
Trama del romanzo “Diceria dell’untore”
I capitolo: “Le prime settimane di ricovero alla Rocca”. In questo capitolo Bufalino racconta e descrive i sentimenti e le sensazioni che il protagonista provava durante le prime settimane di ricovero. Se ne stava da solo nella sua stanza; sapeva che era malato, ma sperava di guarire, anche se capiva che: “Non serve mai nobilitare un destino che ci è forza-gioco patire”. Dopo qualche settimana cominciò ad uscire dalla sua stanza per conoscere altri malati, fra cui il primario (il Gran Magro), il frate (Padre Vittorio), e la ragazza (Marta).
II capitolo: “Il Gran Magro”. Era il soprannome del primario del reparto per i malati di tubercolosi. Era alto, aveva due mani “di perfida esiguità che posava sul pomo di un bastone”. Nei primi tempi il Gran Magro andava a trovare spesso il protagonista, perché con lui giocava a scacchi. Il Gran Magro parlava spesso di Dio. Gridava: “Esiste! Esiste, non c’è colpa senza colpevole”; e continuava dicendo: “Noi ragadi siamo, ragadi sopra il glugnogulo di Dio, caccole di una talpa enorme quanto tutto, carni crescenti, pustule, scrofori, malignerie che finiscono in “oma”: glaucomi, fibromi, blastomi”.
III capitolo: “Gli amici del protagonista”. Dopo qualche settimana di solitudine, il protagonista scese in fretta fra la gente, poiché “era troppo vigliacco per morire a rate”. Conobbe e fece amicizia con altri malati fra cui: Agnello Sciumè, colonnello Pasquale Iozia, Giovanni Pizzorno, Adelmo Scalia, Sebastiano Mancuso, Luigi de Felice, Luigi Presti Filippo, il Gran Magro, Marta Levi. Il primo a morire fu Giovanni Pizzorno, perito agrario di Cefalù, “floridissimo a guardarlo, ma ignaro che qualcuno nel suo arcano regime lo aveva privilegiato su tutti e che sarebbe stato il primo a morire”. Angelo Sciumè diceva che: “Rosso di sera bel tempo si spera”. Luigi l’allegro diceva: “Arrivano i nostri e addio poveri cocchi!”.
IV capitolo: “Le escursioni a Palermo”. Qualche volta i malati, usciti puliti dalla cura, andavano in città per ricrearsi un po’. Il protagonista andava a Porto per incontrare qualche donna del luogo, per distrarsi e sfogarsi un po’ dalla vita monotona e grigia dell’ospedale, oppure finiva nel quartiere del Porto per cercarne una qualunque, ma di carne vera. Bisognava pure ogni tanto, era un consiglio del
Gran Magro.
V capitolo: “Padre Vittorio”. Il protagonista conobbe anche un frate: Padre Vittorio, che proveniva dal Veneto. Era sceso fino in Sicilia, perché voleva vivere in una terra “di crete e di ulivi, una Giudea tutta triboli, con certe chiuse di qui che uno scisma di venti minuziosamente diramica”. Molte volte entrambi discutevano su Dio e sulla fede. Padre Vittorio voleva convincere il protagonista sulla bontà di Dio, mentre il protagonista gli rivolgeva molte obiezioni sull’argomento. Il protagonista scoprì anche un diario di Padre Vittorio e lesse qualche frase: “La morte è un taglialegna, ma la foresta è immortale”. “La morte naturale non esiste: ogni morte è un assassinio. E se non si urla, vuol dire che si acconsente”.
Modica 18/ 09/ 2018 Prof. Biagio Carrubba
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