Introduzione alla poesia “Il tramonto della luna” di Giacomo Leopardi.

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Introduzione alla poesia “Il tramonto della luna”.

“Il tramonto della luna” è, quasi sicuramente, l’ultimo canto, scritto da Leopardi nella primavera – estate del 1836 a Villa Ferrigni, dopo La Ginestra, presso Torre del Greco, sulle falde del Vesuvio. Il canto riassume e sintetizza, in modo poetico ed armonico, tutti i temi e le idee che il giovane Leopardi aveva elaborato e scritto nelle sue opere precedenti sulla vita e sulla morte, sulla vecchiaia e sulla giovinezza degli uomini. Il canto esprime, insomma, tutto il pessimismo del poeta e la sua profonda convinzione sulla inutilità della vita, che è ostacolata dalla natura ed è basata sul dolore che caratterizza l’esistenza degli uomini.
L’analogia iniziale termina all’inizio della seconda strofa; l’analogia riproduce la bellezza dello spettacolo notturno marino che incanta gli uomini e crea una bellezza naturale che affascina l’umanità. Si può quindi dire che Il tramonto della luna può essere considerato il manifesto della poesia romantica italiana poiché riprende tutti i temi del romanticismo europeo. Però Leopardi trasforma questo romanticismo, da fideistico, religioso ed irrazionale come si era sviluppato in tutta Europa, in un romanticismo ateo, materialistico, razionalistico. Io. Biagio Carrubba, affermo che questo romanticismo ateo e materialistico sia la novità fondamentale della poetica romantica leopardiana.
Il canto fu pubblicato per la prima volta nell’edizione postuma dei “Canti”, curata da Antonio Ranieri, del 1845.

Testo della poesia Il tramonto della luna.

Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti 5
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno 10
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta, 15
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale 20
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze, 25
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente 30
Meta o ragione; e vede
Che a sé l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.

Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte 35
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte, 40
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo 45
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene. 50

Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte 55
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti, 60
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, né d’altra aurora. 65
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.

Parafrasi della poesia “Il tramonto della luna”.

I° Strofa

Come la luna tramonta, sul far del giorno, dopo che è giunta all’orizzonte del cielo o è giunta dietro l’Appennino o dietro le Alpi, o nel gran golfo del Tirreno, e splende in una notte solitaria sopra campagne argentee e sopra le acque, là dove zefiro aleggia e dove le ombre lontane formano incantevoli riflessi tra le onde lontane e tra rami e tra siepi e tra collinette e villette; quando la luna scompare dietro l’orizzonte e il mondo perde il suo chiarore definitivamente, le ombre della notte spariscono e un buio, totale e fitto, imbruna le valli e i monti; la notte resta orba e il carrettiere, cantando con triste melodia, saluta dalla sua strada l’ultimo chiarore della luna che se ne va e che fino a poco prima gli aveva fatto da guida.

II° Strofa

Allo stesso modo la giovinezza si dilegua e lascia la vita degli uomini in una condizione desolante. Le desiderate e false illusioni vanno via e le ingannevoli speranze, sulle quali la natura mortale si appoggia, vengono meno. La vita resta oscura e abbandonata. Il viaggiatore, stordito e frastornato, cerca invano, nella vecchiaia, lo scopo e il termine del suo lungo cammino; e l’uomo si accorge che la terra, durante la vecchiaia, gli si fa estranea e lui diventa estraneo alla terra.

III° Strofa

La nostra esistenza parve agli dei troppo felice e lieta se, la giovinezza nella quale ogni piacere è frutto di mille dolori, durasse per tutta la vita.
Il decreto che sentenzia che ogni animale è destinato a morire è parso un mite decreto agli dei, se gli dei, durante la vita degli uomini non avessero dato loro una età che è più terribile della morte stessa. Gli dei escogitarono la vecchiaia, che è un degno ritrovato di intelletti immortali ed il peggiore di tutti i mali, nella quale il desiderio è ancora incolume, immutato e forte, le speranze sono sparite, le fonti del piacere sono secche, le pene sono sempre maggiori e il bene non è più dato.

IV° Strofa

Voi collinette e spiagge dopo che la luce della luna, che rendeva il cielo argenteo, è tramontata all’Occidente, non resterete ancora prive di luce perché subito dopo vedrete il cielo all’oriente che imbianca e vedrete di nuovo il sorgere dell’alba; all’alba segue il sole, che, con i suoi raggi possenti, folgora la terra e il cielo. Ma la vita mortale, dopo che la bella giovinezza è sparita, non si colora più né di luce né di altre aurore. La vita rimane triste e infelice fino alla fine; e gli Dei posero fine alla vecchiaia, che travolge e chiude tutte le altre età precedenti, con la morte.

Sintesi della poesia.

