Archiloco di Paro.
Archiloco nacque nell’isola di Paro tra il 680 e il 670 a.C. da una famiglia aristocratica anche se per la tradizione la madre di Archiloco non era nobile ma era la schiava Enipò.
Invece gli studiosi della poesia greca arcaica e di Archiloco sono quasi tutti concordi nel sostenere che la madre non fosse Enipò ma era invece una nobile. La discendenza dalla schiava era una ricostruzione a posteriori fatta dai tradizionalisti per dare ordine e concretezza alla vita del poeta ma soprattutto per giustificare la vita di soldato mercenario di Archiloco. Infatti pare certo che Archiloco fosse un poeta soldato che emigrò nell’isola di Taso dove combatté come soldato mercenario e dove ebbe una relazione amorosa con una certa Neobule. Pare che Archiloco stipulò un patto con Licambe, padre di Neobule, nel quale si stabiliva il matrimonio tra i due giovani. Invece Licambe negò questo matrimonio e così il poeta cominciò a scrivere invettive contro Licambe e la figlia tanto che la tradizione riporta che Neobule e il padre furono indotti al suicidio anche se in un epigramma dell’antologia palatina di Dioscoride si afferma che le figlie di Licambe non disonorano il patto con il poeta perché non lo videro. I dati sulla vita di Archiloco sono sicuri perché sono state ritrovate due iscrizioni nell’isola di Paro dedicate al poeta che testimoniano in modo certo la nascita di Archiloco a Paro e la sua venerazione da parte dei cittadini di Paro per tributarne l’onore e la fama di Archiloco come poeta. La prima iscrizione è dovuta ad un certo Mnesiepe del III secolo a.C.; la seconda iscrizione è del I secolo a.C. di un certo Sostene. L’iscrizione di Mnesiepe è molto importante perché descrive alcuni fatti relativi alla giovinezza del poeta e soprattutto descrive il momento di iniziazione del poeta alla poesia. L’aneddoto che viene raccontato dice che un giorno il padre mandò Archiloco a vendere una vacca nel paese; durante il tragitto Archiloco fu fermato da un gruppo di donne che cominciarono a stuzzicarlo e poi gli chiesero se andava a vendere la vacca. Lui rispose di sì e dopo un po’ le donne scomparvero insieme con la vacca ed al posto della stessa Archiloco trovò la lira. Archiloco capì che le donne erano le muse e gli avevano dato l’investitura di poeta. Subito dopo il poeta raccontò tutto al padre che consultò l’oracolo di Delfi che gli confermò che suo figlio era destinato a diventare un sommo poeta. Infatti l’oracolo gli disse “Sarà immortale e famoso tra gli uomini il primo tra i tuoi figli che ti saluterà al tuo ritorno”. Quando il padre tornò a Paro Archiloco gli andò incontro per primo per salutarlo. Secondo la tradizione, Archiloco morì in battaglia ucciso da un certo Calonda di Inasso. Subito dopo il dio Apollo vietò l’ingresso a Calonda nel santuario di Delfi perché aveva ucciso uno scudiero delle muse. Nei secoli successivi Archiloco fu altamente onorato e celebrato in tutta la Grecia. Due culti eroici dedicati a lui furono innalzati a Paro e a Taso.
II
Omero ed Archiloco.
L’importanza di Archiloco nella storia della letteratura greca ed europea consiste nel fatto che questi si differenziò notevolmente dai poeti omerici anche se buona parte delle sue composizioni fa riferimento ai poemi omerici. E qui nasce un grosso problema ancora irrisolto. E cioè: Archiloco fa riferimento a dei versi precisi dell’Iliade e dell’Odissea e quindi è presumibile che avesse accanto le due opere scritte ma pare improbabile che esistessero già a quell’epoca delle copie scritte definitive delle due opere di Omero. Io credo improbabile che esistessero delle copie delle due opere già definitive e scritte perché una mole così enorme di papiro non poteva mai circolare nel mondo greco dell’VIII secolo. Comunque a parte questo rebus che rimane irrisolto anche se ci troviamo nell’epoca della società aurale rimane il fatto che sia Archiloco, sia Callino, sia Mimnermo, sia Tirteo, poeti del VII secolo, conoscevano molto bene i versi precisi dell’Odissea scritti nella forma definitiva il che attesterebbe la composizione scritta delle opere e il fatto che l’autore fosse veramente Omero. Ma secondo me, Biagio Carrubba, sembra impossibile che un solo rapsodo, cioè Omero, potesse avere una così grande quantità di fogli di papiro e scrivere le due opere in forma quasi definitiva e mi sembra impossibile che già circolassero in tutta la Ionia in forma scritta. Secondo me la diffusione della Iliade e della Odissea, in quel periodo, si aveva grazie ai rapsodi che raccontavano la storia, in modo itinerante, nelle poleis greche.
