Una breve biografia di LUIGI PIRANDELLO

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Una breve biografia di
LUIGI PIRANDELLO

I

Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 in un villino di contrada “Kaos” in provincia di Girgenti (Agrigento) da Stefano Pirandello e da Caterina Ricci Gramitto. Il padre Stefano aveva mandato la madre Caterina da Girgenti in questa casa di campagna, di loro proprietà, perché in Sicilia imperversava, già, il colera, dove aveva mietuto moltissime vittime. Luigi Pirandello nacque di sette mesi perché la madre subì e provò un brutto spavento, per una intimidazione rivolta al marito. Stefano aveva subito una richiesta di pizzo dal brigante Cola Camizzi che lo aveva minacciato di morte. Stefano Pirandello reagì a queste minacce malmenando il capo mafia, il quale sparò, a Stefano, due colpi di pistola. Stefano fu ferito ma si salvò. In questa occasione la madre di Luigi perse anche il latte e così il piccolo Luigi fu allattato con il latte di una balia.
Tra il 1875 e il 1878, il giovane Luigi ricevette la prima istruzione elementare da una inserviente di casa Pirandello, Maria Stella, la quale insegnò al piccolo Luigi molte fiabe, canti popolari e leggende del folklore siciliano.
Nel 1879, Luigi frequentò il Ginnasio di Girgenti, e lesse molte opere di teatro, allora in voga.
Nel 1880, luigi si trasferì, insieme alla famiglia, a Palermo dove terminò gli studi ginnasiali.
Nel 1985, L. Pirandello terminò gli studi liceali.
Nel 1886, Luigi Pirandello si scrisse alla facoltà di Legge e di Lettere della Università di Palermo.
Nel 1887, Luigi si trasferì a Roma, scelse, definitivamente, la facoltà di Lettere e prese alloggio presso lo zio Rocco Ricci Gramitto.
Nel 1889, L. Pirandello lasciò l’Università di Roma e si trasferì all’Università di Bonn, dove rimase due anni e dove conobbe una giovane tedesca, Jenny Schulz – Lander, di cui si innamorò e a cui dedicò l’opera poetica “Pasqua di Gea” pubblicata l’anno seguente.
Nel 1891, L. Pirandello si laureò in Filologia romanza, all’età di 24 anni, con una tesi in tedesco intitolata, in traduzione italiana, La parlata di Girgenti. Nel 1892 ritornò a Roma, dove visse grazie a un modesto assegno mensile che suo padre gli faceva avere.
Nel 1892, L. Pirandello rientrò a Roma e cominciò a scrivere le prime novelle.
Nel 1893, L. Pirandello scrisse il primo romanzo “Marta Ayala”.
Nel 1894, L. Pirandello si sposò con Maria Antonietta Portulano dalla quale ebbe tre figli; fu un matrimonio combinato dalle rispettive famiglie. La sua prima raccolta di novelle pubblicata fu “Amori senza amore”. Gli inizi del matrimonio furono abbastanza felici.
Dal 1895, L. Pirandello cominciò a pubblicare le sue novelle in diverse riviste e a scrivere le prime commedie. In questo anno nacque il primogenito di Luigi, Stefano.
Nel 1897, Pirandello ebbe un incarico di insegnante di lingua italiana all’Istituto Superiore di Magistero. In questo anno gli nacque la secondogenita, Lietta.
Nel 1899, scrive le prime commedie teatrali. In quest’anno gli nacque il terzogenito, Fausto.
Nel 1900, Pirandello pubblicò molte novelle in diverse riviste letterarie.
Nel 1903, il matrimonio risultò sconvolto dalle difficoltà della ditta del padre di Pirandello e dalla malattia mentale della moglie. Un dissesto economico familiare colpì i coniugi Pirandello, in seguito all’allagamento di una miniera di zolfo. Questo episodio colpì a tal punto la fragile sensibilità della moglie che la donna ne uscì con l’equilibrio psichico irrimediabilmente compromesso. Pirandello fu costretto, oltre che assistere la moglie, a impartire lezioni private e a collaborare intensamente a giornali e riviste per integrare i guadagni.
Nel 1904, apparvero i primi segni della malattia mentale della moglie che la porterà all’internamento in una casa di cura gestita da suore. Questo dramma famigliare ebbe un effetto sconvolgente nella vita di Luigi Pirandello e significò per lui la perdita del riferimento sicuro della famiglia. Da quel momento in poi Luigi Pirandello mantenne la famiglia con la sua attività di insegnante e di scrittore. Pirandello pubblicò il romanzo “Il fu Mattia Pascal”.
Nel 1907, Pirandello pubblicò un saggio con il titolo “Arte e scienza”.
Nel 1908, Pirandello scrisse l’importante saggio “L’Umorismo”, che fu riedito nel 1920 a Firenze, corredato da correzioni e aggiunte, soprattutto in risposta alla stroncatura che aveva ricevuto nel 1907 da parte del filosofo Benedetto Croce.
Croce sosteneva che l’arte doveva essere considerata come un valore autonomo, senza alcun legame con le altre facoltà dello spirito; per Pirandello, invece, l’arte si deve avvalere anche del momento della riflessione sia quando un’opera viene concepita sia quando viene eseguita. In questo saggio Pirandello distingue, inoltre, la Vita dalla Forma e il comico dall’umorismo.

