L’opera poetica “La bufera e altro” di Eugenio Montale

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L’opera poetica “La bufera e altro”
di Eugenio Montale

I
Introduzione all’opera poetica “La bufera e altro” (1940 – 1954).

Fatti politici e fatti personali che sono alla base
dell’opera poetica “La bufera e altro”.

I fatti politici italiani, gli eventi storici mondiali, la produzione poetica italiana, i fatti personali e gli eventi europei del periodo 1940 – 1954, non fanno solo parte del contesto sociale e politico ma molte volte assurgono a protagonisti di primo piano della raccolta poetica. Tra i fatti politici italiani importanti che sono alla base dell’opera poetica vi sono innanzitutto: la seconda guerra mondiale; la caduta del fascismo; la resistenza partigiana; la partecipazione del poeta al Partito d’Azione (1945 – 1946); la fondazione della rivista “Il mondo” nel 1947; il distacco di Montale dai due maggiori partiti del dopoguerra (PCI e DC); la delusione verso la nuova società italiana dominata dal conformismo e dal consumismo, caratteristiche che si accentueranno nel periodo del boom economico tra il 1955 e il 1965. Tra gli eventi storici mondiali alla base dell’opera vi sono innanzitutto: le atrocità del nazismo che aveva sterminato milioni di ebrei; l’inizio della guerra fredda tra USA e URSS; la divisone dell’Europa in due blocchi contrapposti tra il dominio sovietico quello Usa. Tra la produzione poetica italiana vi è innanzitutto: la pubblicazione della terza opera poetica di Giuseppe Ungaretti “Il Dolore” e le sue altre opere poetiche degli inizi degli anni ’50; la pubblicazione delle opere poetiche di Mario Luzi: “Avvento Notturno” del 1940, “Un Brindisi” del 1946, “Quaderno Gotico” del 1947, “Primizie del deserto” del 1952 e “Onore del vero” del 1957; le opere poetiche neorealistiche di Salvatore Quasimodo; la nascita del cinema e della letteratura neorealista da Carlo Cassola e Carlo Levi, da Cesare Pavese a Pier Paolo Pasolini. I principali fatti personali di Montale del periodo sono: la partenza di Irma Brandeis nel 1938 da Firenze per gli USA; la convivenza con Drusilla Tanzi dal 1939; la conoscenza e la relazione con la poetessa Maria Luisa Spaziani tra il 1949 e il 1951; il licenziamento da direttore dell’istituto Viesseux e l’inizio della collaborazione per il “Corriere della sera”; il suo definitivo trasferimento a Milano nel 1948, dove collabora stabilmente con il Corriere come redattore capo. Con questo incarico nel giornale inizia a compiere numerosi viaggi in tutto il mondo. Alla fine di questo lungo periodo ricco di fatti storici mondiali tragici come la guerra e il post guerra, la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica italiana, la fine della poetica dell’ermetismo e la nascita del neorealismo cinematografico e letterario, Montale, nel 1956, riassume la sua partecipazione a questo periodo pubblicando “La bufera ed altro”.

L’opera poetica “La bufera e altro”.

La bufera e altro è la terza raccolta poetica di Montale e raccoglie le poesie scritte tra il 1940 e il 1954. La prima edizione uscì nel 1956 edita da Neri Pozza e l’anno seguente da Mondadori. La raccolta poetica è divisa in 7 sezioni che ordinano le poesie in senso cronologico. La prima sezione è “Finisterre”; la seconda è “Dopo”; la terza sezione è “Intermezzo”; la quarta è “Flashes e dediche”; la quinta sezione è “Silvae”; la sesta è “Madrigali privati”; la settima sezione è “Conclusioni provvisorie”, per un totale di 58 poesie. La prima sezione raccoglie le poesie scritte tra il 1940 e il 1942 e già pubblicate nel 1943 in Svizzera dal suo amico Gianfranco Contini; la seconda sezione raccoglie le poesie scritte tra il 1943 e il 1945, come la terza sezione; la quarta sezione raccoglie le poesie scritte tra il 1948 e il 1952; la quinta quelle scritte tra il 1946 e il 1949; la sesta raccoglie le poesie scritte tra il 1949 e il 1950 e la settima sezione le poesie scritte tra il 1953 e il 1954.
La bufera del titolo dell’opera indica la seconda guerra mondiale, mentre la parola altro si riferisce alle poesie scritte dopo la guerra o di argomento diverso alla guerra. Il titolo della prima sezione “Finisterre” indica la fine della terra, provocata dagli orrori della guerra. La prima poesia è “La Bufera” che contiene come epigrafe un verso del poeta francese Agrippa D’Aubigné, (1552 – 1630) A’ Dieu: “Les princes n’ont point d’yeux pour voir ces grand’s merveilles, /Leurs mains ne servent plus qu’à nous persècuter. (I principi non hanno per niente occhi per vedere queste grandi meraviglie, le loro mani ad altro ormai non servono se non a perseguitarci”. I tempi ne sconsigliavano un’edizione italiana per lo spirito dichiaratamente anti dittatoriale presente nell’epigrafe.

