satura Lanx). Ma Satura è anche un genere letterario formato da vari argomenti di tono sarcastico o satirico. Satura sottolinea inoltre la natura aperta della raccolta, il suo carattere di miscuglio di temi, stili, linguaggi diversi, la sua natura insieme satirica, aggressiva, funebre e conviviale. La seconda poesia “Botta e risposta I”, composta nel 1961, è una poesia che ancora, per il tema trattato, sembra appartenere a “La Bufera e altro”. In questa poesia, Montale descrive la sua giovinezza durante gli anni bui del Fascismo, definito con questi versi: “Uscito appena dall’adolescenza/per metà della vita fui gettato/nelle stalle d’Augìa./Non vi trovai duemila bovi, né/mai vi scorsi animali;/ pure nei corridori, sempre più folti/di letame, si camminava male/e il respiro mancava; ma vi crescevano/di giorno in giorno i muggiti umani”; dopo aver descritto l’incredibile fine del fascismo e la ripresa della vita dopo la guerra, Montale si chiede: “ed era sole, quella sudicia esca di scolaticcio sui fumaioli” e conclude “ora sai che non può nascere l’aquila/dal topo”.
La prima e la seconda sezione Xenia I e Xenia II sono composte da 14 poesie ciascuna.
La moglie del poeta, Drusilla Tanzi, l’indimenticabile Mosca, la compagna della sua vita, morì il 20 ottobre del 1963, dopo una dolorosa malattia. Dopo questo tragico lutto, il 10 aprile del 1964, Montale comincia a scrivere le poesie di Satura in ricordo della moglie con la quale inizia un dialogo immaginario. Queste poesie sono componimenti in genere brevi e brevissimi, che trovano la loro ispirazione in eventi apparentemente comuni, minimi, in fulminei ricordi o in una battuta nei dialoghi tra il poeta e la Tanzi avuti durante la loro vita. Il tono emotivo dell’opera va dall’ironia al rimpianto per la breve vita e l’improvvisa morte della moglie. La forma va dal dialogo all’epigramma. Gli Xenia più famosi e belli sono: in Xenia 1 il numero 4 “Avevamo studiato per l’aldilà” e i numeri 5, 7, 11, 13, 14; in Xenia II i numeri 1, 5, 7, 9, 14. In questi 28 Xenia Montale dà inizio al suo discorso metafisico nel quale i contorni e i confini tra vivi e morti sono labili. Montale, in Satura, dà quindi l’incipit alla dimensione metafisica il cui percorso terminerà con l’ultima poesia “Ah!” della sua ultima poetica edita, “Altri versi” scritta nel 1980. La dimensione metafisica è dunque trasversale a tutta l’opera poetica di Montale e riveste un aspetto molto importante in tutta la produzione montaliana. La tesi di Montale si può riassumere con queste parole: i vivi non sanno di essere vivi o forse sono solo ombre di un mondo originale di cui si è persa la traccia e di cui non si conosce né l’ordito né il costrutto. I vivi sono solo ombre che vorrebbero dialogare con i propri cari, ma non ci riescono, come Montale scrive nella poesia n° 4 di Xenia I, Avevamo studiato per l’aldilà. Questa poesia è bellissima perché esprime la sensazione e la speranza che tutti abbiamo percepito inconsciamente di morire senza saperlo.
Testo della poesia
Avevamo studiato per l’aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.
Lo Xenia n° 13, Tuo fratello morì giovane; tu eri, termina con questi due versi desolanti: “Ma è possibile, /lo sai, amare un’ombra, ombre noi stessi”. Quindi, per Montale, la vita dei vivi è solo ombra e si svolge in un luogo nel tempo, determinato e limitato, ma la vera felicità, i vivi, la troveranno in un luogo senza tempo; da qui il dramma dell’umanità che fin quando vive è infelice e che troverà la felicità solo alla morte se andrà in un posto senza tempo. Questo concetto è spiegato e dispiegato, ancora più chiaramente, nella poesia “Le stagioni” che si trova nella sezione Satura II.
Nella poesia “Le stagioni”, la poesia nr. 80 dell’intera opera e la trentacinquesima della sezione, Montale afferma che la felicità non si trova nelle quattro stagioni, ma può trovarsi solo fuori dal tempo e precisamente nell’Intemporaneo, là “dove muoiono le ragioni degli uomini e Dio sa s’era tempo; o s’era inutile” creare il mondo, l’universo e gli uomini.
