LA VITA NON È SOGNO (Integrale). 1946 – 1948 di S. QUASIMODO.

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LA VITA NON È SOGNO (Integrale).
1946 – 1948 di S. Quasimodo
I

La settima opera poetica di Salvatore Quasimodo continua la svolta ormai irreversibile avvenuta con la sesta opera poetica Giorno dopo giorno, la quale inaugurava la poesia civile e corale del poeta. Quasimodo abbandonava ormai definitivamente i temi e il linguaggio della poesia ermetica e utilizzava le idee scritte sul primo discorso sulla poesia “POESIA CONTEMPORANEA (1946)”, Quasimodo è ormai nella scia dell’uomo nuovo, dell’uomo da rifare come scriveva nella conclusione di quel primo scritto. Anche nel secondo scritto sulla poesia “L’UOMO E LA POESIA (1946)”, Quasimodo riprendeva e riaffermava l’importanza della svolta etica e della poesia che poteva vincere il dolore e portare la verità al popolo. Così scriveva Quasimodo nello scritto “L’uomo e la poesia” del 1946 “L’uomo vuole la verità dalla poesia, quella verità che egli non ha il potere di esprimere e nella quale si riconosce, verità delusa o attiva che lo aiuti nella determinazione del mondo, a dare un significato alla gioia o al dolore in questa fuga continua di giorni, a stabilire il bene e il male, perché la poesia nasce con l’uomo, e l’uomo nella sua verità non è altro che bene più male”. (Dalla collana Meridiani pag. 277). Partendo da queste considerazioni allora Quasimodo non può più fare marcia indietro e guardare con nostalgia il passato, ma deve guardare in avanti per portare una parola di chiarezza sulla società che lo circonda e per indicare i veri valori della società italiana che usciva dalla terribile sconfitta della seconda guerra mondiale. Deve esprimere anche i valori che erano usciti dalla Resistenza italiana contro la barbarie nazista. Ora mentre Giorno dopo giorno fu scritto durante l’ultimo biennio della guerra e quindi risente maggiormente degli orrori e delle azioni di guerra ancora in corso, La vita non è sogno è un libro di poesie più distaccato dalla guerra e quindi è un libro più sereno e più lontano dai sentimenti di pena, di speranza e di dolore, ma è un libro più vicino al clima di ricostruzione italiana ed esprime così sentimenti positivi e gli ideali costruttivi della Resistenza e della Ricostruzione da raggiungere e da indicare al popolo italiano che stava rinascendo da sotto le macerie della guerra. Sono gli anni famosi dell’aprile del 1948 quando in Italia si ebbe la dura battaglia tra la DC e il Fronte Popolare (PCI E PSI), con la vittoria della DC. Quasimodo matura la propria adesione all’Italia ormai sicura di appartenere alla sfera occidentale e quindi di avere uno Stato democratico e parlamentare. Ma proprio in questi anni Quasimodo si iscrive al PCI, anche se non diventerà mai un militante ferreo, ma solo un simpatizzante saltuario. Ma questa iscrizione garantisce la svolta sociale e politica di Quasimodo. Egli partecipa attivamente e concretamente alla rinascita dell’Italia che stava inoltrandosi faticosamente e lentamente verso la democrazia parlamentare e verso una società economica che poteva definirsi neocapitalistica dopo l’interruzione della guerra e lo sventato pericolo di andare a finire nel blocco sovietico. Dunque La vita non è sogno presuppone queste vicende e fatti politici italiani che erano intercorsi tra il 1946 e il 1948. Quasimodo ora presenta questa nuova raccolta di nove poesie ognuna delle quali presenta un tema proprio e diverso dalle altre poesie. Sono tutti temi non nuovi nella sua poetica e anzi in un certo senso proseguono i temi di Giorno dopo giorno, ma rivisitati dalla nuova concezione etica della poesia e della società. Ogni poesia esprime un valore etico fondamentale valido per sé stesso e di modello per gli altri che vivono nell’Italia del dopoguerra.

Le poesie sono nove e sono:

1) LAMENTO PER IL SUD;
2) EPITAFFIO PER BICE DONETTI;
3) DIALOGO;
4) COLORE DI PIOGGIA E DI FERRO;
5) QUASI UN MADRIGALE;
6) ANNO DOMINI MCMXLVII;
7) IL MIO PAESE È L’ITALIA;
8) THANATOS ATHANATOS;
9) LETTERA ALLA MADRE.

