Introduzione al canto “IL PASSERO SOLITARIO”.
Canto XI di G. Leopardi.
La prima idea di questo bellissimo canto risale al 1820 ma fu concepito tra il marzo e il maggio del 1829, terminato tra il 1833 e il 1834 e stampato per la prima volta nell’edizione napoletana dei Canti del 1835. Molti passi del canto richiamano direttamente sia “La quiete dopo la tempesta”, sia “Il sabato del villaggio” che “Le Ricordanze”. Il Leopardi però inserì questo canto al numero XI dell’opera, prima dei “Piccoli Idilli”, forse per motivi di percorso culturale ed esistenziale. Il canto è composto da tre strofe libere di diversa lunghezza con rime sparse per un totale di 109 versi. Secondo Ugo Dotti: “Se si guarda al Canto più da vicino, ben s’avverte che esso fa (almeno idealmente) parte di questa particolare stagione recanatese, la stagione cioè della memoria che ricostruendo la vita interiore la interpreta e la drammatizza nello scontro della verità. Nella seconda parte la poesia si rivolge alla riflessione, fa emergere il negativo e propone la lezione della verità. Tutto il dolore del reale è qui espresso con gli interrogativi di chiusa, ed è come se il poeta, con essi, abbia cercato di allontanare per qualche tempo la sventura imminente e fatale”. (Ed. Feltrinelli pag. 91).
Testo della poesia.
D’in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non more il giorno;
ed erra l’armonia per questa valle.
Primavera dintorno
brilla nell’aria, e per li campi esulta,
sì ch’a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore:
tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
canti, e così trapassi
dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
della novella età dolce famiglia,
e te german di giovinezza, amore,
sospiro acerbo de’ provetti giorni,
non curo, io non so come; anzi da loro
quasi fuggo lontano;
quasi romito, e strano
al mio loco natio,
passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch’omai cede alla sera,
festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
odi spesso un tonar di ferree canne,
che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
la gioventù del loco
lascia le case, e per le vie si spande;
e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
Io solitario in questa
rimota parte alla campagna uscendo,
ogni diletto e gioco
ondugio in altro tempo: e intanto il guardo
steso nell’aria aprica
mi fere il Sol che tra lontani monti,
dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua, e par che dica
che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; che di natura è frutto
ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
la detestata soglia
evitar non impetro,
quando muti questi occhi all’altrui core,
e lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
del dì presente più noioso e tetro,
che parrà di tal voglia?
Che di quest’anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
ma sconsolato, volgerommi indietro.
Parafrasi e costruzione diretta del canto.
Tu, passero solitario, dalla vetta
della torre antica vai alla campagna,
cantando, finché il giorno non muore;
e la melodia del tuo verso si espande nella valle.
La primavera splende intorno nell’aria e
tripudia nei campi
tanto che, a mirarla, il cuore si commuove.
(Tu passero) Odi belare le greggi, odi muggire gli armenti;
(e vedi) gli altri uccelli contenti ed insieme
veloci fanno mille giri nel cielo libero,
festeggiando in questo modo la loro giovinezza:
tu, pensoso, in disparte guardi ogni cosa;
non cerchi compagni, non cerchi voli,
non ti importa dell’allegria, eviti gli spassi.
Canti, e trascorri in questo modo
il miglior tempo dell’anno e della tua vita.
Oimè, il mio modo di vivere assomiglia
molto al tuo. Io non rincorro, non so il perché,
il divertimento e gli spassi,
dolci compagni della fanciullezza,
e non cerco te, amore, fratello della giovinezza,
doloroso desiderio dei miei avanzati giorni;
anzi fuggo lontano da loro;
e passo la mia giovinezza solo
e come un estraneo vivo nel mio paese nativo.
È abitudine festeggiare questo giorno
che ormai cede alla sera nel nostro paese.
(Tu passero) Odi un suono di tromba nel cielo sereno,
odi spesso un suono di colpi di fucili
che rimbomba da casa a casa.
La gioventù del luogo, tutta vestita a festa,
lascia le case e si riversa nelle strade;
guarda ed è guardata e nel cuore si rallegra.