Testo della poesia
Il mio sogno non è nelle quattro stagioni.
Non è nell’inverno
che spinge accanto a stanchi termosifoni
e che spruzza di ghiaccioli i capelli già grigi.
E non nei falò accesi, nelle periferie
dalle pandemie erranti, non nel fumo
d’averno che lambisce i cornicioni
e neppure nell’albero di Natale
che sopravvive, forse, solo nelle prigioni.
Il mio sogno non è nella primavera,
l’età di cui ci parlano antichi fabulari,
e non nelle ramaglie che stentano a mettere piume,
e non nel tinnulo strido della marmotta
quando s’affaccia dal suo buco,
e neanche nello schiudersi delle osterie e dei crotti
nell’illusione che ormai più non piova
o pioverà forse altrove, chissà dove.
Il mio sogno non è nell’estate
nevrotica di falsi miraggi e lunazioni
di malaugurio, nel fantoccio nero
nello spaventapasseri e nel reticolato
del tramaglio squarciato dai delfini,
non nei barbagli afosi dei suoi mattini,
e non nelle subacquee peregrinazioni
di chi affonda con sé e sol suo passato.
Il mio sogno non è nell’autunno
fumicoso, avvinato, rinvenibile
solo nei calendari o nelle fiere
del barbanera, non nelle sue nere
fulminee sere, nelle processioni
vendemmiali o liturgiche, nel grido dei pavoni
nel giro dei frantoi, nell’intasarsi
della larva e del ghiro.
Il mio sogno non sorge mai dal grembo
delle stagioni, ma nell’intemporaneo
che vive dove muoiono le ragioni
e Dio sa s’era tempo; o s’era inutile.
Un tema dominante degli Xenia è dunque la morte che il poeta cercherà di esorcizzare in tutta la sua produzione poetica. Negli Xenia, inoltre, Montale, sarcasticamente, esprime dubbi sulla sua identità, ma esprime soprattutto la sua Weltanschauung che conferma, ancora una volta, tutto il pessimismo antropologico ed esistenziale sugli uomini del poeta. Montale esprime anche il suo Zeitgeist (spirito e cultura di un tempo, periodo storico) e lo fa soprattutto nella poesia n° 14 di Xenia II, “L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili”.
Testo della poesia
L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
il Valèry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio.
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
stato civile fu dubbio fin dall’inizio.
Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo.
Nel celebre Xenia numero 5, “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, Montale fa suo il giudizio della moglie sulla nuova società italiana e sulla vita degli uomini e il poeta si affida completamente a lei, che benché miope vede meglio del poeta.
Testo della poesia
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei più è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Inizia la sezione Satura I che comprende varie poesie di contenuto diverso ed in essa emerge lo spirito dissacratorio del poeta verso la storia come afferma nella poesia “La Storia”, la poesia numero 31 dell’intera opera e terza della sezione.
Testo della poesia
La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il primo e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l’ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a poco, non procede
né recede, si sposta di binario
e la sua direzione
non è nell’orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra
carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi.
Accorgersene non serve
a farla più vera e più giusta.
Ma lo spirito sarcastico e canzonatorio di Montale raggiunge il suo massimo livello nella poesia “Fanfara”, la poesia nr. 44 dell’intera opera e la sedicesima della sezione, dove il poeta ironizza sul materialismo storico e su tutte le ideologie filosofiche che sono attuali in tutto il mondo. Ma il poeta alla fine della poesia si chiede: “tu dimmi/ disingaggiato amico/a tutto questo/hai da fare obiezioni?”. Dopo la sezione Satura I, inizia Satura II che comprende tante altre poesie di vario contenuto e di vari toni: si va dal tono sarcastico a quello preoccupato, da quello dubitativo a quello scettico. Montale inizia a trattare anche il tema del tempo, il quale nel suo svolgimento è inesorabile ed indifferente agli uomini. La poesia più esplicita sul tempo è “L’Arno a Rovezzano”, la poesia numero 72 dell’intera opera e la ventisettesima della sezione, scritta il 27 marzo 1969.