Ogni poesia esprime un valore etico da perseguire e da realizzare.
La prima poesia esprime il valore etico della Giustizia sociale che mancava nell’Italia di quel periodo spaccata in due: il Nord e il Sud. Il poeta denuncia l’ingiustizia che incombe sulla sua terra nativa, vista, percepita e sentita ormai come una terra arretrata economicamente e socialmente.
La seconda poesia esprime il valore etico della gratitudine per una donna amata e ormai morta.
La terza poesia esprime il valore etico del ritorno alla normalità, al ritorno della pace dopo gli anni neri della guerra.
La quarta poesia esprime il valore etico della pace e del tempo che inesorabilmente fugge via. È l’antico tema della vita che fugge ma vi è anche un riferimento alla guerra appena finita e il poeta chiede di non ripetere più le orrende carneficine provocate dalle bombe atomiche.
La quinta poesia esprime il valore etico dell’amore vivo e presente, vivificante e unico che il poeta sta vivendo con la sua nuova moglie. È un invito al “Carpe diem” di Oraziana memoria.
La sesta poesia esprime il valore etico della aspirazione alla pace, a vivere in un mondo senza armi e senza guerre, anche se il poeta sa che non vi potrà mai essere un mondo privo di guerre.
La settima poesia esprime il valore etico dell’amore di Patria e di quello del popolo italiano verso l’Italia.
L’ottava poesia esprime il valore etico dell’eterna ricerca della verità tra la vita e la morte.
La nona poesia esprime il valore poetico della gratitudine verso la madre che vive ormai da sola e lontana in Sicilia e il poeta la ringrazia per il dono insostituibile dell’Ironia che la madre ha dato al poeta: ironia che lo “ha salvato da pianti e da dolori”.

