
Una breve analisi del “Libro di devozioni domestiche”
di Bertolt Brecht.
I
La prima opera poetica di Brecht “Libro di devozioni domestiche”, pubblicata nel 1927, pubblicata è composta da 5 lezioni. Tutte le poesie, analizzate in questa sintesi, sono tratte dall’opera in due volumi “Bertolt Brecht POESIE a cura di Luigi Forte – Volume I 1913 – 1933 – Volume II 1934 – 1956 – Einaudi editore – Edizione Biblioteca della Pleiade”.
Prima lezione: Rogazioni.
Seconda lezione: Esercizi spirituali.
Terza lezione: Cronache.
Quarta lezione: Canti di Mahagonny.
Quinta lezione: Le piccole preci quotidiane dei defunti.
Sono 50 poesie che parlano di personaggi della sua vita quotidiana e di altri fatti presi dalla cronaca tedesca. Alcune poesie parlano dei suoi amici e dei suoi amori giovanili. Le poesie della prima lezione parlano di casi umani molto tristi e strazianti come la ballata “Apfelbock o il giglio dei campi” e la ballata “Della infanticida Marie Farrar”. Inoltre troviamo una poesia dedicata al poeta da lui tanto ammirato “Su Francois Villon”. La poesia “La Nave” riprende la poesia “Il battello ebbro” di Arthur Rimbaud. In queste poesie di cronaca nera, si nota la partecipazione emotiva del poeta verso queste persone sfortunate nella vita. Le poesie risentono ancora del clima dell’espressionismo tedesco ed esprimono la concezione vitalistica del poeta. L’urlo di dolore di queste persone richiama il grido di dolore degli espressionisti contro un mondo ingiusto, disumano, infelice, militarizzato che rispecchiava la società tedesca della guerra e del dopoguerra. Queste poesie descrivono un mondo senza amore per queste persone che chiedono pietà e amore rimanendo inascoltate. In poche altre poesie Brecht parla di amore tra gli emarginati, come nella poesia “Ballata di Hanna Cash”, dove Hanna Cash, pur essendo poverissima, amò per tutta la vita il suo uomo, malvagio e violento. Ecco le ultime due strofe della ballata. (Dalla III lezione. “Cronache”. Volume I. Pagine 234 – 239).
BALLATA DI HANNA CASH
7
Nessuna veste era tanto malandata
come la sua, e per lei non c’era domenica,
non c’era nessuna passeggiata a tre
al bar-della- torta- di- ciliegie e non c’era focaccia
nella madia e non suono d’armonica.
E un giorno era come ogni altro,
senza spiraglio di sole.
Ma Hanna Cash, nel volto, ragazzo
mio, aveva sempre il sole.
8
Lui rubava i pesci e lei il sale rubava.
Era così. “È dura la vita”.
E quando lei cucinava i pesci, guarda:
sulle ginocchia dell’uomo i bambini recitavano
in coro la dottrina.
Per cinquant’anni dormirono
nello stesso letto, per notte e per vento.
Così Hanna Cash, ragazzo mio,
Dio gliene dia compenso.
La poesia “Ricordo di Marie A.”, scritta il 21–2-1920, ricorda un amore del poeta, che un giorno ha baciato ma poi ha dimenticato tutto di lei anche se non potrà dimenticare la nuvola del giorno del bacio. Ecco la strofa finale. (Volume I. Pagine 241-243).
RICORDO DI MARIE A.
Ed anche il bacio avrei dimenticato
senza la nube apparsa su nel cielo.
Questa ricordo e non potrò scordare:
era molto bianca e veniva giù dall’alto.
Forse i susini fioriscono ancora
e quella donna ha forse sette figli,
ma quella nuvola fiorì solo un istante
e quando riguardai sparì nel vento.
La 5a lezione contiene la poesia “Della ragazza annegata” che esprime tutta l’indifferenza di Dio verso gli uomini, come spiega l’ultima strofa. (Volume I. Pag. 285).
DELLA RAGAZZA ANNEGATA
Quando il suo pallido corpo nell’acqua non fu che marciume,
con il tempo anche Dio fu incline a dimenticarla:
prima il suo volto e le mani e infine i capelli.
Poi divenne una carogna con tante carogne nel fiume.
La poesia più bella e famosa dell’ultima lezione è, secondo me, “Contro la seduzione”. Ecco il testo della bellissima poesia. (Volume I. Pag. 301).
CONTRO LA SEDUZIONE.
