Introduzione al canto “IL RISORGIMENTO” (Canto n. XX) di Giacomo Leopardi.

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Introduzione al canto “IL RISORGIMENTO”
(Canto n. XX) di Giacomo Leopardi.

Il canto “IL RISORGIMENTO” ha una importanza particolare e fondamentale all’interno dell’intera raccolta poetica di Leopardi. Esso costituisce un hapax, (cioè è un esempio unico di componimento all’interno della raccolta dei canti) perché è scritto nell’insolito metro, per Leopardi, della strofetta metastasiana. Il poeta si trovava a Pisa dal novembre 1827 e dopo qualche mese di buona salute, fisica e psicologica, sentì rinascere dentro di sé l’ispirazione poetica, dopo 6 anni di aridità poetica. Il poeta, lieto di questa bella sensazione e rinascita, scrive subito una lettera (25 febbraio 1828) alla sorella nella quale le preannuncia il ritorno della vena poetica con queste belle parole: “Io sogno sempre di voialtri, dormendo e vegliando: ho qui in Pisa una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle rimembranze: là vo a passeggiare quando voglio sognare ad occhi aperti. Vi assicuro che in materia di immaginazioni, mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico.” E subito dopo, Leopardi scrisse “IL RISORGIMENTO” a Pisa dal 7 al 13 aprile del 1828 e lo pubblicò nella prima edizione de “I Canti” del 1831 proprio quando sentì risorgere in sé la rinascita della poesia. Il titolo stesso del canto indica, con una sola parola, il risorgere della poesia nell’animo del poeta e la felicità che Leopardi provò dentro di sé e quindi il conseguente sentirsi rivivere alla vita dopo sei anni di aridità poetica. In questi sei anni di prosa (1822 – 1828), comunque Leopardi scrisse “Le Operette Morali” (una prima parte più corposa nel 1824 e altre due operette nel 1827) e buona parte delle riflessioni filosofiche e filologiche dello “Zibaldone”. La poesia è composta da venti strofe di otto settenari ciascuna (doppie quartine), col primo verso e il quinto sdruccioli, il quarto e l’ottavo tronchi e rimati tra loro a rima baciata e complessivamente da centosessanta versi.

Testo della poesia “IL RISORGIMENTO”.

Credei ch’al tutto fossero
in me, sul fior degli anni,
mancati i dolci affanni
della mia prima età:
i dolci affanni, i teneri 5
moti del cor profondo,
qualunque cosa al mondo
grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
sparsi nel novo stato, 10
quando al mio cor gelato
prima il dolor mancò!
Mancàr gli usati palpiti,
l’amor mi venne meno,
e irrigidito il seno 15
di sospirar cessò!

Piansi spogliata, esanime
fatta per me la vita
la terra inaridita,
chiusa in eterno gel; 20
deserto il dì; la tacita
notte più sola e bruna;
spenta per me la luna,
spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine 25
era l’antico affetto:
nell’intimo del petto
ancor viveva il cor.
Chiedea l’usate immagini
la stanca fantasia; 30
e la tristezza mia
era dolore ancor.

Fra poco in me quell’ultimo
dolore anco fu spento,
e di più far lamento 35
valor non mi restò.
Giacqui: insensato, attonito,
non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
il cor s’abbandonò. 40

Qual fui! quanto dissimile
da quel che tanto ardore,
che sì beato errore
nutrii nell’alma un dì!
La rondinella vigile, 45
alle finestre intorno
cantando al novo giorno,
il cor non mi ferì:

Non all’autunno pallido
in solitaria villa, 50
la vespertina squilla,
il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
vidi per muto calle,
invan sonò la valle 55
del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
sguardi furtivi, erranti,
voi de’ gentili amanti
primo, immortale amor, 60
ed alla mano offertami
candida ignuda mano,
foste voi pure invano
al duro mio sopor.

D’ogni dolcezza vedovo, 65
tristo; ma non turbato,
ma placido il mio stato,
il volto era seren.
Desiderato il termine
avrei del viver mio; 70
Ma spento era il desio
nello spossato sen.

Qual dell’età decrepita
l’avanzo ignudo e vile,
io conducea l’aprile 75
degli anni miei così:
così quegl’ineffabili
giorni, o mio cor, traevi,
che sì fugaci e brevi
il cielo a noi sortì. 80

Chi dalla grave, immemore
quiete or mi ridesta?
Che virtù nova è questa,
questa che sento in me?
Moti soavi, immagini, 85
palpiti, error beato,
per sempre a voi negato
questo mio cor non è?