Infatti sappiamo che l’Iliade e l’Odissea furono ridefinite, per la prima volta, in forma scritta da Pisistrato (V secolo) e in modo definitivo dai grammatici alessandrini (III secolo). Questo mistero rimane insolubile anche per gli studiosi della letteratura greca. Forse l’unica soluzione possibile per risolvere il mistero della scrittura delle due opere di Omero è il fatto che a cominciare dall’VIII secolo al VII secolo furono messe in circolazione le famose edizioni politiche che giravano di città in città e le edizioni “personali” o tascabili delle due opere di Omero realizzate espressamente, in forma sintetica, per alcuni personaggi interessati ad averle in tasca, pronto uso. Per cui è probabile che Archiloco ne avesse una tascabile che consultava ogni volta che gli serviva. Comunque è un dato di fatto che questi autori e altri poeti conoscessero alla perfezione i versi definitivi delle due opere anche se l’avevano potuta ascoltare solo da qualche rapsodo itinerante o leggere dalle edizioni personali o tascabili. Comunque siano andati i fatti è certo che già nel VII secolo questi quattro poeti erano ormai più poeti che rapsodi. Però mentre Callino, Tirteo e Mimnermo rimangono legati ai temi di Omero, Archiloco fu invece il primo grande innovatore che si differenziò e distanziò notevolmente dai temi omerici ed elaborò i grandi temi poetici che poi saranno svolti da tutti gli altri poeti a cominciare da Saffo ed Alceo che, pur sempre rispettando la tradizione omerica, elaboreranno una concezione dell’amore e della politica autonoma e diversa rispetto ad Omero fino ad arrivare a Senofane che fu il primo grande iconoclasta della poesia elegiaca e della filosofia. Archiloco oltre ad essere il primo grande poeta, cosciente di essere poeta, come scrive nel primo frammento che è rimasto, fu anche il primo poeta a scrivere nel genere dello giambo, della elegia e della poesia amorosa ed erotica per cui si può dire che Archiloco è il primo grande poeta della società occidentale che è pienamente cosciente della sua perizia tecnica e della sua coscienza di essere poeta anche perché usa per la prima volta sistemi metrici ben precisi e di altissima levatura come i distici elegiaci, i trimetri, i tetrametri e gli epodi. Tutti questi elementi poetici fanno di Archiloco il primo grande poeta professionista, ormai lontano dal rapsodo, e non paragonabile al nostro cantastorie che raccontava semplicemente delle storie drammatiche locali a lui tramandate e che non aveva niente di poetico. Alla domanda di Davide Corno se Omero fosse stato un aedo o un rapsodo io, Biagio Carrubba, rispondo, in base alla sua biografia, che fu più un rapsodo che un aedo perché decritto come un girovago di città in città e non come un cantore di corte.
III
Il primo frammento di Archiloco degno di nota è certamente la sua affermazione di poeta autonomo rispetto alla sua figura di soldato.
Testo del frammento
Io sono servo del signore Enialio
e conosco il dono amabile delle Muse.
(Traduzione di Antonino Aloni)
In questo distico elegiaco, Archiloco si autodefinisce esperto delle Muse ed epistemologo, cioè ricercatore e produttore di poesia nuova.
IV
Sempre a proposito della sua vita militare a cui partecipava come soldato mercenario Archiloco ci ha lasciato il più famoso dei suoi frammenti quando per fuggire da uno scontro armato lascia il suo scudo ai nemici. L’abbandono dello scudo è rimasto celebre in tutta la cultura greca e gli sarà rinfacciato da tutti anche se il tema sarà poi ripreso da Alceo e da Anacreonte fino ad Orazio che lo riprende per l’ultima volta. Ecco il testo del frammento.
Del mio scudo qualcuno fra i Sai ora si gloria. Presso un cespuglio
fui costretto a lasciarlo, arma irreprensibile.
Ho salvato me stesso. E allora, cosa mi importa di quello scudo?
Alla malora! Presto me ne procurerò uno non peggiore.
