Una breve analisi delle poesie del libro Poesie di Svendborg di Bertolt Brecht.

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Una breve analisi delle poesie del libro
Poesie di Svendborg di Bertolt Brecht.

I

Brecht si trasferì a Stoccolma e grazie a Ruth Berlau, che promosse a Copenaghen una sottoscrizione di fondi, le “Poesie dell’esilio” uscirono con il nuovo titolo “Poesie di Svendborg” nel maggio 1939 presso le edizioni Malik, che avevano aperto nel frattempo una nuova sede a Londra. Il libro continua i temi già tracciati e delineati nell’opera poetica precedente: Canzoni, poesie, cori. Brecht continua a chiamare Hitler con il dispregiativo “L’Imbianchino”, che già aveva usato nell’opera precedente. Brecht condanna in modo inequivocabile Hitler, il quale aveva nazificato tutta la Germania. Nella quinta parte, Satire tedesche, Brecht denuncia il totalitarismo nazista, e indica in Hitler il grande dittatore che si prepara a scatenare la guerra per conquistare il suo spazio vitale. Il popolo tedesco, in questo modo, è ridotto a pura massa terrorizzata e misera. Brecht, dal suo nuovo punto di vista, marxista e comunista, giudica il nazismo di Hitler come una fase dello sviluppo economico del capitalismo tedesco, che ha finanziato Hitler e il suo partito. I finanziatori del partito nazionalsocialista chiesero a Hitler di sopprimere comunisti ed ebrei, come scrive nella poesia “Le preoccupazioni del cancelliere”: “Anche quando il Cancelliere massacrò i suoi amici/perché glielo chiesero quelli che lo finanziavano/pare sia stato di umore assai serio.” (Biblioteca della Pleiade, pagina 275). Secondo Brecht il nazismo è dovuto alla proprietà privata degli junker tedeschi. Come riporta Luigi Forte a pagina 1421, volume II. “Motore della silloge è la convinzione che il capitalismo debba condurre necessariamente alla guerra e al fascismo, che per Brecht rappresentava una fase del capitalismo. Nel celebre saggio “Cinque difficoltà per chi scrive la verità”, la cui stesura risale al 1935, si legge: “Il fascismo è una fase storica in cui è entrato il capitalismo, si tratta quindi di qualcosa di nuovo e di vecchio nello stesso tempo. Nei paesi fascisti il capitalismo non esiste se non come fascismo e il fascismo non può essere combattuto se non come capitalismo, come la forma più nuda, più sfacciata, più oppressiva e ingannevole di capitalismo”. La sola alternativa possibile a tale via a senso unico era rappresentata, a detta di Brecht, dal socialismo.” Nelle poesie di Svendborg, Brecht esplicita, invece, il suo nuovo modo di vedere, marxista e comunista, e loda l’URSS e la rivoluzione comunista dell’ottobre del 1917, come nella poesia “Il grande ottobre”. (Biblioteca della Pleiade. Volume II, pagina 183) e dedica una poesia molto bella a Lenin “Cantata per la morte di Lenin” (Biblioteca della Pleiade. Volume II, pagine 219 – 225).
Il libro contiene 80 poesie suddivise in 6 parti distinte l’una dall’altra.

La prima parte ha per titolo: I Breviario tedesco.
La seconda parte ha per titolo: II.
La terza parte ha per titolo; III Cronache.
La quarta parte ha per titolo: IV.
La quinta parte ha per titolo: V Satire tedesche.
La sesta parte ha per titolo: VI.

La prima parte, Breviario tedesco, ha per tema principale la situazione della Germania sotto il regime di Hitler che stava preparando l’esercito per la nuova guerra. Brecht esprime tutto il disagio a cui è sottoposto il popolo tedesco e manifesta tutto il dolore per i morti che cadranno in guerra e per quelli già caduti nelle guerre in corso e in quelle passate. Le poesie sono brevi epigrammi che esprimono tutte le preoccupazioni di Brecht verso l’onnipotenza di Hitler e invocano il desiderio di liberarsi dal dominio del dittatore, anche se il poeta è consapevole della enorme ed inaudita battaglia necessaria per liberarsi dal nazismo. Brecht vede che il regime nazista è ormai quasi indistruttibile e imbattibile e che ha indottrinato il popolo tedesco all’ideologia nazista in modo quasi completo per cui in Germania non ci sono più spazi per la libertà, se non per pochi uomini che non l’hanno accettato.

