Alceo di Lesbo.
Alceo nacque nell’isola di Lesbo intorno al 620 a.C. e quindi fu contemporaneo e conterraneo della poetessa Saffo. Era figlio di un aristocratico ed apparteneva ad una famiglia nobile di Lesbo. Fin da giovane partecipò alla vita politica dell’isola e apparteneva ad una eterìa politica che lottava per il possesso della città di Mitilene. Da giovane Alceo combatté contro Atene per il possesso del promontorio Sigeo e in questa battaglia abbandonò lo scudo per salvarsi la vita, contravvenendo alla fortissima morale di allora che imponeva di non abbandonare lo scudo in guerra. Questa etica era tramandata dall’epica omerica e veniva sintetizzata in una massima di una madre spartana che diceva al figlio: “O (torni) con questo (scudo) o sopra questo”. Su questo episodio Alceo scrisse una famosa poesia dove metteva in evidenza di tenere più alla vita che allo scudo. In un primo momento Alceo fu alleato con Pittaco per spodestare il tiranno Melancro. Quando Pittaco riuscì a spodestare Melancro a questi subentrò Mirsilo con il quale Pittaco si alleò. Alla morte di Mirsilo nel 590 a.C., Pittaco rimase l’unico giudice di Mitilene e Alceo giudicò un tradimento la presa di potere di Pittaco e quindi iniziò ad ingiuriarlo nelle sue poesie che leggeva nel simposio. Quindi durante il potere di Pittaco, Alceo fu costretto all’esilio nella Trace e forse in Egitto e quando Pittaco si ritirò a vita privata, nel 580 a.C., Alceo rientrò nell’isola dove ricominciò a partecipare ai simposi e a scrivere altri libri di poesie. Alceo morì, probabilmente, intorno al 570 – 560 a.C.
II
Le opere di Alceo
Tutte le opere di Alceo furono raccolte, ordinate e pubblicate dai filologi alessandrini che ne fecero 10 libri, divisi per argomento. L’immagine e la figura di Alceo, che viene fuori, è, per lo più, quella di un poeta essenzialmente politico che esprime la protesta contro i tiranni dell’isola di Lesbo, da Mirsilo a Pittaco. Anzi l’immagine positiva di Alceo che si è tramandata nei secoli è quella di un poeta che lotta per la libertà battendosi contro i tiranni e difendendo in modo fazioso la sua eterìa. Questa immagine di Alceo difensore della libertà arrivò fino a Carducci che lo descrive appunto come un grande poeta difensore della libertà, immortalandolo con questi versi: “Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente / scuota da i molli nervi ogni torpor, / purghi le nubi de l’afflitta mente, / affoghi il tedio accidioso in cor. / Vino e ferro vogl’io, come a’ begli anni / Alceo chiedea nel cantico immortal; / il ferro per uccidere i tiranni, /il vin per festeggiarne il funeral” (Riportato nel libro “Giambi ed epodi”). Dei 10 libri ordinati dagli alessandrini, rimangono soltanto 400 frammenti di vari argomenti che comunque riguardano tutti argomenti dibattuti nei Simposi da Alceo con i suoi compagni di eterìa. I frammenti che ci rimangono, riguardano soprattutto aspetti del Simposio e vengono chiamati poesie meta simposiaci. Inoltre sono stati tramandati anche frammenti che riguardano poesie politiche, poesie erotiche e poesie su Elena.
III
I frammenti più famosi di Alceo sono certamente quelli dedicati al vino e alla esortazione di bere il vino per godersi la vita e la giovinezza. Per questo motivo Alceo si può considerare un capostipite del filone che sarà famoso con il poeta latino Orazio, e che sarà chiamato Carpe Diem. La poesia più famosa riguardo all’argomento del Carpe Diem è certamente l’ode a Melanippo dove viene fuori l’esortazione a bere per scordarsi tutti i problemi e le angosce della vita politica reale.
Testo del frammento “Ode a Melanippo”.
Bevi, o Melanippo (e ubriàcati), insieme con me. Che (cosa credi,)
che una volta che avrai varcato il vorticoso Acheronte
avendo attraversato il grande (guado), di nuovo
potrai vedere la luce pura del sole?
