Un bel componimento poetico di Mario Luzi per la ex moglie. Elena Monaci. Dall’opera poetica “Lasciami, non trattenermi”.

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I

Presentazione e introduzione del componimento poetico.

L’ultimo libro poetico, postmoderno e profetico, di Mario Luzi, pubblicato postumo nel 2009 (Garzanti editore) “Lasciami, non trattenermi” è pieno di belle poesie, sistemate e messe in successione una dopo l’altra, per un totale di 71 poesie. Esse trattano e sviluppano molte e varie tematiche senza soluzione di continuità. All’inizio del libro poetico c’è, però, un bellissimo componimento poetico che ha per titolo.

Infra-Parlata affabulatoria di un fedele all’infelicità.

Questo componimento poetico è differente da tutte le altre poesie perché è l’unico testo poetico che ha per tema e per svolgimento il rapporto familiare e amoroso fra lui e la sua ex moglie, Elena Monaci. La composizione del componimento è stata generata e sollecitata dalla visita di rito che il poeta fece durante le vacanze di Natale del 2002. Il titolo del componimento si riferisce, senz’altro, alla Parlata affabulatoria che Mario Luzi ebbe con la sua ex moglie. Il poeta si accorse subito delle penose condizioni fisiche e del pessimo stato di salute della sua ex moglie. Il poeta ritornò a casa e, tutto sconvolto, agitato e preoccupato per la triste condizione dell’ex moglie, scrisse, con impeto e con veemenza, in 25 giorni, il seguente componimento poetico, scritto fra dicembre e gennaio 2003. Ecco le riflessioni che il poeta pensava e rimuginava, durante il ritorno dalla casa abbandonata a casa sua: “Com’è penoso questa volta/e faticoso il cammino verso casa” (VV.151-152).Questi fatti ed altri particolari sono indispensabili per capire la genesi del componimento così come sono rivelati dal suo grande biografo e amico Stefano Verdino nella PREMESSA dell’opera poetica. Il biografo così ci illustra e ci documenta, a pagina 6, sulla visita del poeta alla sua ex moglie. Ecco il bellissimo resoconto del biografo che io, B. C., riporto volentieri per la sua chiarezza e sincerità: “Nei primi giorni di gennaio del 2003, in una delle mie periodiche visite, Luzi mi fece leggere in stesura autografa, in una delle sue agende, un’ampia poesia intima e autobiografica, dedicata alla moglie Elena Monaci e alle sue penose condizioni di salute, da poco drammaticamente risaltate durante la visita “di rito” per il Natale 2002. Mi sembrò bellissimo, ma Luzi non aveva intenzione di pubblicarlo: “Vedrà Gianni”, alludendo commosso a una situazione postuma e di decisione familiare.” Io, B. C., penso e suppongo che questo importante e bellissimo chiarimento di Stefano Verdino sia necessario per capire ed entrare dentro il testo poetico e carpirne tutta la drammaticità e tutto il dolore del poeta, ma anche per comprendere, beneficiare e gaudiare di tutta la bellezza dell’opera poetica, postmoderna e profetica. Il poeta esprime, in prima persona, tutto il suo dolore e il suo rimpianto per la separazione con la sua ex moglie che procurò una grave trafittura (V. 176) sia dentro l’animo del poeta, sia nella vita della moglie. Il poeta narra, per l’appunto, come questa separazione cambiò la vita dei due coniugi; ognuno dei quali reagì, a modo suo; la moglie reagì, afferma il poeta, con anni d’agonia (V. 15). Il poeta, invece, ebbe una nuova e bella prospettiva per il futuro, come afferma in questi versi: “Sì le splendide altre vie che ti fu dato percorrere (se non ci fosse stata la separazione) / non si sarebbero aperte/ma l’origine della pena è quello/e brucia e cuoce” (VV. 180-184). La lunga confessione del componimento poetico non chiarisce e né rivela i motivi della loro separazione; ne fa solo cenno e quindi non sappiamo quali furono le vere cause della loro separazione. Sappiamo solo che i due si separarono per motivi gravi e incompatibili, come attestano i seguenti versi: “Allora si affrontarono con spavalderia crudele/le nostre proprie vite, si riconobbero contrarie/sciogliendosi dal loro/groviglio dolcemente serpentino” (VV. 18-20). Tutto ciò non conta; ciò che conta è stabilire se il componimento è un componimento poetico o è soltanto uno sfogo personale e intimo del poeta, sconvolto per le pietose condizioni della moglie. Io, B. C., condivido, ovviamente e pienamente, il giudizio di Stefano Verdino: “Mi sembrò bellissimo”; anzi, aggiungo, che, per me, questo componimento poetico è molto bello e straordinario perché autenticamente personale e perché contiene, illustra e narra tutto lo struggimento interiore del poeta, fra sé e sé, e lo svolgimento interno fra i due coniugi dal momento della separazione dei due fino alla visita del poeta alla moglie nel dicembre 2002. Ecco come il poeta racconta il suo dramma interiore “No, non voglio riviverlo da solo/quel tempo, voglio sia con me/presente, anche il suo dolore…” (VV. 51-53). Il poeta esprime tutto il suo dolore psicofisico ma soprattutto esprime l’afflizione della sua anima e della sua esistenza, ripensando e rievocando la bellezza della giovane moglie e dell’unico figliolo: Gianni. Ecco i versi del ricordo di sua moglie: “Lei bella e giovane, il bambino nel fiore della crescita. C’era vita e desiderio/di vita in loro.” (VV. 56-58).

