La mia personale interpretazione sul rapporto
tra Luigi Pirandello e il fascismo.
I
Io, B. C., voglio far conoscere e rivelare qual è la mia particolare posizione e interpretazione che riguarda il rapporto fra Luigi Pirandello e il fascismo. Pirandello, nel 1924, aderì al partito fascista tramite una lettera aperta pubblicata sul giornale romano “Impero”. Allora gli chiesero, subito, il motivo della sua adesione al fascismo e lui rispose: “Matteotti” intendendo dire che, secondo lui, ci voleva uno stato forte e di ordine superiore per reprimere gli omicidi e i disordini che erano avvenuti nell’Italia postbellica (1918 – 1922). In realtà, però, secondo me, le ragioni che spinsero Pirandello al fascismo sono altre ben più complesse e profonde.
Il primo motivo è dato, secondo me, dalla sua avversione al socialismo del XIX secolo. Pirandello aveva già avversato e criticato il socialismo nel romanzo “I vecchi e i giovani” dove descriveva i socialisti come uomini politici corrotti. Inoltre Pirandello era contrario e non condivideva né la filosofia del positivismo né, tantomeno, la filosofia e l’ideologia del socialismo e del comunismo.
Il secondo motivo è dovuto, secondo me, dalla sua ostilità atavica verso il governo liberale di Giolitti, che da lui veniva considerato un governo antidemocratico. Pirandello nutriva un’avversione profonda verso la democrazia che lui, nel romanzo, “Il fu Mattia Pascal”, aveva indicato la causa di tutti i mali: “Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? la democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza” e qualche rigo sotto Pirandello definisce la democrazia come “la tirannia mascherata da libertà… Io soffro appunto per questa tirannia mascherata da libertà”. (Cap. XI, pag. 119). Sempre sullo stesso argomento Luigi Filippo d’Amico, nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio 2007), a pag. 37, cita una frase di Pirandello che diceva: “Sono antidemocratico per eccellenza. Dichiarerà nel 1924”.
Il terzo motivo è dato, secondo me, dalla sua identificazione del fascismo come un movimento aperto cioè come la “Forma che si contrapponeva alla Vita” della società italiana degli anni ’20. Pirandello, in fin dei conti, voleva un’Italia ordinata, priva di disordini, senza scioperi e attentati secondo l’ideale di un’Italia post-unitaria così come l’aveva ereditata dalla sua famiglia garibaldina e risorgimentale. In parole povere, mentre in politica, Pirandello fu uomo del suo tempo non sapendo guardare al di là del suo naso, nel teatro, Pirandello proseguì la sua magica evoluzione e riuscì a compiere la sua rivoluzione teatrale con le sue brillanti e intelligenti rappresentazioni teatrali, originali, multiformi, multi tematiche, poliedriche e sorprendenti.
Il quarto motivo, conseguente del terzo motivo, è dato, secondo me, dal fatto che Pirandello identificò la Forma con la Politica e la Vita con il teatro. Ora, mentre Pirandello, in politica, si isolò, si bloccò e si confinò nel rapporto Forma – Politica; nel teatro, invece, continuò la sua evoluzione e rivoluzione teatrale, passando, così, dal teatro realistico e umoristico siciliano delle prime commedie al teatro sociale delle commedie civili e borghesi romane; dai drammi “del teatro nel teatro” alle commedie dedicate alla sua attrice preferita Marta Abba ed infine dai drammi del teatro dei sogni, come nella commedia “Sogno (ma forse no)” o come la commedia “La favola del figlio cambiato” del 1934, fino all’ultima commedia “Quando si è qualcuno” e alle rappresentazioni teatrali dei Miti degli ultimi anni.
Il quinto motivo, è dovuto, secondo me, in definitiva, al fatto che Pirandello aderì al fascismo per il suo carattere conservatore e per la sua indole di uomo moderato e per la sua visione politica conservatrice, restauratrice e moderata.