Il primo epigramma è

Per chi sta in alto.

Seguono poi altri epigrammi nei quali prevale la figura fra il faceto e il feroce di Hitler, sempre designato con l’epiteto denigrativo l’Imbianchino. Gli epigrammi più belli e più famosi, secondo me, sono quasi tutti gli epigrammi. Il primo che mi piace riportare è a pagina 75.

Sul muro c’era scritto col gesso:
vogliono la guerra.
Chi l’ha scritto
è già caduto.

E il seguente epigramma. (Pagina 77).

Chi sta in alto dice:
si va alla gloria.
Chi sta in basso dice:
si va alla fossa.

Nell’ultima poesia, “Quando il tamburino comincia la sua guerra”, Brecht invoca una ribellione che avesse la forza di battere e di estromettere Hitler dal potere del terzo Reich. Ecco gli ultimi versi della poesia. (Pagine 91 – 93).

Quel che va verso di lui dev’essere distrutto e tutto
quello che viene da lui, contro di lui deve essere rivolto.
Valoroso sarà chi lo combatte.
Savio sarà chi sventerà i suoi piani.
Soltanto chi lo vinca salverà la Germania.

La seconda parte, II, affronta vari temi: 1) Fatti di cronaca tedesca; Canzoni per bambini; 2) “Mio fratello aviatore” una poesia dedicata ai giovani piloti morti nella guerra civile spagnola; 3) poesie dedicate al proletariato che deve disertare la guerra di Hitler per farne una per la propria liberazione riunendosi in un fronte unico come il poeta afferma nell’ultima poesia “Canzone del fronte unico”. Ecco gli ultimi versi dell’ultima strofa. (Volume II, pagina 125).

3
E siccome un proletario è un proletario
non ci sarà nessun altro che lo liberi.
La liberazione degli operai può essere
compiuta solo dagli operai.
A sinistra, dai – due, tre! A sinistra, dai – due tre!
Il tuo posto, compagno, c’è già!
Entra nel Fronte unito degli operai.
Sei operaio anche tu.

La terza parte, “Cronache” affronta anch’essa vari temi: 1) “Domande di un lettore operaio”, la prima poesia, dove Brecht si chiede chi scriva la storia delle masse che non sono famose, ma che hanno lottato al servizio dei re e dei grandi uomini, come Giulio Cesare e altri; 2) “Il sandalo di Empedocle”, la seconda poesia, dove Brecht racconta l’aneddoto della morte di Empedocle, che voleva assicurarsi una fine misteriosa, per far credere che avesse una natura divina e non umana. Ma il sandalo, perso vicino al cratere, testimonia la sua morte naturale e quindi i suoi discepoli, già pronti a fiutare qualche grande mistero, a svolgere profonda metafisica, fin troppo occupati e afflitti a “santificarlo”, dovettero a un tratto, fra le mani tenersi quel sandalo del maestro, fatto di palpabile cuoio terrestre; 3) La parabola di Budda sulla casa in fiamme; 4) poesie dedicate al comunismo dell’URSS e 5) un elogio alla rivoluzione rossa nella poesia “IL GRANDE OTTOBRE”, pagine 183 – 185.
La quarta parte, IV, tratta vari temi: 1) la prima poesia è “A chi esita”; 2) la terza poesia è “In morte di un combattente per la pace” dedicata alla memoria di Carl von Ossietzky”.
Ecco il testo della poesia. (Volume II. Pagina 195).

IN MORTE DI UN COMBATTENTE PER LA PACE
(Alla memoria di Carl von Ossietzky)

Chi non si era arreso
è stato ucciso.
Chi è stato ucciso
non si era arreso.

La bocca che ammoniva
l’hanno empita di terra.
Comincia
l’avventura di sangue.
Sulla fossa di colui che amò la pace
battono il passo i battaglioni.

Era inutile, allora, la lotta?

Quando a venire ucciso è chi non da solo lottava,
il nemico
ancora non ha vinto.