Ma suvvia non (aspirare) a cose troppo grandi
e infatti Sisifo, sovrano figlio di Eolo
che era il più accorto fra gli uomini (credeva) di…
ma pur essendo molto astuto varcò (per due volte)
soggiacendo al destino di morte il vorticoso Acheronte:
il sovrano figlio di Crono gli (impose) di avere una (grande)
pena sotto la scura terra. Ma suvvia non (pensare a) queste cose
finché siamo giovani se mai anche altra volta (ora si deve)
(sopportare) le sventure che (un dio eventualmente ci imponga)
…il vento di tramontana (infuria sul mare).
Questa poesia di Alceo, insieme a diversi altri frammenti sullo stesso argomento, si può considerare l’incipit del filone del Carpe Diem che si protrae fino adesso. Ovviamente la poesia contiene riferimenti ad Omero e alla Odissea perché si rifà alla discesa di Ulisse nell’Ade e alla figura di Sisifo che era già famoso per la sua scaltrezza nella mitologia. È molto probabile, come attestano alcuni mitologi, che il vero padre di Ulisse non fosse Laerte ma Sisifo da cui Ulisse avrebbe ereditato la sua scaltrezza. Le avventure più famose di Sisifo furono due: la prima raccontava come Sisifo avesse incatenato la stessa morte per cui gli uomini non morivano più. Zeus fece liberare la morte, Tanatos, e per punirlo condannò Sisifo alla morte e lo scelse come prima vittima ma Sisifo prima di scendere nell’Ade ordinò alla moglie, Merope, di non celebrargli il funerale. Una volta arrivato nell’Ade, Sisifo, con la scusa di ricevere le esequie convinse Ade a farlo risalire, ma una volta ritornato sulla Terra non ritornò più nell’Ade fino alla sua morte naturale. Alla morte naturale, Sisifo fu condannato da Zeus alla pena di trascinare un masso in cima ad un monte e farlo rotolare a valle per risalire in un ciclo continuo. Questa punizione è famosa ancora oggi con l’espressione “fatica di Sisifo” che indica quando i sacrifici profusi sono vani. Questa pena è descritta nei particolari da Omero: “Anche Sisifo vidi che dure pene soffriva sospingendo un enorme macigno con ambe le braccia. E sì che, avviticchiato ad esso, coi piedi e le mani spingeva in su verso il colle; ma quando era per superare la cima, una forza occulta indietro lo respingeva e l’ostinato macigno ancor rotolava giù al piano. Ed egli di nuovo spingeva tendendosi e dalle sue membra colava il sudore; dal capo la polvere gli si levava”. (Odissea 11 – vv. 593 – 600).
IV
La poesia politica più famosa di Alceo, è quella che si riferisce all’allegoria della nave.
Testo del frammento
Non riesco a capire la rissa dei venti.
Un’onda si gonfia di qui, l’altra di là:
nel mezzo noi siamo portati
con la nera nave
molto percossi dalla gran tempesta.
L’acqua giunge alla base dell’albero
la vela è tutta fradicia,
pende giù in grandi brandelli,
gli stralli sono allentati, il timone…
…
restano salde le due scotte
…
(questo solo potrebbe salvarmi)
assicurate bene alle funi.
Tutto il carico è andato perduto
…
(traduzione di Giulio Guidorizzi)
Questo celebre frammento viene già spiegato e chiarito nel I secolo d.C. dal grammatico Eraclito che lo interpreta e lo definisce come una poesia politica allegorica dicendo che la nave è la città in balia delle correnti che sono le rivolte delle varie fazioni o eterìe, tra cui quella di Pittaco ed Alceo, che volevano arrivare al potere sulla città al posto di Mirsilo. Nel primo verso Alceo mostra il suo stordimento, il suo disorientamento e lo sconcerto per il tradimento di Pittaco che si allea con Mirsilo, che prima combatteva, per poi prenderne il posto, tradendo Alceo. Altri frammenti sullo stesso tema confermano l’importanza dell’allegoria della nave che poi sarà ripresa anche da altri autori latini come Orazio.
Modica 18 marzo 2019 Prof. Biagio Carrubba.
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