LA VITA INIMITABILE
DI GABRIELE D’ANNUNZIO
I
Gabriele d’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863. Il padre, Francesco Rapagnetta, assunse il cognome d’Annunzio da uno zio adottivo materno, un nobile marchigiano; la madre, Luisa de Benedictis, apparteneva ad una famiglia facoltosa di Ortona. Gabriele, terzo figlio di 5 figli, già da bambino riscuoteva attenzione e ammirazioni, perché si mostrava un ragazzo intelligente e ambizioso. Nel 1874/75, il padre lo iscrisse nel famoso liceo classico Cicognini di Prato. Gabriele si dimostrò uno studente irrequieto e ribelle, ma studioso, intelligente e deciso a primeggiare fra tutti gli studenti del collegio. Nel 1879 pubblicò la sua prima opera poetica con il titolo “Primo vere”, a spese del padre. Nel 1881, Gabriele d’Annunzio si trasferì a Roma dove si iscrisse all’università di lettere e filosofia, ma non frequentò le lezioni. Gabriele cominciò, invece, a pubblicare articoli mondani per i maggiori e più importanti giornali di Roma. Nello stesso tempo cominciò a frequentare le famiglie nobili di Roma. Nel 1883 sposò la duchessa Maria Hardouin di Gallese dalla quale ebbe tre figli. Nel 1887, G. d’Annunzio ebbe un’altra storia d’amore con Barbara Leoni, una storia d’amore molto contrastata ma intensa. Nel 1889, Gabriele d’Annunzio pubblicò il primo romanzo con il titolo “Il piacere” che lo rese celebre in tutta Italia. Nel 1891, d’Annunzio pubblicò il secondo romanzo con il titolo “Giovanni Episcopo”, nel 1892 pubblicò il terzo romanzo con il titolo “L’innocente”. Nel 1891, d’Annunzio si trasferì a Napoli, dove iniziò un’altra storia d’amore con Maria Gravina, relazione dalla quale nacque la figlia Renata. Nel 1993 il padre di d’Annunzio morì e lasciò a Gabriele una eredità piena di debiti. Nello stesso anno si entusiasmò per la musica di Wagner e lesse per la prima volta le opere del filosofo Frederich Nietzsche. D’Annunziò si entusiasmò subito per le idee del filosofo tedesco perché li sentiva molto vicino al suo modo di essere e congeniali al suo comportamento di esteta e di dandy. Nel 1894, d’Annunzio, ritornò a Pescara in Abruzzo e preso dall’euforia e dall’entusiasmo per Nietzsche, scrisse un altro romanzo dal titolo “Trionfo della morte”, nel quale trasponeva le idee del filosofo tedesco in Italia. Io, B. C., reputo che il romanzo “Il trionfo della morte” non sia altro che l’esplicazione narrativa italiana delle idee filosofiche e letterarie del filosofo tedesco Frederich Nietzsche. Tra il 1890 e il 1893 d’Annunzio ritornò alla poesia pubblicando i libri poetici: “Elegie romane”, “Odi navali” e il “Poema paradisiaco”. Nel 1894 incontrò, a Venezia, per la prima volta, la famosa attrice Eleonora Duse. Nel 1895, d’Annunzio iniziò un’intensa storia d’amore con la famosa attrice e nello stesso anno d’Annunzio, seguendo le idee del filosofo tedesco, scrisse un altro romanzo con il titolo Le vergini delle rocce. Sempre nello stesso anno, d’Annunzio partecipò ad una crociera, con Edoardo Scarfoglio, con George Hérelle e con altri amici, nell’arcipelago greco con escursioni all’interno della Grecia. Nel 1897, d’Annunzio e la Duse fecero un breve, ma importante soggiorno ad Assisi, perché insieme osservarono e contemplarono la nascita della Luna, che il poeta traspose nelle due incantevoli e innovative poesie, sia sul piano sintattico che sul piano della punteggiatura, che sono “LUNGO L’AFFRICO, NELLA SERA DI GIUGNO DOPO LA PIOGGIA” e “LA SERA FIESOLANA” di Alcyone. Nel 1897, d’Annunzio fu eletto come deputato, nel Parlamento italiano, nello schieramento politico della destra. Nel 1898, G. d’Annunzio affittò, a Settignano, una villa chiamata La Capponcina, sui colli fiorentini, in Toscana. I due artisti vissero insieme dal 1895 al 