
La vita di Elio Vittorini.
Elio Vittorini nacque a Siracusa il 23 luglio 1908 da Sebastiano Vittorini e da Lucia Sgandurra, primo di quattro figli. Trascorse l’infanzia in vari paesetti della Sicilia seguendo il padre ferroviere. Nel 1921 fece la prima fuga da casa servendosi dei biglietti gratuiti del padre ferroviere. Nel 1924 interruppe gli studi tecnici di ragioniere. Nel 1925 cominciò la corrispondenza con Curzio Malaparte; nel 1926 cominciò a collaborare e a scrivere sulla rivista di Malaparte “Conquista dello Stato”; scrisse il suo primo articolo dal titolo “L’ordine nostro. Lettera a Vossignoria”. Nel 1927, il 10 settembre, sposò Rosa Quasimodo, sorella del poeta Salvatore; subito dopo si trasferì ad Udine per lavorare come contabile in una impresa di costruzioni stradali. Nel 1928 nacque il primogenito, Giusto; cominciò a collaborare con diversi giornali italiani tra cui “Il lavoro di Genova” e “Il lavoro fascista”; nel 1929 cominciò la collaborazione con la rivista “Solaria” e scrisse un articolo in cui accusava la letteratura italiana di provincialismo e sosteneva la necessità di scrivere in senso europeo. Nel 1930 si trasferì a Firenze ed ottenne un posto come impiegato nella redazione della rivista “Solaria”; contemporaneamente lavorava anche come correttore di bozze presso il quotidiano “La Nazione”; qui un anziano tipografo gli insegnò l’inglese. Nel 1932 iniziò la collaborazione con la rivista “Il Bargello”; nel 1933 pubblicò sulla rivista “Solaria” la prima puntata del romanzo “Il garofano rosso”; nel 1934 ebbe una intossicazione da piombo presa nel lavoro di tipografo; nello stesso anno nacque il secondo figlio, Demetrio. Nel 1936 lavorò alla stesura del romanzo “Erica e i suoi fratelli” che interruppe in seguito allo scoppio della guerra in Spagna; per un suo articolo fu espulso dal partito nazionale fascista; a dicembre uscì il romanzo “Nei Morlacchi – Viaggio in Sardegna”. Nel settembre del 1937 iniziò la stesura di “Conversazione in Sicilia” del quale, nell’aprile del 1938, uscì la prima puntata nella rivista “Letteratura”. Nel 1939 fu pubblicata la quinta ed ultima puntata di “Conversazione in Sicilia”. Nel 1941 uscì una raccolta di racconti intitolata “Nome e lacrime” che comprendeva novelle e Conversazione in Sicilia come romanzo nella stesura completa, corretta e definitiva. Nello stesso anno pubblicò anche l’antologia “Americana” che comprendeva diversi autori americani ma che fu bloccata dalla censura fascista. Nel 1942 iniziò la collaborazione, clandestina, con il Partito Comunista; nel 1943, il 26 luglio, fu arrestato, ma fu liberato l’8 settembre e partecipò attivamente alla resistenza. Nel 1944 si recò a Firenze per organizzarvi uno sciopero; ritornò a Milano e si rifugiò in montagna e qui scrisse, tra la primavera e l’autunno, il romanzo “Uomini e no”. Nel 1945 divenne, per pochi mesi, capo redattore de “L’Unità”; a settembre uscì il primo numero de “Il Politecnico”. Nel 1946 comincia a scrivere il romanzo “Le donne di Messina”; nel 1947 pubblicò, presso Bompiani, il romanzo “Il Sempione strizza l’occhio al Frejus”; nello stesso anno si acuì la polemica con Togliatti e in dicembre “Il Politecnico” cessò la pubblicazione. Nel 1948 ripubblicò “Il garofano rosso” nell’edizione definitiva con una importante prefazione. Nel 1949 pubblicò “Le donne di Messina” ed ebbe una fitta corrispondenza con Hemingway che aveva scritto una sentita prefazione per l’edizione americana di Conversazione in Sicilia; nello stesso anno iniziò la stesura del romanzo “La Garibaldina”. Nel 1950 compì un viaggio in Sicilia con il fotografo Luigi Crocenzi ed insieme scattarono fotografie per illustrare “Conversazione in Sicilia” che divenne in questo modo l’edizione illustrata definitiva successivamente pubblicata nel 1953. Nello stesso anno venne annullato il matrimonio con Rosa Quasimodo. Nel 1951 riprese la polemica con Togliatti, il quale rispose su un numero di “Rinascita” con un articolo dal titolo “Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato”; nel 1952 cominciò a scrivere il romanzo “Le città del mondo” e ripubblicò il romanzo “Nei Morlacchi – Viaggio in Sardegna” con il nuovo titolo, definitivo, di “Sardegna come un’infanzia”. Nel 1953 ristampò “Piccola borghesia” e l’edizione illustrata di “Conversazione in Sicilia”; nel 1954 il figlio Giusto ritrovò, casualmente, il romanzo “Erica e i suoi fratelli” che venne pubblicato nello stesso anno. Nel 1955 morì il primogenito Giusto; nel 1956 ripubblicò “Erica e i suoi fratelli” come romanzo a sé stante. Nel 1957 pubblicò un lavoro teorico di saggistica dal titolo “Diario in pubblico”.