Il canto Il tramonto della luna è composto da quattro strofe di uguale lunghezza. Leopardi apre la prima strofa con una analogia; la luna, ascendendo nel cielo notturno, dopo essere arrivata all’ultimo orizzonte, splende sopra le campagne argentate e sopra le acque del mare; dopo tramonta, sul far del giorno, e lascia la terra al buio. Il carrettiere saluta il tramonto della luna con un canto triste e malinconico.
La secondo strofa inizia completando l’analogia del notturno marino; infatti la giovinezza, abbandonando l’età adulta degli uomini, lascia la vita mortale al buio. Nella vecchiaia scompaiono le illusioni e le speranze che rendevano la giovinezza l’età più bella di tutta la vita e l’uomo, ormai maturo, sente che la terra gli diventa estranea e che lui diventa estraneo alla terra.
Leopardi inizia la terza strofa con un “pluralis modestiae” e coinvolge direttamente gli dei che hanno dato all’uomo non solo la giovinezza ma anche la vecchiaia che rende la vita insopportabile ed insostenibile.
Il poeta inizia la quarta strofa affermando, però, che il mondo naturale rivedrà un’altra volta la luce del sole ad oriente e quindi avrà nuova vita, mentre la vita degli uomini, dopo la giovinezza, finirà con la morte voluta dagli dei.

Il tema della poesia.

Il tema della poesia è la similitudine tra il tramonto della luna e il tramonto della giovinezza. Come il tramonto della luna lascia la terra al buio e rende incerta la guida al carrettiere che va per le strade, così il tramonto della giovinezza lascia la vita degli uomini all’oscuro e rende infelice l’età che rimane a loro da vivere. Il viandante immagina il resto della sua vita infelice e senza scopo e sa che non troverà più la felicità della giovinezza.

Il messaggio della poesia.

Il messaggio della poesia è certamente quello dell’uomo che cerca una meta o una ragione alla sua vita. Ma tale ricerca è impossibile per l’uomo in quanto non riuscirà a trovare uno scopo e un termine alla sua vita, rimanendo smarrito e confuso per la sua strada, durante il suo viaggio. Quindi l’uomo sente che la terra gli diventa estranea e che lui diventa estraneo alla terra. Inoltre il poeta aggiunge che buona colpa dell’infelicità degli uomini è dovuta agli dei che hanno imposto loro la morte. Condivido pienamente le considerazioni e le riflessioni che Ugo Dotti fa sul canto nel suo bel libro Giacomo Leopardi Canti nelle pagine dedicate al Tramonto della luna.

La tesi della poesia.

La tesi del canto è sicuramente quella di affermare che la vita termina con la morte e quindi che non c’è niente dopo la morte. Questa affermazione rientra nella poetica del “romanticismo ateo” di Leopardi. Il poeta aveva già affermato, tante volte, questa tesi nelle sue opere poetiche e filosofiche precedenti; già Leopardi aveva preso il concetto della ciclicità della natura e della morte ineluttabile dell’uomo quando aveva tradotto, nel 1815, gli idilli di Mosco. In particolare il terzo idillio affermava: <>. (vv. 140 – 146) (Da Giacomo Leopardi – Poesie e Prose – Volume I – a cura di Mario Andrea Rigoni – Arnoldo Mondadori editore – Pag. 503 – Edizione I Meridiani).
Questa tesi afferma che, mentre la natura segue il suo ciclo naturale e il suo corso indifferente verso la vita degli uomini, e il suo ciclo segue il giorno e la notte, la luce e il buio, in un ciclo eterno e sempre uguale, la vita degli uomini invece segue un andamento lineare, irreversibile, che non può più ritornare indietro, quindi passata la giovinezza, la vita si inoltra nella vecchiaia e da lì alla morte.

Analisi della forma.

Il genere della poesia.

La poesia è di genere romantico in quanto nel canto Leopardi esprime tutta la sua Weltanschauung ed i suoi sentimenti di fronte allo spettacolo naturale, alla vita e alla natura.

La metrica della poesia.

Il canto è una canzone libera di quattro strofe, con rime e rime al mezzo per un totale di 68 versi.

Il linguaggio poetico.

Il linguaggio poetico del canto è raffinatissimo ed aulico, costruito con una lexis alta, aulica e latineggiante e arricchito di tantissime figure retoriche tra cui la grande similitudine iniziale che copre tutta la prima e parte della seconda strofa.
Altre figure retoriche presenti nel canto sono le rime, le rime al mezzo e gli enjambement.

Il tono emotivo della poesia.

Il tono emotivo della poesia si sviluppa in tre grandi momenti:
il primo momento emotivo è dato dalla stupefacente contemplazione da parte del poeta del notturno marino e della luna che biancheggia sul mare. Leopardi rimane incantato di fronte a questo spettacolo naturale;
nel secondo momento subentra la riflessione del poeta (III° strofa) nella quale Leopardi esprime la sua rabbia, la disperazione, la ribellione e la protesta contro gli dei che hanno imposto la vecchiaia agli uomini;
nel terzo momento, alla rabbia subentra uno stato d’animo quasi di rassegnazione ma soprattutto uno stato di pacatezza, accettazione e di rasserenazione del poeta di fronte al destino degli uomini che devono subire e patire la vecchiaia e la morte su questa terra.
Leopardi, ormai libero dalla fase concitata della sua vita, con questo canto, si congeda, quindi, dalla vita e dalla natura, con un senso di rasserenamento e di rassegnazione.

