
Cesare Pavese
Tre liriche speciali di Cesare Pavese
commentate e de simbolizzate.
I
Cesare Pavese inserì le tre poesie dedicate a Fernanda Pivano nella seconda edizione di “Lavorare stanca”, pubblicata nell’ottobre 1943 per l’Einaudi. Questa nuova edizione einaudiana è la seconda edizione dell’opera dopo quella del 1936 edita dalla rivista letteraria Solaria. La seconda edizione è molto cambiata rispetto a quella del 1936 tanto che si può dire che Pavese, pur ripresentando tutte le poesie della prima edizione, ne aggiunge molte altre che danno al nuovo libro una fisionomia completamente diversa rispetto all’opera originaria. Se la prima edizione era stata innovativa perché aveva introdotto una poesia più realistica, più lunga e più aperta ai casi umani, ora invece Pavese si avvicina, quasi come un ritorno, alla poetica dell’ermetismo e del simbolismo che lui aveva tanto criticato nella prima edizione. La poetica della prima edizione voleva innovare e differenziarsi rispetto all’ermetismo e al simbolismo; ora, nella seconda edizione, Pavese si accosta al simbolismo e al lirismo della tradizione europea ed italiana. Le tre poesie scritte durante la relazione con Fernanda Pivano sono tre poesie tipicamente simboliche, simboliste e liriche e per fortuna del poeta raggiungono una grande qualità e bellezza poetica da poterle considerare tra i più belli esempi della poesia lirica, amorosa ed elegiaca italiana ed europea. Pavese spiega questo rifluire alla poesia elegiaca, lirica, simbolica ed ermetica nelle due appendici inserite nell’edizione einaudiana del 1943. Il finale delle due appendici chiarisce la svolta e il rientro del poeta verso il lirismo e l’ermetismo italiano. La prima appendice, scritta nel novembre 1934, chiude con queste illuminanti parole: “ma è un fatto che le mie immagini – i miei rapporti fantastici – andavano sempre più complicandosi e ramificando in atmosfere rarefatte”. Il finale della seconda appendice, scritta nel febbraio 1940, chiude con questa frase ancora più chiarificatrice del suo nuovo modo di poetare tutto concentrato sull’aspetto interno del poeta: “verrà un giorno che una tranquilla occhiata porterà l’ordine e l’unità nel laborioso caos che domani incomincia”. Ma per capire in modo ancora più approfondito la genesi delle tre poesie è necessario conoscere anche molte riflessioni sulla poesia, sull’arte e sulla vita che Pavese stava scrivendo nel suo celebre diario “Il mestiere di vivere” che chiariscono sia la natura della sua poesia ma anche i veri sentimenti del poeta sulla gente, sul suo amore passato e sull’importanza del sesso nell’amore. Queste tre liriche speciali si possono comprendere soltanto se si conoscono le date delle tre poesie come le riporta il poeta ma anche le lettere scritte nello stesso periodo a Fernanda Pivano e le riflessioni contenute nel diario “Il mestiere di vivere”. (Tutte le citazioni de “Il mestiere di vivere” sono tratte dalla più completa edizione Einaudi del 1990).