1904, tenendo, sempre, un tenore di vita altissimo, spendendo moltissimi soldi per mantenersi oggetti preziosi come cavalli e cani pregiati e raffinati, come i levrieri. Nel 1900, d’Annunzio, sempre, sulla scia e sull’impeto delle idee di Nietzsche, pubblicò un altro romanzo con il titolo “Il fuoco”, scritto tra il 1896 e il 1899. Sotto la spinta e l’influsso di Eleonora Duse, d’Annunzio, nella solitudine della villa toscana ebbe un periodo di intensa creatività poetica e letteraria, componendo e pubblicando, in questo periodo, le migliori opere poetiche, letterarie e teatrali di tutta la sua vita. Sempre nel 1900, su iniziativa e suggerimento di Eleonora Duse, d’Annunzio scrisse il famoso componimento poetico “PER LA MORTE DI UN DISTRUTTORE F. N. XXV AGOSTO 1900”, dedicato alla morte del filosofo Frederich Nietzsche. Componimento poetico che d’Annunzio inserì nell’opera poetica Elettra del 1903. Nel 1900, d’Annunzio, nel Parlamento italiano, si spostò dalla destra alla sinistra politica, ma questa volta non fu rieletto come Deputato nel Parlamento italiano. Sempre tra il 1899 e il 1904, d’Annunzio scrisse e pubblicò i primi 3 libri di poesie con il titolo generale “Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi”. Il primo libro dell’opera poetica ha come titolo “Maia”; il secondo “Elettra”; il terzo “Alcyone”. Nel 1905, d’Annunzio, dopo essersi lasciato con la Duse, allacciò un altro amore con Alessandra di Rudinì. Nel 1907, d’Annunzio partecipò, a Milano, alla affollatissima commemorazione per la scomparsa del premio Nobel Giosuè Carducci. D’Annunzio voleva prendere il ruolo di poeta – vate italiano al posto di poeta – vate Carducci. Nel 1907, d’Annunzio pubblicò una tragedia: “La nave”. Nel 1908, dopo una grave malattia di Alessandra di Rudinì, d’Annunzio iniziò un altro amore con Giuseppina Mancini. Nel 1909, d’Annunzio ebbe un’altra storia d’amore con la giovane russa Natalia de Goloubeff (Donatella). Nel 1910 scrisse un altro romanzo con il titolo “Forse che sì forse che no”. Nello stesso anno dovette abbandonare la villa in Toscana, perché assediato dai creditori. Allora si rifugiò a Parigi per raggiungere la Goloubeff. Tra il 1910 e il 1915, d’Annunzio soggiornò tra Parigi e Alcachon frequentando i teatri e gli ambienti giornalistici francesi. In Francia scrisse molte commedie e tragedie interpretate da attrici molto famose. Ebbe contatti con la danzatrice Isadora Duncan (1878-1927), con Sara Bernhardt e con la grande attrice Ida Rubinstein per la quale scrisse due commedie: “Le Martyre de Saint Sebastien” e “La Parisina” nel 1012. Nel 1913, d’Annunzio, sempre dalla Francia, scrisse e inviò una serie di lettere per il Corriere della Sera di Roma che presero il titolo “Le faville del maglio”. Nel 1915, d’Annunzio rientrò in Italia e il 14 maggio dello stesso anno pronunciò, a Genova, un appassionante e rovente discorso a favore dell’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale. Per mettere in pratica le sue idee interventistiche, d’Annunzio si arruolò, come tenente dei Lancieri di Novara, e partecipò a numerose imprese militari. Nel 1916, d’Annunzio ebbe un incidente aereo che gli causò la perdita dell’occhio destro. D’Annunzio rimase chiuso, per tre mesi, in una stanza buia, dove scrisse un’opera di memorie dal titolo “NOTTURNO”. Nel 1918 compì 2 straordinarie azioni militari: nella notte tra il 10 e l’11 febbraio con i sommergibili chiamati MAS, partecipò alla beffa di Buccari affondando una nave austriaca. D’Annunzio descrisse il resoconto dell’episodio marino nel racconto “La beffa di Buccari” e sempre sullo stesso episodio compose la poesia “La canzone del Quarnaro” che ha questo incipit: “Siamo trenta d’una sorte, /e trentuno con la morte. /Eia, l’ultima! /Alalà.” (11 