Tre bellissime lettere ancora vitali ed attuali di Antonio Gramsci.

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Ho il piacere di ripubblicare le seguenti tre lettere di Antonio Gramsci per il nuovo gruppo di Facebook “AMICI DI ANTONIO GRAMSCI” creato da me.

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Tre bellissime lettere ancora vitali ed attuali di Antonio Gramsci.

Io, Biagio Carrubba, presento tre lettere di Antonio Gramsci scelte da “Lettere dal carcere” che condivido e apprezzo e che ritengo ancora valide ed attuali per l’attuale società post-moderna e globalizzata. Le tre lettere sono estratte dal ricchissimo epistolario che Antonio Gramsci ebbe con moltissimi suoi amici e parenti durante il suo periodo di detenzione (1926 – 1937).
L’epistolario ebbe inizio nel novembre del 1926 e terminò nel dicembre del 1936. Gramsci venne arrestato l’8 novembre del 1926 presso la famiglia Passarge, nella cui casa, dalle parti di Porta Pia, aveva affittato una stanza sin dal 1924. Non volle fuggire alla sorveglianza assidua della polizia fascista e forse non volle neppure evitare la cattura.
Dal novembre del 1926, i suoi spostamenti per anni ed anni furono soltanto quelle “traduzioni” da un carcere all’altro, di cui vi è un’eco di raccapriccio nelle lettere del detenuto: da Regina Coeli di Roma al carcere del Carmine di Napoli, il 25 novembre, di qui all’Ucciardone di Palermo, destinazione l’isola di “confino”, Ustica, il 7 dicembre. La condanna a venti anni (e quattro mesi e cinque giorni) giunse puntuale, ma quel cervello non si arrestò certo dal funzionare. Rimase nel carcere di Turi di Bari dal luglio del 1928 sino al novembre del 1933; poi fu trasferito nella clinica di Formia, dove venne ricoverato, sempre in stato di detenzione, sino all’agosto del 1935. Successivamente fu trasferito in una clinica romana, dove un’ultima crisi, nella notte tra il 26 e il 27 aprile del 1937, gli fu fatale. È al suo capezzale la cognata Tatiana che gli fu vicina in tutti gli undici anni in cui durò il suo calvario. Ho scelto la prima lettera (la numero 78) da Lettere dal carcere, edizioni Einaudi a pagina 155, perché è la lettera in cui Gramsci ricorda i suoi anni di scuola elementare quando veniva aiutato dalla madre a scrivere in corretto italiano, madre che gli faceva ripetere alcune poesie come Rataplan. Nella lettera, scritta il 15 giugno 1931, Gramsci esprime tutto il suo amore incommensurabile verso la madre e ripercorre i ricordi di fanciullo di prima o seconda elementare. Anche io, Biagio Carrubba, nutro verso mia madre un amore incommensurabile e mi ricordo vagamente alcuni momenti di scuola elementare. Ho scelto la seconda lettera (la numero 117) da Lettere dal carcere, edizioni Einaudi a pagina 238, perché in questa lettera del 29 agosto 1932, Gramsci esprime e descrive, alla cognata Tania, tutta la sua agonia e sofferenza dovuta alla dura detenzione del carcere e le confessa che la sua tenuta fisica è ormai malridotta e che ogni giorno che passa diminuisce la sua resistenza alla vita carceraria. Ho scelto questa lettera perché provo rabbia e rancore contro chi lo condannò, pur non potendolo fare perché, nel momento dell’arresto, Gramsci godeva dell’immunità parlamentare, e quindi il mandante legislativo dell’arresto aggiunse ingiustizia ad ingiustizia e praticamente condannò Gramsci ad una morte lenta e silenziosa. Ho scelto la terza lettera (la numero 129) da Lettere dal carcere, edizioni Einaudi a pagina 257, perché in questa lettera del 30 gennaio 1933, Gramsci esprime e chiede, alla sua carissima, ma lontana moglie e quindi impotente, tutto l’amore che già lei gli aveva dato nei due anni di matrimonio vissuti insieme (1924-1926). Gramsci chiede a Iulca di continuare a sostenerlo sempre e di continuare a scrivergli perché per lui le lettere costituivano forza e coraggio per andare avanti. Ma la lettera risulta ancora più particolare perché Gramsci ricorda che erano passati sei anni da quando era passato da Ravisindoli in Abruzzo, un posto dove la moglie era stata in villeggiatura; questo passaggio fu molto veloce, chiuso in un vagone di metallo, tutto ricoperto di neve e Gramsci, quasi scoperto, soffrì il freddo. Ora questo ricordo, pur drammatico nei suoi elementi fisici, costituisce per Gramsci un ricordo bello e forte in una situazione ancora più drammatica perché era sicuro che non avrebbe più rivisto né Iulca, né i suoi figli, Delio e Giuliano. Ho scelto questa lettera perché capisco e comprendo tutti i dolori e le sofferenze ingiuste, fisiche, psicologiche, sentimentali e culturali, provate e subite da Gramsci, nell’essere separato dalla moglie e dai figli, perché questo è il dolore più grande che si possa arrecare ad un uomo.