Il sesto motivo, è chiarito e spiegato, secondo me, molto bene dalle giuste considerazioni che ha fatto Luigi Filippo d’Amico nel suo libro “L’uomo delle contradizioni” (Sellerio 2007), quando a pagina 13 espone le sue idee sull’adesione di Pirandello al partito fascista. “Quando, dopo l’uccisione di Matteotti nel 1924, i migliori tra gli intellettuali, guidati da B. Croce si schierarono contro il fascismo, Pirandello, che era di stirpe anarchico – repubblicana, chiese addirittura la tessera del Partito. Su questa infelice, clamorosa e criticatissima decisione, io, L.F. d’Amico, credo, valutando il carattere di Pirandello, che ebbe anche molto peso il contrasto con Croce che, da pensatore rigoroso, aveva sempre trattato dall’alto in basso le sue diversioni filosofiche, e non riconosceva nemmeno il valore della sua opera”.
II
Questi motivi profondi, politici e personali, spiegano il perché Pirandello rimase un fervente fascista fino alla sua morte, mantenendo intatto il suo idealismo culturale, filosofico e politico del fascismo, fatta eccezione per alcuni episodi di contrasto con i gerarchi fascisti di Roma e tranne per qualche polemica personale con Mussolini. Questi episodi di contrasto con il governo fascista, transitori e ostili con il regime fascista, sono ben testimoniati da Luigi Filippo d’Amico, che li descrive e li narra, nel libro “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio 2007). Il primo contrasto fra Pirandello e il regime fascista viene descritto a pagina 119: “Corrado Alvaro riferisce testualmente che Pirandello non accettò di fornire chiarimenti… cavò di tasca la tessera del Partito, la lacerò la buttò sul tavolo sotto gli occhi del gerarca; si strappò il distintivo dall’occhiello, lo scaraventò in terra, e uscì sdegnato. Lo scrittore era già in rotta con il Governo che nel 1926 gli aveva preferito la Deledda come candidata al premio Nobel….Nel 1929 intratterrà rapporti con il fascismo solo nel lungo, ripetuto e sempre fallito tentativo di ottenere i finanziamenti per i progetti suoi e di Marta per un teatro di impegno artistico e culturale.”. Il secondo contrasto fra Pirandello e Mussolini si svolse a proposito di Marta Abba e dai finanziamenti economici promessi da Mussolini. Ecco come Luigi Filippo ne parla a pagina 125 dove scrive: “In un ultimo vano colloquio (al solito, solo promesse) per avere sovvenzioni, deve pure incassare una orrenda stilettata. Come sempre bene informato il Duce, compiacendosi della propria fama di – macho – lo consiglia – Si ricordi, caro Pirandello, che quando si ama una donna, non si fanno tanti complimenti, la si butta sul divano -”. Luigi Filippo d’Amico testimonia, bene, ancora, le fasi alterne e contrastanti del rapporto di Pirandello con il fascismo, così come le descrive a pagina 162: “Fu chiesto a Pirandello un libretto per la musica innovativa dell’illustre G.F. Malipiero… In questa occasione ci fu un energico sabotaggio preordinato dagli estremisti del fascio e la rappresentazione fu subissata dai fischi, mentre Mussolini abbandonava il palco, e si affrettava anche lui a proibire l’opera”. Io, B. C., penso e suppongo che Luigi Pirandello si sia fatto prendere la mano, il cuore e il cervello dal partito fascista e da Mussolini che garantiva ordine e silenzio in Italia. Io, B. C., ritengo che Luigi Pirandello fu attirato in una trappola politica gestita e voluta da Mussolini. Infine io, B. C., ritengo che Luigi Pirandello anziché andare dietro le sirene di Mussolini e dietro al manifesto fascista e filosofico di Giovanni Gentile (1924), doveva, secondo me, aspettare un altro anno ed essere più prudente e avrebbe dovuto sottoscrivere il manifesto antifascista di Benedetto Croce (1925), come fecero tanti altri intellettuali più lungimiranti di Luigi Pirandello e più amanti delle libertà democratiche e dallo Stato democratico.