febbraio 1918). Questo ritornello diventerà, ben presto, il famoso e famigerato saluto fascista. La Beffa di Buccari contiene anche la famosa frase, emblema di d’Annunzio: Osare l’inosabile. Dopo la riuscita dell’impresa, d’Annunzio trasformò la sigla MAS nel suo motto: “MEMENTO AUDERE SEMPER” che significa “Ricordati di osare sempre”. Il 9 agosto 1918 partecipò ad un’altra impresa eccezionale: con l’aereo arrivò sulla città di Vienna e lanciò sulla città moltissimi volantini tricolori che incitavano gli austriaci ad arrendersi. A guerra finita, nel 1918, d’Annunzio, non contento dei risultati della guerra, definì la guerra come una vittoria mutilata, per questo motivo il 12 settembre 1919, occupò, con un gruppo di legionari e nazionalisti, la città di Fiume, e conquistò con le armi, la città che comandò e governò fino al dicembre del 1920, e dove si fece proclamare “Governatore”. Il 28 dicembre del 1920 dovette abbandonare la città per ordine di Giovanni Giolitti, dal momento che, secondo il trattato di Rapallo, la città di Fiume, proclamata città libera, ritornerà, nel 1924, allo Stato italiano. Nel 1921, d’Annunzio si ritirò nella villa Cargnacco, a Gardone Riviera, sul lago di Garda. D’Annunzio, dopo la conquista di Mussolini del Governo italiano, aderì al partito fascista e diventò grande amico di Mussolini, anche se tra i due vi fu, sempre, un certo distacco e una certa rivalità continua per procacciarsi una maggiore popolarità fra tutti gli italiani che sostenevano e appoggiavano il regime fascista. D’Annunzio sostenne, sempre, Mussolini e il regime fascista. D’Annunzio, nonostante il suo distacco culturale da Mussolini, fu l’antesignano, il modello, il padre spirituale e culturale del fascismo. Tanto è vero che Mussolini prese d’Annunzio per suo modello politico e maestro del suo roboante parlare con la sua alta e accattivante retorica. Infatti molte espressioni di D’Annunzio furono prese dai fascisti, come la frase “le folle oceaniche” e l’espressione “Eia, Eia, Alalà” che diventò il saluto nazionale e ufficiale del fascismo. D’Annunzio non rifiutò gli onori e gli omaggi di Mussolini, il quale, così teneva d’Annunzio, lontano ed emarginato dalla vita politica attiva del regime. Nel 1924 il re, consigliato da Mussolini, nominò d’Annunzio “Principe di Monte Nevoso”. D’Annunzio, dal 1921 in poi, cominciò ad ornare la sontuosa villa per farne una residenza monumentale e un museo artistico, fino a renderla un bric–a –brac stravagante e funebre, ricco di cimeli, calchi e riproduzioni che riproducevano gli originali. D’Annunzio sottoscrisse, anche, un atto di donazione della casa museo allo Stato fascista; atto di donazione che assicurava che, dopo la morte di d’Annunzio, la villa – museo sarebbe ritornata allo Stato fascista. Mussolini, dopo questo atto di donazione, sovvenzionò ancora con altri finanziamenti la villa per farla diventare una residenza monumentale, quasi un mausoleo, che, nel 1923, prese il nome di Vittoriale degli italiani. Nacque così il Vittoriale degli italiani, emblema del vivere inimitabile di d’Annunzio. D’Annunzio, in questa villa, ospitò la sua ultima amante Luisa Bàccara che lo accompagnò per tutta la vita. Nel 1935, d’Annunzio pubblicò l’ultima sua opera letteraria dal titolo “Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire”. Nel 1936, d’Annunzio, entusiasta per la guerra di Etiopia, pubblicò un libro, Teneo te, Africa, dedicato a Mussolini, per celebrare l’impresa in Etiopia e la fondazione dell’Impero. D’Annunzio morì, improvvisamente, il 1° marzo del 1938. L’ultima opera testimonia la capacità del poeta di rinnovarsi alle soglie della morte così come aveva scritto 50 anni prima nella prefazione al romanzo Giovanni Episcopo: “O rinnovarsi o morire!”.