II

Nella prima poesia LAMENTO PER IL SUD, Quasimodo vede ora il Sud non come una terra felice, un eden a cui vuole ritornare, ma ora Quasimodo vede il Sud per quello che è: un territorio e una regione piena di povertà e di ingiustizia sociale, perché dominata dalla malaria, dall’arretratezza economica e dai fanciulli disoccupati che sono costretti a vivere, all’addiaccio, in mezzo alle montagne. E qui Quasimodo, descrivendo questa scena, sembra anticipare la strage di Portella della Ginestra. Ecco i versi di questa inaudita e inedita strage: “Per questo i fanciulli tornano sui monti, / costringono i cavalli sotto coltri di stelle, / mangiano fiori d’acacia lungo le piste / nuovamente rosse, ancora rosse, ancora rosse. / Più nessuno mi porterà nel Sud”. La poesia è stata scritta il 13 febbraio 1947 e quindi qualche mese prima della strage che avvenne il I maggio 1947. Quasimodo già preavvertiva la disumana strage e l’orrenda ingiustizia perpetrata dal bandito e l’assassino Salvatore Giuliano e dalla sua banda. Poi il 12 – 14 maggio 1947 Quasimodo scrisse un famoso articolo nel quale descriveva lo stupido massacro dei contadini e del dolore perpetrato nel popolo delle madri e parenti dei contadini e concludeva l’articolo con questo bel finale: “Guardate il viso di queste madri e ricordate che la Sicilia è, anche, terra italiana, fate davvero che a – colpo omicida non si renda colpo omicida – (Sono antiche parole ricantate da Eschilo). A Portella della Ginestra ricade ancora il silenzio. Ma i suoi morti continuano davvero ad abitare coi vivi, il dolore del distacco, il lamento del primo maggio vuole la sua quiete, perché quella frequenza sia dolce e rassegnata. Innocente è sempre in Sicilia chi cade da oscura violenza e un innocente non ha bisogno né di conforto né di elogio ma di giustizia”. Dall’opera A colpo omicida e altri scritti pagine 69 – 70. Il primo maggio 1947, a Portella della Ginestra, presso la piana degli Albanesi, la banda Salvatore Giuliano assalì una folla contadina riunitasi per comizio, uccidendo 12 persone. Di fronte a questo Sud depresso e pieno di ingiustizia il poeta conclude la poesia esprimendo il suo risentimento e sentimento amaro perché impotente: “E questa sera carica d’inverno / è ancora nostra, e qui ripeto a te / il mio assurdo contrappunto / di dolcezze e di furori / un lamento d’amore senza amore”. Questa poesia mostra, in modo concreto, la svolta quasimodiana verso temi sociali italiani e vede la sua situazione privata, ormai, definitivamente, stabile a Milano.
Nella seconda poesia EPITAFFIO PER BICE DONETTI, Quasimodo esprime tutta la sua gratitudine e la sua riconoscenza verso la prima moglie Bice Donetti, “La donna emiliana da me amata / nel tempo triste della giovinezza”. E implora la gente che passa dalla sua tomba “A fermarsi un minuto a salutare / quella che non si dolse mai dell’uomo / che qui rimane, odiato, coi suoi versi, / uno come tanti, operaio di sogni”.
Nella terza poesia DIALOGO, Quasimodo esprime, attraverso il riferimento ad Orfeo, il ritorno dalla guerra e cerca anche lui la sua Euridice. Ecco come descrive la sua guerra: “I vivi hanno perduto per sempre / la strada dei morti e stanno in disparte”. Ma per fortuna la sua Euridice è viva e lui la ritrova. Ed ecco il finale della poesia: “E qui / l’Olona scorre tranquillo, non albero / si muove dal suo pozzo di radici. / O non eri Euridice? Non eri Euridice! / Euridice è viva. Euridice! Euridice!”, mentre nel mito di Orfeo e di Euridice, Orfeo perde la sua Euridice perché si volta all’uscita dell’Ade e non la ritrova più.
Nella quarta poesia COLORE DI PIOGGIA E DI FERRO, Quasimodo esprime la sua forza e la sua rabbia per i morti della guerra e chiede a Truman il perché dei morti innocenti della guerra. E la poesia potrebbe rappresentare la scena allucinante e surreale del mattino del 6 agosto 1945 quando su Hiroshima esplose la bomba atomica. Ed ecco i versi che descrivono quel mattino ignaro a tanti cittadini giapponesi che di lì a poco sarebbero morti bruciati vivi dall’esplosione della bomba atomica: “E il vento s’è levato leggero ogni mattina / e il tempo, colore di pioggia e di ferro / è passato sulle pietre, / sul nostro chiuso ronzio di maledetti. / Ancora la verità è lontana … Ora, ora prima che altro silenzio / entri negli occhi, prima che altro vento / salga e altra ruggine fiorisca”.
Nella quinta poesia QUASI UN MADRIGALE, Quasimodo esprime il suo amore per la sua donna amata in forma netta e chiara, semplice come quello dei bambini. E invita la sua donna a vivere quell’amore con sincerità e fino in fondo prima che il tempo passi e non ritorni più. La poesia è molto bella. La poesia inizia con la descrizione di una bella giornata d’estate, poi si rivolge alla sua donna amata: “Ma è sempre il nostro giorno / e sempre quel sole che se ne va / con il suo filo del suo raggio affettuoso. / Non ho più ricordi, non voglio ricordare; / la memoria risale alla morte, / la vita è senza fine. Ogni giorno / è nostro” e poi conclude “E l’uomo che in silenzio si avvicina / non nasconde un coltello fra le mani / ma un fiore di geranio”.
Nella sesta poesia ANNO DOMINI MCMXLVII, Quasimodo esprime la sua volontà di pace e anticipa il suo forte sentimento del pacifismo. La poesia è stupenda. Ecco il testo della poesia.

ANNO DOMINI MCMXLVII

Avete finito di battere i tamburi
a cadenza di morte su tutti gli orizzonti
dietro le bare strette alle bandiere,
di rendere piaghe e lacrime a pietà
nelle città distrutte, rovina su rovina.
E più nessuno grida: “Mio Dio
perché mi hai lasciato?”. E non scorre più latte
né sangue dal petto forato. E ora
che avete nascosto i cannoni fra le magnolie,
lasciateci un giorno senz’armi sopra l’erba
al rumore dell’acqua in movimento,
delle foglie di canna fresche tra i capelli
mentre abbracciamo la donna che ci ama.
Che non suoni di colpo avanti notte
l’ora del coprifuoco. Un giorno, un solo
giorno per noi, padroni della terra,
prima che rulli ancora l’aria e il ferro
e una scheggia ci bruci in piena fronte.

Bellissima poesia che esprime il sentimento di pace del poeta.