II

Luzi riesce ad esprimere, secondo me, il dolore e lo struggicuore della sua anima in modo autentico e razionalizzato, conferendo a questo dolore e alla poesia una forma, postmoderna e profetica, varia e variegata. Infatti il componimento è composto con delle strofe, allungate e mobili, ed esibisce versi a gradini e ad incastro che conferiscono a tutto il componimento una espressione e una forma poetica, postmoderna, originale e personale. Il componimento poetico è, sicuramente, un testo poetico per il semplice fatto che esso è composto con un linguaggio poetico, alto e raffinato, perché contiene molte figure retoriche, perché crea e dispiega molte belle immagini e perché tende alla trasfigurazione dei sentimenti, sia trascorsi e sia attuali, del poeta. Anche la punteggiatura riveste una certa importanza nel componimento poetico perché l’interpunzione è usata dal poeta con molta cura e con molta libertà. Non rispetta la sintassi, ma dà un tono allegro e brioso, divertente e quasi spavaldo, al testo poetico che grazie ad essa diventa più leggero e più leggiadro. Infine questo componimento è poetico perché nella sua conclusione riesce a trascendere il tema trattato e cioè – il rapporto amoroso e familiare con la sua ex moglie e la trasfigurazione dei sentimenti – che portano il poeta ad andare oltre sé stesso e a superare la sensibilità della propria realtà. Infatti, secondo me, il componimento poetico è talmente bello che trascina il lettore sopra la realtà sensibile e lo innalza fuori dalla sua esistenza sensibile e farlo entrare nella vita interiore, spirituale ed esistenziale di Mario Luzi. Insomma, io, B. C., reputo che M. Luzi ha composto, ancora una volta, un altro bellissimo capolavoro poetico perché tutto intriso di vero dolore, a cui il poeta ha saputo dare una forma postmoderna perfetta. Infatti il poeta è riuscito, secondo me, a far combaciare insieme il passato con il presente, a svegliare il dolore con la gioia, illuminare il buio con la luce, collimare la realtà con l’apparizione soprasensibile, onirica, quasi in trans, fino a ripensare e rivivere i turbamenti e gli sconvolgimenti del passato con le speranze e le preoccupazioni del presente. Il lungo componimento poetico è diviso in 6 parti di varia misura di versi e di varia lunghezza di strofe; per un totale di 222 versi.

Testo del componimento poetico. (Pagg. 13 – 20)

                                               Ritorno da una visita di rito

                                               alla sposa solitaria,

alla casa abbandonata.

Così si potrà un giorno ricordare

questa lunga camminata. Se non che

non è tanto rituale, questa volta,

l’adusato rito. Un nodo doloroso

mi stringe il cuore nella morsa.

Non dico non fosse accaduto già in passato,

ma ora non riesco a liberarmene –

un momento soprattutto

è confitto nella mente, opprime

la mia, la nostra vita in tutto il suo decorso

lungo gli anni che poi sono seguiti,

per lei anni d’agonia.

