Una introduzione al libro “La tregua” di Primo Levi.

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Una introduzione al libro
“La tregua” di Primo Levi.

La tregua è un racconto – testimonianza scritto da Primo Levi tra il 1961 e il 1962. Alcuni capitoli però erano stati scritti già nel 1947 – 48. La base di questo nuovo racconto, intrapreso nei primi del 1961, è costituita da una traccia stesa all’inizio del 1946. “Avevo, del viaggio di ritorno, un puro appunto come dire, ferroviario. Una sorta di itinerario: il giorno al posto tale, al posto tal altro. L’ho ritrovato e mi è servito come traccia, quasi quindici anni dopo, per scrivere La tregua”. (Da Opere I – a cura di Marco Belpoliti – Einaudi Editore – pagina 1418). Ecco l’elenco delle date di scrittura dei vari capitoli: Il disgelo e Il Campo grande 1947 – 48; Il greco marzo 1961; Katowice dicembre 1961; Cesare febbraio 1962; Vittoria marzo 1962; I sognatori, marzo 1962; Verso sud, maggio 1962; Vecchie strade, giugno 1962; Il bosco e la via, luglio 1962; Vacanza, agosto 1962; Teatro agosto 1962. La tregua è composto da 17 capitoli della stessa lunghezza e di media lunghezza ed è introdotto da una poesia che ha molta importanza, per diversi motivi, per il libro. Innanzi tutto essa è stata scritta l’11 gennaio 1946 cioè il giorno dopo di Shemà che fa da introduzione a “Se questo è un uomo”. Vi è quindi un elemento di simmetria e di raccordo con il precedente libro. La poesia fa, dunque, da raccordo tra il primo libro e La Tregua; essa riallaccia La Tregua a “Se questo è un uomo”. Già “Se questo è un uomo” aveva parlato dell’attesa dell’alba e dell’annuncio del comando sommerso ma non inatteso. La poesia poi sintetizza anche lo spirito del libro che, pur presentando aspetti nuovi, si ricollega al messaggio finale di “Se questo è un Uomo”. Infine la poesia viene ripresa nella pagina finale del libro che lo chiuse come un cerchio per indicare la saldatura tra “Se questo è un uomo” e “La tregua”. Levi stesso chiarisce il significato della pagina finale della tregua. Nell’edizione scolastica del 1965 Levi così spiega e chiarisce il senso finale del libro e della ultima pagina. “Questa pagina, che chiude il libro su una nota inaspettatamente grave, chiarisce il senso della poesia posta in epigrafe, e ad un tempo giustifica il titolo. Nel sogno, il Lager si dilata ad un significato universale, è divenuto il simbolo della condizione umana stessa e si identifica con la morte, a cui nessuno si sottrae. Esistono remissioni, “tregue”, come nella vita del campo l’inquieto riposo notturno; e la stessa vita umana è una tregua, una proroga; ma sono intervalli brevi, e presto interrotti dal “comando dell’alba”, temuto ma non inatteso, dalla voce straniera (“Wstawac” significa “Alzarsi”, in polacco) che pure tutti intendono e obbediscono. Questa voce comanda, anzi invita alla morte, ed è sommessa perché la morte è iscritta nella vita, è implicita nel destino umano, inevitabile, irresistibile; allo stesso modo nessuno avrebbe potuto pensare di opporsi al comando del risveglio, nelle gelide albe di Auschwiz”.
Così Marco Belpoliti spiega la poesia come la saldatura tra “Se questo è un Uomo” e “La tregua”. “Questa nota ci fa supporre che quel finale sia stato aggiunto in seguito (nel quaderno in possesso di Tesio non sono presenti gli ultimi capitoli del libro) quasi a ribadire, oltre che una radicata filosofia della vita. il legame che unisce questa seconda opera, nonostante le sue movenze picaresche e umoristiche, a -Se questo è un Uomo-” (Da Opere I – a cura di Marco Belpoliti – Einaudi Editore – pagina 1422).

Testo della poesia.

Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba;
“Wastawac”;
E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio.
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
“Wastawac”.
11 gennaio 1946.

Parafrasi della poesia.

Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba:
“Wstawac”;
E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio,
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
“Wstawac”.

Introduzione alla poesia “Wstawac”
del libro “La tregua” di Primo Levi.

La poesia fu scritta l’11 gennaio 1946, cioè quando Levi era appena arrivato dalla Russia, dopo il tortuoso viaggio di ritorno, durato dal gennaio 1945 all’ottobre 1945. La poesia fu scritta il giorno dopo a Voi che vivete sicuri, la poesia che fa da introduzione a “Se questo è un uomo”. Ora dopo molti anni Levi sceglie questa poesia per introdurre il secondo racconto e ciò con l’intenzione di saldare i due racconti facendone un solo libro. Levi aveva già scritto del comando dell’alba in due capitolo di “Se questo è un uomo”; ora lo stesso tema ha la funzione di aprire e chiudere il secondo libro: “La tregua”, che costituisce il naturale seguito del primo libro e chiude per il momento la scrittura sulla terribile esperienza del lager e del viaggio di ritorno da esso.

