L’esilio Danese (dicembre 1933 – aprile 1939).

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L’esilio Danese (dicembre 1933 – aprile 1939).

Il 28 febbraio 1933 Brecht fuggì dalla Germania e andò in esilio prima in Svizzera, poi a Parigi e infine a Svendborg in Danimarca. Nel periodo di esilio danese Brecht fece diverse viaggi: nel 1934 andò a Londra; nel 1935 andò Mosca, a Parigi e poi a New York; nel 1937 ritornò a Parigi.

I

Io, B. C., voglio qui riproporre, riportare e presentare alcuni brani scritti da Brecht tra il 1935 e il 1937 per diverse occasioni. Il primo saggio ha per titolo Cinque difficoltà per chi scrive la verità, pubblicato nell’aprile del 1935. Il secondo saggio ha per titolo Discorso al I° Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura, che si tenne a Parigi nel 1935. Traggo questi lacerti dal libro Bertolt Brecht. Scritti sulla letteratura e sull’arte. Biblioteca/culture visuali. MELTEMI editori. Ottobre 2019. L’importanza di questi scritti consiste, secondo me, nel fatto che Brecht ha, definitivamente, scelto il marxismo e lui è, ormai, convintamente comunista. I suoi maestri del marxismo furono tre. In primis ci fu Friz Sternberg, poi Karl Korsch ed infine il suo amico Walter Benjamin. Ecco come Klaus Volker spiega l’adesione di Bertolt Brecht al marxismo, nel suo libro, Vita di Bertolt Brecht (Einaudi editore, nelle pagine 118 – 119). “Dopo la rappresentazione di Darmstadt di Un uomo è un uomo Brecht si procurò anche degli scritti marxisti. Soltanto allora ebbe una risposta alle sue domande. Poco dopo scriveva a Elisabeth Hauptmann: -sono sprofondato otto piedi nel Capitale. Adesso devo saperlo con esattezza -. La lettura di Marx rese necessaria una generale trasformazione del lavoro. Perché Brecht riconosceva che il marxismo era un metodo scientifico grazie al quale egli poteva analizzare e portare sulla scena gli argomenti che lo interessavano come drammaturgo. […] L’esigenza di fare del teatro nuovo significa al tempo stesso volere un nuovo ordinamento sociale. Non fu soltanto attraverso Marx che Brecht arrivò a parlare del tramonto del teatro borghese e a formulare la teoria di un -teatro epico-. Marx lo confermò nelle sue opinioni e lo aiutò a capire i suoi lavori. […] All’inizio del 1927 Brecht incontrò il sociologo Friz Sternberg nel ristorante Schlichter, luogo d’incontro di artisti di cui era proprietario il fratello del pittore Rudolf Schlichter. Il libro di Sternberg, L’imperialismo era stato da poco pubblicato dall’editore Malik ed era molto discusso. Il sociologo aiutò il drammaturgo ad approfondire gli studi marxiani e la sua influenza fece sì che Brecht si impossessasse delle categorie storiche che per altro erano ancora definite da un punto di vista prettamente sociologico”. Poi venne Karl Korsch. Ecco come Klaus Volker parla del rapporto tra il maestro marxista e l’allievo Brecht nelle pagine 153 -154. “Nei primi tempi dei suoi studi di marxismo, Brecht si concentrò sulla teoria marxiana. Suo maestro e principale consigliere era Friz Sternberg. Grazie alla conoscenza di Karl Korsch e Herman Duncker, nel 1929 lo scrittore di drammi entrò in contatto con operai, sindacalisti e rappresentanti del partito Comunista. Il successo dell’Opera da tre soldi lo metteva finanziariamente in condizione di intensificare e continuare i suoi studi. Se ci si voleva procurare una – passibile conoscenza del marxismo – si dovevano preventivare costi piuttosto alti. Corsi e discussioni da soli non bastavano. Occorreva acquistare un gran numero di libri e ci si doveva abbonare alle più importanti riviste specializzate. Brecht, per esempio, acquistò tutte le annate della –Neue Zeit – che seppe apprezzare come indispensabile strumento di lavoro e che più tardi, nella sua biblioteca di Svendborg, rappresentarono una grossa attrazione. Circolavano a quel tempo anche edizioni molto economiche dei principali scritti di Marx ed Engels ed altri opuscoli di avviamento al marxismo, pubblicazioni che Brecht si fece subito spedire in più copie e con i quali mise insieme una piccola biblioteca di pronta consultazione. La mostrava a qualsiasi scrittore che andasse a trovarlo per chiedergli un giudizio sui suoi lavori. Se l’ospite non li conosceva ancora, riceveva i libri in regalo ed era invitato a leggerli”. Voglio introdurre e descrivere i rapporti di amicizia fra Brecht e Benjamin, riportando un bellissimo lacerto tratto dal libro. Bertolt Brecht. Scritti sulla letteratura e sull’arte. Biblioteca/Culture visuali. Meltemi editore. Ottobre 2019, a pagina 452. “Sono gli anni del più stretto rapporto con Walter Benjamin: una vera amicizia che, secondo Hannah Arendt, univa il più grande poeta tedesco vivente e il più significativo critico del tempo e la cui icona è certamente il terzetto di fotografie in bianco e nero che inquadra i due esuli a Svendborg, precaria dimora danese dei Brecht, seduti davanti a una scacchiera”.

