
Vita e opere poetiche di Sergio Corazzini.
Sergio Corazzini fu veramente una meteora, cioè un astro che sprigionò moltissima luce e che abbagliò i suoi contemporanei e risplendette nel cielo tanto intensamente quanto brevemente. Il suo corpo, purtroppo malato di tisi, si spense prematuramente il 17 giugno del 1907 a Roma. Sergio Corazzini nacque a Roma il 06 febbraio 1886 in via Lucina 17 da Enrico Corazzini, romano, e da Caterina Calamani, cremonese. Enrico Corazzini aveva una tabaccheria sulla via del Corso e godeva di una buona agiatezza che gli permise di mantenere in collegio i figli maggiori, Sergio e Gualtiero. Nel 1895 Sergio si recò in Umbria, a Spoleto, dove frequentò il collegio nazionale Umberto I. In questi anni si manifestò la malattia polmonare che lo affliggerà per tutta la breve vita e che ne causerà la morte. Nel 1898 rientrò a Roma. Nel 1902 Corazzini cominciò a frequentare il caffè Sartoris vicino alla tabaccheria dove ritrovò i suoi amici poeti tra cui Alberto Tarchiani, Corrado Covoni, Tito Marone ed altri. I testimoni di allora descrivono Sergio Corazzini in pose forzate da poète maudit, da dandy dall’aria viziosa ricercato nel vestire. Il 17 maggio del 1902 pubblicò la sua prima lirica in dialetto romanesco. Nel 1905 le condizioni di salute di Corazzini andarono lentamente, ma inesorabilmente, peggiorando. Tra il 1905 e il 1907 pubblicò tutte le sue opere poetiche. Nell’autunno 1906 fu ricoverato nell’ospedale di Nettuno e all’inizio del 1907 rientrò a Roma con il suo stato di salute sempre più grave. Negli ultimi mesi compose le ultime due poesie “Il sentiero” e “La morte di Tantalo”, che fu pubblicata postuma.
Le opere poetiche di Sergio Corazzini.
Nel 1904 Corazzini pubblicò la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Dolcezze”.
Nel 1905 pubblicò la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “L’amaro calice”.
Nel 1905 Corazzini pubblicò la terza raccolta di poesie dal titolo “Le aureole”.
Nel 1906 pubblicò la quarta raccolta di poesie dal titolo “Piccolo libro inutile”.
Nel1906 Corazzini pubblicò la quinta raccolta di poesie dal titolo “Libro per la sera della domenica”.
Sergio Corazzini aveva già pubblicato diverse poesie sparse in alcune riviste romane e napoletane che costituiscono parziali anticipazioni o rifacimenti delle poesie poi raccolte in volume. Le prime poesie sono in dialetto romanesco. La formazione culturale e poetica di Sergio Corazzini è formata, prevalentemente, sui alcuni poeti francesi simbolisti come Francis Jammes (1868 – 1938) e Georges Rodenbach (1855 – 1898), oltre ai grandi poeti italiani: Pascoli, d’Annunzio e Govoni.
La poetica di Sergio Corazzini.
Insieme a Guido Gozzano e a Marino Moretti, Sergio Corazzini è il padre fondatore della nuova poetica, definita da Giuseppe Antonio Borgese “Crepuscolarismo”, intendendo definire i nuovi temi di questi giovani poeti che si affacciavano all’alba del nuovo secolo, apportando una nuova linfa alla poesia tradizionale, dominata da Carducci, Pascoli e da d’Annunzio. Le poesie di Corazzini si soffermano su ambienti oscuri, come chiese, ospedali, luoghi solitari e su personaggi malati destinati precocemente alla morte.
Introduzione alla poesia “Toblack”.
Toblack (il nome tedesco della cittadina Dobbiamo, in Alto Adige, in cui esisteva un centro per malati di tisi) è la settima poesia della seconda raccolta poetica di Corazzini “L’amaro Calice” pubblicata nel dicembre 1904, ma con data 1905. Questo libro di poesie contiene 12 poesie, alcune delle quali molto belle, come “Invito” e “Rime del cuore morto”, ma è proprio la poesia “Toblack” ad esprime in modo intenso e poetico il profondo dolore del poeta e di tutta l’umanità dinanzi alla morte.
Testo della poesia.
I
….E giovinezze erranti per le vie
piene di un sole malinconico,
portoni semichiusi, davanzali
deserti, qualche piccola fontana
che piange un pianto eternamente uguale
al passare di ogni funerale,
un cimitero immenso, un’infinita
messe di croci e di corone, un lento
angoscioso rintocco di campana
a morto, sempre, tutti i giorni, tutte
le notti, e in alto, un cielo azzurro, pieno
di speranza e di consolazione,
un cielo aperto, buono come un occhio
di madre che rincuora e benedice.
II
Le speranze perdute, le preghiere
vane, l’audacie folli, i sogni infranti,
le inutili parole degli amanti
illusi, le impossibili chimere,
e tutte le defunte primavere,
gli ideali mortali, i grandi pianti
de gli ignoti, le anime sognanti
che hanno sete, ma non sanno bere,
e quanto v’ha Toblack d’irraggiungibile
e di perduto è in questa tua divina
terra, è in questo tuo sole inestinguibile,
è nelle tue terribili campane
è nelle tue monotone fontane,
Vita che piange; Morte che cammina.
III
Ospedal tetro, buona penitenza
per i fratelli misericordiosi
cui ben fece di sé Morte pensosi
nella quotidiana esperienza,
anche se dal tuo cielo piova, senza
tregua, dietro i vetri lacrimosi
tiene i lividi tuoi tubercolosi
un desiderio di convalescenza.
Sempre, così finché verrà la bara,
quietamente, con il crocefisso
a prenderli nell’ultima corsia.
A uno a uno Morte li prepara,
e tutti vanno verso il tetro abisso,
lungo, Speranza! la tua dolce via!
IV
Anima, quale mano pietosa
accese questa sera i tuoi fanali
malinconici, lungo gli spedali
ove la morte miete senza posa?
Vidi lungo la via della Certosa
passare funerali e funerali;
disperata etisia degli Ideali
anelanti la cima gloriosa!
Ora tutto è quieto; nelle bare
stanno i giovini morti senza sole,
arde in corona la pietà dei ceri.
Anima, vano è questo lacrimare,
vani i sospiri, vane le parole,
su quanto ancora in te viveva ieri.
Parafrasi della poesia.
