ELEGIE DI HOLLYWOOD di Bertolt Brecht.

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ELEGIE DI HOLLYWOOD
di Bertolt Brecht.

Introduzione.

B. Brecht, insieme alla moglie Helene Weigel, ai figli e alla sua collaboratrice e amante Ruth Berlau, giunse al porto di San Pedro, il porto di Los Angeles, il 21 luglio 1941. Ad accoglierlo vi erano due suoi amici, Marta Feuchtwanger e Alexander Granach. Lion Feuchtwanger gli consigliò di rimanere e sistemarsi a Los Angeles perché il tenore di vita era meno caro rispetto ad altri luoghi degli USA e perché Los Angeles offriva maggiori possibilità di lavoro. Brecht al suo arrivo a Los Angeles era, secondo me B. C., pieno di preoccupazioni per il suo presente incerto ed era molto turbato per il suo futuro precario che lo attendeva. Inoltre Brecht non sapeva come e cosa avrebbe fatto per guadagnarsi il pane ogni giorno a Los Angeles; non aveva altro che la sua mente di drammaturgo. Ecco come Klause Volker, nel suo libro, Vita di Bertolt Brecht, a pagina 302, descrive il primo periodo americano di Brecht. “Lo scrittore di drammi si trovava male come mai prima nella sua vita. Il divario tra miseri privata e ricchezza sociale da cui tutti volevano trarre il maggiore profitto possibile, lo disorientava alquanto, si sentiva come tirato fuori dalla sua epoca. Era un inferno che aveva l’aspetto del paradiso.” Brecht era partito dall’URSS nel giugno del 1941, dove era morta la sua migliore collaboratrice, Margarete Steffin. Un altro motivo di preoccupazione di Brecht era il suo astio verso gli USA, dal momento che il suo ideale politico era il marxismo e l’URSS era l’unica nazione nella quale il comunismo era l’economia dello Stato Sovietico. Allora io, B. C., mi chiedo perché Brecht, che si trovava a Mosca, non rimase in URSS, dato che l’URSS era proprio lo Stato ideale per lui? Io, B. C., non so la risposta perché Brecht non rimase nell’URSS; so, soltanto, che Brecht arrivò negli USA con uno stato d’animo costernato e inquieto, anche per il fatto che in quel periodo le truppe tedesche stavano avanzando, in modo irresistibile, verso Leningrado e verso Mosca. Brecht, fin dall’inizio del suo arrivo, non era felice negli USA, anche perché si portava dentro dei forti preconcetti, politici e ideologici, nei riguardi del popolo americano e del capitalismo americano. Frederic Ewen nel suo libro sulla vita di Brecht conferma questa mia ipotesi, quando a pagina 338 scrive. “È un peccato che il suo concetto dell’America si sia limitato a queste esperienze hollywoodiane e si sia ridotto ad un atteggiamento completamente negativo. La sua mente aveva delle preclusioni, come è mostrato dal fatto che durante il suo soggiorno di sei anni non cercò di accrescere la sua conoscenza delle correnti più profonde del pensiero americano e delle principali figure letterarie del secolo attuale e di quello precedente. Rimase quasi del tutto indifferente al fermento letterario degli anni venti e trenta, e molti esponenti di questo fermento abitavano anche allora a Hollywood o nelle città vicine. Il suo pensiero, in altre occasioni così attento, ricettivo e pronto ad assimilare, sarebbe stato certamente arricchito da un contatto più stretto con questi movimenti.” A Los Angeles, Brecht si ricordò, allora, della poesia di P. B. Shelley, del 1819 e da lui tradotta nel 1938. Brecht compose, su questa poesia, sia una pagina in prosa nella quale accostava Londra a Los Angeles e sia una poesia sullo stesso argomento. La pagina in prosa si trova, ora, riportata nel volume II nelle pagine 1507 – 1508. La poesia la si legge, oggi, completa, nel secondo volume, pagina 1013, con il titolo Meditando, mi dicono, sull’inferno. Ecco il testo dell’intera poesia.

Meditando, mi dicono sull’inferno
il fratel mio Shelley trovò ch’era un luogo
pressappoco simile alla città di Londra. Io
che non vivo a Londra, ma a Los Angeles,
trovo, meditando, sull’inferno, che deve
ancor più assomigliare a Los Angeles.
Anche all’inferno ci sono, non ne dubito,
questi giardini lussureggianti
con fiori grandi come alberi, che però appassiscono
senza indugio se non si innaffiano con acqua carissima.
E mercati con carrettate di frutta, che però
non ha odore né sapore. E interminabili file di auto
più leggere della loro ombra, più veloci
di stolti pensieri, veicoli luccicanti in cui
gente rosea, che non viene da nessuna parte,
non va da nessuna parte.
E case, costruite per uomini felici, quindi vuote
anche se non abitate.

Anche all’inferno le case non sono tutte brutte.
Ma la paura di essere gettati per strada,
divora gli abitanti delle ville non meno
di quelli delle baracche.

Ma l’occasione di scrivere le Elegie di Hollywood fu data a Brecht dal suo amico musicista Hanns Eisler il quale ripropose di scrivere delle Elegie dedicate a Hollywood. Brecht accettò la proposta e fra l’agosto e il settembre 1942 scrisse le Elegie e le diede a Hisler per musicarle. Ecco la prima poesia della raccolta Elegie di Hollywood. (Volume II. Pagina 377).

1

Il villaggio di Hollywood è ideato secondo l’immagine
che da queste parti si ha del cielo. Da queste parti
si è calcolato che Dio,
avendo bisogno di cielo e d’inferno, non ebbe bisogno
di ideare due insediamenti, ma
uno solo, il cielo. Questo
per chi non ha niente, per chi non ha successo,
serve da inferno.

Un’altra poesia intensa e piacevole è la poesia numero 3, piena di ironia e di un sottile sarcasmo nei confronti dei cittadini di Hollywood. (Poesia n. 3, volume II, pagina 381).

Gli angeli di Los Angeles
sono stanchi di sorridere. A sera
dietro i mercati della frutta
comprano disperati delle bottigliette
con odore di sesso.

Segue un’altra poesia nella quale Brecht mostra tutto il suo astio e le sue preoccupazioni per la vita precaria che conduce a Hollywood e per le difficoltà che incontra a trovare il lavoro negli studi cinematografici di Hollywood. Testo della poesia (volume II, pagina 387).

Ogni mattino, per guadagnarmi il pane
vado al mercato dove si comprano menzogne.
Pieno di speranza
mi metto in fila tra i venditori.

Un’altra poesia, che fa riferimento alla prosa di Shelley, e, nella quale Brecht paragona ancora una volta la città di Hollywood, è la seguente. Testo della poesia. (Volume II, pagina 389).

La città di Hollywood mi ha istruito.
Paradiso e inferno
possono essere una città: per chi non ha mezzi
il paradiso è l’inferno.

Ecco l’ultima poesia della raccolta. Testo della poesia. (Volume II. Pagina 393).

*
Sopra le quattro città s’incrociano i caccia
della difesa a grande altezza
perché la puzza dell’avidità e della miseria
non salga fino a loro.

 

 

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Modica 28/01/2020                                                               Prof. Biagio Carrubba

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