Brecht compose questa poesia nel maggio del 1938, quando ricevette la notizia della morte di Carl von Ossietzky avvenuta il 4 maggio 1938. Carl von Ossietzky era un famoso pacifista e collaboratore della rivista politico – letteraria Die Weltbuhne. È stato accusato dai nazisti di tradimento e imprigionato per 18 mesi nel 1931. Liberato nel 1932 fu nuovamente incarcerato dai nazisti nella notte dell’incendio del Reichstang. Mentre si trovava in prigione gli fu conferito, nel 1936, il premio Nobel per la pace. Morì a Berlino, in ospedale, per le sofferenze subite in seguito alle torture. (Biblioteca della Pleiade, volume II, pagina 1459). In questa parte vi è, anche, un elogio dedicato a Lenin con il titolo “Cantata per la morte di Lenin”. (Volume II, pagina 219-225).

CANTATA PER LA MORTE DI LENIN

Ecco le ultime due strofe.

11
Sono passati da allora quindici anni.
Un sesto della terra
è liberato dallo sfruttamento.
Al grido di “Arrivano gli sfruttatori!”.
Tornano sempre a levarsi le masse
pronte al combattimento.

12
Lenin è nello scrigno
del grande cuore della classe operaia.
Era il nostro maestro.
Ha combattuto con noi.
È stretto nello scrigno
del grande cuore della classe operaia.

La quinta parte, Satire tedesche, affronta il tema della situazione del popolo tedesco dominato da Hitler, che ha creato in tutti i cittadini una condizione di terrore psicologico, anche se però la massa lo ama, lo segue nella sua delirante pazzia e nel suo odio contro gli ebrei. Ecco il titolo di alcune poesie: “Necessità della propaganda” (pagine 243 – 247), “Le paure del regime” (pagine 253 – 255), “I cannoni sono più necessari del burro” (pagina 257), “L’amore per il Fuhrer” (pagina 265) e “Durata del terzo Reich” (pagine 287 – 289).

La sesta parte, VI, inizia con questa epigrafe. (Volume II. Pagina 295).

Tu, si, tu che dal posto di prua
vedi sul fondo la falla
meglio per te se non distrai lo sguardo:
tu non sei fuori dall’occhio della morte.

Questa sesta ed ultima parte ha per tema la vita da esiliato del poeta. Egli non vuole essere un emigrante, ma un esiliato che spera di ritornare presto in Patria; per questo non vuole piantare neanche un albero a Svendborg, perché prima che questo diventi alto come un gradino, allegramente se ne andrà dall’esilio. Brecht descrive anche la casa dove abita che ha quattro porte che gli consentiranno di fuggire facilmente; spiega i motivi del suo esilio e nella poesia “A coloro che verranno” il poeta, parlando di sé stesso, spiega i tempi bui in cui è stato costretto a vivere. Negli ultimi versi, Brecht si rivolge ai posteri, che non hanno vissuto i tempi bui del nazismo e ai quali, per loro fortuna, sono scampati e li invoca ad essere indulgenti con lui, a cui, insieme ad altri, non è stato possibile essere gentili “Oh, noi/che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, /noi non si poté essere gentili.” (Volume II, pagine 309-313).

A COLORO CHE VERRANNO
Ecco la terza ed ultima parte della poesia.

3

Voi che sarete emersi dai gorghi
dove noi fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.

Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si poté essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.

II
L’importanza della raccolta “Poesie di Svendborg”.