I temi principali dell’opera poetica sono i seguenti.

1) Gli orrori della guerra.
2) I ricordi di alcuni suoi cari, morti durante la guerra, che sono seppelliti nel giardino della sua casa in Liguria descritti nella poesia “L’Arca”.
3) I rapporti con Clizia che si trasforma in Iride o Cristofora, cioè che ha la stessa natura di Cristo.
4) Una poesia dedicata alla morte della Madre “A mia madre”.
5) Una poesia dedicata alla moglie Drusilla Tanzi “Ballata scritta in una clinica”.
6) Poesie di ricordi personali.
7) La trasformazione di Clizia in Iride cioè donna salvatrice dell’umanità che il poeta definisce Visiting Angel o angelo della visitazione, cioè messaggero smaterializzato del divino e della salvezza, nunzio alato antagonista del male storico e cosmico, le cui epifanie sono rare e delicate. Il Visiting Angel è più assente che presente, vive in atmosfere eteree e rarefatte ma certe volte si cala nel mondo degli uomini, è luminoso e bianco, segno della purezza divina, appare all’alba e come l’alba, si fa annunciatore e risvegliatore della luce. La sua epifania avviene infatti all’alba come un’apparizione improvvisa; l’alba rappresenta la possibile salvezza degli uomini, la quale salvezza può essere tanto la pace quanto la liberazione metafisica. È un’alba polisemica che dopo la guerra si fa interprete della missione salvifica e rigeneratrice di Clizia, allegoria incrociata della ratio illuminatrice sui disastri della storia e della trascendentalità assoluta. Questa visione di Clizia-Iride, che scende sulla terra e salva l’umanità dalle atrocità del nazismo e del fascismo, è espressa nella bella poesia “La primavera Hitleriana” scritta tra il 1939 e il 1946 che riprende la poesia “Nuove Stanze” pubblicata nel libro “Le occasioni” del 1939.
8) Iride, trasformata in donna-angelo, ha per Montale la stessa funzione che ha Beatrice nella Divina Commedia per Dante Alighieri. Essa fa da mediatrice fra gli uomini e Dio; ma a differenza di Beatrice, Clizia non si incarna, non può perdere i suoi attributi sacrali e mistici e dunque non scende più sulla terra per salvare l’umanità. Quando Montale si rende conto che Clizia non può scendere sulla terra per salvare tutti gli uomini, l’abbandona per guardare a una nuova donna terrestre che potrà salvare solo lui: questa è Volpe, la poetessa con cui il poeta ebbe una storia d’amore nel biennio 1949 –1951.
9) Il passaggio dalla donna angelo (Clizia) alla donna anguilla, cioè Volpe. Nella famosa poesia
“L’anguilla”, Montale fa coesistere le due donne: per l’ultima volta Clizia è esaltata per la sua
capacità di portare Amore e luce sulla terra, ma ella rimane in alto, mistica, guarda a Dio e non più agli uomini. Allora il poeta si rivolge solo a Volpe (la poetessa Maria Luisa Spaziani) che diventa l’anti-Beatrice cioè la donna capace di portare la salvezza solo al poeta, come dice nella poesia “Anniversario”.

I chiarimenti di Montale sulle prime tre raccolte poetiche.