Nella settima poesia IL MIO PAESE È L’ITALIA, Quasimodo esprime l’amore per l’Italia, ma anche l’importanza dei poeti, i quali non dimenticano gli orrori della seconda guerra mondiale anche perché ancora molti ruderi e molti reticolati testimoniano le tragedie e le vittime di essa. Ecco l’incipit della poesia: “Più i giorni della guerra s’allontanano dispersi / e più ritornano nel cuore dei poeti”. E dopo avere elencato alcuni territori e città distrutte dalla guerra il poeta conclude: “I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili / dei vinti dei perdonati dalla misericordia! / Tutto si travolge ma i morti non si vendono. / Il mio paese è l’Italia, nemico più straniero, / e io canto il suo popolo e anche il pianto / coperto dal rumore del suo mare, / il limpido lutto delle madri, canto la sua vita”.

Nell’ottava poesia THANATOS ATHANATOS, Quasimodo chiede a Dio che deve dare la risposta agli uomini sulla vita e sulla morte. La poesia inizia con un’apostrofe a Dio “Dio / dei tumori, Dio del fiore vivo” e poi continua “E dovremo consentire alla morte / e su ogni tomba scrivere la sola nostra certezza –THANATOS ATHANATOS”. Cioè l’uomo sa con sicurezza che è destinato alla morte eterna. Ma ora il poeta chiede a Dio di dare delle risposte, e allora il dialogo diventa assurdo perché impossibile. Ma il poeta continua: La vita non è sogno, cioè non è qualcosa di passeggero, qualcosa che non vale niente, anzi la vita è qualcosa che vale molto per cui essa non è sogno che passa senza nessun danno per l’uomo. La vita è tanto bella ma così breve che sembra un sogno. E allora, conclude il poeta, La vita non è sogno, ma qualcosa di vero come l’aria e l’acqua, come il fiume che preme sulla riva. E il poeta conclude la poesia implorando e invocando Dio del silenzio ad abbattere la solitudine umana.

L’ottava poesia THANATOS ATHANATOS è stupenda.

Ecco il testo della poesia.

E dovremo dunque negarti, Dio
dei tumori, Dio del fiore vivo,
e cominciare con un no all’oscura
pietra “Io sono” e consentire alla morte
e su ogni tomba scrivere la sola
nostra certezza: “thanatos Athanatos”?
Senza un nome che ricordi i sogni
le lacrime i furori di quest’uomo
sconfitto da domande ancora aperte?
Il nostro dialogo muta; diventa
ora possibile l’assurdo. Là
oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi
vigila la potenza delle foglie,
vero il fiume che preme sulle rive.
La vita non è sogno. Vero l’uomo
e il suo pianto geloso del silenzio.
Dio del silenzio, apri la solitudine.

Ecco il bel commento di Alberto Frattini alla poesia: “L’angoscioso enigma della vita e della morte, il mistero di Dio e dell’oltre, il conflitto tra ragione e pietà, sono i temi portanti di questa lirica, rivelatrice degli strati profondi della poesia quasimodiana”. E così il critico commenta i versi La vita non è sogno: “Questa massima che dà il titolo alla raccolta, esprime una delle più forti convinzioni del poeta, che, cioè, la vita è impegno, lotta, e va vissuta responsabilmente da tutti. Il Quasimodo, capovolgendo una concezione tradizionale che la poesia e l’arte hanno avuto dalla vita, che trova la sua definizione nel titolo di uno dei più famoso drammi di Pedro Calderon de la Barca, La vida es sueno (1636), assegna al poeta un compito profondamente umano, storico”. (Da Poeti italiani del XX secolo, editrice La Scuola pagg. 675 – 676).