L’importanza delle Poesie di Svendborg è, secondo me, notevole per i seguenti motivi.
1) Brecht, pur essendo in esilio e patendo la condizione di una vita precaria e pur messo al bando dal regime nazista, ha il coraggio di affermare la sua netta avversione al nazismo, di elogiare il comunismo dell’URSS e di ridicolizzare e di denigrare Hitler, chiamandolo “L’Imbianchino”, o in altre poesie il Tamburino, mettendo, così, in evidenza e in rilievo la megalomania, la ferocia, la disumanità e la follia di Hitler come scrisse nella seconda parte dell’opera poetica Canzoni, poesie e cori e come lo descrisse, in moltissime poesie, come per esempio nella poesia LA CANZONE DELL’IMBIANCHINO HITLER e nei CORALI DI HITLER che seguono, fino all’ultima poesia dedicata alla Germania. Oggi Hitler, giustamente, è giudicato da tutta l’umanità “il male assoluto” perché fece uccidere oltre sei milioni di ebrei e perché scatenò una guerra di dominio inutile e produttrice di oltre cinquanta milioni di morti.
2) Brecht, malgrado venga a conoscenza della morte di milioni di contadini, operai e oppositori al regime comunista di Stalin, elogia il comunismo sovietico perché crede che la nuova società, libera e egualitaria per tutti, dovrà essere quella comunista, pur Brecht conservando il suo giudizio critico sulla Russia di Stalin e pur mantenendo la sua autonomia e indipendenza di poeta e di drammaturgo.
3) Brecht elogia Lenin, perché era stato il promotore della grande Rivoluzione d’ottobre e perché aveva combattuto contro il regime oppressivo degli zar.
4) Brecht elogia e ricorda chi ha combattuto per la pace come lo scrittore Carl von Ossietzky a cui dedica una bellissima poesia: “IN MORTE DI UN COMBATTENTE PER LA PACE (Alla memoria di Carl von Ossietzky)”.
5) Brecht piange i morti che hanno lottato contro il regime nazista di Hitler.
6) Brecht descrive, con una punta di ironia e di sarcasmo, da cui il titolo Satire tedesche, il terrore che Hitler ha fatto propagandare e subire, ingannando così, in modo subdolo e in modo surrettizio, il popolo tedesco con l’istaurazione del regime e dell’ideologia nazista.

III
La bellezza della raccolta Poesie di Svendborg.

La bellezza delle Poesie di Svendborg è data, secondo me, dallo stile e dalla forma delle poesie, oltre al contenuto, antihitleriano e antinazista, delle poesie. Lo stile delle poesie è sempre raffinato e alto, mai volgare. Lo spirito che le sostiene è sempre pieno di speranza e di fede nella nuova società comunista più che nell’URSS di Stalin. Il linguaggio è diretto e chiaro, sempre costruito in una forma alta e libera da schemi metrici, non fa uso di analogie, né di allegorie. Brecht parla in presa diretta perché vuole arrivare direttamente alla ragione e al cuore dei lettori e dei tedeschi in modo da farli ragionare e lottare per liberarsi dal regime di Hitler. Riporto un brano di Luigi Forte, a pagina 1420, volume II, nel quale il critico giudica la bellezza e lo stile delle POESIE DI SVENDBORG. “Se, come recita il titolo di una poesia del 1939, sono brutti tempi per la lirica, motore delle Poesie di Svendborg è la ricerca di un linguaggio in grado di modellare la nuova situazione storica – politica. La prosodia si trova così costretta ad abbandonare la forma chiusa in uno spazio metrico predeterminato, rinunciando alla rima, a favore di un ritmo irregolare che la rende dura, a tratti arida, laconica, diretta e oggettiva, quasi del tutto priva d’immagini metaforiche.”

IV
Il mio giudizio personale sulle “Poesie di Svendborg”.