Nel 1946 Montale chiariva che: “Le Occasioni erano un’arancia, o meglio, un limone, a cui mancava uno spicchio: non proprio quello della poesia pura nel senso che ho indicato prima, ma in quello del pedale, della musica profonda e della contemplazione. Ho completato il mio lavoro con le poesie di Finisterre, che rappresentano la mia esperienza, diciamo così, petrarchesca. Ho proiettato la Selvaggia o la Mandetta o la Delia dei Mottetti sullo sfondo di una guerra cosmica e terrestre, senza scopo e senza ragione, e mi sono affidato a lei, donna o nube, angelo o procellaria. Il motivo era già contenuto nelle Nuove stanze, scritte prima della guerra”. Per quanto riguarda il titolo della raccolta, un’italianizzazione di due parole latine, finis terrae (fine della terra) Montale aggiungeva: “Il titolo Finisterre è usato nel senso più largo e ambiguo (la guerra reale e cosmica”.

Il percorso culturale e poetico di E. Montale.

Le sezioni del libro seguono il percorso culturale e poetico di Montale dal 1940 al 1954.
La prima sezione segue e condanna gli orrori della seconda guerra mondiale come fa la prima poesia di tutta l’opera “La bufera” che così annuncia le vittime della guerra: “e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere/dei tamburelli sulla fossa fuia/lo scalpicciare del fandango, e sopra qualche gesto che annaspa” e la partenza di Clizia per gli Usa: “Come quando ti rivolgesti e con la mano, sgombra/la fronte dalla nube dei capelli, /mi salutasti – per entrare nel buio”. La prima sezione si chiude con la poesia, scritta alla fine del ’42, dedicata alla madre morta nel novembre dello stesso anno, nella quale Montale ribadisce la sua concezione atea e materialistica del mondo e da un ritratto esistenzialistico ed individuale della madre.
La prima poesia della V sezione (Silvae) è Iride nella quale il poeta, negli ultimi due versi, afferma che Clizia è la Cristofora di Dio in quanto: “Perché l’opera Sua (che nella tua/si trasforma) deve essere continuata”. Ma la poesia più bella, antifascista e antinazista è senza dubbio “La primavera Hitleriana” dove Hitler e Mussolini vengono definiti “Mostri”; comunque la poesia termina con una nota di speranza: “Forse le sirene, i rintocchi, /che salutano i mostri nella sera/della loro tregenda, si confondono già/col suono che è slegato dal cielo, scende, vince-/col respiro di un’alba che domani per tutti/si riaffacci, bianca ma senza ali/di raccapriccio, ai greti arsi del sud …”. La poesia più fiduciosa e ottimistica di una ripresa della vita personale, che corrisponde al periodo 1945 – 1948 nel quale Montale ebbe fiducia nella ricostruzione della nuova Italia democratica e repubblicana, è senza dubbio “L’Anguilla”.

L’Anguilla

Testo della poesia

L’Anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione;
la scintilla che dice
tutto incomincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?