(A Toblack vi sono) giovani che vagano per le strade
illuminate da un grande sole declinante,
(vi sono) portoni chiusi e davanzali deserti,
(vi è) qualche piccola fontana
che versa acqua in modo sempre uguale
al passare di ogni funerale,
(c’è) un cimitero immenso,
(c’è) una grande quantità di croci e di corone,
(c’è) un lento funereo battito di campana
a morto, sempre, tutti i giorni e tutte le notti,
e in alto c’è un cielo azzurro,
pieno di speranza e di consolazione,
un cielo aperto, buono come lo sguardo
di una madre che tranquillizza e benedice.
Le speranze (di guarigione) perdute,
le preghiere inutili, i sogni infranti,
le ultime parole degli amanti delusi,
le impossibili chimere,
e tutte le primavere passate,
gli ideali destinati a morire,
i grandi pianti degli sconosciuti,
le anime sognanti, che hanno desideri,
ma che non riescono a soddisfarli,
Muoiono.
E quanto, Toblack, d’irraggiungibile
e di perduto c’è in te,
è in questa tua divina terra,
è in questo tuo sole inestinguibile,
è nelle tue funeree campane a morto,
è nelle tue monotone fontane,
è nella Vita che se ne va,
è nella Morte che si avvicina.
III
Ospedale triste, dove la Morte
rende i malati riflessivi e
consci della Morte stessa
nella quotidiana esperienza e
dove i malati vivono una rassegnata penitenza
e diventano misericordiosi degli altri,
anche se dal tuo cielo piove continuamente,
i tuoi pallidi malati, dietro i vetri lacrimosi,
conservano un grande desiderio di guarire.
Ogni giorno è sempre così, fino al momento,
quando la bara viene portata, silenziosamente,
con il crocefisso e se li porta via nell’ultima corsia.
Già il pensiero della Morte li prepara ad uno ad uno
e tutti vanno rasseganti verso il buio abisso
attraverso la tua dolce via, o Speranza!
O anima mia, quale mano pietosa
ha acceso questa sera i Fanali artificiali,
lungo le corsie degli ospedali,
dove la Morte toglie la vita senza interruzione?
Vidi lungo la strada della Certosa
passare funerali e funerali;
disperata esequie degli Ideali
che avrebbero voluto raggiungere
la vetta della gloria!
Ora, che è sera, tutto è quieto;
i giovani stanno dentro le bare, senza sole,
e la pietà dei ceri si consuma
attorno alle bare in corona.
Anima, il tuo lacrimare è inutile,
i sospiri sono inutili, anche le parole
ripetute appena ieri su te stessa, sono vane.
Il tema della poesia.
Il tema della poesia “Toblack” è la descrizione inesorabile ed oggettiva della vita che si conduceva a Toblack dominata, agli occhi del giovanissimo e ammalato poeta, dal cadenzare dei suoni funerei della campana a morto e dallo zampillare della fontana che riversa continuamente l’acqua con un rumore onomatopeico sempre uguale e monotono. Toblack diventa una città prossima a Dio, dove muoiono le speranze dei malati, le preghiere vane, gli ideali dei giovani, ed è la città dove la vita diventa irraggiungibile e dove tutto è perduto, dove le campane suonano continuamente a morto e la vita si allontana, mentre la morte si avvicina inesorabilmente sempre di più. Toblack è la città dell’ospedale per tisici, i quali piangono dietro i vetri ed aspettano con animo rassegnato la Morte che li prepara ad uno ad uno per affrontarla ed accettarla e si incamminano verso di essa, pensando alla dolce speranza della guarigione. O anima mia, quale mano pietosa ha acceso le lampade dell’ospedale, dove la Morte miete la vita dei giovani ammalati, senza mai fermarsi? Toblack è la città dove io vidi tanti funerali e la morte degli ideali che volevano raggiungere la vetta della vita. Ora dentro l’ospedale tutto è calmo: i giovani morti stanno dentro le bare, circondate dal calore dei ceri che ardono. O anima mia, conclude il poeta, allora tutto è inutile, il lacrimare è vano, i sospiri sono vani e anche le parole dette sono vane (e forse la vita stessa è vana).
Ma accanto a questa fenomenologia della vita di Toblack, così perfettamente e dolorosamente descritta da Corazzini, il tema dominante della poesia risulta essere quello della Morte, così dolorosa ed inspiegabile. La morte miete senza posa la vita degli uomini, malati e sani, ma nessuno vuole morire perché nessuno conosce il motivo della morte e nessuno sa dove essa conduce. E proprio l’inspiegabilità della morte rende l’ultimo viaggio così inaccettabile e triste tanto che tutti la rifiutano, dato che essa rende vana ogni cosa, perfino la vita stessa, e la terra diventa un luogo astratto, anticamera luminosa della morte. Io, Biagio Carrubba, noto che Corazzini in questa poesia non fa alcun accenno a Dio, il quale potrebbe spiegare ogni cosa, ma lo farà qualche anno dopo quando scriverà la bellissima poesia “Desolazione del povero poeta sentimentale” nella quale dice: “Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. / E i sacerdoti del silenzio sono i romori, / poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio” (vv. 30 – 32).
Sintesi della poesia: inizio, sviluppo e conclusione.
Toblack è una poesia composta da quattro strofe, disposte una dopo l’altra e congiunte dal progressivo numero romano che le lega insieme in uno sviluppo organico di immagini e di pensieri, di forma metrica e di tono emotivo. La prima strofa si apre con la descrizione di Toblack vista nelle sue stradine, dove i giovani malati vagano senza meta e quasi senza senso, guardando le vie, piene di sole malinconico; anche il resto della città è desolante: i portoni sono chiusi e i davanzali deserti; si sente il rumore sempre uguale dello zampillo nella fontana e tutto il giorno e tutte le notte si ode il suono funereo della campana a morto, mentre in alto si vede un cielo azzurro, che per il suo colore limpido e per la sua vastità invita ad avere la speranza e la consolazione; un cielo aperto, come se aprisse le porte al buon Dio, che accoglie amorevolmente tutti, e dunque un cielo buono come lo sguardo della madre che tranquillizza e rincuora i figli che si dipartono da casa, così come i malati sono in procinto di staccarsi dalla terra. La seconda strofa entra dentro l’anima umana e ne elenca tutte le speranze che a Toblack diventano perse, le preghiere che diventano vane, i sogni che diventano irrealizzabili, le parole inutili degli amanti, il tempo passato che diventa morto, i giovani che hanno voglia di realizzare i loro desideri senza però riuscirci. Toblack diventa allora la città dove la vita diventa irraggiungibile e perduta, scandita dal terribile suono della campana e dal monotono rumore della fontana; la città dove la Vita si allontana sempre di più e dove la Morte si avvicina sempre inesorabilmente. La terza strofa riprende la vita che si svolge dentro l’ospedale: i malati guardano il cielo che manda l’acqua della pioggia così come loro versano lacrime sui vetri, ma è anche il luogo dove ognuno diventa cosciente della morte, dove si fanno anche misericordiosi del dolore altrui e fino all’ultimo momento sperano di guarire. Ma la Morte li rasserena e li prepara ad essa e così tutti se ne vanno verso il profondo buio, attraversando la via della speranza in un mondo migliore e pieno di Vita. Nella quarta strofa il poeta si rivolge alla propria anima e si chiede quale mano pietosa ha acceso le lampade della corsia dell’ospedale, dove la morte agisce imparzialmente tra tutti i malati, così come la falce recide e pareggia le erbe del campo. Il poeta ha visto tanti funerali, che sono anche processioni nelle quali muoiono gli Ideali che aspiravano a raggiungere le più belle fortune della vita. Purtroppo al calare della sera i nuovi giovani morti sono riposti dentro le bare, circondate dal calore dei ceri che bruciano tutt’intorno. Ma gli ultimi versi della poesia sono riservati a sé stesso, alla propria vita, per la quale tutto è vano: piangere è vano, sospirare è vano, parlare è vano.