II

Io, B. C., riporto qui sotto, un breve riassunto su questo argomento e sulla differenza tra comico ed umorismo.

L’UMORISMO (Saggio del 1908)

In questo saggio Pirandello scrive tutte le sue idee sulla cultura, sulla società e sulle persone e fa la famosa differenza tra comico e umorismo. Nel comico è assente la riflessione e Pirandello lo definisce “avvertimento del contrario”, mentre l’umorismo è il “sentimento del contrario” che nasce dalla riflessione. Pirandello, per spiegare la differenza tra comico e umorismo, porta l’esempio di una situazione paradossale in cui una persona o una situazione sono il contrario di come dovrebbero essere, al riso subentra il sentimento amaro della pietà. Dall’altro lato Pirandello vede un limite connaturato all’uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso e che tuttavia si crea una serie di autoinganni e di illusioni attraverso i quali cerca di dare significato all’esistenza: in questa prospettiva, l’umorismo sarebbe l’eterna tendenza dell’arte a svelare tale contraddizione. Pirandello fa un esempio per distinguere il comico dall’umorismo. Ecco il testo del saggio: “Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa da quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora vorrebbe essere. Posso così, a prima vista, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene la riflessione…ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario”. Io, Biagio Carrubba, spiego questa scena paradossale con altre parole più semplici: il comico nasce dalla stranezza, dalla dissonanza, dalla parodia della realtà e suscita il riso involontario, la risata volgare, l’ilarità incontrollata, mentre l’umorismo nasce dalla contraddittorietà, dall’ingiustizia, dalla disparità della realtà e suscita invece il sorriso amaro, il sorriso ironico, l’ironia bonaria o maliziosa, il sarcasmo salace o pungente. In sintesi: l’avvertimento del contrario è il comico che nasce dalla parodia o dal non senso della realtà e che produce la risata spontanea o anche il senso del ridicolo, quando la realtà è deformata e inverosimile; mentre il sentimento del contrario è la riflessione sulle contraddizioni che la realtà presenta e che suscita il sorriso amaro, l’umorismo pietoso di chi vorrebbe rimediare, risanare o equilibrare le insanabili contraddizioni della realtà.
Nel 1909, Pirandello pubblicò il romanzo “I vecchi e i giovani”.
Nel 1910, Pirandello esordì come autore teatrale con l’atto unico “Lumie di Sicilia” per incitamento di Nino Martoglio.
Nel 1911, Pirandello pubblicò un altro romanzo “Suo marito”, e sempre nel 1911scrisse le sue decisioni sul suo funerale.

“MIE ULTIME VOLONTA’ DA RISPETTARE”.

I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiere, non ché di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni.
II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso.
III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni né parenti né amici. Il carro, il cavallo e il cocchiere e basta.
IV. Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra, nella campagna di Girgenti, dove nacqui.