Nello stesso anno rifiutò di pubblicare “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa giudicandolo come una opera di “vecchia letteratura consolatoria”. Nel 1959 fu capo redattore, insieme ad Italo Calvino, della rivista letteraria “Il Menabò”; nel 1960 si presentò come candidato radicale nella lista del PSI nel comune di Milano ma eletto, rassegnò subito le dimissioni. Nel 1961 iniziò l’ultimo suo libro, “Le due tensioni”, uscito postumo. Nel 1963 subì la prima grave operazione presso la clinica Fate bene fratelli di Milano; nel 1964 pubblicò una nuova edizione de “Le donne di Messina”; nel 1965 la sua malattia peggiorò; nel 1966, il 9 febbraio, si unì in matrimonio con Ginetta Varisco, conosciuta ai tempi della Resistenza; morì il 12 febbraio del 1966 a Milano nella sua case di Viale Gorizia.
Le opere di Elio Vittorini.
Le opere di Vittorini sono, in ordine cronologico:
1. Piccola Borghesia del 1931;
2. Nei Morlacchi – Viaggio in Sardegna del 1936
3. Conversazione in Sicilia del 1938-1939;
4. Uomini e no del 1944 (pubblicato nel 1945);
5. Il Sempione strizza l’occhio al Frejus del 1947;
6. Il Garofano rosso del 1948 (edizione definitiva);
7. Le donne di Messina del 1949 (la prima stesura è del novembre 1946);
8. Sardegna come un’infanzia del 1952 (edizione definitiva de “Nei Morlacchi – Viaggio in Sardegna” del 1936);
9. Erica e i suoi fratelli del 1956 (stesura originaria del 1936);
10. La Garibaldina del 1956 (stesura originaria del 1949 – 1950);
11. Le città del mondo pubblicato postumo nel 1969 (stesura originaria del 1951 – 1954).
Saggi:
1. Diario in pubblico del 1957
2. Le due tensioni. Appunti per una ideologia della letteratura del 1967.
Conversazione in Sicilia.
La Genesi del romanzo.
Nella nota scritta da Elio Vittorini per la pubblicazione di “Erica e i suoi fratelli” e “La Garibaldina” nel 1956, lo stesso scrittore indica la genesi del romanzo “Conversazione in Sicilia”.
In questa nota Vittorini scrive: “Io invidio gli scrittori che hanno la capacità di restare interessati al proprio lavoro pur mentre infuriano pestilenze e guerre…Noi ora abbiamo un mucchio di opere proprio grazie a una capacità simile; e io la invidio molto in chi la possiede, la considero una qualità che può rendere grande uno scrittore, e la raccomando ai giovani, ma non la posseggo. Un grosso evento pubblico può distrarmi, purtroppo, e provocare un mutamento di interessi nel mio lavoro come né più né meno una mia sventura (o ventura) personale. Così lo scoppio della guerra civile di Spagna, nel luglio del 1936, mi rese d’un tratto indifferente agli sviluppi della storia cui avevo lavorato per sei mesi di fila. Le prime notizie su Madrid e Barcellona, e sull’Andalusia, sull’Estremadura, sulle città basche, mi fermarono dinanzi a giornali che ne erano pieni come dinanzi alle sbarre abbassate di un passaggio a livello…Tutti quegli ultimi giorni di luglio. E poi tutto agosto, tutto settembre, tutto ottobre, tutto il resto dell’anno e mesi e mesi dell’anno successivo. Quando ricominciai a scrivere, verso settembre del 1937, non fu per riprendere Erica. Fu per mettere giù la prima pagina di Conversazione. E scrivere la Conversazione in Sicilia mi portò più che mai lontano da Erica…” (da Elio Vittorini – Le opere narrative – a cura di Maria Corti – Arnoldo Mondadori Editore – Serie I Meridiani – Pag. 566).