(Traduzione di Antonino Aloni)
Questo frammento testimonia in modo efficace e concreto come ormai Archiloco fosse lontano dalla mentalità degli eroi omerici per i quali invece morire sul campo di battaglia era il miglior modo di conquistarsi la propria gloria per tutti i secoli mentre ora Archiloco mostra una mentalità nuova e libera dai pregiudizi omerici affermando che la vita è più importante della gloria a differenza degli eroi greci per i quali la gloria era più importante della vita. Non c’è dubbio che Archiloco rappresenta una innovazione rispetto ai temi omerici e si allontana definitiva dalla civiltà di vergogna che era la caratteristica principale delle civiltà omerica. Anche Plutarco riporta il frammento poetico ed afferma che “gli Spartani cacciarono Archiloco quando giunse nella loro città, poiché avevano saputo che in una sua poesia egli aveva cantato che è meglio buttare le armi anziché morire; la leggenda evidenzia lo “scandalo” destato dai versi di Archiloco, che si contrapponevano radicalmente al pensiero tradizionale, alla concezione “eroica” ed “epica” dell’esistenza”. (da Grecità – Palumbo editore – Pagina 386)
V
In questo frammento, invece, Archiloco, partendo da un fatto tragico accadutogli comincia ad impostare i primi temi poetici sulla società civile e non più sulle gesta degli eroi omerici. Quindi passa dalla società guerresca di Omero alla società civile dei suoi tempi, proponendo come soluzione un atteggiamento forte di resistenza alle sfortune e alle disgrazie cui sono soggetti gli uomini.
La proposta della “forte sopportazione” era già stata affrontata da Omero in un passo dell’Iliade (XXIV – 49) ma Archiloco si distanzia dalle circostanze omeriche e lo contestualizza a una disgrazia recente che gli era accaduta a lui personalmente e cioè un naufragio dove morirono alcuni suoi amici e parenti.
Testo del frammento.
Pericle, il lutto grave di pianto nessuno dei cittadini
biasimerà, e troverà piacere nel banchetto, e neppure la città.
Tali erano gli uomini che le onde del mare risonante
inghiottirono, anche noi gonfi per il dolore abbiamo
i polmoni. Ma gli déi, per i mali irreparabili,
o amico, diedero la forte sopportazione
come rimedio. Queste sventure toccano ora l’uno ora l’altro; adesso a noi
si sono volte, e così piangiamo la ferita sanguinante,
ma presto toccherà ad altri. Ma fin da ora
sopportate, allontanata la femminea afflizione.
(Traduzione di Antonino Aloni)
In questo frammento Archiloco propone la soluzione della forte sopportazione per resistere alle sventure che colpiscono gli uomini. Ovviamente nella società di allora la sopportazione era l’unico strumento psicologico di difesa dalle disgrazie mentre oggi da sola non basta perché i problemi non si risolvono solo con la sopportazione ma con soluzioni concrete e precise come accade, per esempio, con il problema del lavoro che non si può risolvere con la sola sopportazione.
Archiloco affermando che le disgrazie toccano oggi ad uno e domani ad un altro, in una alterna vicenda ciclica tra gioia e dolori, disgrazie e felicità, secondo me, si rifà alla celebre teoria dei due orci descritta da Achille in un celebre passo dell’Iliade nei vv. 525 – 533:
Così gli dèi decretarono per gl’infelici mortali,
che vissero afflitti; ma loro non soffrono pene.
Sulla soglia di Zeus invero vi sono due orci
coi doni che assegna: uno coi mali e l’altro coi beni.
A chi mescolati ne assegna il Cronide, del fulmine lieto,
questi a volte s’imbatte nel male, altre volte nel bene,
ma a chi dà solo dei mali, egli lo rende spregiato
e per la terra divina un assillo maligno lo incalza,
e vaga non onorato dagli uomini né dagli dèi.
VI
In un altro frammento Archiloco si distanzia notevolmente, ancora una volta, da Omero perché mentre gli eroi omerici combattevano per la gloria, per l’onore e per il potere, Archiloco afferma, attraverso la persona loquens del testo, che lui non è interessato né alla gloria né all’onore né al potere e fa riferimento al tiranno Gige, potente re della Lidia, che in quel momento era il tiranno più famoso e ricco di tutto il mondo conosciuto. Questo frammento è anche importante perché ci dà una indicazione giusta ed attendibile della cronologia della vita del poeta.
Testo del frammento.
“Non mi interessa la vita di Gige carico d’oro,
né mai me ne colse invidia; non voglio
cose che sono degli dèi, ne bramo un vasto potere assoluto;
lontane sono queste cose dai miei occhi.”