Introduzione.

Nel 1935 Brecht scrisse un saggio di natura politica, ma è pieno anche riflessioni di natura poetica e culturale: Cinque difficoltà per chi scrive la verità. In questo saggio Brecht espone con chiarezza la poetica (che si potrebbe definire il Manifesto della poetica marxista). Brecht scrive. “Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno 5 difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace: l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese”. (Da Scritti sulla letteratura e sull’arte. Pagina 161).

1) Il coraggio di scrivere la verità

“Le epoche di massima oppressione sono quasi sempre epoche in cui si discorre molto di cose grandi ed elevate. In epoche simili ci vuole coraggio per parlare di cose basse e meschine come il vitto e l’alloggio dei lavoratori, mentre tutt’intorno si va strepitando che ciò che più conta è lo spirito di sacrificio. […] Naturalmente la verità bisogna scriverla in lotta contro la menzogna e non si può trattare di una verità generica, elevata, ambigua. Di tale specie, cioè generica, elevata, ambigua, è propria la menzogna. Se a proposito di qualcuno si dice che ha detto la verità, vuol dire che prima di lui alcuni o parecchi o uno solo hanno detto qualcosa d’altro, una menzogna o cose generiche; lui invece ha detto la verità, cioè qualcosa di pratico, di pratico, di concreto, di irrefutabile, proprio quella cosa di cui si trattava. Poco coraggio, invece, ci vuole per lamentarsi della malvagità del mondo e del trionfo della brutalità in genere e per agitare la minaccia che lo spirito finirà per trionfare, quando chi scrive in una parte del mondo in cui ciò è ancora permesso. Molti assumono l’atteggiamento di uno che stia sotto il tiro dei cannoni, mentre sono semplicemente sotto il tiro dei binocoli da teatro. Vanno gridando le loro generiche rivendicazioni in un mondo amico della gente innocua. Chiedono generalmente una giustizia per la quale non hanno mai mosso un dito e chiedono genericamente la libertà, quella di ottenere una parte del bottino che già da tempo è stato spartito tra di loro. Considerano verità solo ciò che ha un bel suono. Se la verità ha a che fare con cifre, con fatti, se è cosa arida, che per essere trovata richiede sforzo e studio, allora non è verità che faccia per loro, non hanno nulla che li possa inebriare. Solo esteriormente hanno l’atteggiamento di chi dice la verità. Con loro il guaio è che non conoscono la verità.” (Pagine 161 –163).

2) L’accortezza di riconoscere la verità.

“Molti poeti sono simili a pittori che ricoprono di nature morte le pareti di una nave che sta affondando. Per loro la nostra prima difficoltà non esiste, eppure si sentono la coscienza tranquilla. Senza lasciarsi turbare dai potenti, ma altrettanto imperturbabili alle grida delle vittime della violenza, essi continuano a ripassare il pennello sulle loro immagini. L’assurdità del loro modo di comportarsi genere in loro stessi un “profondo” pessimismo che essi smerciano a buon mercato, e che, a dire il vero, sarebbe più giustificato negli altri di fronte a tali maestri e a tale smercio. […] Codesta gente non è capace di trovare una verità che valga la pena di scrivere. Altri invece si occupano realmente dei compiti più urgenti, non temono i potenti né la povertà e nondimeno non sono in grado di trovare la verità. Mancano loro le nozioni necessarie. Sono pieni di vecchie superstizioni, di pregiudizi famosi, la cui felice formulazione risale ai tempi più antichi. Per loro il mondo è troppo complicato, non conoscono i dati di fatto e non vendono le connessioni. Tutti coloro che scrivono nella nostra epoca di rapporti complicati e di grandi mutamenti debbono conoscere il materialismo dialettico, l’economia e la storia. Sono nozioni che si possono acquisire mediante i libri e l’insegnamento pratico, quando non faccia difetto la necessaria applicazione.” (Pagine 163 – 164).

