INTRODUZIONE AI GRANDI IDILLI DEI “CANTI” DI GIACOMO LEOPARDI.

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INTRODUZIONE AI GRANDI IDILLI DEI “CANTI” DI GIACOMO LEOPARDI.

I GRANDI IDILLI.

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I primi due grandi idilli furono scritti dal Leopardi nell’aprile del 1828, a Pisa, quando si risvegliò in lui la tanto attesa ispirazione poetica, dopo il periodo di aridità poetica patita tra il 1824-1828, nel qual tempo il Leopardi aveva scritto buona parte delle “Operette Morali”. Il Leopardi compose gli altri idilli a Recanati, dove rientrò nel novembre del 1828 e vi rimase fino all’aprile del 1830. Poiché il Leopardi si sentiva più poeta che filosofo, fu estremamente felice quando ritornò l’ispirazione poetica e descrisse questa sua ritrovata creatività poetica con il primo idillio dal titolo “IL Risorgimento” dove descriveva il suo nuovo e risorgente stato d’animo e la ripresa dell’attività poetica. Il Carducci definirà questi Canti “Grandi idilli”, per distinguerli dai “Piccoli Idilli del periodo 1919 – 1821. Il secondo “grande idillio” che il Leopardi scrisse fu il celebre Canto “A SILVIA”. A Recanati scrisse gli altri grandi idilli: “Il passero solitario” di incerta datazione, ma comunque pensato ed iniziato proprio in questi mesi (marzo – maggio), ma finito tra il 1832-33-34; “LE RICORDANZE” scritto dal 26 agosto al 12 settembre 1829; “LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA” scritto dal 17 al 20 settembre; “IL SABATO DEL VILLAGGIO” scritto dal 21 al 29 settembre; e il “CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA” scritto dal 22 ottobre 1829 all’aprile del 1830. Ora come è noto “I Grandi idilli” sono considerati i più belli fra tutti i Canti del Leopardi. Agli inizi del 1900 il filosofo Benedetto Croce negò ogni valore alla filosofia leopardiana e parlò di una vita “strozzata” e attribuì poeticità solo agli idilli. Il grande tema dei grandi idilli è “La Giovinezza” che irrimediabilmente e velocemente passa via e finita la quale, la vita si tramuta in dolore e vecchiezza, la quale è più dolorosa della morte. Tesi che il leopardo confermerà nell’ultimo Canto scritto a Torre del Greco nel “Tramonto della luna”. La natura stronca la giovinezza prima in Silvia, poi in Nerina, poi nel piacere che nasce dopo la tempesta. Ne “IL SABATO DEL VILLAGIO” vi è un attimo di pace che si traduce nel suo celebre e bellissimo monito al “Garzoncello scherzoso”. Ma subito dopo il Leopardi riprende la sua protesta contro la natura nel celebre e bellissimo canto “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, dove il poeta rivolgendosi e dialogando con la silente luna gli domanda il perché del dolore degli uomini e dal silenzio della luna deduce che anche tutto l’universo è immerso nel dolore. Ugo Dotti così scrive a proposito di questo canto: “L’Alone di lontana coralità che esso suscita, presentandosi il pastore, sin dall’inizio, come voce di tutta l’umanità, voce che chiede ragione del senso non soltanto della propria esistenza, ma dell’esistenza nel suo complesso. La prima strofe si regge appunto su questi elementi, mediante i quali non tarda a svelare l’impianto concettuale del canto: la protesta cioè dell’uomo che spalanca gli occhi su di un universo di cui non coglie il senso ma del quale prova tuttavia la sofferenza. Lo sgomento si mescola pertanto al dolore e lo sbigottimento si produce in lamento”. (G. Leopardi. Canti. Feltrinelli, pagg. 96 – 97).

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BREVE SINTESI DEI “CANTI”.