Prima lettera

Carissima mamma,
ho ricevuto la lettera che mi hai scritto con la mano di Teresina. Mi pare che devi spesso scrivermi così; io ho sentito nella lettera tutto il tuo spirito e il tuo modo di ragionare; era proprio una tua lettera e non una lettera di Teresina. Sai cosa mi è tornato alla memoria? Proprio mi è riapparso chiaramente il ricordo quando ero in prima o in seconda elementare e tu mi correggevi i compiti: ricordo perfettamente che non riuscivo mai a ricordare che “uccello” si scrive con due c e questo errore tu me lo hai corretto almeno dieci volte. Dunque se ci hai aiutato a imparare a scrivere (e prima ci avevi insegnato molte poesie a memoria; io ricordo ancora Rataplan e l’altra “Lungo i clivi della Loira – che quel nastro argentato – corre via per cento miglia – un bel suolo avventurato”) è giusto che uno di noi ti serva da mano per scrivere quando non sei abbastanza forte. Scommetto che il ricordo di Rataplan e della canzone della Loira ti fanno sorridere. Eppure ricordo anche quanto ammirassi (dovevo avere quattro o cinque anni) la tua abilità nell’imitare sul tavolo il rullo del tamburo, quando declamavi Rataplan. Del resto tu non puoi immaginare quante cose io ricordo in cui tu appari sempre come una forza benefica e piena di tenerezza per noi. Se ci pensi bene tutte le quistioni dell’anima e dell’immortalità dell’anima e del paradiso e dell’inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci su, ciò significa che tu sei già da allora, nell’unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli. Vedi cosa ti ho scritto? Del resto non devi pensare che io voglia offendere le tue opinioni religiose e poi penso che tu sei d’accordo con me più di quanto non pare. Dì a Teresina che aspetto l’altra lettera che mi ha promesso. Ti abbraccio teneramente con tutti di casa.

15 giugno 1931.                                                                                   Antonio

Seconda lettera

Carissima Tania,
ho ricevuto la tua lettera del 24 con la lettera di Giulia. Ho riflettuto molto a ciò che hai scritto a proposito della possibilità che mi faccia fare una visita esauriente da un medico di fiducia. Mi pare che le tue considerazioni siano giuste in linea generale, e che il progetto sia da prendere in considerazione. Ecco il mio punto di vista: – Sono giunto a un punto tale che le mie forze di resistenza stanno per crollare completamente, non so con quali conseguenze. In questi giorni mi sento così male come non sono mai stato; da più di otto giorni non dormo più di tre quarti d’ora per notte e intere notti non chiudo occhio. E’ certissimo che se l’insonnia forzata non determina essa alcuni mali specifici, li aggrava però talmente e li accompagna con tali malesseri concomitanti, che il complesso dell’esistenza diventa insopportabile e qualunque via d’uscita, anche la più pericolosa e accidentata diventa preferibile alla continuazione dello stato presente. Tuttavia, prima di entrare nella via da te proposta, voglio ancora fare un tentativo presso il signor direttore del carcere e se necessario presso il signor giudice di sorveglianza, per vedere se sia possibile ottenere che siano rimosse le condizioni che determinano l’attuale stato di cose. Ciò non è per nulla impossibile e lo preferirei per evitare le spese notevoli che la visita di un medico di fiducia porta con sé. D’altronde anche un tal medico non potrebbe non giungere alla conclusione che le mie condizioni disastrose sono in tante parte dovute alla mancanza di sonno, che la quistione si presenterebbe in questi termini e in essi occorrerebbe risolverla almeno inizialmente. Si tratta di rimandare, nella peggiore delle ipotesi, la realizzazione della tua proposta per il mese di settembre. Alla fine di settembre dovrò per forza giungere a una conclusione, se non voglio diventare pazzo o entrare in una fase che io stesso non so immaginare tanto sono stremato. Credi che non ne posso proprio più e mi spaventa il fatto che sto perdendo il controllo dei miei impulsi e degli istinti elementari del temperamento. La tua proposta perciò è da essere considerata: tu puoi perfezionarla, fissandone i dettagli e facendo magari i passi necessari per vedere quanto si spenderà e chi può essere il medico da scegliere, perché credo che nell’istanza in cui si domanderà l’autorizzazione della visita occorrerà farne il nome con tutte le generalità. Carissima, ti abbraccio teneramente.