Dunque la genesi del romanzo Conversazione in Sicilia è tutta dovuta a motivi politici poiché Mussolini si alleò con Hitler nella guerra civile spagnola a fianco dei fascisti di Franco che si ribellarono al legittimo governo repubblicano di Madrid scatenando la guerra civile e il primo grande massacro contro la città di Guernica. L’entrata in guerra di Mussolini risvegliò la coscienza politica di Vittorini e lo fece entrare in opposizione al fascismo avviandolo verso una critica al regime fascista e avvicinandolo ai testi marxisti, che cominciò a leggere nel 1937. Dal 1937 in poi Vittorini si dimostrò sempre più contrario al regime fascista fino al 1942 quando iniziò a collaborare, clandestinamente, con il partito comunista, in piena guerra.
Nella stessa nota Vittorini parla di una svolta stilistica e di una svolta contenutistica; ormai Vittorini cercava di esprimere i sentimenti dei personaggi, non direttamente attraverso le loro emozioni, ma soprattutto attraverso i loro atteggiamenti; ecco cosa scrive lo scrittore su questa sua svolta: “Oggi io sono abituato a riferire sui sentimenti e i pensieri dei personaggi solo attraverso le loro manifestazioni esterne” (da Elio Vittorini – Le opere narrative – a cura di Maria Corti – Arnoldo Mondadori Editore – Serie I Meridiani – Pag. 567). Tutte queste prese di coscienza contenutistiche, stilistiche e politiche spiegano la genesi del romanzo Conversazione in Sicilia e ne illustrano e chiariscono anche la sua dimensione simbolica, politica e lirica che Vittorini riesce a fondere in una perfetta sintesi di scrittura chiara, limpida, con uno stile lirico e quasi ermetico ma con contenuto nuovo e quasi neo-realistico.
Sintesi del romanzo.
Conversazione in Sicilia si compone di cinque parti divise l’una dall’altra in modo distinto e chiaro. La prima parte comprende i capitoletti da I a VIII;
la seconda parte comprende i capitoletti da IX a XX;
la terza parte comprende i capitoletti da XXI a XXXI;
la quarta parte comprende i capitoletti da XXXII a XL;
la quinta parte comprende i capitoletti da XLI a XLVIII più un epilogo finale e una nota chiarificatrice.
Nel primo capitoletto della prima parte il protagonista del romanzo esprime tutta la sua indifferenza verso la società e verso gli altri e si sente privo di passione verso le cose e soprattutto pieno di rabbia contro la guerra che si stava svolgendo in Spagna che veniva esaltata dai manifesti e dai giornali (capitoletto I). Al protagonista arriva una lettera del padre il quale gli fa sapere di essere fuggito con un’altra donna abbandonando la moglie; il padre invitava, quindi, tutti i figli ad andare a trovare la madre, in Sicilia, per consolarla per la nuova situazione creatasi. Il protagonista, sconfortato e disorientato da questa apatia e rassegnazione verso tutto, vede l’offerta di un viaggio in Sicilia e nella sua indifferenza verso il mondo acquista un biglietto e sale sul treno. (capitoletto II). Il protagonista inizia il viaggio verso la Sicilia, passa la Calabria, prende il traghetto e arriva a Messina. Nello scompartimento del treno formatosi a Messina incontra e parla con vari personaggi tra cui il Gran Lombardo, un siciliano di grande aspetto e capelluto come un uomo antico, il quale parlando a tutti gli altri viaggiatori dice che ormai l’uomo deve “acquistare un’altra cognizione” e soprattutto deve adempiere a “nuovi doveri, e più alti, verso gli uomini, perché a compiere i soliti non c’era soddisfazione e si restava come se non si fosse fatto nulla, scontenti di sé, delusi”. Queste parole del Gran Lombardo arrivano come un fulmine nella coscienza buia del protagonista illuminandola e lo scuotono dal suo torpore comportamentale. (capitoletto VII). Nella seconda parte del romanzo il protagonista arriva a casa della madre, Concezione Ferrauto, e gli sembrava “di essere entrato a viaggiare in una quarta dimensione”; comunque si rende conto di cominciare ad essere contento di avere intrapreso il viaggio ed inizia una lunga conversazione nella quale la madre gli ricorda alcuni fatti particolari della infanzia del protagonista che chiama per nome, Silvestro (capitoletto X). La madre, ricordando il marito, lo insulta definendolo “vigliacco” e lo critica perché cercava di fare il gallo in mezzo ad altre donne, amiche di lavoro, che la moglie definisce “sporche vacche”, e a cui il marito scriveva invece poesie