GLI EPIGRAMMI PIU’ BELLI DELL’ANTOLOGIA PALATINA (5).

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GLI EPIGRAMMI PIU’ BELLI
DELL’ANTOLOGIA PALATINA (5).

V
Gli epigrammi più belli di Leonida di Taranto

Leonida di Taranto nacque intorno al 320 a.C. Scrisse molti epigrammi che sono riportati nell’Antologia Palatina. Intorno al 272 a.C. si trasferì in Epiro alla corte del Re Pirro, quindi raggiunse il Peloponneso, passò in Asia Minore e forse arrivò fino ad Alessandria d’Egitto. Morì intorno al 260 a.C. Gli argomenti dei suoi epigrammi sono molteplici: alcuni autobiografici che richiamano la tristezza del suo girovagare ed il lamento di morire fuori dalla sua patria, come si deduce dal suo epitaffio.

1
Dall’antologia palatina, Liber VII, 715.
“Molto lontano dormo dalla Terra
d’Italia e dalla mia patria, Taranto.
Questo è per me più amaro della morte.
Tale è la vana vita di ogni nomade.
Ma le Muse mi amarono, e per tutte
le mie sventure mi diedero in cambio
la dolcezza del miele.
Il nome di Leonida non è morto.
I doni delle Muse lo tramandano
fino alla fine di ogni tempo.”

I personaggi degli epigrammi di Leonide di Taranto sono molteplici e di varia estrazione sociale. La maggioranza di essi sono presi dai ceti più umili come i pastori, i pescatori, i marinai, i cacciatori descritti nei loro lavori giornalieri. Un epigramma, in particolare, descrive la vecchia Maronide che piange sul suo epitaffio.

2
Dall’antologia palatina, Liber VII, 455.
“Qui sta la vecchia ubriacona Maronide.
Rovina delle bottiglie di vino.
Sulla sua tomba c’è un calice attico,
simbolo noto a tutti. Si lamenta
anche sotto terra: non per i figli
o il marito lasciati senza nulla.
Piange solo per il calice vuoto.”

Un altro epigramma paradossale e curioso è quello dedicato a Gorgo, il quale di fronte alla richiesta della Morte di abbandonare la vita non esita due volte a scendere, spontaneamente ed immediatamente, nell’Ade.

3
Dall’antologia palatina, Liber VII 731.
“Come la vite al palo,
mi appoggio al mio bastone. Ecco, mi chiama
nell’Ade la Morte. Non fare il sordo,
Gorgo! Perché tu avresti caro ancora
di stare al sole per tre o quattro estati.
E detto ciò, semplicemente, il vecchio
gettò via la vita e se ne andò
verso la dimora dei più.”
Ma l’epigramma più bello, più riuscito e più intenso di Leonida di Taranto è, senza dubbio, quello dedicato alla meditazione dell’uomo dinnanzi alla Morte.

4
Dall’antologia palatina, Liber VII, 472.
“Infinito fu il tempo, uomo, prima
che tu venissi alla luce, e infinito
sarà quello dell’Ade. E quale parte
di vita qui ti spetta, se non quanto
un punto, o, se c’è, qualcosa più piccola
di un punto? Così breve la tua vita
e chiusa, e poi non solo non è lieta,
ma è assai più triste dell’odiosa morte.
Con una simile struttura d’ossa
tenti di sollevarti fra le nubi nell’aria!
Tu vedi, uomo, come tutto è vano:
all’estremo del filo c’è un verme
sulla trama non tessuta dalla spola.
Il tuo scheletro è più tetro
di quello di un ragno. Ma tu
che giorno dopo giorno cerchi
in te stesso, vivi con lievi pensieri,
e ricorda solo di che paglia sei fatto.”

Tra gli epigrammi più noti, ironici e sarcastici di Leonide di Taranto, quello più intenso è, certamente, quello riferito ad Ipponatte.

5
Dall’antologia palatina, Liber VII, 408.
“Passate senza fare rumore oltre
la mia tomba, non svegliate la vespa
pungente che posa nel sonno. L’ira
di Ipponatte che ha osato scatenarsi
contro i genitori, è ora in pace.
Ma, attenti: le sue parole di fuoco
possono bruciare pure dall’Ade.

Sugli epigrammi di Leonida c’è da ricordare una bella edizione tradotta da Salvatore Quasimodo dal titolo “Leonida di Taranto” che suscitò molto interesse quando fu pubblicata (1968).

Questi cinque epigrammi sono molto belli e mi piacciono molto.

 

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Modica, 05/05/2020                                                    Prof. Biagio Carrubba

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