(Traduzione di Antonino Aloni)
In questo frammento Archiloco mostra di non essere vicino al mondo omerico ma anzi lontanissimo e mette al primo posto la modestia di un semplice falegname al posto delle ambizioni degli eroi greci che volevano la gloria e la stima e non certo la modestia del falegname Carone che è la persona loquens del testo come ci riferisce Aristotele.
VII
In un altro frammento Archiloco usa per la prima volta la figura retorica dell’adynaton che è una figura retorica molto difficile e che dimostra la perizia tecnica del poeta in modo sicuro, autonomo e tecnico. Inoltre il frammento poetico dà un dato scientifico e naturalistico che attesta in modo inequivocabile l’esistenza di Archiloco contestualizzando la sua esistenza all’eclissi totale di sole del 648 a.C. Prendendo spunto dal fenomeno astronomico, Archiloco pone un altro tema che sarà poi ripreso da altri poeti sulla precarietà degli uomini e ci avverte che non bisogna più scandalizzarsi né strabiliarsi dai fatti naturali che avvengono in natura.
Testo del frammento
Niente è inatteso, né impossibile,
né stupefacente, da che Zeus padre degli Olimpi,
di mezzogiorno fece notte, subito nascondendo la luce
del sole fulgido; un umido timore si diffuse fra gli uomini.
Da allora ogni cosa è da credere, e tutto ci si può aspettare;
nessuno di voi si stupisca di ciò che vede,
neppure se le fiere con i delfini scambiassero il pascolo
marino, e a quelle le onde risonanti
divenissero più care della terraferma, e agli altri i monti boscosi.
(Traduzione di Antonino Aloni)
Anche in questo frammento Archiloco usa la figura retorica della persona loquens come ci riferisce Aristotele. In tutti i casi è vero che una eclissi solare totale crea panico e timore anche a noi che già ben conosciamo il fenomeno e a maggior ragione allora che fu un fenomeno straordinario, imprevedibile e terrificante per chi lo subì e lo percepì in quel momento.
VIII
In altri frammenti Archiloco si differenzia notevolmente da Omero che aveva trattato il tema dell’amore in modo modesto, pudico e senza entrare nei particolari, raccontandoci la storia d’amore tra uomini importanti come Paride ed Elena o Ulisse e Calipso. Invece Archiloco imposta il discorso sull’amore su sé stesso e descrive le sue reazioni amorose ed emotive di uomo comune descrivendo gli effetti dell’amore su di lui.
Testo del frammento (nr. 118 e 119)
Così potessi toccare la mano di Neobule,
e cadere su un ventre che si dà da fare, e pancia a pancia
incollare e cosce a cosce.
(Traduzione di Antonino Aloni)
Testo del frammento (nr. 191)
Un tale desiderio d’amore, stretto sotto il mio cuore,
molta nebbia ha versato sugli occhi,
e mi ha rubato dal petto la molle anima.
(Traduzione di Antonino Aloni)
Testo del frammento (nr. 193)
Infelice giaccio nel desiderio,
senza vita, da aspri dolori, voluti dagli dèi,
trafitto nelle ossa.
(Traduzione di Antonino Aloni)
Questi tre frammenti amorosi di Archiloco, come ormai hanno appurato i critici e gli studiosi, fanno riferimento all’amore sperimentato su sé stesso e soprattutto indicano le sue reazioni emotive a situazioni erotiche in cui Archiloco è impegnato in prima persona.
IX
Anche in un altro celebre frammento Archiloco si differenzia notevolmente da Omero e imposta il discorso sulla morale di allora. Archiloco, infatti, per la prima volta afferma che il suo cuore deve stare calmo e non si deve scoraggiare nelle situazioni tristi. Anche qui Archiloco riprende un passo di Omero ma poi lo contestualizza nella sua realtà contemporanea e per la prima volta afferma la morale del “non troppo” che poi sarà ripresa da Solone. Infatti in questo frammento, per la prima volta, Archiloco usa l’espressione “non troppo” che poi sarà anche l’etica dei sette sapienti che con altre parole affermeranno la stessa etica. Archiloco imposta anche per la prima volta il tema della consolazione e della riflessione gnomica sulla precarietà della vita degli uomini facendo emergere per la prima volta la tesi dello stoicismo secondo la quale non bisogna abbattersi nelle situazioni tristi né esaltarsi nelle situazioni favorevoli ma riuscire a dominare le une e le altre cercando di attuare un comportamento di distacco emotivo e passionale sia dagli eventi tragici che da quelli felici che coinvolgono l’uomo.
