Un’analisi di una poesia postmoderna di Mario Luzi.
Dalla finestra di F. Flori.
I
Introduzione.
Se c’è un padre della poesia postmoderna costui è, secondo me, sicuramente, il grande, grandissimo poeta Mario Luzi. Dalla prima opera postmoderna “Frasi e incisi di un canto salutare” del 1990 fino all’ultima opera poetica “Dottrina dell’estremo principiante” pubblicata nel 2004 Mario Luzi ha continuato a scrivere poesie postmoderne cambiando totalmente la forma della poesia tradizionale. Infatti Mario Luzi ha introdotto nelle sue poesie alcune modifiche quali: le strofe, allungate e mobili, e i versi, a incastro e a gradini, che conferiscono la forma postmoderna alle sue poesie. Questa innovazione della forma fa diventare, secondo me, M. Luzi, il maestro e l’artefice della nuova poesia postmoderna, la quale assume una forma irregolare e allungata nelle strofe; e presenta dei versi ad incastro e frastagliati fra di loro, che assegnano ed elargiscono alle poesie postmoderne di Luzi una leggerezza, una raffinatezza e una levità peculiare della creatività poetica di Luzi. Ecco come Stefano Verdino definisce la poesia postmoderna di M. Luzi: “Ed ecco negli ultimi libri le briciole, le ceneri, il marmo che vanno componendo le proprie prosopopee, oppure quelle tipiche poesie a vorticoso avvitamento, con il soggetto, per lo più un pronome, al centro o alla fine di un ductus, verbalmente scolpito tra incalzare, incisi e interrogativi. Un sublime, quindi, incavato, nell’ecce dell’epifania e nel mirabile equilibrio del suo irripetibile quanto fragile statuto: l’abbondante pro nominalismo evidenzia la molteplicità di questo trascolorare; la folta selva delle interrogazioni chiarisce la misura di soglia del testo, la sua remissione al suo dopo e oltre, al silenzio, che in Luzi vuol dire sempre fermento e non abolizione.” Da Mario Luzi. Autoritratto. Garzanti Editore. Pag. 412. Anche il critico letterario Giorgio Cavallini ha messo in rilievo la novità del linguaggio e della forma postmoderna di Luzi: “La scelta di un linguaggio, di cui si è fatto già cenno, contrassegnato da una grande mobilità e dinamismo, intensità e pregnanza, straordinaria ricchezza di registri espressivi, sapiente capacità di inventare o reinventare parole nuove o antiche e di disporre queste nei versi e i versi nelle pagine.” Da Mario Luzi. Cantore della luce. Cittadella Editrice 2003. Pagg. 137 – 138.
Io, Biagio Carrubba, come esempio di poesia postmoderna di Luzi ho scelto la seguente poesia
Dalla finestra di F. Flori
Tutto lì s’era compiuto
il tempo della prova
e quello dell’attesa,
lì era stata la celeste cova.
(Il cielo e la volta celeste osservati dalla finestra di F. Flori)
Non è un gioco del desiderio,
è vero
oro
di frumento
là nel celeste territorio;
non è solo memoria
o sogno
è vivo senso
quel barbaglio
di fiamma e di cobalto
lì presso
e più in lontananza,
purgatorio
forse della plaga,
per noi vaga
prefigurazione del promesso regno…
Ha un luogo suo,
Porfirio, ciascuna storia umana,
un tempo, un nido
da cui levarsi a volo,
se no precipitare.
Aveva lui però
al chiaro fuoco
d’armonia e pensiero
il tutto e il nulla angelicamente parificato.
Da Mario Luzi. Dottrina dell’estremo principiante. Garzanti Editore 2004. Pagg. 83 – 84.
Sintesi della poesia.
Il cielo, (simbolo di Dio), per noi non è soltanto “un gioco del desiderio” qualcosa di fantastico, di utopistico, o di irreale, ma è qualcosa di vivo, di concreto e di tangibile. Il cielo è vero come l’oro del frumento, ed ha i colori vivaci del rosso e del cobalto che sono, per noi, i colori sfolgoranti che (ci) prefigurano il regno promesso da Dio. O Flori, secondo te, ogni uomo ha la propria storia, ha il proprio luogo di nascita, la propria abitazione e ha la propria finestra da cui guardare il cielo, rosso cobalto. Affacciandosi dalla finestra, ognuno può immaginare di alzarsi in volo verso Dio o di precipitare in basso verso il peccato. Ma tu, F. Flori, hai già parificato e messo sullo stesso piano, angelicamente, l’essere (la vita) e il nulla (cioè la morte) tramite il chiaro fuoco dei tuoi pensieri che splendono e riflettono “al chiaro fuoco/ d’armonia e pensiero”.
Commento alla poesia.
Questa poesia, oltre ad essere un tipico esempio della poesia postmoderna di Luzi, mette in pratica la teoria della “vaghezza” del Leopardi; infatti Luzi usa un linguaggio poetico molto largo e indefinito, per esprimere i suoi sentimenti di speranza e quelli di don F. Flori. Ambedue, infatti, credono al regno di Dio e, attraverso l’osservazione del cielo rosso e cobalto, immaginano di entrare nel regno di Dio. La teoria del vago del Leopardi è data dalla descrizione aperta e libera dei due personaggi e dall’uso del linguaggio poetico, largo, indefinibile e aperto, cioè che non descrive i particolari in modo meticoloso e preciso, ma li osserva e li descrive, da lontano, per darci una vaghezza del posto e dei sentimenti dei due personaggi. In più la poesia di Luzi presenta la novità fondamentale e innovativa della forma postmoderna, e cioè esibisce le strofe mobili e allungate, e i versi, ad incastro, a gradini e frastagliati, come sono i fiordi norvegesi, che mostrano insenature strette e lunghe. Questa forma postmoderna dispiega, dispone e assegna alla poesia una nuova forma, mobile, articolata e allungata, attribuendo ad essa una forma più leggera, più lieve e più ariosa. Anche il contenuto della poesia è, particolarmente, costruito con concetti alti e metafisici come il finale dove F. Flori mette, nello stesso piano, l’Essere e il Nulla, la vita e la morte perché ambedue hanno la stessa importanza: si nasce per morire e si muore per rinascere nel regno di Dio. Al centro della vita ci sta, dunque, per Luzi la fede e la speranza in Dio. Ognuno può prendere il volo, con la fede verso Dio, o, incredulo, gettarsi in basso verso il cinismo. Sta a lui decidere cosa scegliere. Questa poesia esprime in forma poetica le idee e i concetti che Mario Luzi espresse in prosa nel libro Mario Luzi “Le nuove paure” Conversazione con Renzo Cassigoli. Passigli Editori, pag. 64. “Luzi. – Se uno ha la forza e sente il bisogno di progettare, cioè di immaginare qualcosa che non è ma che sarà, esprime una speranza. Penso che la speranza sia organicamente presente nell’uomo che vive. Senza speranza non si può vivere. È la dimensione dell’anima. In alcuni casi è più pronunciata, in altri meno. Se si colloca nel trascendente, il fine interiore ha una speranza più tenace, può resistere a qualsiasi disperazione.”
Modica 31/ 12/ 2018 Prof. Biagio Carrubba
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