Il messaggio della poesia.
Il messaggio della poesia è, certamente, un messaggio di dolore e di tristezza, dovuti alla morte incombente ed ineluttabile. Ora secondo me, Biagio Carrubba, è innegabile che il messaggio della poesia è di pura desolazione, ma è anche vero che sono diversi i luoghi dove il poeta apre il cuore alla speranza e alla vita. Credo, dunque, che non bisogna sottovalutare questi passi positivi e di augurio, come questi: “un cielo aperto, buono come un occhio/ di madre che rincuora e benedice” (vv. 13 – 14) o come questi versi: “lungo, Speranza! la tua dolce via!” (v. 42), benché il finale sia proprio pieno di disperazione, tanto da assomigliare al Leopardi, se non addirittura superarlo in una visione triste e sconsolata della vita.
La tesi della poesia.
La tesi della poesia è chiara: la morte incombe sulla vita degli uomini. I malati, a maggior ragione, soffrono ancor di più la presenza della Morte perché la vivono giorno dopo giorno dentro la loro anima e dentro il loro corpo. I malati vivono in ambienti, squallidi, freddi, tristi, privi di quel calore umano che costituisce l’essenza della vita sana e dove si perde continuamente ogni speranza di vita. Ogni malato, però, conserva fino alla fine la speranza di guarire e di ritornare a godere della vita, ma questa speranza è solo un’utopia, è solo una chimera, perché la Morte ghermisce i malati inesorabilmente ed imparzialmente. Dunque la malattia rende tutto vano, perfino la vita.
Il contesto sociale, culturale, filosofico e letterario della poesia.
Il contesto sociale della poesia è quello dell’Italia giolittiana del 1900-1904. È dunque quello di una Italia in pieno sviluppo economico, sociale e politico, ma anche ricca di contrasti sociali. Ma dalla poesia tutto questo non si evince, perché la poesia è ripiegata essenzialmente sul dolore del poeta che già sente e prevede la sua morte. Questo forte sentimento pessimistico e doloroso spinge il poeta a seguire e ad ascoltare il suo dramma interiore dovuto alla sua malattia e a dare più spazio al suo eterno dolore, che è poi uguale a quello di qualsiasi uomo dinanzi alla morte. È un dolore cupo, profondo, triste, disperato, tragico, dal quale non se ne esce se non attraverso la speranza verso qualcosa di salvifico. I riferimenti letterari dell’intera opera sono molti: dai poeti greci Mimnermo ad Anacreonte, da Catullo a Petronio, dal Leopardi al Pascoli, dai poeti francesi a d’Annunzio; ma Sergio Corazzini riesce a ricompattare tutti i frammenti di questi autori in una nuova versione unitaria, compatta dando una nuova visione al motivo del dolore eterno, tanto che la sua poesia, e Toblack in particolare, risulta una bella lirica, piena di suggestioni formali e stilistiche, tanto è grande il pathos e la disperazione che il giovane poeta Corazzini ha saputo infondere nelle sue poesie e riesce a trasmetterci ancora oggi.
Analisi della Forma.
Il genere della poesia.
Il genere della poesia è il genere lirico, perché la poesia esprime i sentimenti più profondi ed autentici del poeta.
La metrica della poesia.
La poesia è composta da quattro strofe, di cui la prima ha forma continuativa con rime libere, mentre le altre hanno forma regolare con rima: A, B, B, A nelle quartine e C, D, E, C, D, E, con qualche irregolarità, nelle terzine.
Le figure retoriche della poesia.
Le figure retoriche della poesia sono molte: lo stile nominale, l’accumulazione, l’enumerazione, l’inversione, l’anafora, l’enjambement, l’iperbato e il climax.
Il tono emotivo della poesia.
Il tono emotivo della poesia ne riflette il contenuto drammatico. Essa è pervasa da un tono malinconico e triste.
La lexis della poesia.
Il ricco uso di molte figure retoriche e l’irregolarità della rima della poesia creano una raffinata e suggestiva lexis, originale e personale che rendono la lirica bella e poetica. La lexis ha poi il privilegio di essere composta con sintagmi davvero creativi ed inconsueti come la prima enumerazione della prima strofa e la seconda accumulazione nominale della seconda strofa. Questi sintagmi imprevisti rendono assai bene la psicologia del poeta e il suo stato d’animo conferendo alla poesia lo struggente tono drammatico e il profondo dolore del poeta.
Il linguaggio poetico della poesia.
Le figure retoriche, i sintagmi creativi, le parole rare, lo stile nominale creano un linguaggio poetico molto bello e personale. Si può dire che il linguaggio poetico di Corazzini apra la strada alla poesia moderna di questo secolo, dopo la grande messe di stile aulico e magniloquente di d’Annunzio. Il linguaggio poetico di Corazzini in questa poesia è piano e chiaro, raffinato e ricercato e crea un’atmosfera poetica nuova e leggera, benché intrisa di un contenuto drammatico e tragico.
La Weltanschauung del poeta.
La Weltanschauung è quella di un giovane poeta ben consapevole della sua breve e tragica vita. La descrizione della città desolata e malinconica, come il suo “sole malinconico” è la diretta percezione della sua realtà interiore, triste e desolata. La poesia esprime la visione di vita del poeta in modo diretto e chiaro senza sotterfugi ed illusioni; egli accetta il triste destino, quasi con impassibile distacco, e riesce ad essere quasi indifferente verso la precarietà della sua esistenza. Nelle lettere di quell’anno ai suoi amici il poeta parla del pensiero della morte e certamente non è indifferente ad essa, ma egli nella poesia sa distaccarsi dal suo dolore personale e sa parlare del dolore eterno in modo universale e trasversale agli uomini. Un dolore tanto più cupo, tragico ed irrazionale perché colpisce un giovane poeta al fiorire della sua vita.