Quel momento annulla nel ricordo

tutti gli altri che pure ci furono.

Allora si affrontarono con spavalderia crudele

le nostre proprie vite, si riconobbero contrarie

sciogliendosi dal loro

groviglio dolcemente serpentino.

Ci fu freddo furore, era di cieca

ed ostinata autodistruzione o era

di sfida e frenesia d’un oscuro cominciamento

ciascuno in propria guisa?

In me l’ambiguità c’era.

C’era in me ambiguità, in lei piuttosto

sacrificio come sempre,

con enfasi però e con orgoglio.

Ne aveva, lo so, ogni ragione.

Era giustificata ad abundantiam.

Lo so e lo sapevo e sapevo di saperlo

anche allora, in quel duro contrasto

che ormai ci dominava l’uno e l’altro

ben oltre il nostro inveterato affetto.

Strano! Questo almeno mi è preciso:

quanto più mi irrigidivo

nell’irreversibilità del passo

  • e lei forse invocava

da me e da noi due / da me e da sé stessa

ferocemente

                    un’ultima

misericordia –

                        tanto più m’era presente

l’iniquità della sua sorte.

Lei, l’affettuosa marta della sua famiglia,

dei molti suoi fratelli e poi di me e nostro figlio.

In questo soprattutto era sé stessa,

pur essendo glottologa e buona latinista

e maestra brava e beneamata.

No, non voglio riviverlo da solo

quel tempo, voglio sia con me

presente, anche il suo dolore…

Tempi… hanno un buon sapore umano

quei tempi a ricordarli…

Lei bella e giovane, il bambino nel fiore della crescita.

C’era vita e desiderio

di vita in loro, in me

                                 forse troppa esitazione,

qualche

            sottile angoscia mi rodeva i nervi. Eppure…

Non so se letizia è tutta nel ricordo o c’era…

C’era e non c’era. Oggi nel rimpianto c’è.

                                                                 E tu

di quella felice servitù,

di quella sedula e profonda

dedizione l’hai privata,

l’hai resa inutile e deserta:

nessuno dei due fece a ritroso quel cammino.

Tu dopo hai divagato

nel mondo, in altre pene

e incanti fosti preso

e messo al paragone.

A lungo di lei che fu tua amata

non sapesti più niente, oltre l’apparenza,

né volevi davvero di lei sapere altro.

Quante volte negli anni

hai avuto nel cuore questa spina

al ritorno

da quella casa alla tua, al mondo.

Quella spina, quella pena di altri tempi

rinviene ed è un aculeo di rammarico.

Com’era giusto di giusta amaritudine

in te quel patimento.

Il pensiero di quei rientri

a casa dopo il rito,

con quella confusione

nell’anima, senza ravvedimento,

sotto un carico

di impalpabili macerie

e più struggente oggi che allora,

il limio non era così forte

e io non mi perdevo in me

come adesso che quasi mi dissolvo

nel mio passato. Me ne sfuggono i confini

e duole tutto, si duole

il tempo, di essere stato.

Non voglio essere solo, devo

per immaginazione

e per misericordia

un’altra sofferenza alla mia aggiungere,

                                                                la sua,

non l’ho purtroppo condivisa

eppure c’è stata

in tutti i lunghi anni, in tutti i lenti giorni

che furono postumi per lei.

Che fai? cresce il rimorso. Non ti aveva

mai la vita

lasciato a questo male,

è solo il suo declino

e questa debolezza che ti prende:

ora t’incanta,

ora ti fa patire

tutto ciò che è stato

ed è perduto senza mai

essere stato veramente avuto.

Ti affascina e ti duole

il tempo. Il tempo è un’insidiosa malattia.

La tua parte di tempo. Tutto ciò

che ne hai sorbito, tutto, i morti

ed i viventi che lo hanno popolato

così come hai tu abitato, se pure di straforo,

gradito o fastidioso ingombro, il loro.

Il tempo, vorresti esserne assolto,

risanato dal suo morbo.

Lo vorrebbe anche lei, penso. Sebbene

la ferita abbia avuto per lei altro decorso

a te troppo poco conosciuto.