III
Pirandello nacque fascista e fu fascista per tutta la vita come nacque romanziere, drammaturgo e novelliere, e morì, secondo me, convintamente e fermamente, fascista. Nel 1924, dopo la sua adesione al fascismo, quando Pirandello chiese, pubblicamente, la tessera del partito fascista, spiegò che la sua adesione al fascismo era dovuta all’uccisione del deputato socialista “Matteotti”. Secondo me, B. C., Pirandello, con questa scelta e adesione al partito fascista, scisse, una volta per tutte, la Forma dalla Vita, identificando la forma con la politica e la vita con il teatro. Io, B. C., reputo e suppongo, infatti, che Pirandello, una volta divisa la politica italiana, con l’istaurazione del governo fascista, dal teatro, imbalsamò e mise a tacere la sua coscienza critica e politica; dopo di che il drammaturgo siciliano concentrò la sua attenzione, la sua produzione e con la composizione delle sue creazione teatrali per rappresentare la vita borghese, reale e concreta, che vedeva svolgere davanti ai suoi occhi a Roma, in Italia e in tutta Europa. Pirandello mise a posto e congelò, così, la sua coscienza politica affidandosi al partito fascista di Mussolini, che ormai, era diventato il capo incontrastato del governo fascista e del popolo italiano e che governava e comandava da solo tutta la politica italiana. Inoltre Pirandello aveva fiducia e credeva nell’ideologia politica nazionale fascista, sorretta dalla sua struttura gerarchica che controllava, con le camicie nere, tutta la vita degli italiani: dalla nascita alla morte.
IV
L’adesione al partito fascista e l’essere fascista di Pirandello, a me personalmente, dispiacciono molto perché così io, B. C., mi accorgo e reputo che Pirandello non riuscì mai ad uscire fuori dal regime fascista anche se posso comprendere che a quell’epoca era molto difficile uscire dall’euforia e dall’epopea fascista. Pirandello, infatti, vide nel regime fascista, secondo me, la forma perfetta della politica e della società italiana, ben organizzata e ordinata dallo stato fascista. Se fosse riuscito ad uscire dal fascismo sarebbe stato un genio letterario e un drammaturgo lungimirante, perfetto e insuperabile. Invece, Luigi Pirandello non uscì mai né dal partito fascista né dall’Italia fascista, considerandosi sempre un emerito fascista anche se nel corso degli anni ebbe degli scontri personali con Mussolini il quale, fino all’ultimo, gli negò i finanziamenti per il suo teatro. Luigi Filippo d’Amico conferma e testimonia, ancora una volta, nel suo libro “L’uomo dalle contraddizioni” nella pagina 170, la profonda adesione di Pirandello al regime fascista. Nel 1935, Pirandello si era recato a New York per implementare le sue speranze e le sue prospettive cinematografiche, con alcune case cinematografiche. Pirandello parlò con alcuni dirigenti di queste distribuzioni cinematografiche, ma alla fine non concluse niente. Luigi Filippo d’Amico allora conclude: “Ma credo che, questa volta, furono le sue dichiarazioni fasciste ad alienargli le simpatie dei Tycoon di Hollywood. A giudicare dalle due trasposizioni dovremmo dire che il cinema americano non ha perso nulla”. Per tutte queste cause e concause, io, B. C., reputo e giudico che Luigi Pirandello è stato il più grande narratore, novelliere e romanziere del suo tempo e della sua epoca, per cui egli è rimasto figlio del suo tempo, ma, nel contempo e in politica, non ha saputo uscire dal suo tempo e non ha saputo guardare oltre il suo periodo storico. La sua genialità è rimasta confinata nel teatro, mentre in politica, fu addirittura un entusiasta esaltatore e ammiratore di Mussolini. A questo proposito, anche Luigi Filippo d’Amico, nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” Sellerio 2007, riporta altre due, importanti e incontrovertibili, testimonianze sulla partecipazione attiva e concreta di Luigi Pirandello al regime fascista. La prima testimonianza si trova nelle pagine 156 – 157, quando scrive: “Ci sono poi le riunioni dell’Accademia d’Italia, e non rinunzia a cercare l’aiuto per l’auspicato Teatro”. La seconda testimonianza è riportata a pagina 167, quando scrive: “Nonostante