1
Non lasciarti traviare!
Non ritorna più nessuno.
Il giorno è al limitare;
il vento della notte potete fiutare:
non viene un altro mattino.
2
Non lasciatevi ingannare
che la vita sia poca cosa.
Bevetela a rapide sorsate!
Non vi potrà bastare
quando dovrete andarvene!
3
Non lasciatevi consolare!
Di tempo, non ne avete troppo!
Lasciate il marcio a chi è redento.
La vita è il bene più immenso:
non è più vostra, dopo.
4
Non lasciatevi traviare
a sgobbo e logoramento!
La paura, come vi può ancora toccare?
Con tutte le bestie dovete morire
e dopo non viene più niente.
Questa poesia era stata composta da Brecht, il 23 settembre 1918, con il titolo provvisorio “Serenata di Lucifero”. Nel 1920 Brecht annotò: “Le cose stanno proprio così: non c’è nessun aldilà. Coloro però che vivono in miseria e in mezzo agli stenti sperando che ci sia, tutto quello che hanno è questa speranza, infatti l’aldilà non esiste. Tuttavia coloro che lo sanno e vogliono avere la felicità scoprono poi che essa non esiste”.
(dall’opera Bertolt Brecht – Volume I – 1913 – 1933 – a cura di Luigi Forte – pag. 1329).
L’ultima poesia dell’opera è “Del povero B.B.” che esprime e descrive la vita quotidiana e le aspirazioni del poeta stesso. Ecco alcune strofe. (Volume I. Pagine 311-313).
DEL POVERO B.B.
1
Io, Bertolt Brecht, vengo dai boschi neri.
Mia madre mi portò nelle città
quand’ero nel suo grembo. E il freddo dei boschi
fino a che morirò non m’abbandonerà.
2
Nella città d’asfalto mi sento a casa mia.
Munito dall’inizio di ogni sacramento
di morte: di giornali, tabacco ed acquavite.
Sono pigro e diffidente ma contento.
3
Mi mostro amico agli uomini. Mi metto
anche il cappello duro, come fanno loro.
Io dico: sono bestie di odore singolare,
e dico: non importa, in fondo anch’io lo sono.
4
Nelle mie sedie vuote, a dondolo, il mattino
ogni tanto ci metto qualche donna.
E le contemplo indifferente e dico:
ecco voi su di me non potete contare.
5
Verso sera raduno attorno a me degli uomini.
Ci diciamo l’un l’altro: – Gentleman -.
Essi tendono i piedi suoi miei tavoli
e dicono: ci andrà meglio. Ma io non chiedo quando.
6
Al mattino, gli abeti pisciano nella prima foschia
e i loro parassiti, gli uccelli, si mettono a gridare.
A quest’ora vuoto il mio bicchiere in città e butto via
il mozzicone e m’addormento inquieto.
7
Siamo vissuti noi, volubile schiatta,
in case che credemmo indistruttibili
(così abbiamo costruito i lunghi edifici nell’isola di Manhattan
e le antenne sottili che intrattengono l’oceano Atlantico).
8
Di queste città resterà: il vento che le attraversa!
La casa rallegra il mangione: è lui che la vuota.
Sappiamo di essere effimeri
e dopo di noi ci sarà: niente degno di nota.
9
Nei terremoti futuri io spero
che non si spenga il mio virginia per l’amarezza,
io, Bertolt Brecht, sbattuto nelle città
dai neri boschi, nel grembo di mia madre, in tenera età.
Il giudizio più giusto sul libro lo ha dato lo stesso Brecht che il 20 maggio 1940 scriveva questo commento: “La sera mi ricapita fra le mani il Libro di devozioni domestiche. Qui la letteratura raggiunge quel grado di disumanità che Marx scorge nel proletariato e contemporaneamente quella mancanza di una qualsiasi via d’uscita che gli infonde speranza. La maggior parte delle poesie tratta della decadenza e la poesia segue fino in fondo la società che sta andando a fondo. La bellezza prende dimora fra i relitti, gli stracci diventano una squisitezza. Il sublime si voltola nella polvere, la mancanza di senso viene accolta come liberatrice. Il poeta non solidarizza più nemmeno con sé stesso. Risus mortis. Ma fiacco non lo è di certo”.
(Dall’opera Bertolt Brecht – Volume I – 1913 – 1933 – a cura di Luigi Forte – pag. 1260 – 1261).
Modica 19/01/2020 Prof. Biagio Carrubba
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