Gli epigrammi più belli di Rufino
Dall’Antologia Palatina (9)
IX
Gli epigrammi più belli di Rufino.
Della vita di Rufino si conosce ben poco. Gli studiosi dell’Antologia ritengono che Rufino sia vissuto nel primo secolo d.C. Gli epigrammi di Rufino vertono soprattutto sul Carpe diem e sono prevalentemente epigrammi di amore ed erotici, dei quali riporto i più belli.
1
Dall’antologia palatina, Liber V, 12.
“Facciamo il bagno, Prodice, incoroniamoci e tracanniamo
vino puro, levando le grandi coppe. Breve è la durata delle gioie;
poi, per il resto del tempo, ce le proibirà la vecchiaia; e,
alla fine, la morte.”
2
Dall’antologia palatina, Liber V, 14.
“Di Europa dolce è il bacio, anche se tocca appena le labbra,
anche se sfiora solo la bocca. Ma non ti sfiora solo col sommo
delle labbra: sugge la bocca e tira su l’anima fin dalle unghie.”
3
Dall’antologia palatina, Liber V, 21.
“Non ti dicevo, Prodice, “Invecchiamo?” Non ti
preannunciavo “Presto arriveranno i distruttori
dell’amore?”. Ecco ora le rughe, i capelli bianchi,
il corpo avvizzito e la bocca priva della grazia antica.
C’è chi ti avvicina, altera bellezza, o adulandoti
ti prega? Ora ti passiamo accanto come ad una tomba.”
4
Dall’antologia palatina, Liber V, 22.
“Eros largo di dolci doni mi fece tuo servo, Boopi.
Come toro che viene da sé al giogo d’amore,
volontariamente, spontaneamente, deliberatamente,
schiavo totale, che mai reclamerà un’amara libertà
fino alla dolce vecchiezza canuta.
Mai occhio invidioso deluda le nostre speranze!”
5
Dall’antologia palatina, Liber V, 35.
“Ho giudicato da solo le natiche di tre; furono loro
a scegliermi, mostrandomi la nudità abbagliante delle membra.
L’una fioriva per la bianca morbidezza dei glutei, segnata da fossette rotonde.
L’altra era divaricata e la nivea carne luceva più vermiglia di una rosa purpurea.
La terza aveva l’immobilità di un mare solcato da onde silenti:
fremiti involontari percorrevano la delicata pelle.
Se l’arbitro delle dee avesse contemplato queste natiche,
non avrebbe più voluto vedere le altre natiche delle dee.”
6
Dall’antologia palatina, Liber V, 36.
“Rodope, Melita e Rodoclea vennero a contesa chi
delle tre avesse la fica più bella. Scelsero me a giudice;
e, come le famose dee, stettero lì nude, stillanti nettare.
Quella di Rodope brillava in mezzo alle cosce, preziosa,
come un mazzo di rose socchiuso da uno zefiro vivace…
E quella di Rodoclea pari ad un cristallo, umida come
una statua appena scolpita in un tempio.
Sapevo fin troppo bene quanto costò a Paride
il giudizio, perciò coronai subito tutt’ e tre
le dee immortali (Era, Pallade ed Afrodite).”
7
Dall’antologia palatina, Liber V, 47.
“Spesso ho pregato, Talìa, di averti con me
una notte e saziare con folli carezze l’ardore
dell’animo. E ora che sei qui nuda col tuo
dolce corpo, fiacco, ho le membra oppresse
da un languore sonnolento. Misero animo,
che ti succede? Risvegliati, non svenire:
questa suprema felicità l’hai cercata tu.”
8
Dall’antologia palatina, Liber V, 48.
“Occhi d’oro, guancia di cristallo, bocca
più deliziosa di un bocciolo di rosa porporina,
collo di candido marmo, petto abbagliante
e piedi più bianchi dell’argentea Teti.
Se tra i riccioli brillano qua e là delle spine,
non bado per niente a bianche pagliuzze.”
9
Dall’antologia palatina, Liber V, 60.
“Una fanciulla piedi d’argento facendo il bagno,
si spruzzava gli aurei pomi delle poppe sul corpo di latte.
Le natiche rotonde palpitavano sfiorandosi,
più fluida dell’acqua ondeggiava la carne.
La mano tesa velava l’Eurota rigonfio,
non per intero, ma quanto poteva.”
10
Dall’antologia palatina, Liber V, 69.
“Pallade ed Era sandali d’oro, scorgendo Meonide,
entrambe dal cuore estrassero un grido:
“Non ci spogliamo più: un giudizio del pastore basta.
Essere vinte due volte in una gara di bellezza,
ah no! “.”
11
Dall’antologia palatina, Liber V, 74.
“T’invio, Rodoclea, questa corona che di mia
propria mano ho intrecciata con vaghi fiori.
C’è il giglio, il bocciolo di rosa,
il rorido anemone, il flessibile narciso,
la viola dal cupo bagliore. Cingila al tuo capo
e smetti d’essere tanto superba:
sia tu che la corona fiorite e appassite.”
12
Dall’antologia palatina, Liber V, 75.
“Avevo per vicina la fanciulla Amimone,
una vera Afrodite, che mi bruciava l’anima non poco.
Ella mi provocava e, se si offriva
l’occasione, osavo. Arrossiva. Nulla di più.
S’avvedeva del mio supplizio. Dopo tante fatiche,
ce la feci. Ora mi si dice che è incinta.
Allora, che faccio? Scappo o resto?”.
Ho scelto questi epigrammi di Rufino perché li trovo belli, sorprendenti, spassosi e divertenti.
Modica, 09 maggio 2020 Prof. Biagio Carrubba
Commenti recenti