Nella nona poesia LETTERA ALLA MADRE, Quasimodo esprime il suo ringraziamento alla madre che abita ormai lontana in Sicilia. Il poeta inizia e parla dei luoghi dove lui ora abita. Egli ora abita in Lombardia, dove si trova bene, anche se non è felice. Descrive il naviglio di Milano e poi scrive alla madre. La madre è meravigliata dalla lettera del figlio e ripensa a “Quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto / e alcuni versi in tasca”. E il poeta ricorda il momento del distacco dalla madre e dalla terra nativa: “Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo / di treni lenti che portavano mandorle e arance / alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze, / di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio, / questo voglio, dell’ironia che hai messo / sul mio labbro, mite come la tua. / Quel sorriso mi ha salvato da pianti e da dolori”. E il poeta conclude rivolgendosi alla morte di non toccare “L’orologio in cucina che batte sopra il muro, / tutta la mia infanzia è passata sullo smalto / del suo quadrante, su quei fiori dipinti: / non toccare le mani, il cuore dei vecchi. / Ma forse qualcuno risponde? O morte o pietà, / morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dulcissima mater”. Il poeta prega la morte di essere una morte piena di pietà e di pudore e di essere gentile con i vecchi che ormai sanno che cosa aspettano. Aspettano proprio la morte, perché sanno che sono vicino al tempo della morte. Ecco il bel commento di Alberto Frattini a questa poesia: “Il poeta invia alla madre sola, lontana, ammalata, questa lettera per consolarla dalla sua solitudine e per aprire il suo animo a colei che sola ha il privilegio di capirlo. Così, la confessione del poeta porta al confronto di due mondi e di due età diverse della sua storia personale: la Sicilia assolata e mitica, dove crebbe fanciullo e da dove fuggì di notte con un mantello corto / e alcuni versi in tasca, e il grigio settentrione dove vive; l’infanzia fatta favola irrecuperabile ma consolante, e la maturità segnata di pene e di tormenti”. (Da Poeti Italiani del XX secolo pag. 676). Ecco come il critico Alberto Frattini commenta i versi finali della poesia: “Nessuno risponde. La morte non parla, né intende il nostro linguaggio. E il poeta, che l’ha chiamata gentile, ora la invoca, nella sua pietà e discrezione. Il filo misterioso si riallaccia così, dalla morte all’amore, nella figura-emblema, che ha il profumo di una familiare e universale religio: “Dulcissima mater”. (Da Poeti Italiani del XX secolo pag. 678).

III

La vita non è sogno è un libro di poesie varie, sia per i temi che tratta, ma sul piano della forma le poesie presentano una unitarietà di fondo. Esse sono composte da un’unica o al massimo due strofe con versi lunghi e con un linguaggio chiaro e pacato. Le figure retoriche sono pochissime, tranne qualche enjambement. Siamo lontani dallo stile ermetico. Ritorna come in Giorno dopo Giorno il Noi come nella poesia Dialogo e nella poesia ANNO DOMINI MCMXLVII. Le altre parlano in prima persona e altre ancora parlano con il tu come nella poesia COLORE DI PIOGGIA E DI FERRO. Ecco il commento di Gilberto Finzi: “Le 9 poesie di LA VITA NON È SOGNO sono composte fra il ’46 e il ’48; il libro esce nel ’49 ed è un’altra vittoria della poesia sulla nobile oratoria. Poesia “civile” sulla linea di Giorno dopo giorno, sul filo dell’indignazione etica che vede già i fatti allontanarsi nel tempo mentre la coscienza dell’uomo che scrive non riesce a dimenticare…È poesia civile perché fa leva sull’etica o meglio sul moralismo acceso, perché ardente e tesa nei sentimenti e nei risentimenti, sempre giocata sui toni alti dell’epica anche là dove il cuore del poeta tende invece all’elegia…”. Una volta per sempre, col tono esatto di chi ha definitivamente aperto gli occhi sull’esistenza, Quasimodo parla per tutti a tutti: come nel verso famoso che, rovesciando in negativo un altrettanto famoso titolo del drammaturgo spagnolo Calderon de la Barca (La vida es sueno) dà il titolo alla breve raccolta: La vita non è sogno. Domande ancora aperte, dialogo, ricerca: la parola non è più sufficiente, ora è il pensiero, il messaggio, che conta, in ritmi più lunghi, mentre ancora il lessico semplificato testimonia una volontà di comunicazione non negata dalla struttura poetica complessiva “difficile”: di una difficoltà che compete alla poesia come suo destino di ambiguità. Nel lessico lineare, nell’elegia del ricordo personale e del commosso ringraziamento, il ritmo è creato con espedienti semplici: non più con la disposizione delle parole nel verso, ma con gli a capo, i pochi enjambement che separano in due versi contigui parole unite nel periodo logico e una rara lucidità di sguardo sulle cose della vita, sugli oggetti di casa, sul mondo reciproco di madre e figlio.” (Da Invito alla lettura di Salvatore Quasimodo pagine 98, 102, 103).