Testo della poesia
I grandi fiumi sono l’immagine del tempo,
crudele e impersonale. Osservati da un ponte
dichiarano la loro nullità inesorabile.
Solo l’ansa esitante di qualche paludoso
giuncheto, qualche specchio
che riluca tra folte sterpaglie e borraccina
può svelare che l’acqua come noi pensa sé stessa
prima di farsi vortice e rapina.
Tanto tempo è passato, nulla è scorso
da quando ti cantavo al telefono “tu
che fai l’addormentata” col triplice cachinno.
La tua casa era un lampo visto dal treno. Curva
sull’Arno come l’albero di Giuda
che voleva proteggerla. Forse c’è ancora o
non è che una rovina. Tutta piena,
mi dicevi, di insetti, inabitabile.
Altro comfort fa per noi ora, altro
sconforto.
Un altro tema dominante è quello delle divinità che vengono sulla terra ma non si lasciano scoprire e vedere, come nella poesia “Divinità in incognito”, la poesia nr. 69 dell’intera opera e la ventiquattresima della sezione Satura II. Un’altra poesia che ripropone il tema dei vivi con i morti è “Nel silenzio”, la poesia nr. 100 dell’intera opera e la cinquantacinquesima della sezione, che così si conclude: “Anche i morti si sono messi in agitazione. /Anch’essi fanno parte del silenzio totale. / Tu stai sotto una lapide. Risvegliarti non vale/perché sei sempre desta. Anche oggi ch’è sonno/universale”.
Ragioni e motivi della svolta poetica di Montale in Satura.
Alcuni critici vedono in questa quarta opera di Montale una continuità con il terzo libro La Bufera e altro e non una svolta. Altri critici invece affermano che Montale, con Satura, ha iniziato una svolta improvvisa per adeguarsi ai tempi nuovi che vanno dal 1945 al 1965. In effetti il nuovo clima culturale italiano del neorealismo e del gruppo ’63 ha contribuito notevolmente alla svolta stilistica e di temi della quarta opera di Montale, che rinnova il suo spirito dissacratorio e pessimistico di sempre. E parlando del linguaggio poetico di Satura Montale ha detto anche che questo: “apparentemente tende alla prosa e nello stesso tempo la rifiuta” (Da Eugenio Montale Poesie scelte a cura di Marco Forti – Oscar Mondadori Editore – 1987 – Pagina XIX).
Aspetti estetici di Satura.
Io, Biagio Carrubba, giudico Satura un vero e proprio capolavoro poetico per vari motivi.
1°) Apprezzo l’amore e la fedeltà che Montale ha verso Drusilla Tanzi.
2°) Ammiro il linguaggio di tutte le poesie nuovo e moderno, quel linguaggio che apparentemente “tende alla prosa e allo stesso tempo la rifiuta”.
3°) Mi piacciono molto i temi metafisici toccati dal poeta. Secondo me è vero che ognuno di noi dubita almeno una volta nella vita della sua esistenza su questa terra perché abbiamo l’impressione che siamo ombre destinate a durare lo spazio di un mattino.
4°) Lodo la lexis delle poesie che è aperta ed originale, varia e personale.
5°) Sperimento il tono emotivo vario e vivace, non basso e dimesso.
6°) Ammiro il senso di ironia e di distacco che Montale mostra verso la morte, così come esprime nella prima poesia di Xenia II, “La morte non ti riguardava”.
Ecco l’inizio del testo.
La morte non ti riguardava.
…….
E neppure
t’importava la vita e le sue fiere
vanità e ingordigie e tanto meno le
cancrene universali che trasformano
gli uomini in lupi.
Una tabula rasa; se non fosse
che un punto c’era, per me incomprensibile,
e questo punto ti riguardava.
Questa poesia mi richiama alla mente la bellissima ultima poesia di Sergej Esenin, “Arrivederci, amico, arrivederci”:
Testo della poesia
Arrivederci, amico, arrivederci.
O vecchio mio, tu mi sei nel cuore.
Questa separazione destinata
Un incontro promette in futuro.
Arrivederci amico, senza parole e gesti,
Né tristezza e aggrottar di sopracciglia.
Non è nuovo morire, in questa vita
Ma più nuovo non è di certo vivere.
(Da S.Esenin, Poesie, trad.ital. Di P.Samonà, Milano. Garzanti, 1981).