29 agosto 1932.                                                          Antonio

Terza lettera

Carissima Iulca,
ho ricevuto una tua lettera abbastanza lunga. Che Giuliano abbia proposto di mandarmi il suo primo dentino di latte perduto mi ha fatto molto piacere: mi pare che questo tratto mostri in modo concreto come egli senta un reale legame tra me e lui. Forse avresti fatto bene a mandarmi davvero il dentino, in modo che questa impressione si fosse ancor più rinvigorita nel suo animo. Le notizie che mi mandi sui bambini mi interessano enormemente. Non so se le mie osservazioni sono sempre adeguate; forse no, perché, nonostante tutto, il mio giudizio non può essere unilaterale. Tania mi ha trascritto una tua lettera a lei. Mi pare che tu, scrivendo a me, eviti di dirmi molte cose, forse per il timore di contristarmi, date le mie condizioni di carcerato. Credo che tu debba persuaderti che puoi avere con me tutta la franchezza possibile e non nascondermi nulla; perché non dovrebbe esserci tra noi il massimo di confidenza su tutto? Credi che non sia peggio il non sapere, il dubitare che si nasconde qualche cosa e quindi il non essere mai sicuro che il mio atteggiamento sia giusto? Cara Iulca, devi proprio scrivermi di te e delle tue condizioni di salute con tutta la precisione possibile, senza esitare per il timore di abbattermi. Ciò che mi abbatterebbe solo potrebbe essere il sapere che tu non letti per migliorare, per riacquistare le forze, e a ciò non credo. Sebbene l’avvenire sia ancora oscuro, non perciò bisogna rilassarsi. Io ho attraversato molti brutti momenti, mi sono sentito tante volte fisicamente debole e quasi stremato, però non ho mai ceduto alla debolezza fisica e per quanto è possibile dire in queste cose, non credo che cederò neanche d’ora in avanti. Eppure posso aiutarmi ben poco. Quanto più mi accorgo di dover attraversare brutti momenti, di essere debole, di veder aggravarsi le difficoltà, tanto più mi irrigidisco nella tensione di tutte le mie forze volitive. Qualche volta riepilogo questi anni passati, penso al passato e mi pare che se sei anni fa mi fossi prospettato di dover attraversare ciò che ho attraversato, non l’avrei creduto possibile, avrei giudicato di dovermi spezzare ad ogni momento. Proprio sei anni fa, sono passato, indovina? da Ravisindoli, in Abruzzo, che tu qualche volta hai ricordato per esserci stata in villeggiatura, d’estate. Ci sono passato chiuso in un vagone di metallo che era stato tutta la notte sotto la neve e io non avevo né soprabito, né maglia di lana e non potevo neanche muovermi perché bisognava stare seduti per la mancanza di spazio. Tremavo tutto come per la febbre, battevo i denti, e mi pareva di non essere in grado di finire il viaggio perché il cuore sarebbe gelato. Eppure sono trascorsi sei anni da allora e sono riuscito a cacciarmi di dosso quel freddo da ghiacciaia e se qualche volta mi tornano quei brividi (che un po’ mi sono rimasti nelle ossa) mi metto a ridere ricordando quel che allora pensavo e mi paiono fanciullaggini. Insomma, la tua lettera a Tania mi è sembrata troppo malinconica e tetra. Penso che anche tu sei molto più forte di quanto tu stessa non pensi e che devi perciò ancora irrigidirti e tenderti tutta per superare la crisi che hai attraversato, in modo decisivo. Cara, vorrei aiutarti, ma spesso penso che nel passato, per non sapere esattamente come tu stavi, posso invece aver contribuito a farti ancora disperare. Scrivimi spesso; fa forza su te stessa e scrivimi più spesso. Fa scrivere anche Delio e Giuliano. Su Delio ho letto una lettera di Genia e Tania, che in verità, mi è piaciuta poco. Dopo aver letto questa lettera, ciò che tu scrivi a proposito della maestra di Delio, e dei suoi errori di valutazione, non mi pare molto convincente. Mi pare che Delio viva in una atmosfera ideologica n po’ morbida e bizantina, che non lo aiuta a essere energico, ma piuttosto lo snerva e debilita. Voglio ancora scrivere a Delio qualche storia di animali viventi, ma ho paura di ripetere cose già scritte, perché adesso dimentico le cose molto facilmente. Ti abbraccio forte forte, cara.

30 gennaio 1933                                                            Antonio

 

 

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Modica, 20 novembre 2018.                                                                   Prof. Biagio Carrubba

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