Gli aspetti estetici e pregevoli del libro. “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

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Gli aspetti estetici e pregevoli del libro.
“Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Io, B. C., elenco, con piacere e con diletto, quali sono, secondo me, gli aspetti estetici e pregevoli, notevoli e belli che formano la bellezza del libro.

Primo aspetto: il linguaggio.
Il linguaggio del libro è straordinario: chiaro, preciso, alto, lucido, coerente, coeso, uniforme, armonioso, forbito, estremamente ricco di nomi e verbi che indicano lo stato d’animo interiore. Questo straordinario linguaggio descrive in modo semplice ed efficace anche l’ambiente esterno, il clima, il paesaggio del lager. La lexis del libro è personale e non anonima. Si sente l’autore che non perde mai la sua lucidità linguistica, e sa usare perfettamente la varietà linguistica, sapendo variare i toni dei discorsi dei prigionieri e riporta anche con maestria altre frasi non italiane ma di altre lingue straniere come il francese e il tedesco per riportare le parole non capite e per ricreare l’atmosfera di confusione che si viveva all’interno del lager. La confusione dei linguaggi è un aspetto importante dell’opera a cui Levi dedica alcuni passi molto lunghi come nel capitolo terzo. Ecco cosa Levi scrive su questo aspetto: “La confusione delle lingue è una componente fondamentale del modo di vivere di quaggiù: si è circondati da una perpetua Babele, in cui tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite, e guai a chi non afferra a volo” (pagina 33)
E non bisogna dimenticare che la prima parola che dava inizio al dolore giornaliero era una parola polacca “Wstawac”. Ecco come Levi descrive il momento del risveglio di ogni giorno: “All’ora della sveglia, che varia da stagione a stagione ma cade sempre assai prima dell’alba, suona a lungo la campanella del campo, e allora in ogni baracca la guardia di notte smonta: accende le luci, si alza, si stira, e pronuncia la condanna di ogni giorno: – Aufstehen, – più spesso, in polacco – Wstawac”. Pochissimi attendono dormendo lo Wstawac: è un momento di pena troppo acuta perché il sonno non si sciolga al suo approssimarsi. La guardia notturna lo sa, ed è per questo che non lo pronunzia con tono di comando, ma con voce piana e sommessa, come di chi sa che l’annunzio troverà tutte le orecchie tese, e sarà udito e obbedito” (pagina 57). Un’altra caratteristica del linguaggio del libro è certamente data dall’uso frequentissimo di frasi e parole molte vicino nel suono e cioè vi sono moltissime allitterazioni, moltissime similitudini e moltissime endiadi. Esempio di allitterazioni: “Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno” (pagina 81). Esempio di similitudine: “Quando questa musica suona, noi sappiamo che i compagni, fuori nella nebbia, partono in marcia come automi; le loro anime sono morte e la musica li sospinge, come il vento le foglie secche, e si sostituisce alla loro volontà” (pagina 45). Esempio di endiadi e allitterazione: “e il nostro tempo sterile e stagnante a cui eravamo oramai incapaci di immaginare una fine “(pagina 105).

Secondo aspetto: le riflessioni filosofiche e sociologiche che Primo levi fa in molte parti del libro.
Le riflessioni sulla felicità e sulla infelicità perfetta si trovano a pagina 14 e a pagina 15. Una riflessione sulla morte è a pagina 15: “Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti. Pochi sanno tacere, e rispettare il silenzio altrui”. Una riflessione sulla dignità dell’uomo è pagina 23. “Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso”. Una riflessione sulla speranza del futuro e sul destino di ogni uomo è a pagina 31. “Se fossimo ragionevoli, dovremmo rassegnarci a questa evidenza, che il nostro destino è perfettamente in conoscibile, che ogni congettura è arbitraria ed esattamente priva di fondamento reale. Ma ragionevoli gli uomini sono assai raramente, quando è in gioco il proprio destino” (pagina 31). Una riflessione sulla saggezza della vita. “Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui” (pagina 48). Una lunga riflessione sulle cause del dolore e sulle disgrazie è a pagina 66. Una breve riflessione sul pessimismo umano e sull’impotenza umana di cambiare il male in bene è a pagina 104. Una considerazione sulle trasformazioni degli uomini costretti a vivere in condizioni estreme come nei lager è a pagina 82. Un’altra considerazione sulle capacità degli uomini di trasformarsi per riuscire a sopravvivere e diventare feroci e inesorabili verso gli altri è a pagina 83: “Ma oltre ai funzionari propriamente detti, vi è una vasta categoria di prigionieri che, non favoriti inizialmente dal destino, lottano con le sole loro forze per sopravvivere. Bisogna risalire la corrente; dare battaglia ogni giorno e ogni ora alla fatica, alla fame, al freddo, e alla inerzia che ne deriva; resistere ai nemici e non aver pietà per i rivali; aguzzare l’ingegno, indurare la pazienza, tendere la volontà. O anche, strozzare ogni dignità e spegnere ogni lume di coscienza, scendere in campo da bruti contro gli altri bruti, lasciarsi guidare dalle insospettate forze sotterranee che sorreggono le stirpi e gli individui nei tempi crudeli”. Una bella riflessione sulla vita è a pagina 146. “Io pensavo che la vita fuori era bella, e sarebbe ancora stata bella, e sarebbe stato veramente un peccato lasciarsi sommergere adesso”. L’ultima riflessione sulla vita degli uomini è a pagina 152. “Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non – umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo. Noi tre ne fummo in gran parte immuni, e ce ne dobbiamo mutua gratitudine; perciò la mia amicizia con Charles resisterà nel tempo”.

