L’opera poetica “Altri versi” di Eugenio Montale.

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L’opera poetica “Altri versi”
di Eugenio Montale.

I
Introduzione all’opera poetica “Altri versi”.
La storia è disumana
anche se qualche sciocco
cerca di darle un senso.

(da “Postilla a ‘Una Visita’” dall’opera “Altri Versi” di Eugenio Montale)

“Altri versi”, l’ultima opera edita di Montale in vita, fu pubblicato nel 1980 a cura di Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini e contiene 75 poesie. L’ordine finale delle poesie è stato sistemato dai due curatori. Il libro è diviso in due parti, parte prima e parte seconda, ma le poesie si susseguono senza un tema prestabilito e nella forma libera già conosciuta nei libri precedenti. Il libro comincia con una serie di piccole poesie, piccoli cammei, per arrivare al primo capolavoro assoluto, “Amici, non credete agli anni-luce”, la poesia n° 12.

Testo della poesia.

Amici, non credete agli anni-luce
al tempo e allo spazio curvo o piatto.
La verità è nelle nostre mani
ma è inafferrabile e sguiscia come una anguilla.
Neppure i morti l’hanno mai compresa
per non ricadere tra i viventi, là
dove tutto è difficile, tutto è inutile.

Questa breve poesia esprime tutto il pessimismo montaliano sulla condizione umana. Un pessimismo netto e definitivo che non concede nessuna speranza per una salvezza né fisica né metafisica. Il poeta, prima invita gli uomini a non credere né all’universo né alla scienza che lo studia, dicendo che tutto è solo epifania. Poi afferma che la verità è nelle mani degli uomini, e quindi esclude Dio, ma essa è inafferrabile e viscida come le anguille. Neppure i morti non hanno mai voluto o potuto comprendere la verità, per non ricadere tra i viventi, dove tutto è difficile e inutile. Neanche i morti, nel mondo dell’aldilà, hanno compreso la verità forse perché mostruosa o inesistente. Tutto è vano, tutto è illusorio, non esiste niente. L’incipit della poesia, con l’invito agli amici a non credere a nulla, toglie il respiro, toglie ogni illusione su una vita ultraterrena. Ritornano i grandi temi, dunque, della illusorietà della vita sulla terra e del trascorrere inesorabile del tempo tanto che nella poesia “Rimuginando”, la poesia nr. 15, Montale ribadisce il concetto scrivendo: “Non si tarda a capire che gli anni sono battibaleni e che il passato è già futuro. E il guaio è che l’incomprensibile è la sola ragione che ci sostiene”. Nella poesia n° 20, “Come si restringe l’orizzonte”, Montale tocca un tema molto raro nelle sue poesie e cioè la felicità dando di essa una definizione metafisica, quindi poco reale. Ecco i versi sulla felicità.

La felicità
Sarebbe assaporare l’inesistenza
pur essendo viventi neppure colti dal dubbio
di una fine possibile.
Dice un sapiente (non tutto sono d’accordo)
che la vita quaggiù fosse del tutto improponibile
col corollario (aggiungo) che non era
niente affatto opportuna.

Io condivido questa definizione di Montale sulla felicità poiché credo che la vera felicità sia quella di assaporare la vita eterna ancora viventi, senza essere colti dal dubbio di una fine possibile. Io credo infatti che la felicità terrena sia precaria ed effimera come è evidente, ogni giorno, a me e a molti altri sfortunati, a differenza della vera felicità che sarà eterna. La poesia n° 21, “La buccia della terra è più sottile”, è terribile, originale e strane, poiché parla di una doppia vita. Io, Biagio Carrubba, non capisco quale potrebbe essere questa doppia vita sulla terra; forse Montale intende una seconda vita dopo la morte, ma questo è poco chiaro, e questo è provato dal fatto che io ho una sola vita (Forse il poeta si riferisce ad una specie di antivita, come esiste in fisica l’antimateria, e quindi potrebbe essere un doppione di ognuno di noi). Ecco i versi in cui Montale parla di “doppia vita”.

Ma la sostituzione non fu feconda
affermano i fedeli del vecchio Dio.
Forse verrà Egli stesso dicono
a strapparci dal magma e a farsi vivo.
Siamo e viviamo dunque una doppia vita
sebbene l’egolatra ne vorrebbe una sola.