che lo scrittore – come ultimo passo verso i chimerici aiuti statali – si affiancherà alla marea di italiani che plaudirono all’ignobile guerra in Etiopia del 1935”. Dunque mentre in politica Luigi Pirandello fu figlio del suo tempo, non sapendo vedere oltre il suo naso; nel teatro continuò la sua opera rivoluzionaria di saper descrivere la gente della sua epoca e dell’età moderna. Ma Luigi Pirandello, nel teatro, ha saputo vedere e rappresentare, secondo me, non solo la sua epoca moderna, ma, altresì, ha intravisto e preannunciato, anche, l’età postmoderna che già, secondo me, si è conclusa da almeno dieci anni, perché, secondo me, oggi viviamo nell’età postcontemporanea. Condivido, comunque, pienamente, il breve giudizio sul teatro di Luigi Pirandello, di Luigi Filippo d’Amico nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” a pag. 104: “Nell’atmosfera dei roaring twenties (i ruggenti anni ’20) le novelle e il teatro di Pirandello – pur con interpretazioni diverse e parziali – non potevano non essere apprezzati per l’originalità e la carica di ribellione, trasgressiva e irridente. Pirandello non tiene conto delle molte obiezioni della critica, sa di essersi pienamente espresso con i Sei personaggi, e subito, fin dal titolo (Enrico IV) e dalla definizione (tragedia in 3 atti) vuole confrontarsi con i “classici”.
V
Finale
Io, B. C., penso e reputo che Pirandello abbia saputo cogliere e rappresentare, nel teatro, l’autenticità degli uomini nel loro essere violenti, brutali, assassini, perfidi, falsi, tratteggiandone la loro umana natura, piena di idiosincrasie, manie e fobie, dandone, così, una visione completa di essa e descrivendo la complessità dell’uomo moderno, la quale non è stata meno inferiore dell’uomo postmoderno, ma è stata diversa e determinata dalla cultura scientifica del suo tempo e della sua epoca. Ora, invece, l’attuale società postcontemporanea è diversa, ma non inferiore, di quella che seguirà la nostra attuale società postcontemporanea, benché la prossima società, ultratecnologica e robotica, del mondo occidentale è già alle nostre porte e che io, B. C., definisco, fin da d’ora, “Società Post-Postcontemporanea” o società neoilluministica, tutta basata sulla scienza e sul lavoro informatizzato. Io, B. C., penso e reputo che la prossima società post-postcontemporanea, o neoilluministica e robotizzata, sia già alle porte e ogni giorno irrompe sempre di più. La nuova società post-postcontemporanea sarà, secondo me, dominata e caratterizzata da un’altra e più intensa conoscenza scientifica e tecnologica. In altre parole lo Zeitgeist dell’uomo moderno di Pirandello è stato molto diverso dal nostro zeitgeist dell’uomo postcontemporaneo, il quale è diverso, a sua volta, dallo Zeitgeist dell’uomo post-postcontemporaneo, che già appare all’orizzonte aperto, che già bussa, molto forte, alle nostre porte e che, già, è stato tracciato e sviluppato dagli attuali scienziati di oggi e dagli odierni uomini postcontemporanei. Infine, io, B. C., penso e suppongo che Luigi Pirandello, in politica, prese un grande abbaglio e ha commesso un grosso sbaglio pensando che il fascismo fosse la forma perfetta dello Stato. In verità la politica si evolve come si evolve la vita, per cui Pirandello ha scambiato e confuso la forma statica dello Stato fascista pensando e immaginando che il regime fascista fosse la forma perfetta dello Stato italiano di allora. Pirandello non ha pensato né immaginato che la politica è, anche, vita violenta, passione e dramma, e che la politica cambia con il mutare dei tempi e delle società. Luigi Pirandello, secondo me, doveva essere più lungimirante e guardare oltre il suo naso e aspettare un anno e, così, avrebbe dovuto sottoscrivere, invece, il manifesto antifascista di Benedetto Croce. Purtroppo Pirandello non ha avuto questa lungimiranza e così si è confinato e limitato ad essere, soltanto, un uomo del suo tempo. Lui che, nel teatro, ha previsto e preannunciato la società postmoderna e, forse, ha anticipato, anche, la società postcontemporanea.
Modica 08/11/2019 Prof. Biagio Carrubba
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