
LE STREGHE DI CESARE PAVESE,
DA “DIALOGHI CON LEUCÒ”.
Cesare Pavese pubblicò il libro “Dialoghi con Leucò” nell’ottobre del 1947. Iniziò a scrivere il libro a partire dal dicembre 1945 ma certamente la sua progettazione e la sua stesura furono ideati e pensati molto prima della stesura materiale del libro come l’autore spiega nella presentazione della prima edizione. Infatti Pavese stesso chiarisce nella breve presentazione della quarta di copertina della prima edizione la genesi e il motivo per cui scrisse il libro. Riporto un breve stralcio della presentazione in cui Ceare Pavese spiega la genesi mitologica del libro: “Cesare Pavese, che molti si ostinano a considerare un testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie americano-piemontesi, ci scopre in questi Dialoghi un nuovo saspetto del suo temperamento” (tratto da Cesare Pavese – Dialoghi con Leucò – Einaudi tascabili). Come è evidente da questo stralcio di presentazione, Pavese, con questo libro, ha voluto dimostrare di non essere soltanto uno scrittore neorealista ma anche, e soprattutto, uno scrittore fantastico e quasi mitologico, per cui riprende i suoi studi di liceo, che poi coltivò per tutta la vita, e scrisse, come prova della sua produzione fantastica e dei suoi racconti mitologici, “Dialoghi con Leucò”. Riporto un altro stralcio della presentazione in cui Cesare Pavese spiega la genesi del libro: “Pavese si è ricordato di quand’era a scuola e di quel che leggeva: si è ricordato dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge” (tratto da Cesare Pavese – Dialoghi con Leucò – Einaudi tascabili). Il libro nel suo insieme è composto da 26 dialoghi, scritti tra dicembre 1945 e marzo 1947, nei quali Pavese sceglie dei personaggi della mitologia greca e li fa parlare di temi che lo interessavano e che riguardavano anche la sua sfera personale. Inoltre Pavese rievoca ed attualizza scene, fatti ed episodi della mitologia greca vivendoli come se fossero presenti e perenni. Io, Biagio Carrubba, credo che la novità importante di questa opera consista nel fatto che Pavese aveva l’intento e il proposito di modernizzare, aggiornare e rivitalizzare alcuni personaggi delle opere classiche della mitologia greca dato che gli premeva resuscitare gli eroi mitologici greci e dare loro nuova vita e attualità. Infatti la bellezza dell’opera “Dialoghi con Leucò” sta proprio in questo proposito e cioè di dare vita e parola agli eroi mitologi greci facendo coincidere il passato con il presente. In questo modo Pavese voleva dibattere e sintetizzare temi mitologici e temi moderni con una esplosione di immagini, di concetti e di ragionamenti nuovi, rinnovati e sempre attuali, tratti dalla mitologia greca.
Io, Biagio Carrubba, reputo che le caratteristiche principali della mitologia greca siano queste:
1. La mitologia greca esplicita in modo particolare la taumaturgia cioè la capacità di entrare in un mondo di portenti e di prodigi. Gli eroi in questo mondo fanno cose straordinarie ed apparentemente impossibili, tali da far pensare ad un miracolo. Dal greco thaumatourgos, composta da thauma (miracolo, portento) e erghein (fare). L’esempio classico di questo mondo taumaturgico sono ovviamente le imprese di Eracle e di Teseo;
2. La magia che rientra nella taumaturgia;
3. Le metamorfosi dei personaggi è un elemento fondamentale e fondante della mitologia, come viene spiegato molto bene nella bellissima opera di Ovidio “Le Metamorfosi”;
4. Scontri tra personaggi storici, personaggi fantastici ed incontri tra umani e dei;
5. Ricorso frequente alla guerra;
6. Spregiudicatezza e disinibizione delle donne;
7. Dominio dei sentimenti e persistenza della passione forte tra i personaggi: esempio di sentimenti forti sono l’amore, l’odio, la vendetta, il perdono, l’orgoglio e l’eroismo;
8. Credenza e rispetto nelle profezie degli oracoli;
9. Frequenti incursioni e discese nell’Ade; infatti moltissimi eroi, come Eracle, Teseo, Ulisse ed Enea discendono nell’Ade;
10. Carattere meraviglioso dei miti come la conquista del Vello d’oro che hanno come fine quello di stupire;
11. Ricorso alla magia e ai maghi;
12. Venerazione ed ossequio alle Dee;
13. Uso di invenzioni magiche, colpi di scena e di teatro;
14. Agnizioni improvvise e travestimenti risolutivi;
15. Avventure e disavventure fantastiche dei personaggi;
16. Esaltazione dei valori eroici. Esempio: coraggio, forza, virtù e generosità;
17. Molti eroi sono anche perseguitati dalla sfortuna e dalla imprevedibilità e ricercano l’amore ad ogni costo. Eracle muore per sfortuna ucciso dalla moglie Deianira mentre Paride, per raggiungere il suo amore rapisce Elena, e scatena la guerra tra Troiani e Greci;
18. Apparentemente l’eroe o gli uomini si confidano o assecondano gli dei o il destino ma in realtà, nei fatti, ogni uomo e ogni donna, lotta contro gli dei e contro il destino per raggiungere i propri obiettivi secondo il detto “gli dei aiutano gli audaci” oppure “ognuno è artefice del proprio destino”.