II
Pavese conosce Fernanda Pivano nel luglio del 1940 e la nomina, per la prima volta, nel suo diario, il 26 luglio del 1940 con il nomignolo Gognin (pag. 196 – “Il mestiere di vivere”), che in piemontese vuol dire musetto o bel faccino. La storia affettuosa e tempestosa tra Pavese e Fernanda Pivano si sviluppa, dunque, dal luglio al novembre 1940 per poi continuare fino alla morte di Pavese, come profonda amicizia. Fin dall’inizio, tra i due, intercorre una fitta corrispondenza epistolare dalla quale si capiscono anche i tormenti e le decisioni più importanti tra i due. A luglio 1940 Pavese conosce la Pivano; tra luglio e settembre se ne innamora perdutamente; a settembre le invia due lettere in cui le chiede di sposarlo ma riceve un rifiuto pacato ma deciso come si intravede dalle lettere ricevute dal 25 al 29 settembre; da ottobre a novembre Pavese elabora il rifiuto e scrive molte lettere profonde e pesanti in cui psicanalizza il rifiuto della Pivano. Dopo questa serie di lettere tra i due rimane una profonda ed affettuosa amicizia che si protrae fino alla morte del poeta. Le tre poesie che Pavese scrive durante questo tentativo di approccio amoroso appartengono a due momenti diversi del rapporto tra i due: le prime due sono scritte nella fase precedente al rifiuto e la terza, invece, chiude l’esperienza e l’approccio amoroso. Quindi le tre poesie sono diverse per tono emotivo: le prime due sono allegre, chiare, di apertura e di speranza, mentre la terza esprime un tono emotivo più melanconico e triste dopo il rifiuto della Pivano. Infatti la terza poesia rivela, più che l’amore e la speranza delle prime due, delusione e tristezza verso la Pivano la quale rimarrà per il poeta, sempre una sincera e confidente amica. Si può dire che le tre poesie per Fernanda Pivano hanno una forma stilizzata e depurata dai sentimenti nudi e crudi che Pavese scriveva nel suo diario e nelle lettere che aveva inviato alla Pivano. Si può dire quindi che le tre poesie sono la bella forma decantata e purificata dei suoi sentimenti che invece Pavese esprime in una forma più passionale, personale e cruda sia nelle lettere che ne “Il mestiere di vivere”.
III
La prima poesia, “Mattino”, è il numero 55 dell’opera “Lavorare stanca”.
Testo della poesia “Mattino”.
La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un’ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.
Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba
che s’imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l’impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.
[9 – 18 agosto 1940]
La poesia esprime, in forma simbolica e metaforica, la speranza di Pavese di guadagnare l’amore di Fernanda Pivano che nei confronti del poeta si mostra simpatica ed interessata ma allo stesso tempo distaccata. La poesia nasce anche da altre due considerazioni che Pavese aveva scritto negli anni precedenti nel suo diario “Il mestiere di vivere”: “La ragione è che arte e vita sessuale nascono sullo stesso ceppo” (16 dicembre 1937 – pag. 66). La seconda riflessione è questa: “Nella pausa di un tumulto passionale rinasce voglia di poesia”. (25 febbraio 1938 – pag. 93). Se nel fondo della nascita della poesia “Mattino” ci sono senza dubbio queste due considerazioni sul piacere e sul sesso, la forma della poesia è invece rivestita da una lexis stilizzata, decantata e purificata che nasconde sotto un linguaggio simbolico i veri sentimenti del poeta che sono di desiderio e di passione verso la Pivano. La poesia acquista così la propria bellezza perché la forma è purificata e decantata e ne esce una poesia superba, liricizzata, simbolizzata tanto che Pavese praticamente, inconsciamente ed in modo sublimale, richiama e descrive il viso puro ed eterno del famosissimo quadro di Sandro Botticelli (Firenze 1445 – 1510) “La nascita di Venere” del 1482 circa. La Venere di Botticelli trasfigura, agli occhi di Pavese, in forma mitica, il viso, il portamento e la figura di Fernanda Pivano. La poesia quindi descrive in forma simbolica e mitizzata “La nascita di Venere” di Botticelli. Il titolo stesso della poesia, “Mattino”, richiama il titolo del quadro “La nascita di Venere” perché sia mattino che nascita si rifanno ad un inizio: quello di un amore nella poesia di Pavese e quello della nascita della Dea dal mare nel quadro di Botticelli.
Parafrasi, sintesi e de simbolizzazione della poesia.
Nella finestra dell’anima del poeta, appena aperta, appare il volto di Fernanda Pivano (trasfigurata nella Venere di Botticelli). I capelli biondi e fluenti sopra il corpo della dea si espandono sulle onde del mare. Il viso di Venere (Fernanda) è puro, perfetto, tenue, sobrio, vergine, dolce e mesto. Esso è il sussurro del mare ed esprime il miracolo della perfezione dell’amore e della purezza. Il viso è immobile nel tempo e nello spazio e una luce cristallina e fresca lo feconda e lo illumina per sempre. Tutto il corpo della Venere ha un profumo di un frutto marino vivo e fresco. Nessuna parola umana riesce ad afferrare la luminosità, la freschezza e la tristezza del viso di Venere che non ha né un passato, né un futuro e vive soltanto nel perenne presente. Il finale della poesia già preannuncia l’esito negativo dell’approccio amoroso perché termina con la scomparsa del volto della Venere dalla finestra socchiusa di Pavese. Il tema della poesia è dunque l’amore di Pavese per Fernanda Pivano ma non si riduce alla forma estetica ed estatica perché nasconde anche gli impulsi sessuali e sentimentali del poeta. La tesi della poesia è la prefigurazione di un amore mancato perché inaccessibile da tanta bellezza. Si può dire che Pavese sia assorto nella contemplazione della Venere così come aveva scritto in una riflessione sulla contemplazione chiamata “Contemplazione inquieta” e cioè: “veramente creazione di un mistero naturale intorno a una angoscia umana”. (24 novembre 1935 – pag. 20).