3) L’arte di rendere la verità maneggevole come un’arma.

“Coloro che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili ai borghesi che sono contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, che si lamentano della barbarie che proviene dalla barbarie, sono simili a gente che voglia mangiare la sua parte di vitello, ma il sangue non lo vogliono vedere. Per soddisfarli basta che il macellaio si lavi le mani prima di servire la carne in tavola.” (Pagina 166).

4) L’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani la verità diventa efficace.

“Importante per quelli che scrivono è trovare il tono giusto per dire la verità. Quello che comunemente si ode è un tono molto mite e lamentoso, il tono di chi non sarebbe capace di fare male a una mosca. Chi lo ode e si trova in miseria non può che diventare ancora più miserabile. Così parlano gli uomini che forse non sono nemici ma certo non sono dei compagni di lotta. La verità è combattiva, non solo combatte la menzogna, ma anche quelle determinate persone che la divulgano.” (Pagina 169).

5) L’astuzia di divulgare la verità fra molti.

“Perché in un’epoca come la nostra continui ad essere possibile l’oppressione che permette a una parte della popolazione (la meno numerosa) di sfruttare l’altra (la più numerosa), è indispensabile da parte della popolazione un ben atteggiamento di fondo che investa tutti campi. Hegel, il filosofo dello stato prussiano, occupato in ardue indagine nel campo della logica, ha fornito a Marx e a Lenin, i classici della rivoluzione proletaria, metodi di inestimabile valore. […] I potenti nutrono una forte ostilità nei riguardi dei grandi mutamenti. Vorrebbero che tutto restasse com’è, possibilmente per mille anni. La cosa migliore sarebbe che la luna si fermasse, che il sole non girasse più! Allora a nessuno verrebbe fame e nessuno pretenderebbe di cenare la sera. Dopo che hanno sparato loro, il nemico non dovrebbe più avere il diritto di sparare, vorrebbero che il loro colpo fosse l’ultimo. Considerare le cose mettendo in particolare rilievo il loro lato transitorio è un buon sistema per rianimare gli oppressi. Mostrare che in ogni cosa, in ogni condizione, sorge e si sviluppa una contraddizione; anche questo è un fatto che bisogna opporre ai vincitori. Un simile modo di ragionare (cioè la dialettica e la dottrina del flusso delle cose) si può adottare per settori di ricerca che per qualche tempo sfuggono ai potenti. Lo si può applicare alla biologia o alla chimica. Ma anche descrivendo il destino di una famiglia ci si può esercitare ad applicarla senza dar troppo nell’occhio. La dipendenza di ogni cosa da molte altre che mutano di continuo è un pensiero pericoloso per le dittature e lo si può presentare in molti modi senza offrire appigli alla polizia.” (Pagine 175 – 176).

Riepilogo.

“La grande verità della nostra epoca è questa: il nostro continente sta sprofondando nella barbarie perché i rapporti di proprietà dei mezzi di produzione vengono mantenuti con la violenza. A che cosa servirebbe uno scritto coraggioso dal quale risulti la barbarie delle condizioni nelle quali stiamo per cadere (il che in sé è verissimo), se poi non risultasse chiara la ragione per cui a trovarci in queste condizioni? Dobbiamo dire che degli uomini vengono torturati perché i rapporti di proprietà rimangono immutati. Certo, se lo diciamo, perderemo molti amici che sono contrari alla tortura perché credono che i rapporti di proprietà si possono mantenere senza di essa (il che non è vero)”. (Pagina 177). Io, B. C., penso e reputo che questo scritto, sia molto importante, perché, insieme ad altri degli stessi anni, può, essere considerato il Manifesto della poetica marxista e potrebbe contrapporsi al Manifesto della poetica dell’ermetismo che nel 1938 Carlo Bo scrisse con il titolo Letteratura come vita e che è il manifesto della borghesia e del mondo capitalistico e soprattutto del fascismo.