Terzo aspetto: Levi non descrive bene solo la vita miserevole, angosciata, piena di fame di dolore di freddo e precaria che i prigionieri vivevano nel lager, ma descrive altrettanto bene il valore della vita positiva e piena di dignità.
La vita povera, desolata piena di privazioni è descritta in vari brani del libro. Il primo brano è a pagina 23 dove Levi scrive: “Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata; siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana non c’è, e non è pensabile”. Nella stessa pagina Levi riporta il momento del suo nuovo battesimo: “Haftling: ho imparato che io sono uno Haftling. Il mio nome è 174.517; siamo battezzati, porteremo finché vivremo il marchio tatuato sul braccio sinistro.”. A pagina 55 Levi descrive così una giornata normale di lavoro: “La sofferenza del giorno, composta di fame, percosse, freddo, fatica, paura e promiscuità si volge di notte in incubi informi di inaudita violenza, quali nella vita libera occorrono solo nelle notti di febbre”. Ma la pagina più completa e più chiara della sofferenza giornaliera è descritta a pagina 110: “Noi sappiamo che cosa vuol dire, perché eravamo qui l’inverno scorso, e gli altri lo impareranno presto. Vuol dire che, nel corso di questi mesi, dall’ottobre all’aprile, su dieci di noi, sette morranno. Chi non morrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti giorni; dal mattino avanti l’alba fino alla distruzione della zuppa serale dovrà tenere costantemente i muscoli tesi, danzare da un piede all’altro, sbattere le braccia sotto le ascelle per resistere al freddo. Dovrà spendere pane per procurarsi guanti, e perdere ore di sonno per ripararli quando saranno scuciti”. Levi parla della vita positiva, buona e bella due volte nel libro. La prima volta ne parla in senso generale e la seconda volta in senso personale. Generalmente Levi scrive: “Per gli uomini vivi le unità del tempo hanno sempre un valore, il quale è tanto maggiore, quanto più elevate sono le risorse interne di chi le percorre; ma per noi, ore, giorni e mesi si riversavano torpidi dal futuro nel passato, sempre troppo lenti, materia vile e superflua di cui cercavamo di disfarci al più presto. Conchiuso il tempo in cui i giorni si inseguivano vivaci, preziosi e irreparabili, il futuro ci stava davanti grigio e inarticolato, come una barriera invincibile. Per noi, la storia si era fermata” (Pag.105). Personalmente Levi scrive: “Questo anno è passato presto. L’anno scorso a quest’ora io ero un uomo libero: fuori legge ma libero, avevo un nome e una famiglia, possedevo una mente avida e inquieta e un corpo agile e sano. Pensavo a molte lontanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al bene al male, alla natura delle cose e alle leggi che governano l’agire umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all’amore, alla musica, alla poesia. Avevo una enorme radicata, sciocca fiducia nella benevolenza del destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l’avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere” (Pag.127). “Se questo è uomo” è un libro serio e tragico, Levi solo due volte scrive due frasi ironiche, nello stesso capitoletto: “Nessuno può vantarsi di comprendere i tedeschi” (pag.124) e alla fine di questo 15 capitoletto Levi scrive: “Quest’anno è passato presto” (pag.128) che sono due frasi antifrastiche ironiche.