Il tema della poesia.

Il tema della poesia è la Paura che il Lager aveva trasmesso ai prigionieri ebrei: paura della morte, paura della fame, paura del freddo, paura dei nazisti. Questa paura veniva trasmessa nel corpo e nei sogni dei prigionieri. Tutti i prigionieri facevano gli stessi sogni come è descritto da Levi nel quarto capitolo di “Se questo è un uomo”. I prigionieri sognano di mangiare, poiché essi non mangiano quasi niente, sognano di tornare a casa, sognano di raccontare agli altri la loro terrificante e atroce esperienza del lager. Era un modo di esorcizzare la paura del giorno, che Levi descrive nel IV capitolo. Sempre nel IV capitolo Levi parla della campanella del campo che annuncia il comando dell’alba “Wastawac” (Alzarsi). Questa parola – ordine spezzava il cuore dei prigionieri, perché interrompeva il dolce riposo, il ristoro del sonno e dava inizio alla lunga e interminabile giornata fatta di fame, freddo, lavoro, gelo. Ora mentre la prima strofa ricostruisce e rievoca la vita del lager, nella seconda strofa Levi descrive la ritrovata pace della casa, afferma che il ventre è sazio e che ha finito di raccontare agli altri la sua terribile vita del lager. È tempo di riprendere il lavoro della vita civile, ma sa che ben presto ritornerà la paura del ricordare ancora il comando dell’Alba “Wstawac” che all’alba toglieva la gioia del sonno. Solo quando passerà la paura del comando dell’alba solo allora il cuore di Levi non si spezzerà più. Nella ultima pagina del libro Levi accenna anche ad un’altra abitudine che lo abbandonerà molto tempo dopo: “Ma solo dopo molti mesi svanì in me l’abitudine di camminare con lo sguardo fisso al suolo, come per cercarvi qualcosa da mangiare o da intascare presto e vendere per pane; e non ha cessato di visitarmi, ad intervalli ora fitti, ora radi, un sogno pieno di spavento”. Dal libro. Primo Levi. “La tregua”. ET Einaudi. Pagina 254. Anche nel film Letto a tre piazze, Totò ha la mania di appendere il quadro di Stalin sopra il suo letto, che era una abitudine che aveva appreso nella sua prigionia in Russia. Mania di cui non riesce a liberarsi ancora per molti mesi dopo il suo arrivo nella sua casa in Italia.

Il messaggio della poesia.

Il messaggio della poesia è, certamente, quello di denunciare le paure subite nel lager e che non dimenticherà tanto facilmente e rapidamente. Le paure acquisite resteranno per molti anni ancora nell’anima e nel corpo di Levi, il quale per qualche tempo avrà l’impressione e la sensazione di udire quel comando, sommesso ma non inatteso, che gli spezzava il cuore. La poesia trasmette un messaggio di tensione e di ansia, perché il comando straniero non si ferma con il ritorno a casa, ma continuerà ancora negli anni avvenire e si presenterà nei sogni e all’alba perché quella vita di prigioniero non di cancellerà mai.

Il linguaggio della poesia.

Il linguaggio della poesia è alto, sostenuto, lucido, costruito su una sintassi paratattica semplice e chiara. La poesia ha alcune figure retoriche: l’anafora, l’allitterazione. La lexis della poesia è tipicamente di Levi, personale e razionale.

La bellezza della poesia.

La bellezza della poesia è notevole, anche forse non raggiunge la drammaticità di Shemà, come del resto La tregua non raggiunge la drammaticità di “Se questo è un uomo”. Ma ciò è dovuto semplicemente alla diversità di condizioni di vita: nel lager Levi rischiava ogni momento la vita, mentre dopo la liberazione la vita era salva e ciò che importava era il ritorno a casa che certamente non implica i sentimenti di paura vissuti dentro il lager. La poesia si divide in due strofe nette: la prima ripercorre le paure del lager, la seconda descrive la ritrovata pace della casa e la sazietà del ventre. Ma queste cose non bastano a ristabilire l’equilibrio perduto nel lager, a ridare la libertà persa nel lager, a ripagare l’offesa ricevuta nel lager. E presto risentirà il triste comando straniero dell’alba “Wstawac” come per dire che La tregua finiva e iniziava un’altra guerra, perché “Guerra è sempre” come aveva detto, memorabilmente, Mordo Nahum.

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Modica 04 giugno 2019                                                                           Prof. Biagio Carrubba

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