Io, uscendo da solo in questa parte della
campagna solitaria, rinvio ogni divertimento
e ogni gioco in altro tempo; e intanto,
il Sole, tra monti lontani,
che abbaglia gli occhi rivolti all’aria luminosa
e dopo il giorno sereno, svanisce, tramontando,
e pare che dica che la giovinezza finirà.
Tu, solitario uccellino, quando sarai giunto
alla fine della tua vita, non ti dorrai
né del tuo modo di comportarti,
né del tuo modo di vivere,
che il destino ti ha assegnato; perché
ogni tuo comportamento segue la natura.
Se io non riuscirò ad oltrepassare
l’odiata età della vecchiaia,
quando i miei occhi saranno muti al cuore degli altri,
quando il mondo apparirà vuoto ai miei occhi,
quando i giorni futuri saranno più tristi e noiosi
rispetto ai giorni presenti,
che cosa mi sembrerà questa mia vita solitaria?
Che cosa mi sembrerà la vita di questi anni giovanili?
Che cosa mi sembrerà la vita di me stesso?
Ahi mi pentirò (della mia vita passata) e spesso,
addolorato e afflitto rimpiangerò la mia gioventù.
Il tema della poesia.
Il tema di questo canto è la similitudine che il poeta stabilisce tra sé e il passero solitario. Secondo il poeta c’è molta affinità tra la vita che egli conduce e quella del passero. Il passero vive da solo, non cerca divertimenti e canta per sé stesso. Anche il poeta vive da solo, evita gli altri, non cerca i divertimenti e scrive per sé stesso. Il canto del passero si espande per la valle, ma nessuno lo ascolta; anche il poeta compone, soprattutto per sé, come scrisse in un famoso pensiero nello Zibaldone: “Uno dei maggiori frutti che io mi propongo e spero dai miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiaia con il calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provare qualche reliquia dei miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; è di commuovere me stesso in rileggerli, come spesso mi accade, e meglio che in leggere poesie d’altrui; oltre la rimembranza, il riflettere sopra quello che io fui, e paragonarmi meco medesimo; e infine il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figlioletto proprio, non con un’altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui” (pagina dello Zibaldone originario 4302 – Venerdì 15 febbraio 1828 – Citazione presa da Leopardi Zibaldone – I Mammut – Newton editore – Pagina 897). Ma il poeta sottolinea anche le differenze tra la sua vita e quella del passero solitario. La vita del passero è dovuta alle eterne leggi della natura, mentre la sua vita è dovuta alla sua libera scelta, ed è proprio per questo motivo che il poeta è già sicuro che se fosse diventato vecchio (cosa impossibile), avrebbe rimpianto la sua scelta di vivere da solo, evitando, però, i divertimenti, la gioia e la spensieratezza che accompagnano la giovinezza. Il poeta dunque rimpiange le gioie della sua perduta giovinezza e i divertimenti con i suoi coetanei. Ma tutto ciò era impossibile (il Leopardi lo intuiva benissimo) perché il suo malformato corpo non gli permetteva di provare il gradevolissimo piacere dei sensi; tutto al più poteva provare il piacere dei sentimenti, e ciò lo ricevette dai suoi più intimi amici, dai suoi sostenitori e dai suoi familiari. Ma il Leopardi non era un uomo “normale”, era un genio poetico, era un poeta creativo e non poteva sprecare il suo tempo con i giochi e con i passatempi della gioventù (Sollazzo e riso, verso 18); doveva dedicarsi agli studi e alla poesia se voleva raggiungere i sublimi risultati estetici che ha poi raggiunto. Dunque credo che il Leopardi non avrebbe mai rimpianto una giovinezza vuota e sprecato la vita dietro i divertimenti; fu un uomo infelice, ma non ebbe mai paura della morte, a differenza della pavida gente, e anzi la invocò tante volte, come poetò nel bellissimo canto “Amore e morte”.
Sintesi e coerenza della poesia.