La lexis della poesia.

Il canto, Il tramonto della luna, si apre con la splendida contemplazione della luna che illumina, con il suo chiarore, la terra ed il mare, creando, con la sua luce, il chiaroscuro delle onde e dei riflessi marini e campestri. Il canto continua descrivendo le mille sfumature delle ombre fra rami e collinette.
E’ facile immaginare Leopardi, ormai conscio della sua fine triste e solitaria e ormai al declino della sua vita, star seduto (“sedendo e mirando”) davanti alla villa Ferrigni, alle falde del Vesuvio, a contemplare, in una notte lunare, estiva e serena, il mar Tirreno e la luna, che, con il suo chiarore, rendeva argenteo il mar Tirreno e la costiera napoletana.
Mi piace immaginare di potere guardare lo spettacolo lunare e il mar Tirreno così come li scrutava il poeta in una sera estiva, con gli occhi stessi di Leopardi. Questo spettacolo lo affascinava ma, certamente, il poeta non si lasciava ingannare dalla bellezza naturale e, con la riflessione e la bellezza della lexis, nel canto, esprime anche la sua consapevolezza sulla ineluttabilità della natura e sul suo ferreo gioco.

La bellezza della poesia.

La bellezza del canto deriva:
1. dalla stupenda descrizione del notturno marino, rappresentato con un linguaggio reale ma quasi surreale, con l’uso di particolari in chiaroscuro tutti ammantati dal colore argenteo dei campi e del mare;
2. dal dispiegarsi del tono emotivo che va dalla contemplazione affettiva dello spettacolo naturale notturno alla rassegnazione del poeta verso la vita senza più la rabbia e la disperazione dei suoi anni giovanili;
3. il congedo dalla vita di Leopardi che mostra di essersi rappacificato e rasserenato con sé stesso e con la natura, che è molto più forte di lui e degli uomini.

Dai grandi idilli al Tramonto della Luna.

I primi due grandi idilli, “Il Risorgimento” e “A Silvia”, furono scritti da Leopardi nell’aprile del 1828, a Pisa, quando si risvegliò in lui la tanto attesa ispirazione, dopo il periodo di aridità poetica patita tra il 1824-1828, nel qual tempo Leopardi aveva comunque scritto buona parte delle “Operette Morali”. Leopardi compose gli altri idilli a Recanati, dove rientrò nel novembre del 1829 e dove rimase fino all’aprile del 1830.
Poiché Leopardi si sentiva più poeta che filosofo, fu, ovviamente, estremamente felice quando ritrovò l’ispirazione poetica. Il poeta descrisse la sua ritrovata creatività poetica nel primo grande idillio dal titolo “Il Risorgimento” dove descriveva il suo nuovo e risorgente stato d’animo e la ripresa dell’attività poetica.
Il secondo “grande idillio” che Leopardi scrisse fu il celebre canto “A Silvia”. A Recanati scrisse gli altri grandi idilli: “Il passero solitario”, di incerta datazione, ma comunque pensato ed iniziato nei mesi di Marzo – Maggio del 1829 e finito di scrivere o nel 1832, o nel 1833 o nel 1834; il quarto grande idillio è “Le Ricordanze” scritto dal 26 agosto al 12 settembre 1829; il quinto grande idillio è “La Quiete dopo la tempesta” scritto dal 17 al 20 settembre del 1829; “Il Sabato del villaggio”, il sesto grande idillio, fu scritto dal 21 al 29 settembre del 1829; e il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, il settimo grande idillio, fu scritto dal 22 ottobre 1829 all’aprile del 1830.
Il tema portante di tutti i grandi idilli è “la giovinezza” che irrimediabilmente e velocemente passa via. Finita la giovinezza, la vita si tramuta in dolore e vecchiezza, che è più dolorosa della morte. La natura stronca la giovinezza prima in Silvia, poi in Nerina e poi nel piacere che nasce dopo la tempesta. Nel “Sabato del villaggio” vi è un attimo di pace che si traduce nel suo celebre e bellissimo monito al “Garzoncello scherzoso”. Ma subito dopo Leopardi riprende la sua protesta contro la natura nel celebre e bellissimo canto “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, dove il poeta, rivolgendosi alla silente luna, le domanda il perché del dolore degli uomini e dal silenzio della luna, Leopardi, rafforza la sua idea che anche tutto l’universo è immerso nel dolore.
Leopardi confermerà, nel “Tramonto della luna”, l’ultimo canto scritto a Torre del Greco, presso Napoli, la sua tesi sulla irrimediabilità e velocità della giovinezza che rimane l’unico periodo bello della vita degli uomini. Passata la giovinezza, infatti, la vita degli uomini piomba nella oscurità della vecchiaia e nel buio perenne della morte.

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Modica 02/07/2018                                                                                                       Prof. Biagio Carrubba

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