Ma non credo che lei senta

prezioso quel dolore e lo rimpianga

quanto te che pure vorresti

ne fossimo tutti liberati.

Perché uno, essere stati, quello è lo strale,

quello solo e tutti ne sono trapassati.

Sì, pure non ti solleva questo

da un supplizio che prima non avevi.

Rimorso, hai pronunciato

tu stesso la parola, poco prima.

Rimorso, ancora non ti è chiaro da che cosa,

da offesa ad altra creatura della specie

forse, all’armonia del mondo

o da malevolenza e cattiveria

verso di lei che ti era sopra tutti cara.

O rimorde fin dai più remoti

suoi occulti avvolgimenti

l’esistenza tua e la non tua. Nam.

Non fabbrica altri sogni,

sono logori e svagati

                                 i troppo antichi

tra i quali era cresciuta.

Com’è penoso questa volta

e faticoso il cammino verso casa.

Già molti anni orsono

c’era uscendo all’aria aperta

da quei penosi affronti

delle buone creanze

un vasto e già impreciso

tempo da rimpiangere –

da rimpiangere per nessuna altra causa

che fosse tempo,

tempo per di più passato.

E ora anche quei brividi

e quegli sperdimenti e angosce

ti rincresce si siano nel tempo allontanati

e stiano nel tempo dileguando…

No, non è la penitenziale geremiade

che si snocciola nel cuore e nel cervello

del manichino umano quando si scarica, non è

il gomitolo che si disfa, no,

c’è un chiodo, questa volta, infitto

in un punto, che so, del pericardio

o dell’aorta – lo piantaste

tu e lei, tua moglie,

un giorno, un pomeriggio di settembre

voi, la vostra vis egoica senza misericordia,

soffri stasera quella trafittura –

così non l’avevi mai sofferta

né in sé né a causa delle molte croci

che ne sono discese – derivate.

                                   Sì le splendide altre vie

che ti fu dato percorrere

non si sarebbero aperte

ma l’origine della pena è quello

e brucia e cuoce…

Dove mi porta, dove mai vuole che arrivi

questo cammino di deliquio. A un ravvedimento,

a una conversione? Sciocco non ci fu rancore,

ci fu sola e sovrana l’opera del tempo

e della vita che ora si risente

in tutta la sua tortuosa serpentina

di amore e di dolore, traverso le stagioni

e i volti e le persone… C’è questo, sì,

e c’è perché tu sei nel mondo,

nel vivo della vita.

Per aiutarci a meritare il cielo,

dice Madre Teresa di Calcutta,

il Cristo ci ha posto sotto esame

riguardo la nostra carità

pratica, attiva verso i deboli,

i diseredati, i poveri. Che hai fatto,

                                                       tu?

Qualunque beneficio vanti

si annulla, abolisce ogni tuo merito

l’inoperosità in cui marcisce

la tua malacoscienza

per un male anche da te causato.

Ciò di cui ho bisogno

infine è di perdono.

Non so bene di che ma di perdono comunque.

Mettiamo come peccato

le mie inerzie, le mie omissioni.

Ma ora cosa accade? ecco s’aggiunge

ai già troppo numerosi

un aspetto ancora. Che è, da me

o da fuori di me

nasce quell’apparizione?

Non so proprio che dire, ma è là, ora

occupa la mia vista – è un’alba,

sull’ultimo crepuscolo, anzi

è un’alba notturna.

Oh vorrei essere pronto e pari

a coglierla.

Analisi del contenuto.

Sintesi del componimento poetico.

Nella prima parte, (VV. 1-76), il poeta descrive, nell’esordio (VV. 1-10) il suo stato d’animo rimasto sconvolto dopo l’ultima visita di rito all’ex moglie. Ritorna a casa, dopo aver provato una fitta al cuore per le penose condizioni di salute per la moglie. Durante il ritorno a casa medita, con calma e con ragione, la sua storia personale con la ex moglie, fino al momento della loro imprevista e improvvisa separazione. Dal verso 11 in poi, infatti, il poeta comincia a rievocare il momento della loro separazione. Il pensiero di questa separazione è ancora confitto nella mente di lei e di lui, il quale però era cosciente della iniquità della sorte che sarebbe toccata alla moglie, che ancora una volta gli chiedeva “un’ultima/ misericordia” (VV. 42-43). Ma il poeta si dimostrò rigido nella sua scelta di abbandonare la moglie e il figlioletto. Da quel momento in poi, molti decenni trascorsero di lontananza fra loro due. Il poeta non ebbe mai un sentimento di rimpianto verso di lei tanto che il poeta conclude così la prima strofa: “A lungo di lei che fu tua amata/ non sapesti più niente, oltre l’apparenza, / né volevi davvero di lei sapere altro.” (VV. 74-76).