Siete pur voi quell’unica
luce de’ giorni miei? 90
Gli affetti ch’io perdei
nella novella età?
Se al ciel, s’ai verdi margini,
ovunque il guardo mira,
tutto un dolor mi spira, 95
tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere
la piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
meco favella il mar. 100
Chi mi ridona il piangere
dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero 105
mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
io non vedrò mai più.
Proprii mi diede i palpiti,
natura, e i dolci inganni. 110
Sopiro in me gli affanni
l’ingenita virtù;

Non l’annullàr: non vinsela
il fato e la sventura;
Non con la vista impura 115
l’infausta verità.
Dalle mie vaghe immagini
so ben ch’ella discorda:
so che natura è sorda,
che miserar non sa. 120

Che non del ben sollecita
fu, ma dell’esser solo:
purché ci serbi al duolo,
or d’altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini 125
il misero non trova;
che lui, fuggendo, a prova
schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
gl’ingegni e le virtudi; 130
Che manca ai degni studi
l’ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
voi, raggio sovrumano,
so che splendete invano, 135
che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
affetto in voi non brilla:
non chiude una favilla
quel bianco petto in sé. 140
Anzi d’altrui le tenere
cure suol porre in gioco;
E d’un celeste foco
disprezzo è la mercè.

Pur sento in me rivivere 145
gl’inganni aperti e noti;
E, de’ suoi proprii moti
si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest’ultimo
spirto, e l’ardor natio, 150
Ogni conforto mio
solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all’anima
alta, gentile e pura,
la sorte, la natura, 155
il mondo e la beltà.
Ma se tu vivi, o misero,
se non concedi al fato,
non chiamerò spietato
chi lo spirar mi dà. 160

Parafrasi della poesia “IL RISORGIMENTO”.

I

(In questi ultimi anni)
Ho creduto che, in me, per sempre,
nel fior della mia fanciullezza,
mancarono le dolci pene
della mia giovinezza:
(Credetti che mancarono)
i dolci affanni, gli affettuosi sentimenti
del mio profondo cuore
e qualunque cosa del mondo che
ci fa gradita la facoltà di emozionarci.

II
Quanti lamenti e lacrime versai
nella mia giovinezza,
quando per la prima volta il dolore
venne meno al mio cuore ghiacciato.
I sentimenti conosciuti mancarono,
l’amore venne meno
e il cuore insensibile
cessò di soffrire!

III
Piansi la vita fatta per me
spogliata, priva di bellezza e senz’anima;
la Terra diventò arida
rinchiusa in un eterno gelo invernale;
Il giorno divenne arido
la silenziosa notte divenne più sola e più buia;
la luna si spense per me
e le stelle si spensero per me.

IV
Eppure tutti questi sentimenti
erano la causa del mio soffrire (della mia vita):
il cuore palpitava ancora
nel profondo del mio petto.
La mia stanca immaginazione
ricercava le immagini consuete;
e il dolore alimentava ancora
la mia tristezza.

V
Di lì a poco anche quest’ultimo
dolore si spense in me
e non mi restò altro che la
forza di lamentarmi.
Rimasi immobile: insensibile ed attonito,
non chiesi aiuto:
il cuore, sperduto e morto,
si abbandonò a sé stesso.

VI
Come diventai (misero e arido)!
Quanto diventai diverso dal tempo
quando molto ardore e beato inganno
nella mia fanciullezza alimentai dentro di me.
La rondine sveglia,
cantando al nuovo giorno
intorno alle finestre,
non mi commosse più il cuore:

VII
Nella solitaria città
la campana del vespro,
e il sole che tramonta non mi
commossero più nel tiepido autunno.
Inutilmente vidi risplendere
il tramonto in un sentiero silenzioso,
inutilmente la valle risuonò
del tenue canto dell’usignolo.

VIII
E voi, dolci occhi di fanciulle,
sguardi furtivi e veloci,
voi che cercate il primo amore eterno
dai giovani amanti,
e alla tua mano che hai offerto
alla mia mano candida
anche voi foste inutili a risvegliarmi
dalla mia lunga inerzia.

IX
Io, spogliato di ogni affetto,
diventai triste, ma non fui turbato,
e il mio animo rimase placido
e il mio volto rimase sereno.
Ho desiderato la fine
della mia vita;
ma questo stesso desiderio
era spento nel mio cuore estenuato.

X
Come chi conduce l’ultima parte
della squallida età avanzata
io conducevo, allo stesso modo,
il fiorire della mia giovinezza:
così tu, o mio cuore, trascinavi
i giorni tremendi della giovinezza,
così fugaci e brevi,
che la sorte ci concesse.