La VI sezione, “Madrigali Privati”, è tutta dedicata alla poetessa Maria Luisa Spaziani definita Volpe. Nell’ultima poesia della sezione, “Anniversario”, Montale afferma che tramite Volpe il poeta avrà la salvezza che sarà solo per lui, come spiega nell’ultima strofa della poesia: “Resto in ginocchio: il dono che sognavo/non per me ma per tutti appartiene a me solo, Dio diviso/dagli uomini, dal sangue raggrumato/sui rami alti, sui frutti”. Nell’ultima sezione, “Conclusioni Provvisorie”, il poeta tratta l’ultimo grande tema della raccolta: il distacco del poeta dalla società del dopoguerra, nella quale egli non si ritrova più e che, secondo lui, è ben presto destinata a scomparire ed esprime nuovamente tutto il suo pessimismo che preannuncia la distruzione della civiltà occidentale e la fine del mondo. Questa sezione contiene due poesie “Piccolo Testamento” e “Il sogno del prigioniero”. In “Piccolo testamento” il poeta esprime tutto l’orgoglio del suo pensiero politico che lo fece distaccare dal Fascismo e ciò fu “d’una fede che fu combattuta, /d’una speranza che bruciò più lenta/di un duro ceppo nel focolare”. Ma nel 1953 il poeta prende le distanze anche dalle ideologie del PCI e della DC che dominano l’Italia. Egli non si nutre di queste due ideologie dominanti ma rimane in disparte e da solo (come Dante Alighieri che fece parte a sé stesso, quando abbandonò i guelfi bianchi e cominciò il lungo esilio da una corte all’altra, esilio che fece aumentare il proprio orgoglio e la propria fierezza di poeta e di uomo libero da schieramenti e da fedi universalizzanti, ma secolari. Durante questo lungo esilio, Dante fece sua la sola fede universale in Dio). Anche Montale, come Dante, parla in questa poesia della fine del mondo e degli uomini, anzi dice che l’ora della fine sta per arrivare ed essa sarà annunciata non da Clizia, ma dallo stesso Lucifero: “Conservane la cipria nello specchietto/quando spenta ogni lampada/la sardana si farà infernale/e un ombroso Lucifero scenderà su una prora/del Tamigi, del Hudson, della Senna/scuotendo l’ali di bitume semi-/mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora” (versi 13-19). Montale conclude ribadendo la propria libertà da ogni condizionamento politico e sociale: “Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio/non era fuga, l’umiltà non era/vile, il tenue bagliore strofinato/laggiù non era quello di un fiammifero” (versi 27-30). Nella poesia conclusiva del libro, “Il sogno del prigioniero”, Montale impersona un prigioniero politico, ma in realtà impersona l’umanità prigioniera della vita e della terra. Alcuni critici individuato Montale come prigioniero dei nazisti nel lager tedesco, altri critici lo hanno individuato prigioniero nelle purghe della Siberia. Ormai quello che più conta è che la raffigurazione del prigioniero è il poeta stesso che può salvarsi solo nei sogni ed è il simbolo di una umanità disperata, incerta, smarrita nei valori e negli obiettivi esistenziali. È una umanità abbandonata a sé stessa, guardata a vista dallo spioncino della porta della prigione e destinata agli “Iddii pestilenziali”. Il prigioniero non sa spiegarsi niente e non sa quanto durerà la sua prigionia: “La purga dura da sempre, senza un perché” (verso 10). La conclusione della poesia è drammatica perché esprime tutti i dubbi e le angosce del poeta che ancora ignora se alla festa finale sarà “farcitore o farcito”; dunque egli non sa se la sua storia avrà la salvezza o la dannazione eterna e non sa nemmeno se l’attesa sarà breve o lunga. Ecco l’ultima strofa: “e i colpi si ripetono ed i passi/ e ancora ignoro se sarò al festino/farcitore o farcito. L’attesa è lunga, /il mio sogno di te non è finito”.

Analisi della forma

Il genere dell’opera segue l’itinerario del poeta che si confronta continuamente con i fatti politici italiani ed europei. L’opera esprime dunque l’intrecciarsi dei sentimenti del poeta con l’evolversi della situazione politica italiana ed europea. La metrica dell’opera raccoglie poesie di vario genere: da strofe brevi a strofe lunghe; le rime sono libere e i versi seguono un ritmo legato ma aspro. Le poesie sono formate soprattutto da versi endecasillabi e settenari. Le figure retoriche sono molte: l’allegoria, la similitudine, l’allitterazione l’inversione. Il tono emotivo dell’opera è pacato ma lucido e razionale. Il linguaggio poetico è vario. Le poesie abbondano di parole nuove e neologismi coniati da Montale tanto che il linguaggio poetico risulta personale, originale ma allo stesso tempo nuovo, moderno, ancora attuale e godibile. La lexis dell’opera risulta originale e personale, perché Montale riesce a farne una sintesi nuova, moderna e personale tra poetica ermetica e neorealismo. Il poeta esprime tutta la sua elaborazione di pensiero e la sua evoluzione personale di fronte alla trasformazione dei tempi storici italiani e mondiali e comincia a formare il suo giudizio negativo sulla nascente società consumistica, massificata ed anonima nascente nelle società occidentali. Giudizio negativo che esprimerà netto e crudo non in “Satura” del 1970, ma nelle successive opere poetiche del 1973, del 1977, del 1980 e in “Diario Postumo”.

Finale.

Io, Biagio Carrubba penso che l’opera poetica “La bufera e altro” sia un libro di poesie di valore e di valori, validi per ogni tempo perché la loro bellezza è evergreen, il che costituisce l’intramontabilità e la validità della poesia di Montale. Un altro motivo della bellezza dell’opera poetica è la creatività poetica di Montale che non era affatto terminata, ma era ancora in progress, e capace di produrre altre e alte opere poetiche come Satura, che per me è un capolavoro autentico e il libro poetico più bello e rilevante degli anni ’60.

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Modica 04 maggio 2019.                                                                          Prof. Biagio Carrubba

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