Io, B. C., penso e reputo che l’opera poetica “Poesie di Svendborg” continui i temi già trattati e sviluppati nell’opera precedente “Canzoni, poesie, cori”. I temi principali sono l’esaltazione esplicita della filosofia marxista, l’elogio del comunismo dell’URSS, la condanna del nazismo di Hitler. Le poesie hanno un tocco di sarcasmo, ma sono, per la maggior parte, poesie serie, ragionate, compatte tutte costruite per dimostrare la validità della visione marxista di Brecht. Questa raccolta ha, quindi, secondo me, non solo un valore poetico, dovuto alla bellezza di molte poesie serie e levigate, ma ha soprattutto un valore storico e culturale perché si tratta di poesie di tipo realistico che esprimono la visione marxista della società e che dunque si contrappongono alle poesie elegiache-evasive della produzione ermetica degli anni ’30, in tutta Europa, che esprimeva invece la poetica del fascismo in Italia. Sotto i regimi nazisti e fascisti, i poeti erano obbligati a scegliere la poesia pura come facevano Ungaretti, Quasimodo e altri poeti minori che parlavano di tutto tranne che della politica autoritaria del Duce. Anche in Russia, allo stesso modo e nello stesso periodo, i poeti erano obbligati a scegliere una poesia marxista. Oggi si comprende come le due poetiche abbiano lati suggestivi specifici, se prese da sole. La poesia marxista esprime la bellezza della realtà ed incita il lettore a pensare a favore dei lavoratori e delle classi sfruttate del proletariato. Invece la poesia pura, con le sue analogie misteriose e con la sua simbologia, libera l’anima in regioni incommensurabili e indefinite. Non c’è nessun dubbio, secondo me, sulla bellezza della poesia di Quasimodo, di Ungaretti e di Montale che, in quegli anni, poetavano secondo la poetica dell’ermetismo. Io, B. C., penso e reputo che, oggi giorno, si dovrebbe creare una poesia che fosse la sintesi di tutte e due le poetiche: una poesia politica a favore delle classi deboli, ma che non rinuncia al linguaggio simbolico e alle ardite analogie della poesia pura. Una poesia moderna di questo tipo forse è stata tentata da Pier Paolo Pasolini in alcune poesie, come nella poesia Luglio. Ma allora, negli anni ’30, bisognava scegliere: o la poesia brechtiana (poesia marxista) o la poesia pura ed ermetica come fu auspicato da Carlo Bo nel suo “Manifesto della Letteratura come vita” del 1938. Oggi, io, B. C., penso e reputo che la poesia postcontemporanea deve essere la sintesi tra la poesia politica e sociale e la poesia pura ed ermetica. Inoltre, io, B. C., reputo che queste due forme di poesie siano state entrambe necessarie per arrivare alla poesia postmoderna e da questa alla poesia postcontemporanea. Infatti penso che quando alla poesia-politica manca la dimensione del linguaggio analogico, ricercato e raffinato della poesia ermetica, e quando alla poesia-ermetica manca la dimensione politica, sociale, chi scrive rimane sempre insoddisfatto, dal momento che adopera, soltanto, un lato della produzione poetica e creativa. Allora io, B. C., penso che è necessario fare una sintesi di queste due dimensioni poetiche (contenuti politici e sociali e cambiamenti climatici di oggi e la forma analogica, raffinata e creativa della poesia personale ed originale). Da questa contrapposizione nasce, secondo me, la necessità della nuova ed originale sintesi rispetto alla tesi e all’antitesi. Per riprendere la triade egheliana (tesi – antitesi e sintesi) dove la sintesi invera, ad un livello superiore, la tesi e l’antitesi. Quindi, riassumendo, dalla poesia moderna (tesi) che metteva i contenuti in primo piano e dalla poesia ermetica (antitesi) che metteva in primo piano la forma e l’analogia si è passati alla poesia postmoderna e da questa, ormai da più di 10 anni, io, B. C., penso e reputo che è nata la poesia postcontemporanea, da me definita e circoscritta nei temi, negli argomenti e nei contenuti attuali che riguardano l’ambiente e i cambiamenti climatici di oggi accoppiandoli ad una forma levigata, delicata, ricercata e raffinata. Alla poesia postcontemporanea (tesi) si è contrapposta la poesia postcontemporanea – post climatica (antitesi), che è in corso e da questo binomio contrapposto si invererà, fra poco, la nuova sintesi poetica che io definisco poesia postcontemporanea apocalittica. Quindi abbiamo due triadi. La prima triade è costituita dalla Poesia moderna (tesi) in contrapposizione alla poesia ermetica (antitesi) da cui è inverata la sintesi della poesia postmoderna. La secondo triade è costituita, secondo me, dalla poesia postcontemporanea (tesi) contrapposta alla poesia postcontemporanea – post climatica (antitesi) di oggi. Da questa contrapposizione è già nata la nuova sintesi poetica che io ho definito poesia postcontemporanea apocalittica, dato che ormai sono evidenti e in piena manifestazione tutti gli sconvolgimenti climatici e territoriali che nel giro di due decenni porteranno, secondo me, prima alla devastazione, e poi alla distruzione finale della Terra e con essa dell’intera umanità. Secondo me, B. C., questa sarà l’ultima triade poetica che chiuderà l’esperienza umana su questa Terra. Per cui io, B. C., posso dire e affermare, fin da ora, che l’ultima triade, quella in corso, descrive (oggi) e descriverà (domani), narra (oggi) e narrerà (domani) e racconta (oggi) e racconterà (domani) l’ultima devastazione della Terra, la quale ritornerà alle sue origini, cioè ai suoi elementi primari: acqua, fuoco, terra e aria. Ma la poesia postcontemporanea apocalittica non deve soltanto descrivere questo processo distruttivo e mortale, ma deve, anche, interpretare e rappresentare tutti i dolori dell’ultima umanità, e contemporaneamente deve rappresentare e descrivere l’amore, la solidarietà e la salvezza che la scienza potrà portare ai sopravvissuti durante l’apocalisse finale.