Quarto aspetto: la struttura concentrica verso il basso come l’inferno di Dante Alighieri e i molti riferimenti alla Divina Commedia di Dante Alighieri.
Ovviamente vi sono molte differenze tra “Se questo è un uomo” e la Divina Commedia, e si potrebbe anche dire che La tregua rappresenta il viaggio nel purgatorio; la differenza più grande e vistosa è certamente questa: il libro Se questo è un uomo percorre un viaggio, vero e storico, e non onirico e trascendente, come la Divina Commedia di Dante. Il libro inizia con un viaggio e appena arrivati ad Auschwitz Levi parla di Antinferno a pagina 25: “Ora dopo ora, questa prima lunghissima giornata di antinferno volge al termine. Mentre il sole tramonta in un vortice di truci nubi sanguigne, ci fanno finalmente uscire dalla baracca”. Subito dopo l’Antinferno c’è l’Inferno come dice a pagina 19: “Oggi, ai nostri giorni, l’inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere e noi aspettare qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente”. All’ingresso del lager Levi trova scritto ARBEIT MACHT FREI (Il lavoro rende liberi). Come spiega molto bene Cesare Segre a pagina 191: “E Levi pensa subito all’inferno dantesco. I “barbarici latrati tedeschi quando comandano sono probabilmente quelli di Cerbero, se, subito dopo, il soldato che deruba i prescelti conducendoli in autocarro al campo è il “nostro Caronte, e lo scrittore si aspetta che esclami “Guai a voi, anime prave”. In qualche modo l’“Arbeit macht frei” ripete con crudele ironia il “Lasciate ogni speranza, voi che entrate” dell’Inferno” (pag.192). Buona parte del 11° capitolo tratta di Ulisse di Dante, ne ripete molti versi tra cui i celeberrimi versi: “Considerate la vostra semenza / fatti non foste a vivere come bruti / ma per seguire virtute e conoscenza”. La ripresa e la citazione di Dante costituiscono ovviamente in Levi la dimostrazione di ribadire il valore della cultura la quale in ogni circostanza aiuta a vivere e a capire meglio ciò che si fa. Levi sopportava così con maggiore dignità la disumanità degli nazisti, violenti, rozzi e carnefici.

Quinto aspetto: la forza morale di non disperare della salvezza e la consapevolezza che oltre il lager nazista esisteva ancora il bene.
Levi racconta la morte di moltissimi prigionieri che morivano per fame o per freddo e moltissimi andavano a finire nei forni crematori, ma descrive anche la forza di volontà di altri che riuscivano a vincere ogni difficoltà pur di sopravvivere. Egli stesso è felice quando supera l’esame di chimica e quando viene chiamato al laboratorio perché sa che così evita il freddo e la fame. Così scrive a pagina 125. “A quanto pare dunque, la sorte, battendo strade insospettate, ha fatto sì che noi tre, oggetto di invidia per i diecimila condannati, non avremo quest’inverno né freddo né fame. Questo vuol dire forti probabilità di non ammalarsi gravemente, di salvarsi dai congelamenti, di superare le selezioni”. Sulla consapevolezza del mondo esterno fatto ancora di bene Levi scrive: “Io credo che a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi” Pagina 109.

Sesto aspetto: il finale di molti capitoli esprime un giudizio etico contrario alla vita indegna che conduceva.
Alla fine del primo capitoletto, dopo aver descritto un soldato tedesco che chiede di dargli i loro averi, Levi conclude: “La cosa suscita in noi collera e riso e uno strano sollievo” (pagina 18). Alla fine del quarto capitolo, Levi dopo aver descritto la vita del Ka – Be conclude. “Nessuno deve uscire di qui, che potrebbe portare al mondo, insieme col segno impresso nella carne, la mala novella di quanto, ad Auschwitz, è bastato animo all’uomo di fare all’uomo” (pagina 49). Alla fine del settimo capitolo, Levi dopo ave parlato di una giornata fortunata così conclude: “Per qualche ora, possiamo essere infelici alla maniera degli uomini liberi” (pagina 69). Alla fine del dodicesimo capitolo, Levi dopo ave parla di Lorenzo così conclude: “Ma Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata; egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo” (pagina 109). Alla fine del tredicesimo capitolo, Levi dopo aver descritto l’assurda gioia di Kuhn e l’angoscia di Beppo il greco che è stato scelto per la selezione così conclude: “Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn” (pagina 116). Alla fine del quattordicesimo capitolo, Levi dopo aver parlato di Kraus così conclude: “Povero sciocco Kraus. Se sapesse ce non è vero, che non ho sognato proprio niente di lui, che per me anche lui è niente, fuorché in un breve momento, niente come tutto è niente quaggiù, se non la fame dentro, e il freddo e la pioggia intorno” (pagina 120).