XI
Chi ora mi risveglia dalla
mia grave e remota vita inerte?
Quale virtù (forza) nuova è questa che
ora io percepisco dentro di me?
Sentimenti soavi, immagini antiche,
emozioni del cuore ed illusioni beate
a voi il mio cuore non
è per sempre negato?

XII
(Moti soavi e immagini) siete ancora voi
l’unica luce dei miei giorni attuali?
Affetti che io persi nella mia fanciullezza
siete ancora voi e siete ritornarti?
Se il mio sguardo scruta il cielo e
tutte le rive verdi, ora,
questo spettacolo mi ispira una
emozione dolorosa e un piacere enorme.

XIII
La campagna, il bosco e la montagna
ritornano a vivere con me;
il fiume parla al mio cuore
e il mare riparla con me.
Chi mi ridona il pianto dopo
una così lunga apatia?
E ora come appare diverso il mondo
al mio sguardo?

XIV
Forse, o mio povero cuore,
la speranza ti ha rivolto un sorriso?
Ahi io non vedrò mai più
il viso della speranza.
La natura mi diede, come mie proprie,
le emozioni del cuore e le dolci illusioni.
Però i tormenti addormentarono la mia
innata virtù (di provare sensazioni ed illusioni);

XV
Ma non la distrussero: nemmeno
il fato e la sventura la vinsero;
neanche la funesta verità,
con la sua turpe visione, la vinse.
Io so bene che ella (l’infausta verità) non concorda
con le mie vaghe immagini gentili
della vita: so che la natura è indifferente
e che essa non prova pietà verso gli altri.

XVI
Io so che essa (la natura) non spinge al bene (degli uomini)
ma si preoccupa soltanto di metterli al mondo:
so che alla natura non interessa altro
che riservarci il dolore.
So che il misero non trova
pietà in mezzo agli uomini;
so che lui, fuggendo velocemente,
schernisce gli altri uomini.

XVII
So che questo secolo meschino
ignora le opere dell’ingegno e le nobili azioni;
so che perfino la misera gloria non ripaga
chi esercita studi importanti.
E voi occhi tremuli
e voi raggio divino
so che risplendete inutilmente e
so che l’amore non brilla in voi (occhi).

XVIII
Nessun sentimento profondo ed intimo
brilla in voi:
e nessun bianco petto (di donna) racchiude
in sé una favilla d’amore.
Anzi il petto di questa donna deride
le fragili cure d’amore degli innamorati;
e anzi, la ricompensa e l’ardore
di un amore celeste è il disprezzo.

XIX
Ma, (nonostante questo amore poco sensibile), io sento di rivivere in me
le illusioni conosciute e scoperte;
e anzi il cuore si meraviglia ancora
delle nuove emozioni che ritorna a provare.
Mio cuore, un ultimo soffio vitale,
l’ardore originario
e ogni conforto mio
vengono solo da te.

XX
Alla mia anima, alta, gentile e pura,
lo sento, mancano
la buona sorte, la natura,
il mondo, la bellezza e l’amore.
Ma se tu ancora rimani in vita,
o misero cuore, e non ti concedi alla morte,
io non chiamerò spietato
colui il quale mi dà la vita.