Aspetti estetici della poesia.
Gli aspetti estetici della poesia sono vari. Il primo aspetto è dato dal suo linguaggio poetico e lirico, uniformemente distribuito in tutta la poesia. Il secondo aspetto estetico della poesia è dato dal vario uso di molte figure retoriche e dalla indiscutibile bravura a saper usare gli aggettivi in modo creativo e diverso nei vari sintagmi come nell’ultima terzina, quando riesce a usare l’aggettivo vano in tre modi diversi: “Anima, vano è questo lacrimare, / vani i sospiri, vane le parole/ su quanto ancora in te viveva ieri” (vv 54 – 56). Il terzo aspetto estetico della poesia è dato dal tono sommesso e malinconico dello stato d’animo del poeta. Il quarto aspetto è dato dalla lexis, cioè dallo stile poetico della poesia costruita di sintagmi creativi e da espressioni poetiche rare ed efficaci. Il quinto aspetto estetico della poesia è dato dalla capacità del poeta di sapersi distaccare dal suo acuto dolore e dalla sua capacità di saperlo trasformare in un dolore universale, uguale in tutti gli uomini che si trovano davanti alla morte. Un ultimo aspetto di bellezza è data dalla capacità del poeta di saper descrivere l’aria della città di Toblack, un’aria declinante e malinconica vista e descritta in un pomeriggio crepuscolare che precede la notte, come la vita moribonda dei malati precede la morte.
Commento e valutazioni personali sulla poesia.
Io, Biagio Carrubba, trovo questa poesia molto bella per vari motivi: primo perché mi desta molteplici sensazioni positive e piacevoli; secondo perché mi emoziona; terzo perché trovo che ha un bel linguaggio poetico e lirico, quarto perché la trovo talmente bella che mi fa dimenticare il fatto che parli di sentimenti tristi e dolorosi. Un’ultima riflessione che mi fa nascere la poesia è: capisco che la Natura (o Dio) non è con tutti buona e generosa, ma può essere cattiva e perfida come lo è con tutti coloro che soffrono per motivi di salute o fisici, come gli handicappati e i malati, per i quali la vita può essere (o è) un lungo tormento, per cui risulta vero ciò che affermava il Latino Decimo Laberio, quando diceva: “La vita è breve per i felici e lunga per gli infelici”.
Analisi del contenuto della poesia “Desolazione del povero poeta sentimentale”.
Introduzione alla poesia “Desolazione del povero poeta sentimentale”.
Questa poesia è la prima della quarta raccolta poetica di Sergio Corazzini pubblicata nel luglio del 1906 dal titolo “Piccolo libro inutile” contenente anche dieci liriche di Alberto Tarchiani.
L’ottava e ultima poesia è “Dopo” che conferma e consolida la svolta culturale, spirituale e definitiva della poetica di Corazzini. La prima raccolta poetica del 1904, “Dolcezze”, è costituita da varie poesie, diverse per temi e per forma. La seconda raccolta, “L’amaro Calice”, del 1905 è, secondo me, Biagio Carrubba, la raccolta poetica più riuscita e più bella dell’intera produzione di Corazzini, sia perché contiene molte belle liriche come “Invito”, “Rime del cuore morto”, “Toblack” ed altre, sia perché esprime ancora uno spirito personale non del tutto tragico, ma anzi ne esprime uno positivo, concreto e realistico. La terza raccolta poetica, “Le aureole” del luglio 1905, rappresenta uno spartiacque tra la prima e l’ultima produzione poetica che inizia con la quarta raccolta poetica “Piccolo libro inutile” dove domina uno spirito tragico, religioso, pessimistico e quasi mistico. Il componimento poetico “Elegia” è una composizione poetica a parte e la quinta raccolta poetica “Libro per la sera della domenica” contiene soprattutto motivi crepuscolari. Le ultime due poesie di Corazzini sono la lirica “Il sentiero” e la bellissima “La morte di Tantalo”, dominata da uno spirito simbolista e favolista e da un linguaggio simbolico.
Testo della poesia “Desolazione del povero poeta sentimentale”.
I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tramare d’amore e d’angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente,
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
V
Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per essere detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.
Parafrasi della poesia.
I
Perché tu mi dici che io sono un poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Io non ho che le lacrime da offrire al Silenzio (DIO).
Perché tu mi dici che io sono un poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
così semplici, che se io dovessi dirle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco (di vivere);
solamente perché i grandi angeli
sulle pareti delle cattedrali
mi fanno tremare d’amore e d’angoscia;
solamente perché io sono ormai
rassegnato come uno specchio malinconico,
come chi tutto vede e riflette
senza partecipazione e appropriazione.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
IV
Oh (anima), non meravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi (nulla);
io non saprei dirti che parole così vane
che mi verrebbe di piangere come chi sta per morire.
(Anima non guardarmi); vedresti
le mie lacrime scendere
lungo le guance, a una a una,
simili ai singoli grani di un rosario triste
davanti alla mia anima
sette volte sofferente;
vederesti che io non sono un poeta
e sono semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
al quale capita di pregare,
così come si canta e come si dorme.
V
Io vivo di silenzio, quotidianamente, come vivo di Gesù.
E conosco i dolori della vita,
senza i quali io non avrei cercato e trovato Dio,
e che sono la strada naturale e necessaria che porta a Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
mi sembrò di essere dimenticato da tutti gli uomini,
mi sembrò di essere una povera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
e desiderai di essere picchiato,
e desiderai di essere costretto a digiunare,
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo buio.
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Io vidi molte passioni morire, a poco a poco,
per ogni ideale che si perdeva!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono veramente malato!
E muoio un poco ogni giorno.
Vedi che io non sono un poeta:
io so che per essere detto poeta
è necessario vivere una vita ben diversa!
Io non so fare altro, mio Dio, che morire.
Amen.
Il tema della poesia.