Il linguaggio poetico della poesia è simbolico e metaforico e la lexis richiama nella scrittura di Pavese un linguaggio tra il simbolismo pagano e il simbolismo cristiano. Come Botticelli nel suo celebre quadro aveva stilizzato la figura umana in una Venere, pura, perfetta ed armoniosa, allo stesso modo Pavese ricompone la stilizzazione della figura di Venere con il viso simbolizzato della Pivano. La bellezza della poesia nasce proprio da questa ricomposizione, trasposizione e trasfigurazione della Pivano nella figura stilizzata di Venere. La poesia sublima anche i desideri nascosti del poeta con parole e con immagini rarefatte, inconsuete ed evanescenti. Pavese aveva espresso questa trasformazione, dalla figura umana a quella divina, nell’atteggiamento della contemplazione inquieta con un’altra riflessione:
“Quest’è l’estratto di tutti gli amori: si comincia contemplando, si finisce analizzando, esaltati curiosi”. (24 gennaio 1938 – pag. 85).
Infatti nella prima poesia Pavese contempla, esaltato, il viso e il portamento di Venere, mentre nella terza finisce analizzando, curioso, il viso e il comportamento della Pivano.
IV
La seconda poesia, “Estate”, è il numero 56 dell’opera “Lavorare stanca”
Testo della poesia “Estate”.
C’è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un’erba che so
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d’aria
e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
Le parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
[3 – 10 settembre 1940]
In questa seconda poesia, Pavese, cambia l’ambiente e il tempo della scena amorosa rispetto alla poesia “Mattino”. La rappresentazione poetica si sposta dal mare, cioè qualcosa in movimento ed in continua agitazione, al giardino che è un luogo statico, fermo, stabile ma ricco di colori e frutti. Anche il tempo cambia rispetto a “Mattino” ed infatti dall’alba passiamo al pieno pomeriggio che rappresenta la piena passione del poeta per la Pivano. La poesia rappresenta i sentimenti più forti ed intensi del poeta verso il nuovo amore tanto che definisce la sua amata “un prodigio”. La poesia nasce anche da altre due considerazioni sull’amore che Pavese aveva scritto nello stesso periodo nel suo diario “Il mestiere di vivere”: la prima riflessione sulla natura dell’amore è bella, illuminante e profonda ed è questa: “ma la tendenza di un amore è proprio di illuderci che si tratti di un grande avvenimento, e la sua bellezza sta proprio nella continua coscienza che qualcosa di straordinario, di inaudito, ci va accadendo”. (29 settembre 1940). La seconda riflessione sull’essenza dell’amore è questa: “l’amore ha la virtù di denudare non i due amanti l’uno di fronte all’altro, ma ciascuno dei due davanti a sé”. (12 ottobre 1940). Anche questa poesia richiama un altro famosissimo quadro di Botticelli e cioè “La Primavera” (1482 circa), dove al centro del quadro ci sono alcune fanciulle immerse in un giardino che sovrasta le fanciulle stesse. Il giardino rappresentato nel quadro è un aranceto con un prato fiorito sul quale poggiano le fanciulle tra le quali Flora, a destra del quadro, che è la dea della giovinezza e della fioritura, padrona dei lavori agricoli e protettrice della fertilità femminile. Il titolo stesso della poesia, “Estate”, richiama il titolo del quadro “La primavera” quando comincia la fioritura. Come l’estate è la stagione più calda ed intensa dal punto di vista climatico così la poesia esprime la massima intensità dell’amore del poeta verso la Pivano.