Io, Biagio Carrubba, deduco, da tutte queste caratteristiche peculiari del mito e della mitologia, che sia nata prima la prosa e poi la poesia. Invece Cesare Pavese afferma che la poesia nasce dal mito ma prima della prosa. Io invece penso che la prosa sia nata dal mito e successivamente è nata la poesia quando i personaggi si sono raffinati ed interiorizzati.
Infatti, credo che quando la prosa-poesia perse gli elementi taumaturgici e magici la poesia diventò più umana, più interiorizzata e acquisì inoltre gli elementi ambientali, realistici e naturalisti che furono fatti propri, interiorizzati ed espressi dai primi poeti greci.
Infatti prima sono nati l’Iliade e l’Odissea di Omero e poi la Teogonia di Esiodo, che allo stesso tempo sono prosa e poesia, e poi sono venuti i poeti Saffo, Mimnermo, Pindaro, Alceo, Anacreonte ed altri, che hanno fatto dell’elemento naturalistico e della similitudine con il mondo naturale un bell’esempio di poesia umana, naturalistica e realistica. Anche la prova cronologica della nascita degli autori conferma la mia ipotesi. Infatti Omero nacque nell’VIII secolo a.C., Esiodo nel VII secolo e Alceo, Saffo, Anacreonte, Pindaro e Mimnermo nel VI – V secolo a.C.
Quando questi poeti hanno analizzato la propria psiche allora hanno espresso i loro sentimenti e quindi è nata la poesia.
Dunque in primis ci fu il mito da cui sono nati prima la prosa ed in secundis la poesia ed entrambi sono figli della mitologia greca.
II
Le streghe di Cesare Pavese, da Dialoghi con Leucò.
“Le Streghe” fa parte dell’opera letteraria “Dialoghi con Leucò” ed è il dialogo numero diciassette dell’opera anche su fu scritto come primo dialogo dell’opera nel dicembre 1945. Nel dialogo “Le Streghe”, Pavese esprime il suo giudizio e il suo punto di vista sul mito di Circe ed Odisseo. Il titolo “Le Streghe” vorrebbe avere una sfumatura dispregiativa e un significato antifrastico, mentre in realtà il dialogo esplicita un significato positivo e di pregio, sia per Circe che per Leucotea, perché Circe in effetti giova ed aiuta Ulisse per rientrare ad Itaca. Ogni dialogo del libro è introdotto da una piccola introduzione (notizia) nella quale Pavese esprime il suo punto di vista sul singolo dialogo. In questa breve introduzione Pavese esplicita il suo parere personale, originale, nuovo, inedito ed innovativo rispetto alle considerazioni e ai giudizi da sempre dati dagli autori classici della mitologia. In questo nuovo modo di Pavese di interpretare il mito e l’incontro sta la bellezza e l’importanza del dialogo. Dopo l’introduzione di Pavese segue il dialogo vero e proprio tra la maga Circe e la ninfa Leucotea. Circe racconta alla ninfa Leucotea il suo primo incontro con Odisseo. Circe conosceva il suo destino in cui era scritto che un giorno avrebbe incontrato Odisseo ma ormai si era dimenticata di questa profezia. Quando Circe si imbatté in Odisseo, provò a trasformarlo in animale, come aveva fatto il giorno prima con i suoi compagni ma la magia non gli riuscì e allora capì che aveva davanti Odisseo come già le aveva rivelato il suo fato. Circe spiega a Leucotea che ogni uomo ha il proprio destino sul quale nessuno vuole scherzare. Anche Odisseo, di fronte al suo destino, rimase serio e non pensava ad altro che al suo ritorno in patria e all’incontro con la moglie Penelope. Circe però si innamorò di Odisseo e rimase con lui un anno. In questo anno però Circe non volle diventare mortale perché non voleva spezzare la catena del fato. Nel suo anno di permanenza nell’isola Eea, Odisseo non si fece corrompere dalle allettanti lusinghe di Circe che prometteva di renderlo immortale e questo spiega la forza e la volontà di Odisseo di ritornare ad Itaca e spiega anche perché Pavese nell’indice tematico del dialogo lo etichettò come l’uomo intangibile. Circe ammirava in Odisseo la sua determinazione e la sua volontà a riabbracciare la moglie Penelope perché si vedeva che l’amava profondamente. Circe, quando si rese contò del destino di Odisseo e del suo amore profondo verso la moglie, lo consigliò di andare nell’Ade e dopo gli diede consigli per ritornare sano e salvo ad Itaca. L’unica cosa che rimase alla maga fu il ricordo di Odisseo e il dialogo si conclude con le parole di Circe che dice: “L’uomo mortale non ha che questo di immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”. Pavese, in questo dialogo, fa emergere il destino, che incombe su ognuno, e la forza dell’amore come elementi fondamentali che trascinano