Il tema centrale della poesia è la ricerca e il ritrovamento di Dio, benché ciò si evince a metà della lirica e in pochi versi. Dio è, per Corazzini, la soluzione salvifica ai suoi dolori e alla sua vita. Dio è la soluzione a tutti i suoi pensieri di morte, perché ciò che più conta per Corazzini è proprio il sentire di aver trovato Dio. Il poeta, riprendendo temi poetici dei poeti simbolisti a lui più cari e noti, e alcuni spunti del suo amico Corrado Govoni, descrive i suoi sentimenti in maniera diretta ed immediata, lasciandosi trasportare da suggestioni oniriche e da sentimenti inconsci, cadendo anche in un vittimismo un po’ di maniera, ma efficace nel riscrivere il suo dramma esistenziale sia come giovane sia come poeta. All’alba del XX secolo, quando in Europa si diffondevano le prime conoscenze della psicoanalisi di Sigmund Freud, Sergio Corazzini aveva imboccato nuove vie per la poesia italiana, scrivendo su temi e immagini interiori ed inconsce, e sceglieva il verso libero liberandosi sia dalla poesia dominante della tradizione aulica che dalla poesia ufficiale e dominante di Gabriele d’Annunzio. Dunque Corazzini esprime tutto il suo dolore a Dio, e per il poeta ciò che più conta è essere fanciullo più che poeta perché Dio salverà i piccoli e dolci fanciulli più che i grandi poeti che vivono ben altra vita. Dio giudicherà gli uomini e non le loro professioni. Questo motivo di fondo, autobiografico, esistenziale, metafisico e quasi mistico della poesia si eleva come soluzione di un terribile problema di cui il poeta elenca i termini lungo lo sviluppo della poesia, intrecciandoli e riprendendoli dall’inizio fino alla fine e dove ribadisce l’incipit e cioè che lui non è un poeta, ma un piccolo fanciullo che piange. Il poeta risponde al suo alter ego cioè alla sua anima e al suo io ideale, pieno di speranze e di illusioni. Il suo io reale e concreto risponde che le sue tristezze sono tristezze comuni e le sue gioie molti semplici. Ma ciò che più lo tormenta è il pensiero della morte che lui vede rappresentata dalle immagini degli angeli disegnati sulle pareti delle cattedrali; figure che lo fanno tremare d’amore e d’angoscia e che lo mettono in comunicazione con Dio. Rivolgendosi alla sua anima, il Poeta le dice che non deve meravigliarsi della sua tristezza, delle sue parole e delle sue lacrime, che gli danno l’aria affranta e piena di desolazione di un povero poeta sentimentale, perché lui è solamente un dolce e pensieroso fanciullo a cui capita di pregare così come canta e dorme. A questo punto si ha la confessione più sincera del poeta: lui ha trovato Dio, perché ha capito che tramite i dolori della sua malattia, lo ha dapprima cercato e poi trovato. (Si presuppone, quindi, che il poeta abbia attraversato un periodo di dubbi e di incredulità su Dio e che ora lo abbia superato ritrovando la fede). Il poeta a questo punto regredisce ad uno stadio anteriore con immagini simboliche e con pensieri onirici tratti dai sogni. Cade in un vittimismo puerile. Il poeta prosegue ora con un colpo di ala e, dando al suo pensiero un movimento di zig zag, creativo e liberatorio, esce fuori da sé stesso e include nel suo eterno dolore anche le cose. Esse muoiono a poco a poco così come le passioni, (e questa consapevolezza della transitorietà della vita e del dolore lo rende più leggero e più razionale).
Ma il poeta sa che la sua anima non lo capisce e gli sorride quasi per consolarlo dalla sua malattia. E qui Corazzini passa al finale della poesia per confermare alla sua anima che lui è veramente malato e che muore un poco ogni giorno come le cose. Dunque lui non è un grande poeta, un grande vate, che non muore mai, ma lui è semplicemente un piccolo fanciullo che sa soltanto di morire. Amen.
Sintesi della poesia: inizio, sviluppo e conclusione.
Questa bella poesia di Corazzini inizia con un tema ripreso dai poeti simbolisti francesi e cioè il sentirsi poeta; ma Corazzini aggiunge a questa tema anche la poetica del “fanciullino” di Pascoli, riscrivendo la sua poesia con un spirito tutto nuovo e immettendo in essa un afflato religioso e quasi mistico, trasformando la poesia in una preghiera salmodiante, lenta e molto triste. La prima strofa inizia con la domanda retorica alla sua anima: “Perché tu (anima) mi chiami poeta? Io non sono che un piccolo fanciullo che piange”. Nella seconda strofa il poeta esprime la tristezza del suo stato d’animo e ricorda che le sue gioie furono semplici, e ciò che più conta è la sua volontà di morire. Nella terza strofa il poeta spiega perché vuole morire: è stanco di soffrire, ha visto i grandi angeli sulle pareti delle cattedrali che lo fanno tremare d’amore e d’angoscia e ormai si sente rassegnato e inerte come un povero specchio malinconico. Nella quarta strofa il poeta descrive alla sua anima la fenomenologia del suo dolore: se lo sentisse non avrebbe che parole vane, se lo guardasse avrebbe soltanto lacrime che scenderebbero nelle sue guance ad una ad un pieno di dolore, come si sgrana un rosario pieno di tristezza. Nella quinta strofa il poeta dice che lui ha comunicato Dio tramite il dolore e i sacerdoti del silenzio. Nella sesta strofa il poeta cade vittima del suo dolore e si rifugia in una descrizione desolata della sua vita attuale: ha sognato di essere un piccolo e dolce fanciullo, dimenticato dagli uomini, preda del primo venuto, e ha desiderato di essere venduto, di essere battuto per rifugiarsi in un angolo oscuro e sentirsi disperatamente triste e piangere tutto solo. Nella settima strofa il poeta si guarda attorno e vede la vita semplice delle cose, ma egli sa che le cose muoiono a poco a poco, sa che le passioni appassicono come le foglie di un fiore e cadono a terra ad una ad una. Nell’ottava strofa il poeta trae la conclusione della poesia dicendo che come le cose muoiono giorno dopo giorno, così muore lui, e per questo non può essere definito poeta, perché i grandi poeti vivono ben altra vita (immortale ed inimitabile come d’Annunzio) e quindi non muoiono mai, e lui, invece, non sa fare altro che morire. Amen.
Il messaggio della poesia.
Io, Biagio Carrubba, credo, che Corazzini non perda la fiducia nella poesia fino alla sua morte; dopo la malattia, ciò che cambia nel poeta è il diverso rapporto con la vita: egli si sente un dolce e pensoso fanciullo che prega, confortato dall’aver cercato, e trovato, Dio.
La tesi della poesia.
La tesi della poesia è quella fenomenologica, cioè la descrizione diretta del dolore del poeta che si sente morire e vede la sua anima triste e desolata. Egli può offrire a Dio solo le sue lacrime; le sue tristezze sono comuni; ha solo voglia di morire; è stanco di soffrire ed è rassegnato come un povero specchio melanconico. Le sue lacrime sono come grani di un rosario triste davanti alla sua anima sette volte dolente. Durante la notte sogna di essere un piccolo e dolce fanciullo dimenticato da tutti e desidera di essere picchiato e di poter piangere tutto solo in un angolo buio. Ama la vita semplice delle cose, ma sa esse moriranno giorno dopo giorno, come lui sta morendo lentamente. Corazzini è davvero malato e ciò non gli consente di sentirsi poeta, perché per essere definito poeta ci vuole ben altra vita e invece lui sa solo morire. Amen.