Nella seconda parte (VV. 77-97) il poeta riconosce e si accorge che la spina che portava dentro di sé, nel suo cuore, per l’abbandono della moglie ora si è trasformata in “un aculeo di rammarico” (V. 82). Il poeta confessa che l’afflizione del suo cuore è tanto più struggente oggi che non nel momento in cui vi fu la separazione dalla moglie.

Nella terza parte (VV. 98-106) il poeta confessa che non conobbe mai e non condivise mai, per tutti quei decenni, la sofferenza della moglie, rimasta “sposa solitaria” (V.2) “in tutti quei lunghi anni e lenti giorni che furono postumi per lei.” (VV. 105-106).

Nella quarta parte (VV. 107-150) il poeta sente che il rimorso, dentro di sé, cresce sempre di più e così comincia a rimpiangere il tempo trascorso dalla separazione dalla moglie; ma il poeta non sa e non comprende se quel rimorso si accresce perché ha recato una offesa fatta all’armonia del mondo o perché è nato dalla malevolenza e cattiveria/ verso di lei che ti era sopra tutti cara. (VV. 143-144).

Nella quinta parte (VV. 151-206), il poeta spiega che il rimorso è diventato, ormai, un chiodo infitto, piantato da loro due “un pomeriggio di settembre.” (V. 174). Il poeta confessa che la sofferenza di quella sera non era mai stata così struggente, ben conoscendo le molte croci che discesero da quella “trafittura”. (V. 176).Durante il tragitto verso casa, il poeta si rende conto che quel cammino e quei pensieri sono e rappresentano soltanto un deliquio per lui. Infatti il poeta pensa che non vi sarà più nessun ravvedimento perché ormai il tempo della conciliazione era trascorso e la situazione fra loro due non poteva più essere cambiata. A questo punto il poeta inserisce, nel testo poetico, e illustra il monito che aveva sentito dire da Madre Teresa di Calcutta, secondo la quale il Cristo ha posto sotto esame i suoi seguaci assegnando loro il dovere e il compito di aiutare “i deboli/ i diseredati e i poveri.” (VV. 199-200).

Nella sesta parte (VV. 207-222), il poeta confessa che lui ha bisogno di una parola di perdono per le sue inerzie e per le sue omissioni. Ma quando sembra che il poeta non riceva più nessuna risposta da nessuno, allora il poeta ha una apparizione che gli riempie la vista. Il poeta ha la visione di un’alba che sta per sorgere e si augura che: “Oh vorrei essere pronto e pari/a coglierla” (VV. 221-222). Il finale del componimento poetico è, secondo me, misterioso ed enigmatico perché non si capisce bene che cosa il poeta vede in quella apparizione: o Madre Teresa di Calcutta, o sua moglie o soltanto l’alba che potrebbe significare e rappresentare la sua rinascita. Ma qualunque sia il significato dell’apparizione, il poeta rimane solo con sé stesso impotente di fronte al malessere della moglie e a un impossibile ritorno con lei. Quindi, secondo me, il componimento rimane chiuso e dubbioso; e non fa nessuna chiarezza sul prosieguo della vita del poeta che continua la sua vita solitaria perché non ha e non riceverà più l’affetto e l’amore della sua ex moglie.

Messaggio del componimento poetico.