La poesia n° 22, “L’allegoria”, conferma che gli uomini vivono al buio e non hanno nessuna conoscenza sulla loro situazione terrena e non sanno niente su chi tiri i fili della vita.

Testo della poesia

Il senso del costrutto non è chiaro
neppure per coloro che riguarda.
Noi siamo i comprimari, i souffleurs nelle buche
ma i fili del racconto sono in mani d’altri.
Si tratta chiaramente di un’allegoria
che dura da un’infinità di secoli supponendo
che il tempo esista oppure non sia parte
di una divina o no macchinazione.
Alcuni suggeriscono marchingegni
che facciano crollare il tutto su sé stesso.
Ma tu non credi a questo: la gioia del farnetico
è affare d’altri.

L’ultima poesia della prima Parte è “Alunna delle muse”, la poesia nr. 41. Questa poesia, parla nuovamente degli Dei, che potrebbero avere un palato diverso dal nostro, e termina con i soliti dubbi sulla esistenza umana: “eppure/abbiamo avuto in sorte la divina follia/di essere qui e non là, vivi o sedicenti/tali, bambina mia”. La Seconda Parte si apre con un capolavoro assoluto “All’amico Pea”, la poesia nr. 42.

Testo della poesia.

Quando Leopoldo Fregoli udì il passo della morte
indossò la marsina, si mise un fiore all’occhiello
e ordinò al cameriere servite il pranzo.
Così mi disse Pea della fine di un uomo che molto ammirava.

Un’altra volta mi parlò di un inverno a Sarzana
e di tutto il ghiaccio di quell’esilio
Con una stoica indifferenza che mascherava la pietà.
Pietà per tutto, per gli uomini, un po’ meno per sé.
Lo conoscevo da trent’anni o più, come impresario
come scalpellatore di parole e di uomini.
Pare che oggi tutti lo abbiano dimenticato
e che la notizia in qualche modo sia giunta fino a lui,
senza turbarlo. Sta prendendo appunti
per dirci cosa c’è oltre le nubi,
oltre l’azzurro, oltre il ciarpame del mondo
in cui per buona grazia siamo stati buttati.
Poche note su un taccuino che nessun editore
potrà mai pubblicare; sarà letto forse
in un congresso di demoni e degli Dei
del quale si ignora la data perché non è nel tempo.

Questa poesia riprende il tema della felicità, che si trova soltanto fuori dal tempo terrestre e umano, ed è particolare perché esprime una peculiare condizione umana, in quanto l’uomo è l’unico essere vivente che diventa cosciente dell’approssimarsi della morte. Solo quando si muore all’improvviso, con un incidente o ucciso per sbaglio, non ci si rende conto che la morte è vicina; in tutti gli altri casi l’uomo, sente la morte avvicinarsi sempre di più, con i suoi passi. Questi sono momenti terribili, perché ci si sente impotenti di fronte alla morte e non si può far nulla per cacciarla via. L’uomo di fronte alla morte è veramente nulla, solo Dio può salvarci da essa. Nel finale della poesia, Montale dà a Pea, la possibilità di scrivere ancora oltre la vita in modo da testimoniare cosa c’è dopo, “oltre il ciarpame del mondo/in cui per buona grazia siamo stati buttati”. Non sapremo mai ciò che scriverà Pea sul suo taccuino poiché: “sarà letto forse in un congresso di demoni e di déi/ del quale si ignora la data perché non è nel tempo”. Come dire che tutto si risolverà nel silenzio assoluto del nulla. Continuando nella lettura, troviamo “Tergi gli occhiali appannati”, la poesia nr. 57, che conferma il tema già espresso nella poesia dedicata all’amico Pea. Questa volta però la protagonista della poesia è la sua indimenticabile Mosca.

Testo della poesia.

Tergi gli occhiali appannati
se c’è nebbia e fumo nell’aldilà,
e guarda in giro e laggiù se mai accada
ciò che nei tuoi anni scolari fu detto vita.
Anche per noi viventi o sedicenti tali
è difficile credere che siamo intrappolati
in attesa che scatti qualche serratura
che metta a nostra libito l’accesso
a una più spaventevole felicità.
È mezzogiorno, qualcuno col fazzoletto
ci dirà di affrettarci perché la cena è pronta,
la cena o l’antipasto o qualsivoglia mangime,
ma il treno non rallenta per ora la sua corsa.