Contesto sociale, culturale, filosofico e letterario della poesia.
La raccolta poetica “Piccolo libro inutile” fu pubblicata nel 1906 in un Italia giolittiana piena di contrasti sociali, ma avviata ad un forte sviluppo economico e sociale. Il clima culturale dell’Italia di quel periodo è dominato dalla triade, così Marino Moretti chiamava la triade Carducci – Pascoli – d’Annunzio. Ma Corazzini attinge molto ai poeti francesi: Jammes, Samain, Guérin, Maeterlink, Rodennbach, Laforgue, poeti che, importati dal d’Annunzio medesimo, spopoleranno tra i crepuscolari.
Analisi della forma.
Il genere della poesia.
Il genere della poesia è il genere lirico, perché il poeta esprime i suoi sentimenti in modo diretto ed immediato, mediati però dalla compostezza e raffinatezza della forma poetica e linguistica.
La metrica della poesia.
La poesia è composta da otto strofe di varia lunghezza per un totale di 55 versi liberi.
Le figure retoriche della poesia.
Le figure retoriche hanno una grande importanza in questa poesia, perché proprio dalla domanda retorica iniziale della poesia dipende la comprensione della poesia stessa perché il poeta sa già che lui è un vero poeta e il confronto con d’Annunzio è solo un pretesto per dare l’incipit alla poesia. E la bellezza della poesia conferma il genio poetico di Corazzini. Le altre figure retoriche sono: la personificazione del Silenzio, l’anafora, la similitudine, la metafora, come nella V strofa: “Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. / E i sacerdoti del silenzio sono i romori, / poi che senza di essi io non avrei cerato e trovato il Dio.”
Il tono emotivo della poesia.
Il tono emotivo della poesia è un tono mesto e triste, dovuto alla consapevolezza del poeta del suo tragico destino e alla sua morte prematura, come già lui aveva scritto in una lettera del 21 agosto 1905 ad Antonello Caprino. Ora io credo che questo tono melanconico sia dovuto sia a questi motivi esistenziali sia a motivi inconsci. Il poeta subisce una regressione a livello infantile e sogna uno stato di assoluta sincerità e debolezza sia fisica che psichica.
La lexis della poesia.
La lexis della poesia è molto bella, perché è fatta da un periodare breve e semplice, ma nuovo, personale e creativo. La lexis della poesia esprime anche la semplicità della sua anima, triste e sconsolata, ma esprime anche la complessità della sua personalità espressa da un periodare fatto a zigzag, cioè un modo di pensare tortuoso, ma divergente. Di fatti tutta la poesia procede con colpi d’ala inaspettati ed improvvisi che danno alla poesia una lexis chiara e forte, ma sostenuta da una rapida e precisa analisi della sua forma per lanciare il messaggio della propria condizione esistenziale di desolazione di un povero poeta sentimentale.
Il linguaggio poetico della poesia.
Il linguaggio poetico della poesia è fatto da parole della vita comune, quasi familiare e colloquiale e da una sintassi molto semplice costruita da brevi principali e qualche subordinata.
Io, Biagio Carrubba, credo che la bellezza della poesia derivi proprio da questi accostamenti imprevisti e divergenti che danno alla poesia un linguaggio alto, raffinato, aulico e suggestivo e che fanno provare nell’anima del lettore una miriade di sensazioni pure, soavi e tristi. Questo dolce e suggestivo linguaggio poetico, fatto da una triste e monotona cadenza e dal ritmo salmodiante, evoca nell’animo del lettore uno struggente dolore e uno stato emotivo malinconico, pieno di sottili sfumature emotive che sanno far vibrare l’anima in modo intenso e meraviglioso. Ma ciò che più conta nella poesia è la raffinata eleganza della costruzione diretta delle frasi che danno alla poesia l’aria di una chiesa che presenta, all’esterno, una semplice e scarna facciata, ma, all’interno, una ricca e complessa composizione floreale e monili d’oro.
Aspetti estetici della poesia.
La poesia, pur insistendo sul tema monotematico della morte, (il poeta vi ritorna ben sei volte apertamente), sprigiona una bellezza poetica davvero eccezionale e feerica. La bellezza della poesia nasce dal contrasto tra la sua vita fatta di umili e semplici emozioni e la vita di altri poeti fatta da grandi e gloriosi sentimenti. Ma io credo che ciò sia solo il pretesto per dare l’incipit alla poesia, mentre la poesia esprime soprattutto la forza e la volontà di non farsi vincere dalla morte in modo così netto e facile e allora il poeta ricorre al pensiero più universale che possa esistere nell’umanità intera: il pensiero salvifico di DIO. Questo pensiero salvifico di Dio è ben espresso tramite immagini originali e rare come: “solamente perché i grandi angioli/ su le cattedrali/ mi fanno tremare d’amore e d’angoscia;/ solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, / come un povero specchio melanconico…. Oppure questa bella altra immagine “Questa notte ho dormito con le mani in croce. /Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo/ dimenticato da tutti gli umani, / povera tenera preda del primo venuto;/ e desiderai di essere venduto, / di essere battuto, di essere costretto a digiunare/ per potermi mettere a piangere tutto solo/ disperatamente triste, / in un angolo oscuro.”
Queste belle ed originali immagini unite a poche, ma creative figure retoriche, conferiscono alla poesia una grande bellezza, fatta di suggestioni linguistiche e di emozioni profonde, tanto da far vibrare di dolce malinconia l’anima dei lettori. L’ultima strofa è veramente bella: incomincia con una frase esclamativa dal tono dimesso e sconsolato tra lo sbigottimento e lo stupore inesorabile dettato dal suo stato emotivo e fisico a causa della malattia che lo fa morire un poco ogni giorno e finisce con la consapevolezza di non essere un vate, ma un semplice poeta, il quale non pensa che a morire; il finale della poesia, con quel “Amen”, dà alla poesia un tocco di preghiera salmodiante che la fa unica nel panorama della letteratura italiana.
Commento e mie valutazioni personali sulla poesia.