IV

La bellezza di LA VITA NON È SOGNO.

Io, Biagio Carrubba, giudico quest’opera poetica molto bella perché ogni poesia è bella e quindi la somma di 9 poesie belle formano un’opera poetica bellissima. Infatti credo che ogni poesia suscita una reazione diversa: la prima poesia suscita un sentimento di indignazione verso la condizione della Sicilia e del Sud in generale che ancora oggi manca delle infrastrutture necessarie per lo sviluppo dell’economia, e per i giovani disoccupati che ancora oggi sono costretti ad emigrare nel Nord. La seconda poesia suscita il sentimento di apprezzamento del poeta che esplicita il suo amore e la sua gratitudine per la prima moglie, la quale nel silenzio di un tempo triste lo amò teneramente e amorevolmente. E proprio per questo amore umile e fedele Bice Donetti resterà immortale nei cuori e nella mente dei lettori di Quasimodo. La terza poesia suscita un sentimento di volontà nel voler tornare a vivere tempi migliori, dopo la lunga stagione della guerra, e fa appello all’amore per vincere il mondo. La quarta poesia suscita un sentimento di dolore per tutti i morti innocenti della guerra e per le vittime che chiedono invano una risposta e un perché che non avranno mai. La quinta poesia suscita un sentimento bellissimo perché esprime l’elogio all’amore che resta il sentimento più bello e più energico nella vita degli uomini. Davvero la vita degli uomini senza l’amore sarebbe una vita povera ed insignificante. Il poeta invita a vivere l’amore senza aspettare domani perché: “a questo giorno è pur sempre il nostro giorno / questo sole è pur sempre quel sole che se ne va / con il filo del suo raggio affettuoso”. La sesta poesia suscita un sentimento contro la guerra e l’amore per la pace da tutti invocata e desiderata, ma mai definitivamente avuta. Anche oggi nel mondo vi sono molte guerre e in questi giorni stiamo vivendo i drammatici attentati terroristici in Siria dove ancora oggi muoiono centinaia di persone al giorno come è avvenuto nell’ultimo assalto chimico di qualche settimana fa. Credo che questa guerra tra l’Occidente e l’Islam durerà per tanto tempo senza sapere chi, alla fine, vincerà.
La settima poesia suscita un sentimento di patria ancora oggi molto forte in me e in tutti gli italiani. L’ottava poesia suscita un sentimento di verità perché tutti vorremo sapere la verità sulla vita e sulla morte e vorremmo chiedere a Dio di abbattere la solitudine che viviamo ogni giorno sulla terra. La nona poesia suscita un sentimento di amore grato alla madre. Ogni uomo è grato alla propria madre per l’amore che ha ricevuto da essa e in questa poesia Quasimodo gliene fa dono rendendola immortale nei cuori dei lettori della sua poesia. Per tutti questi sentimenti che l’opera suscita e per la ricchezza dei moti che suscita, questa opera poetica “LA VITA NON È SOGNO” può essere comparata alla bellezza del satiro greco che si trova a Campobello di Mazara. Come il satiro greco, in torsione ed in movimento, esprime una bellezza che non si ferma e una tensione che nasce dal suo corpo a spirale, così, queste poesie sono in continuo movimento facendo nascere di volta in volta sentimenti diversi e nuovi, positivi ed etici. Suppongo che la bellezza dell’opera sia dovuta al fatto che Quasimodo è in sintonia con i tempi in cui vive e ne rispecchia le ansie e le speranze. Quasimodo ha, ormai, accettato di identificarsi con l’uomo comune, con l’uomo moderno e medio del dopo guerra (1946 – 1948) e si pone le domande fondamentali sulla vita e sulla morte. Infine Quasimodo si arma di uno spirito pacifista proprio di quel periodo e implora i potenti del mondo a non scatenare più guerre mondiali perché i primi a morire non sono i potenti del mondo, ma sono i tanti giovani militari e civili, inermi e innocenti, che vanno a combattere guerre non proprie per gli interessi personali dei potenti, così come sta succedendo, attualmente, da 8 anni nella guerra di Siria, dove si combattono le potenze più forti del mondo ma a morire è il popolo civile, donne, giovani e bambini, di tutta la regione siriana.

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Modica 21/ 08/ 2018                                                                              Prof. Biagio Carrubba

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