II

Io, B. C., mi piace qui riportare alcuni lacerti tratti dal discorso che Brecht pronunciò al I° Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura. Ecco alcuni lacerti presi dal libro. Bertolt Brecht. Scritti sulla letteratura e sull’arte. Biblioteca/culture visuali. MELTEMI editori. Ottobre 2019.

DISCORSO AL I° CONGRESSO INTERNAZIONALE DEGLI SCRITTORI PER LA DIFESA DELLA CULTURA.

Questo Congresso si tenne a Parigi dal 21 giugno al 29 giugno 1935 nella sala della Mutualitè. Per i francesi vi parteciparono: Gide, Malraux, Aragon, Benda, Nizan.
Ecco un brano della parte centrale e finale del discorso letto da Brecht. “Una grande dottrina che nel nostro pianeta, ancora tanto giovane, sta conquistando masse sempre più grandi di uomini, afferma che la radice di tutti i mali sono i rapporti di proprietà. Questa dottrina, semplice come le grandi dottrine, ha conquistato quelle masse di uomini che più soffrono degli attuali rapporti di proprietà e dei barbari metodi con cui vengono difesi. Essa viene messa in pratica in un paese che copre un sesto della superficie terrestre e dove gli oppressi e i nullatenenti hanno conquistato il potere. Lì non si distruggono più i generi alimentari e non si distrugge la cultura. Molti di noi scrittori che hanno sperimentato le atrocità del fascismo e ne sono rimasti inorriditi, non hanno ancora compreso questa dottrina, non hanno ancora scoperto la radice di quella brutalità che li riempie di orrore. C’è sempre il pericolo che considerino la crudeltà del fascismo come crudeltà non necessarie. Non rinunziano ai rapporti di proprietà, perché credono che, per difenderli, la crudeltà del fascismo non siano necessarie. Ma, per mantenere gli attuali rapporti di proprietà, quelle crudeltà sono necessarie. La piccola parte dell’umanità ha ancorato il suo spietato dominio. Essa lo ha ancorato in quella proprietà del singolo individuo che serve allo sfruttamento del prossimo e che viene difesa con le unghie e coi denti a prezzo dell’abbandono di una cultura che non si presta più alla sua difesa o che non è più capace, a prezzo dell’abbandono di tutte le leggi della convivenza umana per le quali l’umanità ha combattuto così a lungo e con tanto coraggio.
Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà!
Questo volevo dirvi a proposito della lotta contro la dilagante barbarie, perché venga detto anche qui e perché a dirlo sia stato anch’io”. Giugno 1935. (Pagine 183 – 184).

III

Io, B. C., mi piace qui riportare alcuni lacerti tratti dal discorso che Brecht pronunciò al II° Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura, che si tenne nel 1937 a Parigi. Ecco alcuni lacerti presi dal libro. Bertolt Brecht. Scritti sulla letteratura e sull’arte. Biblioteca/culture visuali. MELTEMI editori. Ottobre 2019.

Discorso al II Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura.

“I mostruosi avvenimenti spagnoli, i bombardamenti di città aperte e di villaggi, i massacri di intere popolazioni stanno ora facendo aprire gli occhi a un numero sempre maggiore di persone sul significato degli avvenimenti, in fondo non meno mostruosi ma all’apparenza non altrettanto drammatici, che in quell’epoca si erano verificati nei paesi, come il mio, in cui il fascismo ha conquistato il potere. Ci si rende conto ormai che la distruzione di Guernica e l’occupazione delle sedi dei sindacati tedeschi nel maggio del ’33 hanno la stessa atroce origine. […] La cultura che a lungo, troppo a lungo, è stata difesa solo con le armi spirituali, ma attaccata con armi materiali, questa cultura che è essa stessa una faccenda non solo spirituale ma anche, e anzi prima di tutto, una faccenda materiale, deve essere difesa con armi materiali.” (Pagine 187 – 189).

Luglio 1937.

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Modica 22/01/2020                                                                        Prof. Biagio Carrubba

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