di elogio. (capitoletto XVIII). Il protagonista, a questo punto, quasi per provocazione, chiede alla madre se anche lei fosse stata con qualcun’altro; la madre in modo sincero, e senza nessun turbamento, confessa di aver avuto rapporti sessuali con un viandante di passaggio per la Sicilia, che ritornò parecchie volte da lei e del quale mostrava di avere un piacevole ricordo. Il protagonista pensò “Benedetta vacca” (capitoletto XX). Nella terza parte la madre inizia un giro di visite per fare delle iniezioni a dei malati del suo paese portando con sé il figlio Silvestro (capitoletto XXI). La madre entra in abitazioni scavate nella roccia e fa una puntura al primo malato (capitoletto XXII). Dopo avere girato diversi altri malati, Silvestro si accorge che, la madre fa dei discorsi contraddittori tra di loro sia ai malati che a lui (capitoletto XXIV). Ma Silvestro girando con la madre osserva attentamente la povertà delle famiglie visitate ma che comunque mostrano grande dignità di fronte alla malattia e non si lasciano abbattere dalla miseria. A questo punto Silvestro, scosso dalla povertà e dalla malattia che incontra nel giro, pensa che gli uomini soggetti alla malattia e alla povertà siano più uomini di chi invece ne è immune per cui pensa che “il genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato”. E tra i perseguitati ancora più sfortunati sono i cinesi perché devono vivere in una terra inospitale, la Sicilia, che non è la loro terra (capitoletto XXVII). Dopo avere visitato altri malati, ad un certo punto, Silvestro si stufa di seguire la madre e la abbandona alla fine del giro (capitoletto XXXII). Nella quarta parte, Silvestro, rimasto solo in un largo spiazzale, incontra un arrotino al quale da un temperino che l’artigiano arrota. Nasce tra i due una breve e simpatica amicizia e l’arrotino afferma che il mondo è bello, pieno di altre cose, di luci, ombre, freddo e Silvestro concorda con questi aspetti belli del mondo (capitoletto XXXIV). L’arrotino gli fa conoscere anche Ezechiele che era un venditore di cuoi; anche Ezechiele dice che lui scriveva e descriveva tutte le offese che vengono fatte al mondo (capitoletto XXXV). I tre escono insieme ed entrano nella bottega di Porfirio, un panniere, che si congratula con Silvestro perché capisce che anche lui è dispiaciuto del mondo offeso e tutti insieme ripetono il loro amore per il mondo offeso (capitoletto XXXVII). Tutti e quattro insieme vanno in una osteria il cui proprietario è un certo Colombo che mesce vino nel boccale e tutti insieme bevono molti bicchieri fino ad ubriacarsi; l’arrotino, a nome di tutti, riafferma gli aspetti belli del mondo ma sottolinea che il mondo è offeso (capitoletto XXXVIII). Ma a questo punto Silvestro ha un attimo di presa coscienza e capisce che non può ubriacarsi ancora di più perché perderebbe ancora di più la propria coscienza e quindi abbandona tutti e lascia l’osteria per ritornare a casa da sua madre (capitoletto XXXIX). Nella quinta parte Silvestro, dopo il lungo pomeriggio trascorso, si ritrova, ormai al buio, davanti la porta della madre e ripensa a tutti i discorsi avuti con i suoi nuovi amici (capitoletto XLI). Ad un certo punto Silvestro sente l’interiezione, Ehm! che viene dal basso a cui lui risponde. Scende giù e si accorge di essere nel cimitero; rifà il verso Ehm! a cui risponde una voce che gli dice di essere un giovane soldato e di avere un padre che recitava in Macbeth e di avere un fratello di nome Silvestro. A queste parole Silvestro grida perché si rende conto di parlare con il fratello Liborio il quale gli comunica di essere morto da trenta giorni in un campo di battaglia di una guerra nella quale combatteva da un anno (capitoletto XLII). Continua il dialogo tra Silvestro e il fratello Liborio che gli dice che ogni sera i soldati danno una rappresentazione nella quale inscenano l’azione gloriosa dove lui è morto (capitoletto XLIII). A questo punto Silvestro abbandona il sogno e ritorna a casa dove si addormenta in un sonno profondo. L’indomani Silvestro si sveglia di primo mattino e inizia un dialogo con la madre che viene interrotto da una donna che rivolgendosi alla madre le dice “madre fortunata!” (capitoletto XLIV). La donna, con quella frase, aveva comunicato alla madre di Silvestro che suo figlio Liborio era morto in guerra in Spagna. Silvestro intuisce che la madre capisce