II
Dopo il 1921, d’Annunzio, da quando si ritirò nella villa di Gardone Riviera, sul lago di Garda, non scrisse più nulla di nuovo e di originale, sia in poesia che in narrativa. D’Annunzio scrisse tante altre opere letterarie ma non hanno mai raggiunto la bellezza e la perfezione delle opere poetiche, narrative e teatrali scritte fra il 1900 e il 1904. In queste opere poetiche, narrative e teatrali del primo ‘900 d’Annunzio espresse tutta la sua magnificenza, tutta la sua magniloquenza, il suo barocchismo e il suo eclettismo, ma anche con la sua erudizione, poetica e letteraria, sovrabbondante e inesauribile, e con le numerosissime citazioni poetiche e con gli innumerevoli florilegi letterari, che, molte volte, diventa stancante, prolissa e superflua, in modo tanto eccelso che egli eguagliò le migliori produzione poetiche europee del tempo. Io, B. C., affermo che d’Annunzio fu, soprattutto, un compositore, poetico e narrativo, eclettico perché seppe fondere nelle sue poesie e nei suoi romanzi le idee innovative di altri autori europei come il francese Huysmans, l’inglese Pater e Wilde e il filosofo tedesco Nietzsche. Comunque sia, anche se non originale, d’Annunzio fu sicuramente il maggiore poeta e narratore decadentista italiano e il maggiore profeta dell’estetismo e del dandysmo italiano. Tutta la sua produzione poetica, narrativa e teatrale conferisce a d’Annunzio un posto primario e preminente nella storia della poesia e della letteratura italiana. Io, B. C., concludo dicendo che Gabriele d’Annunzio si può considerare il terzo poeta vate d’Italia dopo il primo poeta – vate, cioè Giosuè Carducci e dopo il secondo poeta – vate, cioè Giovanni Pascoli. Questi tre poeti sono stati, sicuramente, i maggiori poeti italiani a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Questa scansione cronologica è dovuta, semplicemente, rispettando l’ordine di nascita e di morte dei tre poeti – vati. Ognuno di loro fu diversissimo dagli altri due, ma tutti e tre furono, uno più bravo dell’altro e rimangono, a tutt’oggi, secondo me, grandissimi e immortali poeti per sempre.
III
D’Annunzio, dopo la presa del governo di Mussolini (1922) e la creazione del regime fascista con la promulgazione delle leggi fascistissime (1925 – 26), accettò di fatto la sua condizione di politico sconfitto da Mussolini, che diventò capo del governo fascista. D’Annunzio, nello stesso tempo, accettò la sua nuova condizione di intellettuale e letterato, isolato ed emarginato, ma indipendente e autonomo dal Duce. In questi anni di dominio di Mussolini, d’Annunzio accettò, sostenendo con il suo lustro poetico e con la sua fama di poeta – vate, il nuovo regime fascista. Io, B. C., reputo, però, che l’accettazione del regime fascista da parte di d’Annunzio non fu altro che la logica conseguenza delle sue idee politiche e sociali che il poeta – vate aveva già espresso nei suoi antichi e datati romanzi: Il piacere e Il trionfo della morte. Nel Piacere, d’annunzio aveva espresso con queste considerazioni il suo sovversivismo antidemocratico: “Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare di eletta cultura, d’eleganza e di arte.” (Libro primo, N. II). D’Annunzio, inoltre, dopo aver letto le opere, antidemocratiche ed elitarie, di Nietzsche si infatuò e rafforzò ancora di più la sua indole antidemocratica e conservatrice, cosicché nel romanzo Le vergini delle rocce caricò, aumentò e rafforzò, ancora di più, la sua ideologia conservatrice, esprimendo le sue idee politiche e scagliandosi, ancora di più, contro le classi più povere e più povere italiane. Infatti d’Annunzio, accettando l’idea del super uomo di Nietzsche, recepì questa idea e gli assegnò il particolare significato del superuomo che deve essere rappresentato e concretizzato da un uomo dell’élite aristocratico per schiacciare ed opprimere i deboli e le classi subalterne. Ecco una parte del