Parafrasi, sintesi e de simbolizzazione della poesia.
In questa poesia, il poeta, sempre attraverso la sua finestra socchiusa, quindi la sua anima, intravede un giardino ricco di frutti e pieno di colori dove la sua amata entra e porta una luce e un’aria che ha profumo di mare. Il poeta vede cadere molti frutti dagli alberi e la giovane donna trasalisce al loro tonfo. Ma in questo spettacolo di frutta e di colori il vero prodigio è la comparsa dell’amata che ascolta appena le parole del poeta ed ha un viso calmo e una luce che la illumina da dietro. Anche il finale di questa poesia è mesto e malinconico come nel “Mattino” perché il poeta sa che la caduta dei frutti fa nascere nel suo cuore una pena antica che gli riapre delle ferite, del suo primo amore Tina, non ancora rimarginate. I versi finali della poesia indicano, quindi, un presentimento negativo nel poeta dovuto al silenzio di lei, al silenzio del suo viso e al tonfo dei frutti. Infatti i frutti caduti a terra marciscono e richiamano in Pavese una sua ferita aperta e non ancora rimarginata. Il tema della poesia “Estate” è ovviamente il tema dell’amore del poeta verso la Pivano giunto al suo acme di intensità. I frutti simboleggiano, per l’appunto, il risveglio dei sensi e della libidine del poeta. Questo simbolo di passione viene espresso nei versi 8 – 9 che dicono: “Così trasalisci tu pure al sussulto del sangue.” Il ricchissimo giardino fa venire in mente anche il paradiso terrestre come luogo ideale e mitico dove abitavano soltanto Adamo ed Eva che rappresentavano l’amore ideale, incantato, raffinato, privo di problemi, quasi platonico. Il linguaggio della poesia è pieno di simboli, metaforico e ricco di figure retoriche. La lexis della poesia è propriamente tipica di uno stile ermetico perché contiene molte ellissi, simboli, analogie e similitudini che danno alla poesia una rappresentazione estetica piena di atmosfere rarefatte e di incanto. La lexis è, inoltre, serrata, concreta e piena di immagini traboccanti di luce, di colore e di fiori. La bellezza della poesia, quindi, scaturisce dal fatto che sotto il linguaggio puro, sobrio, simbolico, stilizzato si nasconde la vera passione del poeta e la sua passione carnale verso la Pivano.
V
La terza poesia, “Notturno”, è il numero 57 dell’opera “Lavorare stanca”
Testo della poesia “Notturno”.
La collina è notturna, nel cielo chiaro.
Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena
e accompagna quel cielo. Sei come una nube
intravista tra i rami. Ti ride negli occhi
la stranezza di un cielo che non è il tuo.
La collina di terra e di foglie chiude
con la massa nera il tuo vivo guardare,
la tua bocca ha la piega di un dolce incavo
tra le coste lontane. Sembri giocare
alla grande collina e al chiarore del cielo:
per piacermi ripeti lo sfondo antico
e lo rendi più puro.
Ma vivi altrove.
Il tuo tenero sangue si è fatto altrove.
Le parole che dice non hanno riscontro
con la scabra tristezza di questo cielo.
Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
impigliata una notte fra i rami antichi.
