
“Bruto Minore”. Introduzione alla poesia.
Giacomo Leopardi scrisse il “Bruto Minore”, il sesto canto dei “Canti”, nel dicembre 1821, in 20 giorni come attesta lo stesso poeta. Lungo il percorso personale, culturale ed esistenziale di Leopardi non c’è nessun dubbio che il “Bruto Minore” costituisca un punto di approdo di fondamentale importanza, come lui stesso attesta nella lettera del 24 maggio del 1832 al filologo svizzero Louis De Sinner. Leopardi in questa lettera esprime ormai tutta la sua completa Weltanschauung, che gli si era fatta chiara in quegli anni tra il 1818 e il 1821.
Io, Biagio Carrubba, penso che questa poesia è un vero capolavoro lirico. Secondo me questo canto è bellissimo perché Leopardi riesce ad esprimere in modo eccezionale, originale e poetico tutta la sua tensione emotiva interiore in modo universale.
La bellezza del canto è dovuta a:
1. Le domande che Leopardi si pone sono le domande che tutta l’umanità si chiede ogni giorno;
2. alla capacità di Leopardi di sapere costruire tutta la poesia su un personaggio romano, Bruto Minore, il quale riesce ad impersonare la logica della sfida agli dei, alla morale stoica comune nel mondo romano;
3. perché Bruto Minore sacrifica la sua vita, come aveva fatto Ettore a difesa di Troia, per la difesa dei suoi ideali che volevano difendere la Repubblica di Roma contro il tentativo di Cesare di instaurare l’impero.
In tutta la poesia vi sono diversi punti di aria foscoliana. Inoltre il Leopardi vi immette tutto il suo pathos e tutto il suo ethos che sono espressi in modo così intenso e incalzante che danno a tutto il canto una tensione emotiva universale. Dunque il passaggio dal piano personale di Leopardi al piano universale di Bruto, benché Bruto sia Leopardi stesso, è anche la prova lampante che la lirica è uno dei capolavori della letteratura italiana ed internazionale. Il linguaggio profondamente ellittico ed aulico conferisce alla poesia un’elevata sensibilità poetica e culturale tanto da farla avvicinare alle grandi liriche greche. Per Ugo Volli la bellezza della poesia è dovuta: “ma il fatto poiché tale ideologia, nelle forme artistiche e tecniche di una canzone piena di ardimenti e di rime non frequenti ma sempre in clausole a rima baciata e pertanto in funzione sentenziale; e il fatto inoltre, che tale ideologia si esprima tutta nel monologo del protagonista e in modo arditissimo per contenuto e forma – voce di effettivo protagonista tragico – fanno sì che il Bruto sia da annoverare, più di quanto solitamente non si faccia, tra le cose più alte di tutto il Leopardi”.
(da Giacomo Leopardi – Canti – Feltrinelli Editore – a cura di Ugo Dotti – Pagg. 25 – 26)
Parafrasi e costruzione diretta della poesia “Bruto Minore”.
1ª strofa.
Dopo che l’esercito repubblicano romano fu sconfitto in terra Macedone, a Filippi nel 42 a.C., ciò producendo una rovina immensa, la fortezza italiana morì, tanto che il destino preparò allora l’invasione dei barbari della bella e verdeggiante Italia, e permise il calpestio di Roma sotto i cavalli dei barbari, e dalle squallide selve nordiche, che la fredda costellazione dell’Orsa Maggiore sovrasta dal cielo, chiamò le spade degli stranieri per abbattere le belle e famose mura di Roma;
Bruto, sudato, bagnato dal sangue romano, solo nella cupa notte e in un posto solitario, deciso ormai a morire, accusa gli Dei inesorabili e gli dei infernali e inutilmente comincia a riempire l’aria pesante di parole feroci:
2ª strofa.
O stolta virtù, le nebbie vuote e i campi pieni di fantasmi sono le tue scuole, e il pentimento ti segue dietro. Dei, inflessibili insensibili, l’umanità infelice, alla quale avete chiesto templi, è ludibrio e scherno per voi, e la vostra legge oltraggia gli uomini. Dunque perché la miseria umana suscita tanto odio negli Dei? Dunque perché Giove siedi a difesa degli empi Dei? E quando il vento si solleva nell’aria, e quando tu lanci il tuono con violenza, perché brandisci e scagli la folgore contro i giusti e i pii?
3ª strofa.
Il destino invincibile opprime, la dura Necessità opprime gli uomini deboli, che sono sottoposti alla morte; e se l’uomo comune non riesce a far cessare i loro oltraggi, allora si consola pensando che questi danni sono inevitabili. Forse che il dolore è meno intenso se non ha riparo? Forse chi è privo di speranza (ultraterrena) sente meno dolore? (Domande retoriche secondo il Leopardi; per cui la risposta sarebbe no; invece non sono domande retoriche, bensì metafisiche per cui la risposta cambia da uomo a uomo da popolo a popolo). Il prode, il valoroso, l’eroe, intraprende una guerra eterna con te, destino indegno, deciso a non cedere; e quando vuole scrollarsi la tua mano destra tirannica, allorquando lo sovrasta vincitrice, allora indomito si esalta, quando nell’alto fianco si conficca la mortale spada e malignamente e beffardamente sorride alle nere ombre della morte.
4ª strofa.
Il fatto di chi irrompe violentemente nel Tartaro spiace agli Dei. Non si trova tanto valore nei deboli petti degli Dei. Forse il destino predestinò le disgrazie degli uomini, i casi difficili e l’infelicità umana come allegro spettacolo per gli ozi suoi? La Natura, un tempo regina e Dea, a noi mortali prescrisse una vita pura e libera da sciagure e colpe. Ora poiché il mal costume ha distrutto il regno naturale ed ha assegnato la miserevole esistenza ad altre leggi, quando il prode rifiuta i giorni infelici, perché incolpare la Natura, dato che non è stata lei a spingere il prode al suicidio?
