Una breve analisi della poetica “Il fanciullino” di Giovanni Pascoli.

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Una breve analisi della poetica
“Il fanciullino” di Giovanni Pascoli.

I
Le caratteristiche principali del modo di scrivere di G. Pascoli.

Una caratteristica di scrivere di Pascoli fu il Rapsodismo, cioè la capacità del poeta di scrivere contemporaneamente diversi tipi di poesie. Tra il 1891 e il 1903 Pascoli scriveva in contemporanea tutte le sue opere poetiche ed in prosa. La rapsodia a due significati fondamentali:1) cucire insieme diversi canti. Nell’antica Grecia il rapsodo era chi recitava in pubblico diversi canti. 2)scarsamente unitario, frammentario. Il Pascoli si ricollega a questo secondo significato perché le sue opere sono tutte scritte in modo frammentario e si potrebbe dire working in progress cioè scrittura in progressione. La frammentarietà della scrittura porta anche una scrittura disorganica e frastagliata con grosse fratture tra vari testi scritti.

II
Una breve sintesi della poetica
“Il fanciullino” di G. Pascoli.

Pascoli pubblicò questo importante scritto sulla propria poetica e sulla poesia nel 1897 in tre interventi pubblicati il 17 – gennaio, il 7 marzo, l’11 aprile nella rivista letteraria “Il Marzocco”. Esso è composto da XX capitoletti, numerati con i numeri romani da I a XX. Dentro ogni uomo adulto rimane un fanciullino, che l’uomo adulto non ascolta poiché è occupato a litigare e perorare la causa della vita, e non bada alla voce del fanciullino. A mano a mano che l’uomo si fa adulto, il fanciullino tiene fissa la sua antica meraviglia. Il fanciullino ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere, quello che alla luce sogna; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dèi. Il fanciullino è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Fanciullino, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell’abisso della verità. Tu dici in modo schietto e semplice cose che vedi e senti in un tuo modo limpido e immediato, e sei pago del tuo dire. Tu sei il fanciullino eterno, che vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta. L’uomo le cose interne ed esterne, non le vede come le vedi tu: egli sa tanti particolari che tu non sai. Il poeta è il fanciullino perché per la poesia la giovinezza non basta: la fanciullezza ci vuole! Il nuovo non s’inventa, si scopre. Il poeta fa mito e non logos. Segue la prima poesia sul fanciullino (molto bella). Chi ben consideri, comprende che è il sentimento poetico il quale fa pago il pastore della sua capanna, il borghesuccio del suo appartamento ammobiliato sia pur senza buon gusto ma con molta pazienza e diligenza; e via dicendo. Poesia è trovare nelle cose, come ho a dire? Il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima. Il sentimento poetico è sommamente benefico, poiché pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio, il quale ci fa perpetuamente correre con infelice ansia per la via della felicità. La poesia è quella che migliora e rigenera l’umanità, escludendone non di proposito il male, ma l’impoetico. Il poeta, se è e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce perciò ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e famigliare e umano. Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non storico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno, è, sia con pace del Maestro, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l’oro che alti porga. Il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta. Ma non è lui che sale su una sedia o su un tavolo, ad arringare. Egli non trascina, ma è trascinato; non persuade, è persuaso. La poesia non si evolve e involve, non cresce o diminuisce; è una luce o un fuoco che è sempre quella luce e quel fuoco: i quali, quando appariscono, illuminano e scaldano ora come una volta, e in quel modo stesso. Si. La poesia, detta e scritta, è rara. Proprio rara la poesia pura. La poesia benefica di per sé, la poesia che di per sé ci fa meglio amare la patria, la famiglia, l’umanità è, dunque, la poesia pura, la quale di rado si trova. Il poeta deve togliere la tanta ruggine che il tempo ha depositata sulla nostra anima, in modo che torniamo a specchiarci nella limpidezza di prima; ed essere soli tra noi e noi. La poesia deve togliere gli artifizi, e renderci la natura, che è la natura umana primordialmente libera, felice, innocente. Ricordati che la poesia fa battere, se mai, il cuore, non mai le mani. Segue nel n° XIX la seconda poesia sul fanciullino. – Bene! Dunque riassumo, come uomo serio che sono. La poesia, per ciò che è poesia, senz’essere poesia morale, civile, patriottica, sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società. Il poeta non deve avere, non ha, altro fine che quello di riconfonderci nella natura, donde uscì, lasciando in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo. Quando fioriva la vera poesia; quella voglio dire che si trova, non si fa, si scopre, non s’inventa; si badava alla poesia e non si guardava al poeta; se era vecchio o giovane, bello o brutto, calvo e capelluto, grasso o magro, dove nato, come cresciuto, quando morto. E tu, o fanciullo, vorresti fare quello che fecero quei primi, col compenso che quei primi n’ebbero; compenso che tu reputi grande, perché sebbene non nominati, i veri poeti vivono nelle cose le quali, per noi, fecero così.”.