La poesia inizia con la descrizione del percorso del passero: dalla cima della torre antica alla campagna. Il passero espande nell’aria il suo dolce e melodioso canto. La primavera brilla nell’aria, cosi ché commuove il cuore di chi la guarda. Gli altri uccelli volano felici nel cielo e fanno mille giri, mentre il passero se ne sta in disparte e solo, non cercando né compagni né altri uccelli, passando in questo modo la migliore e più viva vita dell’anno e della sua vita. Nella seconda strofa il poeta dice che anche la sua vita somiglia a quella del passero. Egli non cerca né divertimenti, né svaghi, che sono dolci compagni della giovinezza e non cerca nemmeno l’amore che è fratello della giovinezza ed è rimpianto doloroso dei giorni vissuti. Egli se ne sta da solo, mentre tutti i giovani del luogo escono nel giorno di festa e nel cuore si rallegrano. Intanto il sole, tra cime lontane, tramonta, gli ferisce gli occhi tesi a guadare l’aria chiara e sembra dire che anche la giovinezza tramonterà. La poesia si conclude con la riflessione del poeta, che dice che, mentre la vita del passero solitario è dovuta alle leggi naturali, la sua vita è dovuta alla sua libera scelta (ma in verità alla triste condizione del suo corpo) e quando sarà vecchio ripenserà, con dolore e desolazione, alla sua triste vita giovanile rimpiangendo la sua possibile, ma negata giovinezza.
Il messaggio della poesia.
Il messaggio del canto è triste e malinconico, perché il poeta, attraverso la similitudine del passero solitario, esprime la percezione che aveva di sé stesso. Egli si auto descrive come un giovane solitario che vive senza la gioiosa compagnia dei suoi coetanei e senza l’amore di una dolce fanciulla. Egli si crede libero di poter scegliere la sua vita, ma è condizionato dalla natura del suo corpo, che lo obbliga a stare da solo a rimpiangere e a fantasticare sulla bella giovinezza che sta passando via. Il messaggio della poesia è allora un lamento languido ed esprime una condizione esistenziale senza speranza, perché nessuno lo può aiutare. E il contrasto con i suoi coetanei, che escono per le strade per innamorarsi e per far innamorare, accentua ancor di più la triste condizione del poeta, che si sente un isolato e un appartato. Tutto ciò fa assomigliare la sua vita più a quella del passero solitario che a quella dei suoi coetanei. Ma la bellezza della poesia nasce proprio da questo contrasto: da una parte la vita solitaria del poeta e dall’altra parte la vita spensierata dei giovani; ma, mentre la vita del poeta è ricca di poesia, quella dei giovani è piena d’amore e di gioie giovanili. Il linguaggio prezioso e lieve della poesia riesce ad esprimere tutto questo: la drammaticità dei sentimenti del poeta di fronte alla gioia e alla allegria degli altri suoi coetanei.
La tesi della poesia.
La tesi della poesia è quella di presentare la vecchiaia come l’età più brutta e triste della vita degli uomini, come scrive lo stesso Leopardi (Zibaldone 1 luglio 1827): “È ben triste quell’età nella quale l’uomo sente di non inspirare più nulla. Il gran desiderio dell’uomo, il gran mobile dei suoi atti, delle sue parole, dei suoi sguardi, dei suoi contegni fino alla vecchiaia, è il desiderio d’inspirare, di comunicare qualche cosa di sé agli spettatori o uditori” (pagina dello Zibaldone originario 4284 – 1 luglio 1827 – Citazione presa da Leopardi Zibaldone – I Mammut – Newton editore – Pagina 891). Tutto ciò è vero, ma per fortuna nella nostra epoca la gioventù si allunga sempre di più e la vecchiaia si allontana sempre di più. Come sono lontani i tempi del Leopardi, oggi non si vedono più giovani che escono per le strade a gruppi per la festa del paese.
I fatti e i personaggi della poesia.
Il personaggio principale del canto è il poeta stesso che paragona il suo modo di vivere a quello del passero solitario. Il poeta vive solo e fugge i divertimenti, così come il passero vola da solo e non cerca compagnia. Questo modo di vivere del poeta è contrapposto a quelli dei giovani della sua età, i quali, invece, escono per la festa del paese e vanno a divertirsi. Ma come il passero solitario canta e riempie, di un canto melodioso, la valle, così il poeta scrive le sue poesie dando alla sua vita un senso esistenziale prezioso e bello e riempiendo di bellezza la sua vita. (Anche le persone che leggeranno le sue belle poesie riempiranno la loro vita di valori estetici universali, degni della migliore produzione estetica di Dio).