Questa poesia dà un’altra definizione della felicità anch’essa metafisica. Durante la vita, la felicità ci appare spaventevole e siamo intrappolati in attesa che scatti qualche serratura che ci permetta, a nostra volontà, di aprire una porta dove potremo trovare, però una felicità ancora più spaventevole, infinita. Ma tutto questo almanaccare è solo utopia, illusione, fantasticare poeticamente perché quello che possiamo fare è soltanto mangiare qualsivoglia mangime, perché per ora la vita procede e non ferma la sua corsa. Montale definisce mangime il nostro cibo ed è una nuova occasione per disprezzare la vita materiale e terrena degli uomini. Dopo altre poesie, segue “Ho tanta fede in te”, la poesia nr. 60.

Testo della poesia.

Ho tanta fede in te
che durerà
(è la sciocchezza che ti dissi un giorno)
finché un lampo d’oltre mondo distrugga
quell’immenso cascame in cui viviamo.
Ci troveremo allora in non so che punto
se ha senso dire punto dove non è spazio
a discutere qualche verso controverso
del divino poema.

So che oltre il visibile e il tangibile
non è vita possibile ma l’oltre vita
è forse l’altra faccia della morte
che portammo rinchiusa in noi per anni e anni.

Ho tanta fede in me
e l’hai riaccesa tu senza volerlo
senza saperlo perché in ogni rottame
della vita di qui c’è un trabocchetto
di cui nulla sappiamo ed era forse
in attesa di noi spersi e incapaci
di dargli un senso.

Ho tanta fede che mi brucia; certo
chi mi vedrà dirà è un uomo di cenere
senz’accorgersi ch’era una rinascita.

Questa poesia è davvero terribile e terrificante poiché ci dà una immagine dell’uomo netta e crudele, viva e tetra: noi ci portiamo addosso la morte, e quindi non siamo altro che morti viventi, morti che parlano e pensano. Cioè la vera vita è la morte e quindi non si passa dalla vita alla morte, ma dalla morte alla vita. Sapere di portarsi dentro la morte e sapere che ogni volto umano è il volto della morte è davvero tragico, per questo la vita diventa sempre un trabocchetto che ci fa sprofondare nel regno della morte improvvisamente e senza accorgercene. Per questa condizione surrealistica e capovolta, gli uomini non riescono a dare un senso alla loro vita, perché questa non esiste ma esiste solo la morte che se ne va a spasso confinata dentro il corpo dell’uomo. Il poeta conclude che la fede che aveva per Clizia lo aveva fatto rinascere anche se agli altri appariva come un uomo di cenere. Si arriva così alla fine dell’opera dove si leggono le ultime poesie. Nella poesia “Quartetto”, la nr. 66, Montale ci dà un bel quadro, tramite una fotografia ingiallita, dove emerge tutto il suo scetticismo sulla vita e sull’universo, in cui il poeta, e Clizia, si trovano insieme al suo amico poeta Camillo Sbarbaro e alla sua compagna Elena Vivante. Ecco i versi centrali della poesia.

e dietro Sbarbaro
briologo e poeta – ed Elena Vivante
signora di noi tutti: qui giunti per vedere
quattro ronzini frustati a sangue
in una piazza-conchiglia
davanti a una folla inferocita.
E il tempo? Quarant’anni ho detto e forse zero.
Non credo al tempo, al big bang, a nulla
che misuri gli eventi in una prima e in un dopo.

Subito dopo troviamo l’ultimo capolavoro assoluto di Montale “Poiché la vita fugge…”, la poesia nr. 67.

Testo della poesia.

Poiché la vita fugge
e chi tenta di ricacciarla indietro
rientra nel gomitolo primigenio
dove potremo occultare, se tentiamo
con rudimenti o peggio di sopravvivere,
gli oggetti che ci parvero
non peritura parte di noi stessi?
C’era una volta un piccolo scaffale
che viaggiava con Clizia, un ricettacolo
di santi Padri e di poeti equivoci che forse
avesse la virtù di galleggiare
sulla cresta delle onde
quando il diluvio avrà sommerso tutto.
Se non di me almeno qualche briciola
di te dovrebbe vincere l’oblio.