la vita di ogni uomo nella mitologia greca. Come si evince dal dialogo tra Circe e Leucotea, la maga ritiene che non è possibile spezzare la catena del fato o deviarla. La maga Circe avrebbe voluto cambiare il destino di Odisseo, portandoselo nel suo letto con l’amore, ma Ulisse, furbo e scaltro, accettò l’amore occasionale per un anno, ma dopo si dimostrò uomo intangibile e fu più forte delle magie di Circe e con la sua volontà riuscì a liberarsi e a ritornare nella sua Itaca. Ne “Le Streghe”, Pavese rielabora il mito di Circe ed Odisseo ricostruendo la storia ed i sentimenti dei due personaggi in maniera diversa dal X canto dell’Odissea di Omero. In questo dialogo, Pavese cambia l’immagine di Circe e descrive il suo atteggiamento in modo diverso da quello tramandatoci da Omero. Infatti Circe non è soltanto la maga crudele che trasforma gli uomini in animali ma è, per Pavese, anche l’amante dolce e comprensiva della sventura di Ulisse e, con la sua attenzione e i suoi consigli, aiuta Ulisse a ritornare ad Itaca da sua moglie. Nel dialogo emerge la similitudine tra il destino di Circe e quello di Odisseo. Come Circe non volle diventare mortale per conquistare l’amore di Odisseo, così Odisseo per amore di Penelope non volle diventare immortale ed abbandonare il suo destino di uomo. La similitudine è un elemento forte e innovativo del linguaggio che Pavese introduce nel dialogo. Infatti il linguaggio pavesiano è ovviamente distante dal linguaggio di Omero, perché più moderno, essenziale e scarno. È il linguaggio di Pavese, adatto a ripercorrere il famoso mito di Circe e di Odisseo. È un linguaggio moderno e vivo, in un italiano forbito ed ordinato. È la lingua viva e personale di Pavese che rinnova il passato, una lingua piena di metafore e piena di figure retoriche e con sintagmi originali e personali. In definitiva la lingua del dialogo si adatta, in sintesi, a far rivivere l’amore, occasionale e caduco, che Circe offre ad Odisseo. Il linguaggio pavesiano esprime bene anche i sentimenti di entrambi i protagonisti: Circe esprime melanconia e tristezza perché sa che non riuscirà ad ottenere l’amore di Odisseo; Ulisse esprime nostalgia e rimpianto nei confronti di Penelope. Il tono emotivo predominante del dialogo è l’amore di Circe verso Odisseo che non ricambia. Circe vuole godersi il presente e rinuncia al futuro mentre Odisseo rinuncia al presente per godersi il futuro. Il linguaggio del dialogo è denso e vischioso ma, superato il primo impatto, la lexis di Pavese diventa piacevole e godibile perché riesce a rievocare e a ricostruire il clima magico, evanescente, inebriante, fantasioso del mito greco e sa rendere bene l’amore come sentimento perenne e vitale, allora, come oggi. La lexis del dialogo è piana e monotona come è nello stile di Pavese. Lo stile è solenne ed austero perché non ci sono momenti di rilassamento e di pausa e la lexis procede con logica e fantasia, con razionalità ed invenzione, ma in alcuni passi diventa alta e pesante. Il lessico è formato da parole ricercate e raffinate per cui ne risulta una lettura appesantita, difficile e lenta, non facile né veloce, ma alla fine il dialogo diletta perché mette in evidenza l’amore delle donne per gli uomini e degli uomini per le donne. La bellezza del dialogo nasce dal fatto che, apparentemente, Circe ed Odisseo non vogliono abbandonare il proprio destino ma nei fatti entrambi sono liberi di infrangere il fato e di non seguirlo. Circe, sa che Odisseo vuole tornare da Penelope, ma si dona a lui e quindi infrange il suo destino; Odisseo ricambia l’amore di Circe e quindi, anch’egli spezza il suo destino. Allora viene fuori dal mito che non c’è nessun destino sopra gli uomini e sopra il mondo. Ognuno è libero di fare ciò che vuole ed è libero di costruirsi la vita come gli piace. Per cui non c’è un destino né un Dio sopra gli uomini. Io, Biagio Carrubba, penso che tutti i destini degli uomini, particolari, occasionali e personali, si intreccino tra di loro compiendo ed assemblando la varietà, la discrepanza e la pluralità delle storie umane. Questa verità viene messa in risalto da Pavese nell’ultima riflessione di Circe che dice: “Quello che faccio e quello che dico diventa sempre nuovo, sorprendente, come un gioco, come quel gioco degli scacchi che Odisseo mi insegnò, tutto regole e norme ma così bello ed imprevisto, con i suoi pezzi d’avorio”.
Modica 18/ 09/ 2018 Prof. Biagio Carrubba
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