Il poeta, dopo l’ultima visita alla moglie, viene sconvolto dalle condizioni penose della moglie ed è ben sicuro che lui ha avuto parte in causa a causare il malessere e la sofferenza della moglie. Quindi il poeta vorrebbe ravvedersi e tornare indietro e risanare e ricompensare l’agonia vissuta dalla moglie nei lunghi anni di allontanamento del poeta. Il poeta confessa che non ha avuto mai rimpianti per quella separazione che fu iniqua per la moglie. Gli cresce il rimorso per il male commesso; sente aumentare, dentro di sé, anche il rimordere per la colpa commessa. Alla fine si chiede se potrà esserci in lui un ravvedimento ma si rende conto che il ritorno dalla casa abbandonata è soltanto un deliquio perché ormai il tempo della conciliazione e della conversione è scaduto e quindi non può più tornare indietro. Per questo motivo il poeta definisce il tempo trascorso come “Il tempo è una insidiosa malattia” (V. 118)dal quale vorrebbe essere “assolto, / risanato” (V. 124-125).

La tesi del componimento poetico.

La tesi del componimento poetico esprime ed illustra tutta l’afflizione e lo struggimento che il poeta ha vissuto, durante i decenni che lo separano dalla moglie, come un senso di colpa e di vergogna, verso la moglie, rimasta sola dopo il suo abbandono. Ma ora il poeta si rende conto che lo struggicuore è cresciuto sempre in quegli anni, e ormai il tempo è trascorso e non può nemmeno aiutarla e sostenerla come gli aveva insegnato il monito di Madre Teresa di Calcutta. Il poeta è ben cosciente che, ormai, non può più dare alla ex moglie la felicità promessa e sperata prima; ormai da tanti anni è negata, trasferitasi altrove. Allora il componimento diventa, davvero, cupo e malinconico e suscita nei lettori, in me certamente, un moto di commozione e di emozione per la triste e struggente fine del loro matrimonio.

Analisi della forma.

Genere e metrica del componimento poetico.

Il componimento poetico inizia, già in medias res, cioè a cose fatte. Infatti l’incipit del componimento narra il percorso di ritorno dalla casa abbandonata della moglie. Poi la narrazione ritorna al passato, nel momento della separazione, per finire un’altra volta nel presente, perciò il componimento poetico è, sicuramente, di genere postmoderno e profetico, in quanto gioca tra presente e passato e perché finisce con un’apparizione quasi mistica del poeta. Inoltre le strofe sono allungate e mobili, e i versi. ad incastro e a gradini, conferiscono, esibiscono e costituiscono la forma perfetta della poesia postmoderna.

Il linguaggio poetico e la lexis del componimento poetico.

Il linguaggio poetico è molto alto e raffinato, mordace e mordente; la lexis è ricca di figure retoriche e ciò conferisce alla elocuzione del componimento poetico una bellezza magnetica e una raffinatezza magnifica ed esibisce uno stile originale e personale.

La stimmung del componimento poetico.

I sentimenti del poeta sono descritti nella loro soggettività e trasfigurazione. Il poeta parla, soprattutto e soltanto, di sé stesso, della sua afflizione e del suo struggicuore trascendendo così la realtà oggettiva, dando così corposità, anima e vitalità al suo racconto interiore. Sta proprio qui la differenza tra la poesia e la psicologia: mentre la poesia ha il compito di trascendere la realtà oggettiva e andare sopra la realtà sensibile; la psicologia ha il compito di restare ferma nell’ambito dell’oggettività e della realtà. Nel componimento poetico, la trasfigurazione della realtà è evidente nella parte finale, quando Mario Luzi introduce, di straforo, due immagini nuove ed originali: il monito di Madre Teresa di Calcutta e l’apparizione notturna al poeta il quale si ripromette di saperla coglierla a volo anche se non è ben comprensibile cosa il poeta possa e voglia cogliere in quella apparizione.

La bellezza del componimento poetico.