Io, Biagio Carrubba, amo molto questa poesia perché essa esprime molte mie sensazioni, emozioni e pensieri che vivono dentro di me ogni giorno: mi sento anch’io un “piccolo fanciullo che piange”; anch’io “non ho che lagrime da offrire a Dio”; anche “le mie tristezze sono povere tristezze comuni”, mentre le mie gioie sono da poco tempo semplici e forti. Io non voglio morire, come dice il poeta, ma cerco e ho trovato Dio come dice e ha fatto il poeta. Io non mi sento un piccolo fanciullo inerme ed indifeso, bensì un modesto poeta che vive cento anni dopo Sergio Corazzini all’inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio, oscuro e chiaro allo stesso tempo, mentre per Corazzini il nuovo secolo si aprì con buoni auspici ma finì ben presto nella tragedia della morte. Io trovo questa poesia molto bella sia per il suo linguaggio poetico sia per le sue belle immagini originali e creative. Penso che la poesia sia ricca di un fascino particolare dovuto al tono disperante e disperato dettato dall’animo sconsolato e desolato del poeta. Io trovo la poesia piena di magia perché mi suscita mille emozioni diverse e contrastanti: dalla consapevolezza della brevità della vita alla piacevolezza di essa, dalla leggiadria del tono sommesso e soave al distacco che bisogna saper tenere verso le cose e le passioni umane. Dunque reputo questa poesia molto bella perché è un atto di preghiera verso quel Dio, che tutto può e vuole; reputo questa poesia molto bella perché è una preghiera che certamente ha aiutato la povera anima di Sergio Corazzini ad andare presso quel Dio che lui ha cercato e trovato.
La morte di Tantalo.
La morte di Tantalo è la lirica che ha affascinato di più i critici per il suo spiccato simbolismo, spingendoli alle più varie interpretazioni.
(Idolina Landolfi da Sergio Corazzini – Poesie – Bur Editore).
Testo della poesia
Noi sedemmo sull’orlo
della fontana nella vigna d’oro.
Sedemmo lacrimosi in silenzio.
Le palpebre della mia dolce amica
si gonfiavano dietro le lagrime
come due vele
dietro una leggera brezza marina.
Il nostro dolore non era dolore d’amore
né dolore di nostalgia
né dolore carnale.
Noi morivamo tutti i giorni
cercando una causa divina
il mio dolce bene ed io.
Ma quel giorno già vania
e la causa della nostra morte
non era stata rinvenuta.
E calò la sera su la vigna d’oro
e tanto essa era oscura
che alle nostre anime apparve
una nevicata di stelle.
Assaporammo tutta la notte
i meravigliosi grappoli.
Bevemmo l’acqua d’oro,
e l’alba ci trovò seduti
sull’orlo della fontana
nella vigna non più d’oro.
O dolce mio amore,
confessa al viandante
che non abbiamo saputo morire
negandoci il frutto saporoso
e l’acqua d’oro, come la luna.
E aggiungi che non morremo più
e che andremo per la vita
errando per sempre.
Parafrasi della poesia.
Noi arrivammo e sedemmo sull’orlo
della fontana nella vigna d’oro.
Sedemmo in silenzio con le lagrime agli occhi.
Le palpebre della mia dolce amica
si gonfiavano dietro le lagrime
come due vele si gonfiano
dietro una leggera brezza marina.
Il nostro dolore non era dolore d’amore
né era dolore di rimpianto
né era dolore di passione materiale.
Noi, il mio bene ed io, morivamo ogni giorno
cercando una causa divina.
Ma quel giorno già finiva
e la causa della nostra morte
non era stata trovata.
E la sera scese sulla vigna d’oro
e tanto essa era scura
che una nevicata di stelle
apparve ai nostri occhi.
Mangiammo per tutta la notte
i dolcissimi grappoli.
Bevemmo l’acqua chiara,
e l’alba ci trovò seduti
sull’orlo della fontana
nella vigna non più d’oro.
O dolce mio amore,
dì al passeggero,
che non abbiamo saputo morire,
(perché abbiamo mangiato i grappoli d’uva)
mentre da ora ci negheremo
il grappolo saporoso e l’acqua chiara.
E aggiungi di dire al passeggero
che non morremo più
e che andremo verso la vita (beata)
girando per l’eternità.
Il tema della poesia.
Il tema della poesia è quello particolare della reverie, cioè del sogno (abbandono fantastico) che preannuncia la vita eterna. La poesia percorre, in modo onirico e in modo intuitivo, il percorso che va dalla fine della vita alla morte. Corazzini descrive questo percorso sintetizzando e unendo due miti: il mito di Adamo ed Eva e il mito di Tantalo. Corazzini non nomina i due miti ma costruisce su di essi l’ultima sua poesia dandogli una caratterizzazione mitica e favolistica. Il poeta immagina di arrivare nel luogo della partenza per la morte: esso è una vigna d’oro dove c’è una fontana con l’acqua chiara e splendente. Il poeta vi arriva insieme al suo bene più prezioso: la sua donna amata che potrebbe essere sia la sua anima, sia la sua poesia. Dunque il poeta e la sua donna amata giungono nel paradiso terrestre in una vigna color giallo dovuto all’uva bionda e gialla e all’acqua chiara della fontana. Si siedono sull’orlo della fontana e hanno gli occhi gonfi di lagrime, come due vele che si gonfiano della brezza marina. Il poeta dice che il loro dolore non è dolore né d’amore né di rimpianto, né di passione. Essi cercano di dare alla loro morte una causa divina. Ma il giorno finisce e loro non riescono a trovare il motivo della loro morte. La sera scese sulla vigna d’oro e oscurò tutto, tanto che essi videro uno scintillio di stelle. Allora mangiarono i grappoli d’uva e bevvero l’acqua chiara della fontana e il giorno seguente si trovarono seduti sull’orlo della stessa. A questo punto il poeta riconosce lo sbaglio di aver mangiato i grappoli d’uva, il che li riporta sulla terra. Capisce che la vera strada è quella di abbandonare la vita terrena e guardare alla vita beata, per cui il poeta invita la sua amica a dire ai passeggeri che loro non hanno saputo morire poiché hanno mangiato il frutto proibito e che quindi è necessario rinunciare ai beni materiali e terreni. Il poeta capisce allora, che per vivere l’eternità, da allora in poi dovranno negarsi i grappoli d’uva e l’acqua della fontana, lucente come la luna. Il poeta dice al suo amore che comportandosi così non moriranno mai, che avranno la vita beata e che gireranno per l’eternità. Corazzini sintetizza con questa ultima poesia il senso favolistico e fantastico della sua breve vita terrena e lo fa contrapponendosi ai miti della Bibbia e al mito di Tantalo. Mentre Adamo ed Eva non ubbidirono alla legge divina che gli imponeva di non mangiare la mela, quindi preferendo i beni terreni alla vita felice del paradiso terrestre, cosi anche Tantalo, sfidando gli Dèi, fu condannato nell’Ade a non poter né mangiare né bere benché immerso nell’acqua e con frutti che pendevano sul suo capo perché, a ogni suo tentativo, le acque si ritiravano e i frutti gli sfuggivano; così, invece non accadrà a Lui e alla sua dolce amica perché non mangiando i grappoli d’uva e non bevendo l’acqua d’oro della fontana essi hanno rinunciato ai beni terreni ma hanno ottenuto in cambio la vita eterna. Lo stesso tema è raccontato da Omero nell’Odissea, quando i compagni di Ulisse mangiano i buoi riservati al Dio Poseidone. Ulisse sa che quei buoi non devono essere mangiati perché glielo aveva detto Tiresia nell’Ade, ma per quanto lui abbia supplicato i suoi compagni di resistere alla fame, essi disobbediscono ai suoi ordini e mangiano i buoi provocando l’ira del Dio e quindi il naufragio della nave. Il genere della reverie è uguale alla poesia “Chiare, fresche e dolci acque” di Francesco Petrarca dove il poeta sogna di incontrare, sulla sua tomba, Laura che intercede con Dio per la propria salvezza. Inoltre si può dire che gli ultimi tre versi fanno il controcanto del girovagare in eterno di Paolo e Francesca nell’inferno, stupendamente delineati e resi immortali da Dante, mentre Corazzini prefigura il loro errare nel regno di Dio. Se tutti i contenuti culturali e poetici a cui fa riferimento Corazzini sono la materia poetica allora La Morte di Tantalo si può definire una poesia “una antipoesia” nel senso che essa, costruendo su di essi, crea una poesia che nuova e con un contenuto antitetico alle tesi delle opere precedenti. Anche il linguaggio della poesia La morte di Tantalo è un linguaggio che assume una sfumatura metafisica poiché rappresenta il messaggio visionario.