III
Alcuni brani presi dalla poetica
“Il Fanciullino” di G. Pascoli.

Nel I Capitoletto Pascoli afferma: “È dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi…Il quale scompare quando siamo occupati a litigare e a perorare la causa della nostra vita…Non l’età grave impedisce di udire la vocina del bimbo interiore, anzi invita forse e aiuta, mancando l’altro chiasso intorno, ad ascoltarla nella penombra dell’anima”.
Nel II Capitoletto Pascoli afferma che Omero scrisse l’Iliade e l’Odissea grazie al suo fanciullino interiore.
Nel III Capitoletto Pascoli afferma che: “Il fanciullino è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza perché di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione…È quello che in un cantuccio dell’anima di chi più non crede…Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri perché vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol dire la selce che riluce…Egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose.”
Nel IV Capitoletto Pascoli afferma: “Il fanciullino è quello che ci permette di ragionare senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero e ci trasporta nell’abisso della verità”.
Nel V Capitoletto Pascoli afferma: “Il fanciullino vede tutto con meraviglia o tutto come per la prima volta. L’uomo, le cose interne ed esterne non le vede come le vedi tu: egli sa tanti particolari che tu non sai…Ad ogni modo per la poesia la giovinezza non basta: la fanciullezza ci vuole”.
Nel VI Capitoletto Pascoli riprende Platone e dice: “Se tu conoscessi Platone, ti direi che come egli ha ragione nel volere che i poeti facciano mythous e non logous, favole e non ragionamenti, così non ho torto io nel pretendere che i ragionatori facciano logous e non mythous”.
Nel VII Capitoletto Pascoli scrive la prima poesia sul fanciullino.
Nel VIII Capitoletto Pascoli si sofferma sulla poesia e dice che: “La poesia in quanto è poesia, la poesia senza aggettivo, ha una suprema utilità morale e sociale… È il sentimento poetico il quale fa pago il pastore della sua capanna, il borghesuccio del suo appartamentino ammobiliato sia pur senza buon gusto ma con molta pazienza e intelligenza… Poesia è trovare nelle cose, come ho a dire? Il loro sorriso e la loro lacrima”.
Nel IX Capitoletto Pascoli parla di Virgilio.
Nel X Capitoletto Pascoli afferma che: “La poesia è quella che migliora e rigenera l’umanità, escludendone non di proposito il male ma naturalmente l’impoetico”.
Nel XI Capitoletto Pascoli afferma che: “Il poeta, se è e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce perciò ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano…Ma il poeta non deve farlo apposta. Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del maestro, un artiere che foggi spade e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti, un artista che nielli e ceselli l’oro che altri gli porga… Il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detto”.
Nel XII Capitoletto Pascoli afferma che: “La poesia non si evolve e involve, non cresce o diminuisce; è una luce o un fuoco che è sempre quella luce e quel fuoco: i quali, quando appariscono, illuminano e scaldano ora come una volta, e in quel modo stesso”.
Nel XIII Capitoletto Pascoli afferma che: “La poesia benefica di per sé, la poesia che di per sé ci fa meglio amare la patria, famiglia ed umanità, è dunque, la poesia pura, la quale di rado si trova…”.
Nel XIV Capitoletto Pascoli afferma che: “L’arte del poeta è sempre una rinunzia. Ho detto che deve togliere non aggiungere: e ciò è rinunzia. Deve fare a meno di tanti ghirigori, così facile a farsi di tante bellurie, così piacevole alla vista, di tante dorature che danno tanta idea della propria ricchezza: e questa è rinunzia”.
Nel XVII Capitoletto Pascoli afferma che: “La poesia vera fa battere semmai il cuore mai le mani”.
Nel XIX Capitoletto Pascoli scrive la seconda poesia sul Fanciullino.
Nel XX Capitoletto Pascoli afferma che: “La poesia, per ciò stesso che è poesia, senza essere poesia morale, civile, patriottica, sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società. Il poeta non deve avere, non ha, altro fine (non di ricchezza, non di gloriola o di gloria) che quello di riconfondersi nella natura, donde uscì, lasciando in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo…Quando fioriva la vera poesia; quella, voglio dire, che si trova, non si fa, si scopre, non s’inventa; si badava alla poesia e non si guardava al poeta; se era vecchio o giovane, bello o brutto, calvo o capelluto, grasso o magro: dove nato, come cresciuto, quando morto…E tu o fanciullo vorresti fare quello che fecero quei primi, quel compenso che quei primi ne ebbero; compenso che tu reputi grande, perché sebbene non nominati, i veri poeti vivono nelle cose le quali per noi fecero così”.

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Modica 17 luglio 2019                                                                                             Prof. Biagio Carrubba

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