E di me? La speranza è che sia disperso
il visibile e il tempo che gli ha dato
la dubbia prova che questa voce È
(una E maiuscola, la sola lettera
dell’alfabeto che rende possibile
o almeno ipotizzabile l’esistenza).
Poi (sovente hai portato
occhiali affumicati e li hai dimessi
del tutto con le pulci di John Donne)
preparati al gran tuffo.
Fummo felici un giorno, un’ora un attimo
e questo potrà essere distrutto?
C’è chi dice che tutto ricomincia
eguale come copia ma non lo credo
neppure come augurio. L’hai creduto
anche tu? Non esiste a Cuma una sibilla
che lo sappia. E se fosse nessuno
sarebbe così sciocco da darle ascolto.
(20 gennaio 1980).

Questa poesia è un capolavoro assoluto perché esprime un addio alla vita melanconico e contemporaneamente sereno. Il poeta è conscio che ormai si approssima alla morte e allora gli vengono in mente molti momenti della sua vita passata, prima tra tutti Clizia, la quale portava con sé uno scaffale che conteneva libri, di poeti equivoci e un ricettacolo di Santi Padri, che forse un giorno galleggeranno sulla cresta delle onde del prossimo diluvio. Poi, rivolgendosi a Clizia dice: “Poi preparati al gran tuffo dalla vita alla morte”; “Un tempo fummo felici insieme e questo potrà essere distrutto?”. Nella parte finale della poesia, Montale ritorna al tema metafisico della vita: “c’è chi dice che tutto ricomincia eguale come copia, ma non lo credo neppure come augurio. L’hai creduto anche tu?”. E termina con un riferimento alla Sibilla cumana che anch’essa non sa la risposta e anche se lo sapesse, nessuno sarebbe tanto sciocco da darle ascolto. Montale concludo dicendo, che nessuno, nemmeno gli sciocchi, potrà credere che la vita ricominci eguale come copia dopo la morte e quindi nega recisamente l’altra vita. Gli aspetti estetici della poesia sono diversi: 1° motivo è la fluidità del linguaggio poetico; 2° motivo è la capacità di spaziare da un argomento all’altro senza muri come se il parlare del poeta fosse un flusso di coscienza continuo ed ininterrotto; 3° motivo il sentimento di serenità, di fronte alla morte, del poeta che mostra una coscienza lucida e una fortezza d’animo stoica e una forza d’animo laica e razionale che non gli fa rimpiangere la vita passata e gli permette di accettare, con spirito fermo, la cruda verità: “Io non credo che tutto ricomincia eguale come copia”. E se anche la Sibilla lo sapesse e lo dicesse, nessuno sarebbe così sciocco da crederle; 4° motivo la poesia è in perfetto equilibrio tra spirito laico e spirito razionalista, tra spirito stoico e spirito umano, anche se il poeta ignora veramente cosa ci sia dopo la morte; 5° motivo è la perfetta mescolanza tra ricordi del passato e paure del presente. 6° motivo la poesia termina con una domanda essenziale per ogni uomo “Fummo felici un giorno, un‘ora un attimo/e questo potrà essere distrutto?”. Questa domanda è effettivamente il clou della condizione umana perché solo la ricerca della felicità terrestre è lo scopo dell’uomo, che fa di tutto per realizzarla, ed è garanzia di una umanità immortale ed eterna. La felicità, anche se raggiunta per brevi momenti, è la sola garanzia ontologica che l’esistenza dell’uomo su questa terra non passerà invano. La felicità è la prova certa che gli uomini, ospiti della casa di Dio, hanno realizzato cose tante grandiose e belle, come l’arte, la poesia, la musica, la scienza e tutto ciò di bello e magnifico realizzato in tutti i campi dall’uomo, da essere regalate a Dio come Xenia. La felicità terrena è il surrogato e l’anticipo di quella che l’uomo vivrà nel mondo eterno. L’opera continua con cinque poesie ispirate da Annetta. La penultima poesia, “Postilla a una vita”, la poesia nr. 74, conferma ancora una volta tutto il pessimismo montaliano poiché termina con questi versi: “La storia è disumana/anche se qualche sciocco cerca di darle un senso”. L’ultima poesia, “Ah!”, la numero 75, è una poesia scherzosa, nella quale, ancora una volta, Montale di fronte alla morte si mostra umorista e spiritoso. Ecco gli ultimi versi: “Poi fu silenzio. Ora l’infante là /dove si sopravvive se quella è vita/legge i miei versi zoppicanti, tenta/di ricostruire i nostri volti e incerta dice/ Mah?”. Per dire che anche da lassù tutto è misterioso e nessuno sa come stanno le cose.