Testo del frammento.
Cuore, cuore sconvolto da pene senza rimedio,
alzati, difenditi dai nemici gettando avanti
il petto, nell’attesa dello scontro serrando la fila
saldamente; vincitore non ti esaltare in modo aperto,
né, vinto, devi gemere prostrato nella tua casa,
ma gioisci dei beni, e dei mali affliggiti
senza eccedere; riconosci quali ritmo governa gli uomini.
(Traduzione di Antonino Aloni)
In questo frammento Archiloco si allontana notevolmente dalla morale etica di Omero fondata sulla ricerca dell’onore, della ricchezza, della stima e della aristia, cioè dell’onore conquistato nei duelli di guerra, ed invece afferma che bisogna accontentarsi del poco per non oltrepassare le richieste e la conquista dell’onore e vivere una vita più tranquilla senza il rischio della guerra.
X
Ma il frammento più celebre e più scabroso di Archiloco è certamente “L’epodo di Colonia”. Questo frammento poetico di papiro fu trovato nel 1964, studiato per 10 anni, e pubblicato nel 1974 provocando scalpore e sorpresa tra tutti gli studiosi e non solo. La pubblicazione de “L’epodo di Colonia” nel 1974 creò sorpresa e meraviglia in moltissima gente come scrive Antonio Aloni: “Presto ribattezzato – secondo il titolo di un film proprio allora in auge – “Ultimo tango a Paro”. (da Lirici Greci – Poeti giambici – a cura di Antonio Aloni – Pag. 116).
Testo del frammento.
“Astenendoti del tutto, egualmente…
Se proprio sei incalzato dalla fretta e l’animo ti spinge,
vi è presso noi colei che ora molto desidera le nozze,
fanciulla bela e tenera, penso che il suo aspetto
non abbia biasimo; quella tu falla tua.”
Queste cose diceva, e io le rispondevo:
“Figlia di Amfimedò, nobile e saggia
donna che ora la terra umida trattiene,
piaceri della dea ve ne sono molti per i giovani uomini,
oltre quello divino; uno fra quelli basterà.
Ma queste cose con tranquillità quando…
io e tu insieme alla de decideremo.
Mi farò persuadere come tu mi esorti, molto…
da sotto la cornice e le porte…
non impedire, cara, mi dirigerò infatti verso gli erbosi
giardini. Ma ora sappi questo: Neobule
un altro uomo l’abbia! Ahimè, è appassita e ha due volte i tuoi
il fiore delle verginità è svanito,
e con lui la grazia che prima aveva, poiché sazietà non…
di giovinezza mostrò il termine, donna folle.
Lasciala alla malora, Che non mi capiti,
con una simile moglie,
di essere oggetto di gioia maligna per i vicini. Preferisco di molto te:
tu non sei infida né doppia,
mentre lei è troppo astuta, e si fa molti…amici;
e io temo di fare figli ciechi e nati anzitempo,
spinto dalla fretta così come la cagna.”
Queste cose dicevo; poi presa la fanciulla
nei fiori splendenti la distesi, con un morbido
mantello la coprii, cingendole il collo con un braccio,
mentre lei…per la paura, come una cerva.
E le carezzavo dolcemente fra le natiche,
proprio là dove mostrava la sua pelle fresca, incanto di giovinezza;
e tutto il bel corpo palpando,
emisi la bianca potenza, toccando il biondo pelo.
(Traduzione di Antonino Aloni)
Questo epodo, molto bello ancora oggi per le belle descrizioni in cui si svolge la scena erotica, resta, come scrive Aloni, “il più ampio e meglio conservato frammento archilocheo che possediamo, e forse anche uno dei più belli”. (da Lirici Greci – Poeti giambici – a cura di Antonio Aloni – Pag. 116). Io, Biagio Carrubba, condivido il giudizio espresso da Aloni e penso che questo frammento sia uno dei più belli di Archiloco e di tutta la letteratura greca. La scabrosità dell’epodo si coglie negli ultimi versi e in particolare nel verso 32 nella parola mutila come spiega Aloni “All’inizio del v. 48 vi è una lacuna: la tradizione letteraria induce a integrare “seni”; la pittura vascolare testimonia che la posizione degli amanti descritta da Archiloco comporta che la mano dell’uomo si insinui tra le cosce e le natiche della donna; da ciò trarrebbe conferma l’integrazione natiche o cosce, appunto proposta da Merkelbach.” (da Lirici Greci – Poeti giambici – a cura di Antonio Aloni – Pag. 116).