III
In questi anni Pirandello elaborò la sua filosofia di vita che io, B. C., sintetizzo in questa sinossi.

LA FILOSOFIA DI PIRANDELLO

Pirandello prese le idee teoriche e filosofiche del suo relativismo dal filosofo francese Henri Bergson e anche dal filosofo austriaco George Simmel, due filosofi a lui contemporanei. Pirandello riporta e ripropone le sue basi teoriche e filosofiche del relativismo sociale nei due saggi: Arte e Scienza e L’Umorismo del 1908. In sintesi secondo Pirandello la vita è un flusso continuo di energia che si espande in tutto l’universo. Questo flusso di energia è inarrestabile e non si può fermare. Pirandello chiama il flusso di energia vita, mentre l’uomo che costruisce idee, filosofia, scienza, arte e religione lo definisce forma e dunque con queste realizzazioni teoretiche l’uomo fa il tentativo di dare ordine alla vita e di bloccare il flusso dell’energia vitale. Per Pirandello invece la forma si trasforma in convenzioni sociali che a loro volta si trasformano in pregiudizi soggettivi che a loro volta determinano il carattere e la struttura dei vari personaggi. Partendo da questa contrapposizione e contrasto nel 1922 il critico Adriano Tilgher affermò che tutta l’opera pirandelliana si basava sul contrasto tra forma e vita, tra la vita definita caotica e contraddittoria, che ribolle dentro ogni personaggio e la forma che si sforza di fermare la vita e di irrigidirla per poterla conoscere meglio. Queste idee filosofiche sul relativismo sociale ed assoluto, che Pirandello distribuì in tutte le sue opere teatrali, nelle novelle e nei romanzi, in un certo qual modo, anticipano le idee personali di Pirandello che lo avvicinano alla letteratura esistenzialistica e anche alla filosofia dell’esistenzialismo. Una prova concreta di questa anticipazione di Pirandello della letteratura esistenzialistica la porta in modo chiaro e netto il libro di Luigi Filippo d’Amico “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio editori – 2007) nelle pagine 26 – 27 dove scrive: “Nei suoi scritti richiami a movimenti artistici sono a tratti riscontrabili; Pirandello sentiva le “novità” dei suoi tempi e a volte le precedeva, come nel caso dell’alienazione e del delitto gratuito”.