Il contesto sociale, culturale e filosofico della poesia.
Il contesto sociale che la poesia presenta è quello della vita di Recanati nella prima metà del 1800. I giovani uscivano a gruppi nel giorno della festa del paese per divertirsi e il Leopardi conosceva bene le consuetudini e le feste religiose di Recanati. La poesia è inserita nel contesto della letteratura italiana, dalla quale il Leopardi riprende temi ed espressioni poetiche, da Dante Alighieri a Francesco Petrarca, da Torquato Tasso a Giuseppe Parini. La poesia è inserita nel contesto filosofico che il Leopardi aveva già utilizzato nelle “Operette morali” e nella sua produzione poetica precedente.
Analisi della Forma.
Il genere della poesia.
Il genere della poesia è lirico, perché esprime il mondo interiore e i sentimenti del poeta.
La metrica della poesia.
Canzone libera di tre strofe con rima e rime al mezzo diffuse in tutto il canto.
Il tono emotivo della poesia.
I sentimenti più intensi sono la malinconia e la desolazione che pervadono tutta la poesia. La malinconia domina soprattutto nella prima parte della poesia: il passero vive da solo e passa il miglior tempo delle sue giornate senza svaghi; anche il poeta vive da solo e si lamenta del proprio modo di vivere; la desolazione compare nella parte finale della poesia quando il poeta, ripensando la sua vita giovanile, aggiunge alla malinconia anche il rimpianto di non saper vivere da giovane una vita diversa da quella che conduce.
Il lessico e la lexis della poesia.
Il lessico della poesia è altamente letterario e personalissimo e comprende molti latinismi, cioè parole provenienti dal latino. La sintassi della poesia è formata sia da periodi paratattici che da periodi ipotattici. La lexis della poesia è originale, affascinante, bella e ammaliante. Le figure retoriche sono: similitudini, metafore, inversioni, anafore, chiasmi, sineddoche. Le figure foniche sono: allitterazioni consonantiche e assonantiche. Tutto il linguaggio della poesia è altamente poetico e quasi tutta la poesia è composta da bellissime espressioni. Inoltre posso dire che il linguaggio puro, esemplare, nitido, unico che esprime i sentimenti del poeta, e le immagini della natura creano sentimenti bellissimi a chiunque legga il canto.
Aspetti estetici della poesia.
La poesia è resa bella da molti elementi. Il primo elemento è la similitudine tra la vita solitaria del poeta e quella del passero solitario. Questa similitudine differisce all’ultimo quando il poeta dice che il passero non si dorrà della sua vita perché è dovuta alla natura, mentre lui rimpiangerà di aver trascorso una giovinezza solitaria, priva di gioie e d’amore. Il sentimento di malinconia per questa vita risalta chiaramente ed accentua il dolore per una vita senza diletto e gioco. Il secondo elemento di bellezza è dato dal linguaggio poetico, originale e personale del poeta che dà alla poesia un tono elegiaco e struggente che ne aumenta la bellezza.
Commento e valutazione mie personale.
Io, Biagio Carrubba, giudico questo canto molto bello perché esprime, in forma poetica, tutto il dolore e i sentimenti di lamento che provava il poeta, ripensando alla vita solitaria del paese. Per questo motivo, secondo me, il Leopardi si può definire il poeta dei diversi, degli esclusi, degli emarginati, degli infelici, perché aveva un fisico minuto e piccolo e perché mostrava una malformazione della gabbia toracica che suscitava sconcerto a chi lo guardava, come attesta il suo amico Augusto von Platen che scrisse: “Leopardi ha qualche cosa di assolutamente orribile; è piccolo e gobbo, il viso pallido e sofferente, e peggiora le sue cattive condizioni col suo modo di vivere”. (Platen, Diario, 5 settembre 1834). Allora io credo che il poeta innalzali la sua protesta, a ragione, contro la natura che è stata madre matrigna verso di lui e verso tanti altri come lui.
Modica, 03 agosto 2018 Prof. Biagio Carrubba
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