“LA RUPE” DI CESARE PAVESE, DA DIALOGHI CON LEUCÒ.

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“LA RUPE” DI CESARE PAVESE,
DA DIALOGHI CON LEUCÒ.

“La Rupe” è il dialogo numero 10, in ordine numerico, di Dialoghi con Leucò, ma è il quarto dell’opera in ordine cronologico. Il dialogo fu scritto da Pavese tra il 5 e l’8 gennaio 1946.
Nella piccola introduzione al dialogo (notizia) Pavese spiega che Ercole, come uccisore di mostri, avrebbe potuto uccidere mostri che potevano contenere “Intelligenze chiuse in un corpo deforme e bestiale”. “La Rupe” riprende il mito di Prometeo e di Eracle quando Eracle, nella sua undicesima fatica, liberò Prometeo. Il dialogo riprende il momento in cui Eracle giunse in cima al monte Caucaso (la rupe) e liberò Prometeo, incatenato alla rupe del monte per volontà di Zeus che lo volle punire perché aveva rapito il fuoco agli dei per donarlo agli uomini. Prometeo dice ad Eracle che lo aspettava e già sapeva che lui, Eracle, lo avrebbe liberato da quella pena. Prometeo dice ad Eracle di essere nato al tempo dei Titani e di avere vissuto in un mondo senza dei. Eracle invece viveva nel mondo degli dei che avevano portato ordine e pace dopo l’epoca dei Titani che vivevano invece in un tempo fatto “di lotta e di sangue”. Prometeo si era ribellato al mondo degli dei e a Zeus e per questo era stato condannato ad essere incatenato alla rupe del Caucaso (Esiodo già racconta del mito di Prometeo incatenato sulla rupe del Caucaso, nel famoso libro Teogonia, tra l’VIII e il VII secolo A.C.). Prometeo sapeva che un giorno sarebbe stato liberato perché Chirone, il famoso centauro immortale, ucciso accidentalmente da Eracle, avrebbe preso il suo posto così come gli aveva assegnato il destino. Prometeo sa anche che da mortale sarebbe diventato immortale e Chirone da immortale sarebbe diventato mortale. Eracle era dunque l’artefice di questa taumaturgia e di questo prodigio già predetto dal fato e raccontato dal mito. Prometeo preannuncia ad Eracle che anch’egli sarebbe stato reso immortale dal fato perché una dea lo avrebbe strappato alla morte e lo avrebbe trasportato nell’Olimpo, nel mondo degli dei. Prometeo afferma che la morte è solo una paura che nasce perché gli uomini conoscono l’immortalità degli dei. Prometeo dice che quando finirà la paura degli dei finirà anche per gli uomini la paura della morte e conclude dicendo che i titani ritorneranno alla vita come le stagioni ritornano nell’anno, nel ciclo naturale e proclama la legge che domina la vita sulla terra: “Quel che è stato sarà”. Anche gli uomini ritorneranno ad essere titani cioè immortali poiché non avranno più paura né degli dei né della morte. Il dialogo è introdotto da Cesare Pavese nel suo indice tematico con “ribellione confortevole” di Prometeo e dei Titani contro Zeus e gli dei olimpi.
Pavese fa capire che l’età dei Titani, come risulta dalla mitologia classica, corrisponde all’età dell’oro e alla lotta tra i Titani e gli dei olimpi. Gli dei erano indifferenti agli uomini mentre Prometeo aveva avuto il coraggio di donare agli uomini il fuoco rendendoli forti ed attivi. I personaggi del dialogo sono Prometeo ed Eracle. Prometeo è visto da Pavese come l’eroe che si ribella a Zeus e che sa del suo destino e profetizza ad Eracle che anche lui, un giorno, sarebbe diventato un dio. Ma Eracle rappresenta il mondo degli dei e cioè un mondo rappacificato e riunito sotto Zeus e quindi è un eroe più ubbidiente e fedele agli dei e rappresenta una umanità meno felice e meno libera rispetto ai Titani, più liberi ed istintivi. La tesi del dialogo è quella di mostrare che per la legge che domina la vita sulla terra tutto ritorna come prima, cioè “Nulla si fa che non ritorna”. Infatti prima vi furono i Titani, poi gli dei, poi gli uomini, e poi, secondo Prometeo, scompariranno gli dei e gli uomini diventeranno Titani e quindi immortali, anche se Prometeo chiarisce e confonde “Voi mortali – o immortali – non conta”. Non solo gli uomini, ma anche gli alberi, gli animali, i fiumi e tutta la natura ritorneranno ad essere Titani e quindi immortali, come era stato all’origine della natura. Il finale del dialogo è dunque un finale aperto e si può interpretare in diversi modi: gli uomini e gli elementi naturali si libereranno dagli dei e ritorneranno ad essere Titani, cioè immortali, come all’origine del cosmo. Il dialogo si sofferma nel cogliere i discorsi e le parole tra Prometeo ed Eracle. In questo dialogo Prometeo mette in rilievo la profezia della sua immortalità ed il coraggio di Eracle di arrivare fino in cima al Caucaso. Eracle invece si stupisce del mondo dei titani. Il linguaggio del dialogo è, come al solito, serio e solenne, monotono ed ordinato e la lexis del dialogo è sobria e chiara anche se non fa vibrare nessun sentimento alla lettura. La bellezza del dialogo nasce, quindi, dalla particolarità di Pavese di ascoltare i due eroi nel momento della liberazione di Prometeo dalla rupe che rimane il simbolo del dolore degli uomini e degli eroi.
La ribellione di Prometeo agli dei, secondo Pavese, è una ribellione confortevole perché ripagata dalla liberazione di Eracle che rappresenta il ringraziamento degli uomini a Prometeo per il dono ricevuto. Il dialogo è molto bello anche per la tesi che, implicitamente, sviluppa. Siccome tutto proviene dal destino allora per gli uomini, secondo Pavese, è inutile soffrire, è inutile avere paura, è inutile provare sentimenti perché tutto proviene dal fato, senza la volontà degli uomini, così come scrive: “La pietà, la paura e il coraggio sono solo strumenti”.
Pavese cerca, infine, di rivalutare i due protagonisti indicandone per ognuno gli obiettivi: Prometeo ha l’obiettivo di ribellarsi a Zeus ed Eracle quello di liberare Prometeo dalla sua prigionia e quindi di ringraziarlo per il dono del fuoco che aveva fatto agli uomini.

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Modica, 18/ 09/ 2018                                                                                       Prof. Biagio Carrubba

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