Finale.
V

Io, B. C., penso che Brecht abbia voluto portare la sua rivoluzione non solo nel teatro ma anche nella poesia. La rivoluzione di Brecht nel teatro era quella di cambiare il comportamento del pubblico di renderlo un pubblico critico e cosciente tanto da non farlo immedesimare nel protagonista; e tanto che di non creare nel pubblico sentimenti uguali a quelli del protagonista in scena per evitare di imitare poi il comportamento del protagonista. Eliminare, così, la famosa catarsi aristotelica. Secondo Brecht, il popolo tedesco si era immedesimato nella ideologia di Hitler perché voleva sentire le stesse emozioni e gli stessi sentimenti di potenza del Fuhrer. Invece Brecht voleva il pubblico del teatro libero e razionale, creativo e critico, senza che esso si immedesimasse negli altri attori o come in Hitler. Brecht voleva, insomma, che il pubblico si appassionasse ma doveva rimanere critico e criticare e riflettere su ciò che avveniva sul palcoscenico, come faceva il pubblico della boxe che critica e riflette su ciò che accade sul ring. Allo stesso modo la poesia di Brecht voleva fare riflettere sulla realtà che circondava il pubblico negli anni ’30 nei confronti di Hitler. Ma, io, B. C., reputo e suppongo che, ancora oggi, la maggior parte del pubblico non conosca né la rivoluzione del pubblico teatrale, perché la maggioranza del pubblico va al teatro per immedesimarsi, ancora oggi, nel protagonista positivo della commedia o della tragedia. Secondo me, la grande rivoluzione di Brecht è stata, certamente, quella di fare un teatro marxista, che allora era un modo nuovo e rivoluzionario rispetto al teatro classico, aristotelico, romantico, così nel campo poetico la grande rivoluzione è stata quella di comporre e produrre una poesia marxista rivoluzionaria rispetto alla poesia tradizionale ed ermetica, classica, formalistica, generica e pura. Infine, io, B. C., penso e reputo che queste due rivoluzioni siano ancora molto lontane dal produrre gli effetti sperati e auspicati da Brecht, perché sia il pubblico teatrale che quello poetico è ancora attaccato alla poesia romantica e formalistica, così che si può dire che la rivoluzione brechtiana è lontana dal raggiungere i suoi risultati sperati e auspicati. Io, B. C., penso che la gran massa del pubblico, ancora oggi, ignora sia lo straniamento teatrale sia lo straniamento poetico. Ma oggi, nel 2020, a distanza di quasi 90 anni, dalle opere poetiche e teatrali di Brecht, tutto è cambiato nelle nostre attuali società postcontemporanee, anche se oggi spirano venti di guerra fra USA e Iran e in Libia. Oggi, io, B. C., penso e reputo che ciò che più conta è, secondo me, la poesia postcontemporanea, post-climatica e apocalittica, perché è l’unica poesia che è in grado di descrivere, narrare, rappresentare e interpretare l’attuale inferno, caldo e devastante, che imperversa su tutto il pianeta Terra con i suoi cambiamenti climatici in corso e con la paura dell’inizio della terza guerra mondiale che potrebbe scatenarsi nei prossimi giorni. Io, B. C., auspico, invece, che gli Stati in questione si calmino e che sopraggiunga in essi la ragione la quale porta miti consigli in tutti i capi di Stato e li guidi verso pensieri di pace fra di loro e porti, assicuri e garantisca la pace, duratura e definitiva, fra tutti i popoli del mondo. Allora, io, B. C., auspico che la Poesia Postcontemporanea Apocalittica si potrebbe trasformare nella Poesia Postcontemporanea Pacifista per il bene e per la pace di tutta l’umanità.

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Modica 11/01/2020                                                                                          Prof. Biagio Carrubba

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