La forma di Satura.
La svolta poetica di Satura verso la prosa è un dato di fatto. Lo stile dell’opera è più colloquiale e più basso e aperto verso temi che sono presi anche da fatti minimi della vita quotidiana, ma ciò non sminuisce la forma nuova delle poesie. Le poesie hanno ora una forma sciolta e fluida e sono scritte con un linguaggio alto e quasi prosastico, ma sempre vicino alla poesia; esse presentano una lunghezza che varia da 5 a poco più di 35 versi. Ogni poesia ha una forma composta e unitaria, formata da versi liberi ma pieni di allitterazioni e di un ritmo andante, più vicino alla poesia che alla prosa. Tutte le poesie hanno la stessa struttura formale in quanto il poeta esprime il suo giudizio sui fatti della società del suo tempo, oppure riporta antichi ricordi personali e ripropone i temi già noti presentandoli sotto una nuova luce o giudizio. Io, B. C., penso che Satura sia un’opera poetica strutturata e strutturante. È strutturata perché è divisa in quattro sezioni parallele e corrispondenti. È strutturante perché dà inizio all’ultima fase della produzione poetica di Montale, che continuerà con “Diario del ’71 e del ’72”, dove dominerà una poesia libera da schemi prefissati e da una concezione metafisica gerarchizzata e finalizzata a Dio. In questa nuova fase, ogni poesia, pur rientrando nei temi di fondo montaliani, è libera e autonoma e si può leggere per sé sola, tenendo conto però di tutto il contesto poetico. Si potrebbe dire che la caratteristica dominante delle ultime produzioni poetiche di Montale sia quella che lo stesso poeta usa per descrivere la personalità di “Diamantina”, la poesia nr. 80 dell’opera “Diario del ’71 e del ’72” dove Montale descrive Diamantina con questi versi: “Sfuggente, libera, e sfaccettata/fino all’estremo limite, pulviscolare”. Ebbene anche ogni poesia dell’ultima produzione montaliana, a partire da Satura, sarà: “sfuggente, libera e sfaccettata/fino all’estremo limite, pulviscolare”. Questa caratteristica accresce la peculiarità poetica di Montale per cui ogni poesia può essere letta per sé sola e allo stesso tempo come parte integrante di tutta l’opera poetica montaliana.
Conclusione e mio giudizio personale su Satura.
Io, Biagio Carrubba, credo che il giudizio espresso da Franco Fortini sia parziale, di parte e partitico. Satura è un libro essenzialmente metafisico e non politico, ancora oggi leggibile e godibile, perché esprime sentimenti ed idee che vanno al di sopra di un periodo storico. Satura tocca ancora i lettori per i sentimenti espressi e per la Weltanschauung, ironica e pessimistica allo stesso tempo, che è sempre valida per ogni tempo e che coinvolge tutti i lettori. Satura fu pubblicato in contemporanea con “Trasumanar e organizzar” di P.P. Pasolini che si differenzia dall’opera di Montale perché contiene essenzialmente poesie su fatti e problemi politici dell’Italia degli anni ‘68 – ‘70. L’opera di Pasolini, rimane sempre un libro essenziale ed importante, perché esprime bene la cultura del ’68 e del ’70 in Italia, e conserva ancora un fascino particolare perché alcune poesie esprimono le speranze esistenziali e le illusioni culturali di quegli anni come la poesia “Egli o tu” dedicata all’omicidio di Bob Kennedy e “Dutschke” dedicata a Rudi Dutschke (1940-1979), brandeburghese di nascita, che fu uno dei leader del ’68 tedesco. Pasolini rimane uno dei pochissimi poeti, da allora ad oggi, che parla di politica nelle sue opere ed espone al giudizio altrui il suo punto di vista. Io voglio continuare questa sua capacità e caratteristica della sua poesia politica perché questa per me, oggi, costituisce la poesia più alta, esposta e ricercata. Infatti io nelle mie composizioni poetiche di quest’ultimo periodo preferisco trattare argomenti politici, perché questo tipo di poesie, oltre a darci il clima politico del periodo, sono quelle che acquistano la loro bellezza dall’attualità politica che io giornalmente vivo e che giudico dal punto di vista politico, poetico e culturale.
Modica 07 maggio 2019 Prof. Biagio Carrubba
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