[19 ottobre 1940]
La terza poesia esprime, simbolicamente, il rifiuto della Pivano alla proposta di matrimonio di Pavese e chiude definitivamente le speranze d’amore del poeta, chiudendo la trilogia delle poesie dedicate alla Pivano. Pavese cambia nuovamente l’ambiente e il tempo della scena amorosa: l’ambiente è ora una collina, un territorio a mezza altezza tra cielo e terra che simboleggia un’azione che si eleva verso l’alto ma che non si conclude. Infatti l’amore per la Pivano, per Pavese rimane a metà come una collina perché non si concretizza positivamente a causa del diniego dell’amata. L’amore di Pavese, non corrisposto, e l’aspirazione ad elevarlo verso la Pivano, rimane frustrato e deluso. Per la Pivano era, insomma, un amore che non stava né in cielo né in terra, cioè era un amore a bazzotto. La Pivano comunque rimane una nuvola che passa sopra la collina ma non si ferma e frustra le speranze d’amore di Pavese. Anche questa poesia nasce da due considerazioni, stavolta sul dolore e sul rammarico per un amore non corrisposto che Pavese, contemporaneamente alla poesia e all’approccio amoroso, scrive nel suo diario “Il mestiere di vivere”: la prima riflessione sui suoi stati d’animo delusi e frustati è questa: “La tua pena particolare – che è quella di tutti i poeti – sta in questo, che per vocazione tu non puoi avere che un pubblico, e invece cerchi anime gemelle”. (20 ottobre 1940). La seconda riflessione sul dolore in generale e sul dolore che si prova per un amore mancato è questa: “Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria”. (30 ottobre 1940). Anche questa poesia richiama un altro famosissimo quadro di Botticelli e cioè “Venere e Marte” (1483 circa), dove viene rappresentata Venere vincitrice e dominatrice di Marte, intorpidito e tormentato dall’amore. Infatti Venere quieta, sicura di sé e con occhi vigili guarda Marte che rimane vinto, svenuto e abbattuto dal dominio di Venere. La poesia di Pavese, come il quadro di Botticelli, rappresenta la Pivano dominatrice del cuore infranto del poeta. La Pivano ha quindi vinto il poeta che rimane svenuto e trepidante di fronte al mancato amore e alla fermezza e al diniego di lei. Il titolo stesso, “Notturno”, fa capire la triste fine del tentativo di amore di Pavese perché come la notte toglie la luce del giorno, così il diniego della Pivano chiude le illusioni e le speranze d’amore del poeta. Ma, notturno, indica in modo più preciso il crepuscolo del tramonto quando la luce è incerta ma lascia il cielo ancora chiaro e pieno di effetti multicolore.
Parafrasi, sintesi e de simbolizzazione della poesia.
In questa ultima poesia, Pavese descrive il viso della Pivano incastonato in una collina notturna al crepuscolo della sera con gli ultimi lampi di luce del tramonto. Il viso di lei ride ed è ancora gioioso anche il suo vivo guardare. L’amata sembra giocare con la collina, al chiarore del cielo ma il suo pensiero sembra rivolto ad altro tanto che le sue parole non coincidono con il tramonto del giorno. Il finale della poesia esprime la fine di ogni speranza del poeta verso questo amore anche se non vi è un pessimismo totale perché Pavese sa che tra i due rimarrà una amicizia profonda e non cambierà la visione e il giudizio verso l’amata che, nella sua anima, rimarrà sempre figura leggiadra come una nube dolcissima, bianca, impigliata tra i rami degli alberi della collina. Il tema della poesia è certamente la mesta conclusione di un amore fallito e nemmeno cominciato. Il linguaggio poetico è soprattutto simbolico, metaforico, lirico, ellittico, quasi enigmatico e molto ermetico. La lexis della poesia acquista le caratteristiche di uno stile ermetico perché:
1. I versi si avvicinano all’endecasillabo tradizionale;
2. La punteggiatura è irregolare;
3. Le figure retoriche sono, soprattutto, inconsueti sintagmi simbolici e metaforici, analogie e similitudini;
4. L’immagine di lei non è più limpida e sobria come nella prima poesia ma è ambigua e poco chiara come espresso nei versi 8 – 9: “La tua bocca ha la piega di un dolce incavo tra le coste lontane”.
5. Elemento tipico della poesia ermetica è l’uso della preposizione “alla” al posto di “con” come nei versi 9 – 10: “Sembri giocare alla grande collina e al chiarore del cielo”.
La bellezza della poesia è data, come già le due poesie precedenti del trittico, dal linguaggio simbolico e metaforico che riesce ad esprimere e a nascondere i veri sentimenti del poeta, pieni di rabbia e di trepidazione per un amore cominciato ma non riuscito. La forma stilizzata dei versi rappresenta un mare calmo in superficie ma nasconde le correnti profonde che agitano il dolente e passionale mondo interiore del poeta. Queste inconsuete immagini simboliche della forma danno alla poesia un fascino particolare e criptico e una magia speciale alle tre liriche. Ma io, Biagio Carrubba, sono riuscito a de simbolizzare le tre liriche di Cesare Pavese.
Modica, 24/09 /2018 Prof. Biagio Carrubba
Commenti recenti