5ª strofa.
La vecchiaia conduce serenamente le fortunate fiere, innocenti di colpe ed ignare delle loro sventure, alla non temuta morte. Ma se il dolore le persuadesse a rompersi la fronte negli alberi o a gettarsi a precipizio da un alto sasso, allora né religione, né filosofia vi sarebbero a contrastare l’infelice proposito di togliersi la vita. Il destino diede la vita cosciente solo a voi, figli di Prometeo, e solo a voi la vita vi diede in odio; solo a voi, se la morte tarda a venire, Giove vieta le rive della morte voluta.
6ª strofa.
E tu, candida Luna, che sorgi dal mare che il nostro sangue bagna, tu esplori l’inquieta notte e la funerea campagna. L’esercito vincitore calpesta i consanguinei amici, i colli fremono, e dalle somme glorie repubblicane, Roma antica rovina: perché tu sei così tranquilla? Tu hai visto la stirpe di Roma, gli anni felici delle vittorie e le glorie memorabili; e tu con il tuo raggio sempre uguale, continuerai ad illuminare silenziosa le Alpi, quando esse risuoneranno sotto il piede dei barbari che faranno servo il nome d’Italia.
7ª strofa.
La fiera sopra i nudi sassi e l’uccello, pieno di sonno, pur ignorando l’irrimediabile rovina di Roma e le cambiate sorti del mondo continueranno a vivere sempre allo stesso modo: e non appena il tetto del contadino rosseggerà alle prime luci del sole l’uccello con il suo canto mattutino desterà le valli e la fiera continuerà a cacciare le altre prede più piccole. O casi umani! O genere umano inutile! Noi uomini siamo la parte meno importante e meno pregevole delle cose; né la nostra infelicità, fatta di zolle bagnate di sangue e di gridi dolorosi, né il dolore umano hanno impietosito gli Dei.
8ª strofa.
Io, moribondo, non chiedo aiuto né ai sordi Dei dell’Olimpo, né agli Dei infernali, né alla terra indegna, né alla notte; io non supplico neppure te ultimo scorcio della mia vita in questa nera e funesta notte, io non supplico nemmeno gli uomini venturi. Perché le parole e i doni non possono onorare la tomba e nemmeno i pianti di uomini vili possono mai placare la tomba di un uomo sconfitto e sdegnoso? I tempi precipitano in peggio. L’onore di vendicare le menti egregie degli antenati e il compito di riscattare la suprema vendetta dei miseri si affida malamente a uomini corrotti ed incapaci: che il corvo con le sue ali ruoti avidamente intorno al mio corpo morto; che la fiera strazi e il vento trascini la mia spoglia; e la tempesta disperda il mio nome e la mia memoria.
Commento personale al canto “Bruto Minore”.
Leopardi, nelle otto strofe della lirica, dispiega il suo atto di accusa contro l’indifferenza degli Dei, lancia l’ipotesi che gli uomini siano oggetto degli ozi degli dei, denuncia la codardia degli uomini comuni, afferma con forza il diritto al suicidio del prode, mostra l’innocenza della natura che non guida più la felicità degli uomini, dimostra l’impedimento della religione e della filosofia contro il suicidio. Però non sono queste idee suesposte a dare bellezza e importanza al canto perché queste idee sono comuni a gran parte della umanità.
Invece un’altra parte consistente dell’umanità ha idee opposte a quelle di Leopardi e pensa:
• che Dio (o gli dei) non è indifferente all’infelicità umana;
• crede ad un Dio provvidente e misericordioso;
• crede che gli uomini non siano affatto un allegro spettacolo di Dio, ma crede che siano uomini liberi di fare il bene e il male;
• crede che gli uomini comuni abbiano la speranza di riscattarsi nella vita eterna ultraterrena;
• crede che la stragrande maggioranza degli uomini comuni, benché comuni e codardi o vili, non siano da buttare tutti al mare o all’inferno, mentre solo i prodi siano in grado di salvarsi da soli;
• crede che la religione sia un giusto impedimento morale e culturale idoneo contro il suicidio;
• crede che la natura non c’entra niente con chi si vuol suicidare.
Secondo me, Biagio Carrubba, è possibile che chi fa parte di questa seconda schiera di persone, che hanno una Weltanschauung religiosa, abbia ragione e spera che solo Dio possa dargli quella felicità e salvezza che da soli non riescono a raggiungere.
Secondo me la Weltanschauung laica, razionale ed atea e la Weltanschauung religiosa, sacra e fideistica, sono valide e legittime entrambe sia sul piano logico che sul piano antropologico.
Quindi, a livello logico, culturale ed ideologico, penso non si possa scartare né l’una né l’altra Weltanschauung, e non si può dire che l’una sia più giusta dell’altra, perché nessuno al mondo sa quale è la vera verità.
Quindi si può scegliere l’una o l’altra Weltanschauung o rifiutarle entrambe o sceglierne altre legittime.
Entrambe le Weltanschauung sono possibili perché sono inverificabili, non sperimentabili ed infalsicabili.
Per conoscere la verità su quale sarà la fine dell’umanità su questa terra e su quale sia la Weltanschauung vera bisognerà attendere altri risultati della scienza, o che Dio stesso in persona, scenda, alla fine dei tempi, per salvarci tutti.
Modica 02/ 07/ 2018 Prof. Biagio Carrubba
Commenti recenti