L’importanza di questo canto, scritto per la ritrovata vena, è descritta molto bene da Ugo Dotti: “Il risorgimento costituisce un canto cardine: riassuntivo di una esperienza trascorsa e insieme momento basilare della poesia futura. Occorrerà ora riflettere sulla particolarissima scelta del metro usato come abbiamo detto della strofetta metastasiana” (da Giacomo Leopardi Canti – A cura di Ugo Dotti – Feltrinelli Editore – Pag. 75). Leopardi inizia il canto con un flashback dal quale poi ripercorre tutto il suo passato che divide in tre grandi periodi e per questo motivo anche il canto è diviso in tre parti:
1. La prima parte comprende i versi da 1 a 40 e ripercorre la prima giovinezza del poeta (1818 – 1822);
2. La seconda parte comprende i versi da 41 a 80 e ripercorre la giovinezza matura di Leopardi (1823 – 1828);
3. La terza parte comprende i versi da 81 a 160 e ripercorre il periodo che va dall’ultima parte del 1827 al mese di aprile del 1828 quando appunto Leopardi avverte dentro di sé il ritorno impetuoso ed irrefrenabile della poesia. Il ritorno della poesia per il poeta è però un fatto inaspettato ed inspiegabile, e, per questo motivo, la rinascita poetica è struggente e quasi miracolosa. Quindi la resurrezione poetica è sorgente di una maggiore gioia, quasi una stupefazione, perché Leopardi credeva che la vena poetica fosse in lui ormai inaridita e secca. Il canto “Il Risorgimento” dunque esprime e ripercorre in sé tutta l’esperienza e la vita passata del poeta; ma Leopardi riesce a riordinare il passato e a dispiegarlo in modo ordinato e pulito con una calma interiore ed una serenità quasi stoica. Ovviamente Leopardi non conosce, anche se lo presagisce, tutto il suo travagliato, affannoso e doloroso scompiglio amoroso futuro che proverà a causa dell’infelice innamoramento verso la signora Fanny Targioni Tozzetti. Ma ciò che più conta per Leopardi è, nella primavera del 1828, la rinascita della vena poetica e la riconquista della poesia che costituì per lui certamente uno dei pochi momenti di felicità che provò in tutta la sua vita. Questo momento di euforia e gioia è molto bene descritto da Ugo Dotti: “Il Risorgimento, il miracolo del risorgimento della poesia dopo tanti anni di silenzio e di gelo filosofico; il rinnovamento del palpito del cuore dopo tanto speculare sull’”acerbo vero”; la rinascita, insomma: la meraviglia della rinascita e la sua estatica contemplazione. Il brioso ritmo settecentesco della strofetta metastasiana riesce a meraviglia in questo proposito; lo fissa come un momento capitale nella carriera artistica del poeta e ne fa un episodio decisivo.” (da Giacomo Leopardi Canti – A cura di Ugo Dotti – Feltrinelli Editore – Pag. 76). Ma il componimento “Il Risorgimento” esprime anche, accanto alla rinascita poetica, anche la delusione per la mancanza dell’amore; infatti, il poeta, esprime tutto il suo rammarico per la sua infelice condizione umana che lo ha portato a cercare negli anni passati disperatamente una donna con la quale soddisfare il suo bisogno d’amore. Purtroppo per Leopardi, la sua vita fu solo una collezione di cocenti delusioni in amore tra le quali quella provata per la contessa Teresa Carniani Malvezzi a Bologna nel 1826 e quindi ancora viva nel suo animo al momento della stesura de “Il Risorgimento”. Infatti diversi critici letterari, tra cui Luigi Russo, vedono e intravedono nei versi 133 – 144 uno sfogo e un rimprovero per questo amore non corrisposto dalla contessa. A conferma di questa tesi, il critico Luigi Russo riporta un noto episodio accaduto tra la contessa ed il poeta: “A me pare evidente qui l’allusione all’idillio letterario, tessuto con la Carniani Malvezzi. Per quell’amore con la Malvezzi, ha avuto corso il famoso aneddoto che egli si gettasse in ginocchio davanti a lei e la donna avrebbe chiamato il servo perché “il signor conte aveva bisogno di un bicchiere d’acqua” (dai Classici Italiani – Vol. III – L’ottocento – a cura di Luigi Russo e Riccardo Rugani – Sansoni Editore – pag. 744). Io, Biagio Carrubba, credo che il fascino ineguagliabile di Leopardi consista soprattutto nel parlare d’amore in modo drammatico e infelice; è proprio questo fascino supremo dei suoi versi a fare apprezzare e ad amare, a noi lettori, quanto più possibile la vita amorosa. Più Leopardi si lamenta della sua vita infelice e drammatica e dei suoi amori infelici, più noi lettori apprezziamo e capiamo l’importanza capitale dell’amore così come è ben descritto dal poeta nei versi 57 – 63. Io credo che la bellezza del canto risieda nell’uso magistrale delle strofette metastasiane e soprattutto nel fatto che “IL RISORGIMENTO” costituisca uno dei pochi canti in cui Leopardi, oltre ad esprimere in breve il suo pessimismo e diniego verso la vita, esprime anche la sua felicità per il ritorno della vena poetica e per la ripresa dell’entusiasmo verso la vita. Io, Biagio Carrubba, credo che il fascino della poesia leopardiana stia proprio nel rapporto tra il suo mondo interiore e i suoi versi e la ricerca continua ed incessante di un amore per soddisfare il suo bisogno di amare. Infatti la sua poesia esprime e manifesta il mondo interiore, magnetico, lirico, poetico, passionale del giovane poeta, il quale, con i suoi versi ha lottato, per tutta la sua vita, per ottenere e conquistare un po’ di amore da qualche giovane donna, ma non ebbe mai il piacere di riuscire a baciare una donna. Leopardi nei suoi versi, credendo di individuare come capro espiatorio dei suoi problemi la natura matrigna, esprime con piena forza, con una lexis magnetica ed affascinante, tutta la sua volontà per conquistarsi una vita sana, serena, soddisfatta, piena di fascino e di gloria, ma non ci riuscì mai.

20180810_100021

Modica 17/08/2018                                                                                    Prof. Biagio Carrubba

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