Il messaggio della poesia.
Il messaggio della poesia, scritta nel genere della reverie, è quello indicato dalla religione cristiana e cioè che per ottenere la vita beata è necessario rinunciare ai beni e ai piaceri terreni e carnali. Corazzini, nella poesia, sostiene che non si conosce mai la causa della morte e afferma che la morte non ha una causa divina, ma indica la strada della salvezza eterna dicendo che solo rinunciando ai piaceri terreni si può conquistare la vita beata e per ottenere ciò è necessario obbedire alle leggi dell’anima e non alle bramosie del corpo. Sbaglio che hanno fatto sia Adamo ed Eva che Tantalo. Corazzini, nell’imminenza della propria morte e in una visione metafisica della vita eterna, lancia il suo monito ai viventi, cioè quello di non attaccarsi ai piaceri carnali e ai beni terreni, ma di seguire la vita dell’anima. E Corazzini dice tutto questo non nominando mai né Dio né la Chiesa, ma lo dice soltanto col linguaggio poetico basato e costruito su simboli cristiani, come la vigna d’oro che è il simbolo del paradiso terrestre. Anche l’espressione “la vigna del Signore” sta ad indicare la Chiesa. Visione. (francese visionnaire) – Nell’esperienza religiosa, il percepire visivamente realtà soprannaturali. – Nella mistica cristiana e musulmana, stadio estremo della contemplazione, in cui al praticante si manifesta l’essenza stessa di Dio. – Rivelazione delle condizioni dell’altra vita, e descrizione delle cose vedute, sia essa in sogno, sia sensibilmente. – Percezione visiva di eventi, immagini, che, pur non essendo in sé reali, traggono origine della realtà, sono attinenti ad essa e possono divenire realtà. – Allucinazione, sogno, fantasia. Previsione. – (latino praevisus previsto da prevedere latino praevidere comp. Di prae “pre” e vedere “vedere”. Vedere in anticipo con la Mente). Effetto del prevedere. Visionario. Chi segue le visioni della propria fantasia o interpreta in modo personale e fantastico la realtà, elaborando con la mente piani, progetti, soluzioni totalmente irrealizzabili.
Il linguaggio della poesia.
Il linguaggio della poesia è piano e lineare, chiaro e personale. Contiene poche figure retoriche: due similitudini e qualche allitterazione. Ma la forza della poesia sta nel suo linguaggio che è basato su riferimenti ai miti greci ed è costruito come un linguaggio mitico e favolistico come nel verso in cui “la vigna non è più d’oro” in cui la vigna passa da oro a qualcosa altro cioè a un luogo aspro e arido. Il linguaggio fa riferimento al mito del paradiso terrestre di Adamo ed Eva come nel verso “il frutto saporoso” che richiama il frutto proibito del paradiso terreste della Bibbia. Si può definire il linguaggio della poesia un linguaggio metafisico o metalinguaggio, così come tutta la poesia, perché tutta costruita sopra i miti della Bibbia e della cultura mitologica greca e cosicché il linguaggio della poesia diventa un linguaggio lieve, simbolico, allegorico ed evanescente.
Il tono emotivo della poesia.
Il tono emotivo della poesia è, nella prima parte, di tristezza e di dolore perché esprime il dolore del poeta e della sua amica che non sanno dove si trovano e non sanno capire il motivo della loro morte. Nella parte centrale della poesia il poeta esprime lo stato dubbioso per il suo nuovo errore ed infine esprime la gioia per aver trovato la strada che conduce alla vita eterna.
La bellezza della poesia.
La bellezza della poesia nasce da diversi motivi. Il primo motivo è dovuto al genere unico della reverie: infatti “La morte di Tantalo” è una poesia visionaria, sognante; poi un altro motivo è quello della agnizione cioè del riconoscimento dell’errore fatto ancora una volta mangiando “i meravigliosi grappoli” e bevendo “l’acqua d’oro”. Cioè Corazzini ha visto nel suo visionarismo che non bisogna andare dietro i piaceri carnali ma seguire la vita divina. Il terzo motivo della bellezza della poesia deriva dal linguaggio poetico che richiama i miti della Bibbia e della mitologia greca e, infine, un altro motivo di bellezza della poesia nasce dal procedere delle idee espresse da Corazzini nella poesia. È un procedere a zigzag cioè un procedere che, con una serie di secchi cambiamenti di direzione, dà alla poesia una creatività inaspettata e fantastica.
Il mito di Tantalo.
Dalle sue nozze con Dione, una delle figlie Iadi, nacquero moltissimi figli, fra cui Pelope, Brotea, Niobe. Per le diverse colpe e offese agli dèi, come il furto di Gamete, il furto dell’ambrosia e del nettare per distribuirlo ai suoi sudditi, quello del cane d’oro custode di un tempio di Zeus, ma specialmente per l’uccisione del figlio Pelope, imbandito come cibo per gli dèi, fu condannato a subire il famoso supplizio: non poteva né mangiare né bere benché immerso nell’acqua e con frutti che pendevano sul suo capo perché, a ogni suo tentativo, le acque si ritiravano e i frutti gli sfuggivano.
Modica 04/ 01/ 2019 Prof. Biagio Carrubba
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