Introduzione alla poesia “A SILVIA “
(Canto n. XXI) di G. Leopardi.
Il Leopardi compose questa poesia tra il 19 e il 20 aprile del 1828, subito dopo “IL RISORGIMENTO”. Il poeta si trovava a Pisa e spinto da una forza interiore lirica e poetica, come aveva scritto nel “Risorgimento”, riprende a poetare, ispirandosi a Teresa Fattorini, una sua conoscente morta dieci anni prima nel 1818 a Recanati. Perché il poeta si ispira proprio a lei? Il Leopardi ce lo spiega subito, nella prima strofa, perché, ricordandosi che lui la sentiva cantare in quello stesso periodo primaverile e con quel canto lei esprimeva la sua fiducia nel vago avvenire, così adesso lui, nello stesso periodo primaverile, con questa nuova poesia si sentiva risorgere a nuova vita, dopo l’inaridimento poetico, come scrisse subito dopo alla sorella Paolina, nella lettera del 2 maggio: “Dopo due anni, ho fatto dei versi quest’aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel cuore di una volta”. Ma era passato tanto tempo da allora, e ora il Leopardi trasfigurava Teresa Fattorini in Silvia, che era la protagonista dell’Aminta del Tasso, cioè nel simbolo di una fanciulla che nel pieno sviluppo della sua vita viene stroncata dalla crudele morte. Come scrive U. Dotti: “Teresa Fattorini, trasfigurata in Silvia, è divenuta il simbolo eterno di questo duplice volto dell’esistenza, quello della promessa e quello del disinganno. Il Leopardi ha congiunto alla purezza e felicità di Teresa i pensieri della sventura e del dolore, ha annegato l’apparente conquista dell’Altrove nella dura verità del reale, ha distrutto l’immagine lieta con quella dell’aspra morte”. (G. Leopardi. Canti a cura di Ugo Dotti. Edizione Feltrinelli pag. 82). Dunque il Leopardi, in questo aprile pisano, preso dal fervore creativo e dalla nuova linfa poetica, nella sua mente si rivolge direttamente a lei chiamandola per nome e subito la riporta al mese di maggio quando loro due avevano un avvenire glorioso davanti ed erano lieti di vivere e di godere le speranze del buon futuro perché entrambi erano ancora giovani.
Testo del Canto
A SILVIA.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, entravi
nell’età della giovinezza?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla mano veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fiore degli anni tuoi.
Non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
Anche peria fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umani genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
Parafrasi e costruzione diretta della poesia: ” A SILVIA”.
1ª strofa.
Silvia ricordi ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando la bellezza risplendeva
nei tuoi occhi gioiosi e vispi
e tu, contenta e pensierosa, varcavi
la soglia della giovinezza?
2ª strofa.
Le silenziose stanze
e le vie circostanti risuonavano
al tuo continuo canto,
quando, mentre eri intenta ai lavori femminili,
sedevi ed eri contenta
del tuo vago futuro, che avevi in testa.
Era il profumato mese di maggio, e tu eri solita
così trascorrere la tua giornata.
3ª strofa.
Io, talora, abbandonando
gli studi letterari e i miei quaderni scritti
sui quali si consumava la mia vita,
dal balcone della casa paterna
ascoltavo il tuo canto
e il rumore della tua mano veloce
che scorreva sul telaio.
Guardavo il ciel sereno,
le strade indorate dal sole
e vedevo di qua il mare e di là le montagne.
Nessun parola ineffabile potrebbe dire
quel che io provavo nel mio cuore.
4ª strofa.
Che pensieri piacevoli, immaginavo
che speranze, che sentimenti, provavo,
o Silvia mia!
Come ci sembrava, allora, lieta e fiduciosa
la nostra vita e il nostro destino.
Quando, ora, mi ricordo di quella speranza
così grande, un sentimento duro
e inconsolabile mi opprime
e ritorno a dolermi della mia infelicità.
O natura, o natura, perché non rendi
quello che hai promesso prima?
Perché così tanto tradisci i figli tuoi?
5ª strofa.
Tu, prima che l’inverno inaridisse l’erba, o Silvia,
indebolita e vinta da un male nascosto,
morivi, o fragile creatura.
E tu non vedevi finire
il fiorire dei tuoi anni.
E, non ti rallegravano il cuore
né le lodi per i tuoi neri capelli e né
per i tuoi sguardi innamorati e pudici;
e non conversavi d’amore con le tue amiche
nei giorni festivi.
6ª strofa.
(Non appena tu sei morta,)
così poco dopo anche la mia dolce speranza moriva:
il destino ha negato ai miei anni
anche a me la giovinezza. Ahi come
come sei fuggita in fretta
cara compagna della mia giovane età,
mia speranza tanto rimpianta.
(Ora mi chiedo:)
Questo è il mondo tanto sognato? questi
sono i diletti, l’amore, le opere e gli eventi
di cui così a lungo ragionammo insieme?
Questo è il destino degli uomini?
Quando è apparsa la vera e cruda realtà
Tu, misera speranza, sei scomparsa; e con la mano
mi indicavi, dileguandoti.
la fredda morte e una spoglia tomba.
Mio commento al Canto.
Il Canto “A SILVIA”, è, sicuramente, bellissimo e dolcissimo ed esprime, in maniera struggente e melanconica, tutto il dolore e il pessimismo del giovane Leopardi. Silvia è la trasfigurazione di Teresa Fattorini, che era morta 10 anni prima a Recanati nel 1818. Silvia diventa così il simbolo della gioventù falciata, prima dalla malattia e poi stroncata, inesorabilmente, dalla morte. Silvia, oggi, è diventata l’emblema della infelicità umana, a cui il poeta dedica un Canto immortale. Io, Biagio Carrubba, penso che la bellezza del canto stia proprio nel fatto che il giovane Leopardi sia riuscito ad esprimere, in forma poetica, tutto ciò che a lui gli sembrava ineffabile “Lingua mortal non dice / quel ch’io sentiva in seno”. Inoltre il ritmo musicale dolce dei versi dona al Canto una cadenza ritmica, lenta e quasi monotona, che sta a indicare il lamento del poeta per la morte immatura della giovane donna e mostra la disperazione per la sua vita rimasta orfana della speranza per il suo futuro intravisto buio e tetro così come era stata la sua vita fino ad allora. Anche oggi, a distanza di due secoli del canto “A SILVIA” le giovani donne muoiono all’improvviso, nel loro fiorire giovanile, come è successo a tante giovani ragazze e ragazzi, morti inaspettatamente sotto il crollo del ponte di Genova avvenuto 3 giorni fa. È ovvio ed è naturale che ai parenti delle giovani vittime nasca un enorme e profondo odio contro tutto e contro tutti ed è anche legittimo che il loro dolore sia inestinguibile ed ineguagliabile. Ecco in che cosa consiste l’ineffabilità del canto.
Modica 21/ 08/ 2018 Prof. Biagio Carrubba
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