della morte del figlio e quindi inizia un discorso per tentare di convincerla che la morte di Liborio non era stata inutile bensì eroica e positiva per la patria. In questo modo, però, sembra che Silvestro difenda la retorica in auge del fascismo che appunto esaltava la morte in guerra e l’imperialismo fascista. In verità Silvestro cerca di giustificare quella morte propositiva ed eroica del fratello non per esaltare l’imperialismo fascista ma per dare un senso e un valore alla morte di una giovane vittima del fascismo che era stato convinto e circuito di andare in una battaglia non sua e sacrificarsi per il fascismo e per la patria. La madre dice che Liborio era un bravo ragazzo che amava soltanto il mondo (capitoletto XLV). Silvestro cerca di convincere la madre della necessità della morte di Liborio e la paragona a Cornelia, madre dei Gracchi, che era fiera di sacrificare i figli per l’impero di Roma. Silvestro conclude che Liborio, uscito dal mondo, è entrato nella storia (capitoletto XLVI). Silvestro guarda la madre assorta nei suoi pensieri e comincia ad immaginare una fila di persone che gli chiede perché pianga davanti a una “ignuda donna di bronzo ch’era dedicata ai caduti”. Tutti gli chiedono perché pianga e tra questi il Gran Lombardo, l’arrotino, il catanese, Coi Baffi e Senza Baffi; ad un tratto Silvestro si sveglia e smette di piangere (capitoletto XLVII). Si avvicina alla statua di bronzo, attorniato dai personaggi incontrati dal viaggio in giù e tutti guardano la statua e Silvestro afferma che essa rappresenta e celebra tutti i caduti in guerra. Ma a questo punto Silvestro ripete l’interiezione Ehm! con la quale Liborio aveva iniziato il dialogo con lui. Nell’enigma della parola Ehm! si chiude il capitolo XLVIII. Segue subito dopo l’epilogo, il capitolo XLIX, nel quale Silvestro ritorna dalla madre per congedarsi da lei e ripartire e la trova mentre lava i piedi ad un vecchio che alla vista di Silvestro nasconde il suo volto con la mano. La madre gli dice che è ritornato suo padre che però si nasconde la faccia per cui lui non lo può riconoscere bene. A questo punto la madre, rivolgendosi a Silvestro, gli dice che non è vero che i Gracchi morirono sul campo di battaglia; Silvestro lascia correre l’affermazione e sull’invito della madre a salutare il vecchio, le risponde “lo saluterò un’altra volta. Lascialo stare. E uscii dalla casa, in punta di piedi”. Segue una nota molto importante nella quale Vittorini per eludere la censura fascista, e quindi far pubblicare il libro, chiarisce che, come il protagonista della Conversazione non è l’autore del libro, così la Sicilia è per puro caso il territorio in cui si svolge l’azione solo perché questo nome suona meglio di Persia o Venezuela. Riporto la nota integrale di Vittorini: “Ad evitare equivoci o fraintendimenti avverto che, come il protagonista di questa Conversazione non autobiografico, così la Sicilia che lo inquadra e accompagna è solo per avventura Sicilia; solo perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela. De resto immagino che tutti i manoscritti vengano trovati in una bottiglia”.
Breve trama di Conversazione in Sicilia.
Parte Prima.
Conversazione in Sicilia è un romanzo autobiografico che racconta la storia di Silvestro, il protagonista che, insoddisfatto e depresso per la vita che gli toccava vivere in una città del nord, e impotente e rassegnato alla guerra che si stava svolgendo in Spagna, si sentiva apatico dinanzi ai manifesti dei giornali sui massacri della guerra in Spagna. Era diventato indifferente a tutto ciò che gli accadeva sia in famiglia che con gli amici con i quali rimaneva muto. Un giorno gli arrivò una lettera dal padre che lo informava di avere abbandonato la madre e di essere scappato con un’altra donna; il padre lo invitava, insieme agli altri figli, ad andare a trovare la madre rimasta sola in Sicilia. Silvestro lesse la lettera e nella sua indifferenza totale provò una scura nostalgia di riavere la sua infanzia (pag. 136). Allora, quasi come un automa, andò alla stazione e di fronte alla prospettiva di ritornare alla vecchia quiete della vita di sempre o andare in Sicilia per riscoprire la sua infanzia, scelse questa seconda strada. Così acquistò il biglietto e poco dopo salì sul treno e partì per la Sicilia nella indifferenza più assoluta tra il ritornare a casa e l’andare a trovare la madre.