IV

Nel 1915, Pirandello mise in scena una commedia in tra atti, Se non così (dal 1921 La ragione degli altri), realizzata a Milano dalla compagnia di M. Praga e da I. Gramatica.
Nel 1916, Pirandello scrisse la novella “All’uscita” che Pirandello definì “Mistero profondo”.
Nel 1917, Pirandello compose le bellissime commedie “Così è (se vi pare)”, “Il piacere dell’onestà” e “L’innesto” e pubblicò l’atto unico “A vilanza” scritta insieme a Nino Martoglio.
Nel 1918, il figlio Stefano, dopo tre anni di prigionia, ritornò a casa.
Nel 1919, Pirandello, d’accordo con i figli, decise di rinchiudere la moglie in una clinica neurologica: Antonietta non uscì mai più da quella casa di cura. In questa clinica morì nel 1959. Pirandello compose la bellissima commedia “L’uomo, la bestia e la virtù”.
Nel 1920, molte commedie di Pirandello sono rappresentate in molti teatri italiani.
Nel 1921, Pirandello pubblicò la tragedia teatrale: “Sei personaggi in cerca di autore”, che per le novità tematiche e sceniche presentate, apportò una rivoluzione teatrale rispetto al teatro tradizionale.
Nel 1922, Pirandello lasciò l’insegnamento all’istituto Magistero di Roma per dedicarsi completamente alla composizione delle sue opere di narrativa e di teatro. Subito dopo cominciò a viaggiare all’estero per seguire le compagnie teatrali che mettevano in scena le sue commedie.
Nel 1923, Pirandello compose altre commedie e compose, anche, lo scritto politico “Nel primo annuale della marcia su Roma”. A fine anno si recò a New York per assistere alla prima della sua commedia: “Come prima, meglio di prima” e alla tragedia: “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Nel 1924, Pirandello aderì al partito fascista con una lettera pubblica. Pirandello, subito dopo il delitto Matteotti, si schierò pubblicamente con Mussolini, chiedendo la tessera del Partito Fascista.
Nel 1925, Pirandello diventò il direttore del teatro itinerante, “Compagnia del Teatro d’Arte di Roma” con il quale fece numerose tourneès: in Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Sud America.
Marta Abba diventò la prima attrice, ma fu anche una intima amica per la quale egli nutrì una profonda passione. Pirandello assunse la direzione e la regia delle opere teatrali per curare e seguire personalmente l’allestimento delle proprie opere. Il teatro, dopo molti successi internazionali, ebbe vita breve; infatti chiuse il sipario nell’agosto del 1928 a Viareggio. Pirandello, per reazione, per stizza e delusione, si rifugiò a Berlino, in Germania. Da quel momento in poi Pirandello continuò il suo girovagare in tutta Europa arrivando persino negli USA. Viaggiava sia per interessi economici che per seguire le prime mondiali delle sue opere, che si tenevano in tutta Europa e in America del Sud. Questi viaggi erano, però, interrotti da molti rientri in Italia, perché Luigi Pirandello era richiamato, molte volte, dai figli, con i quali trascorreva il periodo estivo a Castiglioncello in Toscana.
Nel 1929, Pirandello fu nominato membro della neonata Reale Accademia d’Italia fascista.
Nel 1930, in Germania fu messo in scena il dramma “Questa sera si recita a soggetto”.
Nel 1931, Pirandello pubblicò diverse novelle fra cui “Soffio”.
Nel 1934, l’Accademia Reale di Svezia gli conferì il prestigioso premio Nobel per la letteratura.
Nel 1935, Pirandello scrisse le “Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla Terra”.
Nel 1936, Pirandello, mentre assisteva alle riprese del film Il Fu Mattia Pascal, si ammalò di polmonite e morì il 10 dicembre del 1936. Il regime fascista rispettò il suo testamento che imponeva un funerale povero e silenzioso, mentre il regime fascista avrebbe voluto celebrare un sontuoso e pomposo funerale di Stato.

V
Finale.

Io, B. C., riporto il commento speciale che Luigi Filippo d’Amico, nel suo libro “L’uomo delle contraddizioni” (Sellerio 2007), ha scritto su questo funerale. “Le sue volontà furono praticamente rispettate, ma le autorità fasciste – ignorando che quelle carte avevano più di trent’anni – considerarono un dispettoso sabotaggio il non potere magnificare al mondo, con grandiose onoranze, la figura di un italiano che con la sua arte aveva acquistato l’ammirazione di tutti, e che inoltre per molti anni si era dichiarato fascista e fervente estimatore di Mussolini: si pensava a Santa Maria degli Angeli con fanfare e corazzieri a cavallo” (pag. 13). Nella pagina seguente, pagina 14, Luigi Filippo d’Amico, in occasione della sua esumazione, ha espresso il suo giudizio sul funerale di Pirandello ed ha scritto “Ma ora per l’esumazione Pirandello, io, Luigi Filippo d’Amico, penso, reputo e presumo che, Pirandello, che aveva vestito l’elegante divisa di Accademico d’Italia, (e mio zio Antonio Baldini, anche lui Accademico, diceva che lo scrittore sembrava nato apposta per indossarla) non voleva certo, da morto, che gli fosse messa la camicia nera, come di rito”. Invece, io, B. C., penso, reputo e presumo che Luigi Pirandello avrebbe voluto vestire l’elegante divisa dell’Accademia dell’Italia perché Pirandello morì, secondo me, convintamente e fermamente, fascista. Infine io, B. C., penso e reputo che se, nel teatro, Pirandello fu un vero titano e un grandioso gigante anticonformista; in politica, invece, Pirandello fu un mediocre fascista e si comportò, fino alla fine, come un nano conformista.

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Modica 12 novembre 2019                                                                    Prof. Biagio Carrubba

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