L’epodo racconta la seduzione da parte di Archiloco nei confronti di una sorella minore di Neobule che invece viene ripudiata dal poeta. Come attesta Aloni l’epodo presenta molte contraddizioni perché non si capisce né l’età del poeta, né l’età di Neobule né quella della sorellina. Per questo molti critici hanno affermato che l’epodo non racconta la storia di Archiloco con Neobule in persona ma quella di un personaggio fittizio raccontato da Archiloco. Lo studioso M.L. West sostiene, appunto, che Archiloco è un personaggio fittizio di repertorio poetico “Ancora più improbabile è apparsa la famigerata vicenda delle mancate nozze di Archiloco con Neobule, figlia del nobile Licambe; tali figure sono apparse al West “personaggi di repertorio (stock characters) in uno spettacolo tradizionale con qualche (forse dimenticata) base rituale”; conseguentemente, nei componimenti che parlando di Licambe, l’io narrante sarebbe fittizio e non ci sarebbe alcun riferimento reale alla vita di Archiloco” (da Poeti e Prosatori Greci – Antologia di Autori Greci – Palumbo editore pag. 14). Da tutta questa storia è interessante la deduzione che ne trae Guido Guidorizzi che scrive: “Nel complesso, è meglio riepilogare prudentemente le molteplici chiavi di lettura di questo componimento: “manifestazione di un mondo di quasi edenica libertà sessuale, scena di ribalderia maschilista nei confronti di un’indifesa fanciulla, descrizione di una scena erotica tradizionale (evidenti sono i richiami all’episodio omerico dell’”inganno a Zeus”, Iliade XIV, 159 e segg.), calunnioso attacco contro una famiglia rivale che viene svergognata davanti alla pubblica opinione”. (da G.Guidorizzi – La letteratura greca, vol. I, pag. 315.)
Finale.
Io, Biagio Carrubba, tra le quattro possibili soluzioni proposte da Guidorizzi propendo, forse, per la seconda soluzione e cioè per un atto di violenza e di stupro del poeta verso la giovane indifesa. Però la maggior parte di tutti gli studiosi sono del parere che non si tratti del poeta in prima persona verso la sorellina minore di Neobule ma soprattutto integrano la parola mutila non con natica, come Aloni, ma con seno per cui tutto il significato dell’epodo risulta più leggero, meno violento e accettabile perché si riduce ad un rapporto di petting e quindi viene escluso completamente lo stupro e viene assolto Archiloco dall’accusa di stupratore. Io, Biagio Carrubba, penso che siccome non sappiamo come andarono realmente i fatti e quindi non sappiamo se fu uno stupro violento o un semplice petting, l’unica cosa che ci rimane è la lettura gustosa, sorprendente e divertente di tutto l’epodo che rimane uno dei più belli e seducenti della letteratura amorosa ed erotica di tutti i tempi. Io, Biagio Carrubba, condivido molto l’analisi su Archiloco che ne ha fatto lo studioso Bruno Gentili di cui riporto qualche brano: “L’attività di Archiloco sin qui delineata si distacca nettamente da quella tradizionale dell’aedo omerico, che opera nell’ambito di una corte regale, ricevendone protezione e sostentamento, e anche da quella del rapsodo itinerante, che tra il suo guadagno dai vari uditori che egli intrattiene con il racconto delle gesta eroiche”; “Archiloco invece fu totalmente calato negli avvenimenti e fece della poesia lo strumento precipuo di rappresentazione e illustrazione della realtà cui partecipò come protagonista”. (da Grecità – Palumbo editore – Pagina 426). Infine io, Biagio Carrubba, credo che la grandezza e l’importanza di Archiloco sia stata quella di riuscire a dare autonomia alla poesia perché ha saputo eliminare la mitologia dalla poesia e perché ha creato un nuovo genere poetico, il realismo, così ben descritto dallo studioso Enzo Mandruzzato: “Archiloco non sapeva che solo parlando di sé stesso e della sua vita, cioè di quello che aveva più vicino e più ovvio, aveva inventato o manifestato per primo una categoria eterna, il realismo. Il quale nasce da sé, e in ogni luogo; ma per noi è nato a Paro, nella ignara novità, nell’efficacia, nell’universalità di quei libelli paesani che non occorreva firmare”.
(da Lirici Greci dell’età arcaica – a cura di Enzo Mandruzzato – Edizione Bur – Pagina 38)
Modica, 05 marzo 2019 Prof. Biagio Carrubba
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