Il fascino poetico di questo componimento è indiscutibile e indubitabile. Esso deriva da almeno tre ordini di fattori. Il primo ordine di fattore è costituito essenzialmente dalla franchezza e dalla sincerità con le quali il poeta mette a nudo sé stesso e la coscienza gli fa rimordere la sua cattiva volontà imposta e incussa alla moglie. Mario Luzi si mostra dapprincipio come un opportunista e un cinico perché si vuole sbarazzare a tutti i costi della moglie, in quanto crede che lei gli impedisce di cogliere la fama e di andare incontro ad altre donne che gli stavano più a cuore della moglie. Il poeta, infatti, afferma nella prima strofa: “C’era in me ambiguità, in lei piuttosto/sacrificio come sempre, /con enfasi però e con orgoglio”. (VV. 27-29). Il poeta ora parla a sé stesso usando la seconda persona singolare “E tu (V. 64) e confessa a sé stesso, quasi con piacimento masochistico, che “lui l’ha privata di quella servitù, /di quella sedula e profonda dedizione e l’ha resa inutile e deserta” (VV. 65-68). Il secondo ordine di fattore è costituito, certamente, dal ripensamento di Mario Luzi sull’importanza esistenziale e affettiva che sua moglie aveva avuto per lui. Infatti la moglie, Elena Monaci, è stata la prima e l’unica a dare al poeta l’unico figlio, generato dal loro matrimonio. Il poeta ripensa e rimugina questa circostanza irripetibile e quindi sente dentro di sé nascere il rimorso che diventa sempre più imperioso; anche il ricordo di lei gli rimorde la “malacoscienza” (V. 205). Il terzo ordine di fattore è certamente dovuto al linguaggio poetico, alto e raffinato, preciso e ricercato; alla lexis varia e variegata, briosa e brillante, nuova e piacevole, gioiosa e giocosa; allo stile personale e originale il quale se pur narrando la sua esperienza matrimoniale disastrosa e conflittuale, ne trae una bella forma e la esibisce con il suo bello stile gentile e galante uscito fresco fresco dalla sua passione per la moglie. Ma il poeta alla fine del componimento si accorge che ormai non può più ritornare indietro e quindi si rassegna alla sua vita solitaria. Come sempre la triste realtà vince sui sogni, sulle illusioni e sui desideri.

Finale

Ora che Mario Luzi non c’è più e ora che Elena Monaci non c’è più, il nostro mondo, postmoderno e postcontemporaneo, è, sicuramente, più povero e più triste, dato che la loro esistenza ha illuminato e ha reso gioiosa la loro epoca storica con la loro vita vissuta insieme. Loro hanno dato vita al figlio Gianni che, ancora oggi, è testimone della loro vita e della loro esistenza e importanza su questa Terra. Anche se la loro unione non è durata fino all’ultimo; è durata abbastanza per realizzare in pieno il loro amore e la loro unione durata dal 1942 al 1972. Questa storia d’amore fra i due coniugi, Luzi e Monaci, è stata importante, non solo per loro stessi; ma, anche, perché ha incusso il vigore e la forza al poeta di scrivere questo bellissimo componimento poetico e ha suscitato in lui l’ispirazione e la creazione di comporre quest’ultimo canto poetico e lirico. Io, B. C., affermo che Mario Luzi, ancora una volta, è riuscito a comporre un componimento poetico, postmoderno e profetico, in cui prevale l’amore tra il sensuale e il mistico in cui domina il gioco fra il presente e il passato e dove viene alla luce la perfetta sintesi fra l’Eros e il Thanatos, tra la bontà e la cattiveria, tra il buio e la luce. Infine il poeta immagina di vedere sorgere l’alba che rappresenta, iconicamente e temporalmente, la rinascita del poeta a nuova vita, priva però dell’amore e dell’affetto dell’ex moglie ma, riempita, fino all’ultimo dalla creatività e dalla estrema vitalità creativa del poeta. Io, B. C., reputo ed esperimento che una mestizia crescente attraversi l’intero componimento poetico: dalla forte agitazione e preoccupazione iniziale per la sorte della moglie, al crescendo di emozioni, morsi, rimorsi, rimpianti che inondano e sommergono il poeta fino alla disperazione conclusiva, quando il poeta ha l’apparizione finale che rimane vuota e svuotata, dato che non gli appare nessuno in vista. E questo perché sua moglie e il loro figlio, fanno parte a sé stante e fanno parte del passato del poeta e vivono la loro vita separata da lui; e non ritorneranno mai più a riempire la vita del poeta. Il figlio Gianni continuò a vivere, però, la sua vita alternandosi fra i due grandi e stupendi genitori: Elena e Mario. Oggi Gianni vive con la sua famiglia, onorato e beato di discendere da così famosi, immensi e immortali genitori.

Modica 29 febbraio 2024                                                       Prof. Biagio Carrubba.

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