Settimo aspetto: la teoria dei sommersi e dei salvati.
Secondo Levi, solo gli ebrei più determinati a vivere a commetter qualsiasi cosa per salvarsi riuscirono veramente a salvarsi, mentre la maggioranza degli ebrei che si dimostravano ubbidienti e incapaci di adattarsi alla dura vita del Lager perirono in solitudine e senza lasciare memoria di sé. La massa dei prigionieri che lavoravano e che mangiavano solo il blocchetto di pane, morivano a centinaia Levi li definiva “sommersi”, mentre nel lager venivano chiamati “Mussulmani” (Muselmann), cioè i vecchi, i deboli, gli inetti i votati alla selezione. Ecco come li descrive e definisce Levi: “La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato; sono loro i Muselmanner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamare morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in un’immagine tutto il male del nostro tempo sceglierei questa immagine, che mi è famigliare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero” (pagina81 – 82).
I salvati sono stati i pochi che usarono qualunque mezzo, qualunque espediente per evitare i lavori duri e ripararsi dal freddo usarono la loro astuzia pur di sottrarsi ai lavori più gravosi. Questi erano i Prominenti (Prominenz). Levi afferma che loro diventarono molte volte aguzzini di altri ebrei pur salvare la propria vita. Levi scrive: “Inoltre avverrà che la sua capacità di odio, rimasta inappagata nella direzione degli oppressori, si riverserà, irragionevolmente, sugli oppressi: ed egli si troverà soddisfatto quando avrà scaricato sui suoi sottoposti l’offesa ricevuta dall’alto” (pagina 82). E fa l’esempio di quattro prigionieri ebrei che riuscirono con le sue sole forze a diventare Prominenti: Schepschel, Alfred L., Elias e Henri.

Ottavo aspetto: il disvalore, l’assurdità e la casualità della vita e della morte.
Il disvalore, l’assurdità e la casualità della vita e della morte è descritta da Levi in occasione delle selezioni dell’ottobre ’44. Ovviamente la vita degli ebrei non aveva nessun valore, essi venivano mantenuti in vita solo per lavorare ed essere sfruttati nella costruzione di opere necessarie al regime nazista. Appena questa necessità finiva gli ebrei venivano uccisi senza pietà. Nel campo di Auschwitz veniva praticata la selezione cioè la pratica di scegliere tra sani e malati, tra abili e inabili tra vecchi e giovani. Ma in seguito non si tenne conto nemmeno di questa pratica, venivano uccisi tutti. Levi descrive con queste parole la selezione che lui passò indenne nell’ottobre del’44: “Su questa esigua base anch’io ho attraversato la grande selezione dell’ottobre del 1944 con inconcepibile tranquillità. Ero tranquillo perché ero riuscito a mentirmi quanto era bastato. Il fatto che io non sia stato scelto è dipeso soprattutto dal caso e non dimostra che la mia fiducia fosse ben fondata “(pagina 112). E a pagina 114 scrive. “Io confitto nel carnaio del Tagesraum ho sentito gradualmente allentarsi la pressione intorno a me, e in breve è stata la mia volta. Come tutti, sono passato con passo energico ed elastico, cercando di tenere alta la testa, il petto in fuori e i muscoli contratti e rilevati. Con la coda dell’occhio ho cercato di vedere alle mie spalle, e mi è parso che la mia scheda sia finita a destra”. Invece per puro caso la scheda di due prigionieri finì a sinistra e così andarono nel Camino. Levi descrive due casi di questa casualità sfortunata: “Prima ancora che la selezione sia terminata, tutti già sanno che la sinistra è stata effettivamente il lato infausto. Ci sono naturalmente delle irregolarità. Renè per esempio, così giovane e robusto, è finito a sinistra: forse perché ha gli occhiali, forse perché cammina un po’ curvo come i miopi, ma più probabilmente per una semplice svista”. E subito dopo descrive il caso di Sattler: “Parimenti di un errore deve essersi trattato per Sattler, un massiccio contadino transilvano che venti giorni fa era ancora casa sua; Sattler non capisce il tedesco, non ha compreso nulla di quel che è successo e sta in un angolo a rattopparsi la camicia. Devo andargli a dire che non gli servirà più la camicia?” (pagina 115).

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Modica 30 maggio 2019                                                                          Prof. Biagio Carrubba

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