Aspetti estetici di “Altri Versi”.

Nell’ultima opera, “Altri Versi”, Montale, ormai ottantenne, mostra, ancora una volta, il suo genio poetico e l’esperienza della sua età. In questa opera il poeta esprime la nostalgia per la vita trascorsa e tutti i timori di un vecchio che sta per varcare il limite tra la vita e la morte. Il poeta mostra anche tutta la saggezza del grande vecchio che ha attraversato una buona parte del secolo XX, conscio dei limiti degli uomini e della loro speranza di continuare a vivere in un mondo fatto di beatitudine e di felicità eterna. Montale esprime in questa grande opera poetica tutto il suo coraggio di vivere e di sopravvivere in un mondo disumano e crudele, sapendo che solo l’amore delle donne attenua il dolore degli affanni e del male insito nella stessa vita e nella stessa natura. Ma di fronte al dolore, il poeta non si dispera e non rinnega la vita, ma lancia l’appello a reagire di fronte alla morte con coraggio e fiducia perché ha sempre affermato che la felicità è fuori dal tempo e sa che qualcosa di buono, per tutti i nati su questa terra, dal primo all’ultimo uomo che vivrà, ci sarà, perché chiunque abbia vissuto, anche per un solo attimo, ha assaporato un momento di felicità. In definitiva, Montale non conosce la verità, e si limita ad elencare i punti di vista della gente comune sulla vita e sulla morte, dando diverse Weltanschauung, tutte buone, in quanto umane, senza preferirne una. In sintesi gli aspetti estetici di “Altri Versi” sono.
1) La forma delle poesie segue un flusso di coscienza continuo e libero da condizionamenti ambientali e sociali.
2) Alcune idee di Montale portano un po’ di luce nella vita oscura degli uomini.
3) Alcune idee di Montale interpretano la storia e le danno un senso che è quello che la vita non ha alcun senso anche se “la storia è disumana anche se qualche sciocco cerca di darle un senso”.
4) La crudezza di molte poesie spiega che Montale non fu il poeta dell’amore ma il poeta dalla coscienza lucida e razionale della volontà di vivere.
5) La crudezza dell’accettazione della morte che portiamo dentro fa di Montale il Leopardi del XX secolo.
6) Ogni uomo elabora la propria visione di vita secondo la propria cultura e secondo il proprio Zeitgeist.

Commento e mio giudizio personale su “Altri versi”.

Io, Biagio Carrubba, giudico “Altri Versi” un capolavoro poetico del secolo scorso. Il libro continua nella svolta e nelle novità già iniziate con “Satura”. Da “Satura” in poi, Montale ha abbandonato lo stile alto, aulico, ermetico e metafisico della seconda e terza opera, “Le Occasioni” e “La Bufera e altro”, ma malgrado ciò i nuovi libri non hanno perso niente, hanno anzi acquistato un senso di realtà che mancava nelle opere precedenti, riagganciandosi allo spirito del primo libro “Ossi di seppia”, attraversato da un realismo concreto. Ne “Le Occasioni” e ne “La Bufera e altro” la metafisica di Montale era aerea, evanescente, eterea, luminosa, divina, ma impotente di fronte alla vita e alla morte. Con “Satura”, invece, la metafisica si trasforma e diventa concreta, sedicente, epifanica, ma anche spettrale ed esoterica. Montale toglie ogni ipotesi di salvezza religiosa o di fede, ma mantiene salda ancora la salvezza laica e fisica, razionale e materiale, benché sia cosciente che la sola felicità si trovi al di fuori del tempo. “Altri Versi” conferma la nuova visione di vita di Montale, non più ancorato a grandi speranze ed utopie metafisiche, salvifiche, cristofore, ma calato nella società e realtà italiana del secondo dopo guerra fino al 1980, quando scrisse la sua ultima opera poetica. Montale, pur abbassandosi alla realtà italiana, in verità, non abbandona nelle ultime opere poetiche, l’elemento e l’aria metafisica, anche se espressa su temi sociali e guarda con occhi gravi e concreti la gente del secondo dopo guerra fino all’Italia degli anni ’70 fino al 1980.

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Modica 19 maggio 2019                                                               Prof. Biagio Carrubba

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