testo, nel quale d’Annunzio si mostra un eversivo sociale e un antidemocratico dello Stato liberale italiano. “Lo Stato non deve essere se non un Istituto perfettamente adatto a favorire la graduale elevazione di una classe privilegiata verso una ideal forma di esistenza. Sull’uguaglianza economica e politica, a cui aspira la democrazia, voi andrete dunque formando una oligarchia nuova, un nuovo reame della forza; e riuscirete in pochi, o prima o poi, a riprendere le redini per domar le moltitudini a vostro profitto. Non vi sarà troppo difficile, in vero, ricondurre il gregge all’obbedienza. Le plebi restano sempre schiavi, avendo un nativo bisogno di tendere i polsi ai vincoli. Esse non avranno dentro di loro giammai, fino al tempo dei secoli, il sentimento della libertà. Non vi lasciate ingannare dalle loro vociferazioni e dalle loro contorsioni sconce; ma ricordatevi sempre che l’anima della folla è sempre in balia del Panico.” (Libro I). Con queste parole D’Annunzio appoggiò e sostenne Crispi che, in quegli anni, reprimeva le proteste dei contadini in Sicilia e in Toscana e impegnava e trascinava l’Italia in inutile e cruenta guerra di conquista colonialista che portò, soltanto, lutti, dolori e morti in moltissime famiglie italiane.
IV
Io, B. C., reputo e suppongo che d’Annunzio, dopo la delusione, la ferocia e il rammarico della vittoria mutilata, subita dall’Italia, dopo la I guerra mondiale, vide e identificò in Mussolini, come capo del nuovo governo fascista, il superuomo di Nietzsche, per cui accettò, ben volentieri, la dittatura fascista, senza battere ciglio. Insomma anche d’Annunzio, come Pirandello, Giovanni Gentile e Filippo Tommaso Marinetti, furono i primi quattro famosi intellettuali che, fin dall’inizio, avallarono, appoggiarono, apprezzarono, sostennero, lodarono e pregarono il trionfo di Mussolini e la nascente società fascista con il corrispondente regime fascista dominato dalla figura incontrastata del Duce e della sua gerarchia fascista. Io, B. C., reputo e affermo che, ancora una volta, Gramsci abbia avuto ragione nell’affermare che questi intellettuali della prima ora furono gli intellettuali che diedero lustro e forza a Mussolini e alla sua dittatura. Intellettuali che ben presto diventarono pensatori di destra, annullando e cancellando, completamente, il loro passato di poeti, scrittori e di filosofi. Questi intellettuali e poeti si erano distinti nell’Italia del primo decennio, quando ancora il fascismo non era ancora lontanamente pensabile, rimangiandosi, così, e mandando alle ortiche tutte le loro opere poetiche narrative e filosofiche. Insomma questi intellettuali e poeti scrissero cose positive prima del fascismo, ma tutte le loro opere scritte dopo che Mussolini instaurò il regime fascista, sono opere ormai prive di significato, poetico e letterario, perché tutte inneggianti e adulativi di Mussolini e del suo regime. Allora, io, B. C., affermo e reputo che è meglio stare alla larga da questi quattro intellettuali, comprati e corrotti dal regime fascista, conferendo loro o soldi o sovvenzioni o cariche elettive che li proclamarono intellettuali di regime e tutti inseriti e acclamati membri della Reale accademia d’Italia. Questi quattro illustri intellettuali, con altri intellettuali meno illustri, contribuirono efficacemente e praticamente ad affossare e a distruggere lo Stato liberale democratico postunitario che aveva vinto la prima guerra mondiale ma che dalle sue rovine nacque e si affermò lo Stato fascista, il cui capo Mussolini, con la sua repressione libertaria e con il suo sovversivismo antidemocratico, diventò il primo distruttore della libertà e della democrazia italiana, facendo ricadere e sprofondare l’Italia in un regime totalitario e dittatoriale che durò per più di venti anni.
Modica 01/03/2020 Prof. Biagio Carrubba
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