I “Canti” sono un’opera poetica ed è composta, soprattutto, da poesie liriche, ma vi sono anche poesie di carattere sociale e poesie filosofiche. Una buona parte di poesie sono chiamate “Idilli” dallo stesso poeta. La metrica dei canti è varia: canzoni con strofe e schema a rima fissa, canzoni con strofe libere, poesie di endecasillabi sciolti, poesie di terzine e una poesia formata da due quartine di settenari. Il pensiero filosofico e poetico dell’intera raccolta poetica. I diversi canti dell’intera opera poetica esprimono il pensiero filosofico del Leopardi. Essi non rispettano l’ordine cronologico, ma l’ordine che il poeta stesso ha dato durante la sua vita e durante le diverse pubblicazioni dell’opera. Il pensiero filosofico e poetico che emerge e si svolge in tutta l’opera poetica in sintesi può sintetizzarsi in questo modo. Dopo le canzoni civili, il Leopardi parla dei miti antichi, dedicati “L’inno alla primavera” e “L’inno ai Patriarchi”, nei quali la natura è presentata come madre benigna e il mondo antico amico e benevole con gli uomini, che lo riempivano di dei; poi vi sono i “Piccoli idilli” nei quali il poeta descrive la sua vita e i suoi sentimenti; quindi due canzoni singole; poi si passa ai ” Grandi idilli” nei quali il poeta presenta la natura come madre matrigna perché non favorisce gli individui, ma la specie umana ed è indifferente ai dolori degli uomini. I “Grandi Idilli” sono anche poesie della rimembranza, cioè poesie rievocative della vita del poeta; seguono le cinque poesie del Ciclo ispirate al suo tormentato innamoramento per una bella donna fiorentina; seguono le due sepolcrali; segue la “Palinodia al marchese Gino Capponi” e infine gli ultimi due stupendi canti che ribadiscono tutta la filosofia del Leopardi. In questa ultima poesia il poeta prospetta un atteggiamento unitario e federativo degli uomini per combattere la natura. In sintesi la filosofia del Leopardi si può dire che è una filosofia nichilistica, cioè che tutto è nulla, una filosofia materialistica, cioè tutto finisce con materia, e il poeta nega ogni trascendenza e ogni concezione cristiana e religiosa, una filosofia pessimistica perché tutto è dolore e perché nessuno sa dare le risposte che spieghino la realtà degli uomini e dell’universo intero. La Weltanschauung del poeta cambia: da un iniziale amore verso la natura passa ad un odio verso di essa, così come da un pessimismo sociale il poeta passa al pessimismo cosmico, cioè ogni essere naturale è destinato al dolore. Nell’ultima poesia vi è un accenno ad un diverso comportamento degli uomini che devono fare come fa l’umile ginestra, la quale pur vivendo in un ambiente ostile resisterà fino all’ultimo alla natura, senza supplicare e mostrarsi codarda dinanzi al suo oppressore e non si crederà immortale come si crede invece l’uomo. Alcuni aspetti estetici dell’intera raccolta sono tra le più belle poesie che un poeta può scrivere. Si può non essere d’accordo con la filosofia del Leopardi totalmente o parzialmente, ma di certo hanno incantato molti spiriti umani. Il linguaggio puro, esemplare, nitido, unico, i suoi sentimenti, le sue immagini della natura, alcuni pensieri così profondi colpiscono chiunque abbia a cuore la Poesia e chi ricerca la bellezza poetica.

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IMPORTANZA, GRANDEZZA E BELLEZZA DEI “CANTI”.

La grandezza di Leopardi sta, secondo me, nel fatto che il poeta ha saputo cantare e poetare il lamento, il dolore delle persone sfortunate e infelici della vita. Il poeta ha saputo dare voce alle proteste delle persone sfortunate e disgraziate che non hanno avuto niente dalla loro vita e dalla Natura. Il Leopardi ha avuto la forza culturale, morale e filosofica di chiedere “Giustizia e Bellezza” per queste persone infelici e lo ha fatto nel miglior modo che un poeta può fare, attraverso i suoi bellissimi canti. Il giovane Leopardi ha saputo mettere sullo stesso piano grandi figure femminili, come Saffo, Silvia, Nerina e grandi figure maschili come Consalvo, il Conte Carlo Pepoli e Bruto Minore che combattono la natura e contro la storia. Io, Biagio Carrubba, reputo che queste persone e personaggi, così come li ha descritti ed interpretati G. Leopardi, rimangono protagonisti indelebili e indimenticabili nella nostra memoria di lettori leopardiani. Anzi ritengo che essi rappresentino dei veri titani che lottano contro le sventure e la storia come ha fatto Bruto Minore che per difendere la Repubblica romana ci rimette persino la sua stessa vita. Il Leopardi, infine, dimostra un pessimismo totale rispetto alla vita e alla natura. Infatti bisogna arrivare alla “Ginestra” per trovare un briciolo di fiducia e di coraggio per affrontare la natura matrigna o chi per essa. Dio ha creato l’infelicità per milioni di uomini e ha creato anche il peggior mondo e il peggiore Universo possibile e immaginabile. La filosofia del Leopardi è, dunque, una filosofia nichilistica perché distrugge ogni cosa e conduce al nulla senza che ci sia nessuna speranza di salvezza per l’umanità. Infine, io, Biagio Carrubba, reputo che la bellezza della poesia dei “Canti” derivi dal tono evocativo, lamentoso, ma insieme di protesta e di sfida del Leopardi contro la morte e contro la natura che egli considera ostile agli uomini. Il tono accorato e malinconico rivolto verso l’indefinito è evidentemente rivolto a Dio, perché è Lui il creatore della natura. La natura è solo il simbolo di DIO; essa, in quanto cosa creata, non ha nessuna volontà propria e quindi non può intervenire né a favore né a sfavore degli uomini; essa esegue solo le leggi naturali che Dio le ha imposto. Dunque Dio rimane per Leopardi l’unico antagonista; sia la natura che la morte non sono altro che mere apparenze della volontà di Dio. Io penso che Dio, nel suo regno, abbia già spiegato al Leopardi il motivo per cui Lui, ancora, non sia intervenuto a salvare l’umanità dalla distruzione finale. Noi viventi siamo ancora oggi in attesa di conoscere il giorno del giudizio di Dio. Comunque a noi viventi rimane la speranza che prima o poi il Buon Dio potrà programmare il suo arrivo sulla terra e questo avverrà prima che noi riusciremo a contare le stelle ad una ad una. Però basta solo aspettare quel giorno finale e pensare che, se avessimo le ali e se potessimo contare le stelle ad una ad una, allora forse potremmo diventare o più felici o più stupidi. Comunque ci rimane la speranza e la fiducia che prima che noi, riusciamo a contare le stelle ad una ad una, il Buon Dio ha tutto il tempo che vuole per programmare il suo arrivo sulla Terra. Cosa che può fare in un solo istante da quando prenderà la sua decisione finale.

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Modica 17/08/2018                                                                                                                 Prof. Biagio Carrubba

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