Dopo un giorno di viaggio in treno, si trovò sul battello-traghetto per la Sicilia. Arrivò a Messina e qui un piccolo siciliano, che vendeva arance lo scambiò per un americano. Prese il treno per Catania e nello scompartimento incontrò altri piccoli siciliani, tra cui un signore, “grande, un lombardo o normanno, forse di Nicosia”, (pag. 155) che Silvestro soprannomino Gran Lombardo, il quale parlò a tutti i presenti nello scompartimento e disse che oramai “i vecchi doveri” erano superati e ce ne volevano “altri, dei nuovi doveri, e più alti, verso gli uomini” (pag. 161). Questo discorso ebbe molte ripercussioni sullo stato d’animo di Silvestro il quale cominciò a cercare nuovi doveri e a non credere più a quelli vecchi. Poi a Catania scesero tutti i passeggeri tranne Senza Baffi che lo accompagnò fino a Siracusa e che nel tragitto gli offrì un pezzo di pesce d’uovo. A Siracusa scesero insieme alla stazione ma ormai Silvestro aveva cominciato a sentirsi più vivo e vitale con sé stesso e meno passivo verso gli altri.
Parte seconda.
Arrivato a Siracusa, Silvestro prese il treno secondario per la zona interna della Sicilia. Pernottò a Vizzini e il giorno dopo a mezzogiorno arrivò a casa della madre. Ora era contento di essere arrivato fino a casa della madre e si sentiva come se fosse entrato in una quarta dimensione (pag. 178) perché si sentiva in movimento e il suo viaggio stava per iniziare. Riconobbe la casa dell’infanzia, entrò e chiamò Concezione Ferrauto. La madre lo riconobbe subito e lo invitò a mangiare una aringa che stava cuocendo sopra il braciere. La madre allora cominciò a raccontare a Silvestro dei particolari dell’infanzia del protagonista, come il salto dal treno in corsa per abbreviare la strada dalla stazione. Silvestro ricordava il viso della madre come giovane e terribile (pag. 182). La madre raccontò anche a Silvestro che un giorno i figli mangiavano grilli per la fame e raccontò anche il carattere del nonno materno che appariva alla madre come un grande uomo perché era il primo cavaliere della cavalcata del paese. La madre gli raccontò anche della grande vitalità del nonno e intanto Silvestro guardava le mani della madre che erano “grandi, consumate e nodose” (pag. 214) mentre la sua faccia era ancora giovane e bella come una odalisca. Poi la madre gli raccontò che il padre di Silvestro aveva paura ogni volta che lei partoriva i figli, mentre loro, i figli già grandi, guardavano con occhi spalancati i momenti tragici del parto. Anche durante il parto del terzogenito, il nascituro aveva gli occhi spalancati mentre il padre alzava gli occhi al cielo come se pregasse. La madre gli raccontò anche il motivo per cui il padre era fuggito da casa e questo accadde perché si era innamorato di un’altra donna; il padre trattava tutte le altre donne come api regine e non come sporche vacche come lei pensava meritassero di essere definite. A questo punto Silvestro chiese se anche la madre qualche volta fosse andata con altri uomini nel vallone; la madre, impassibile, gli raccontò che effettivamente un pomeriggio d’estate passò un viandante pieno di arsura e di fame a cui lei diede una pagnotta calda (pag.226) e non solo quello ma anche “altro”, che lei con amore cristiano voleva soddisfare (pag. 228). Silvestro restò sorpreso e infastidito da questa notizia e chiese se il viandante fosse ritornato altre volte; la madre rispose che ritornò varie volte e in alcuni casi le portò qualche regalino. Ma poi non ritornò più e la madre si spiegò l’assenza pensando che lui fosse morto in un sciopero nelle zolfare. Silvestro guardò la madre intensamente e pensò “Benedetta vacca!” (pag. 229).
Parte terza.
La madre di Silvestro si cambiò d’abito e portò con sé il figlio per andare a fare il giro delle iniezioni a dei malati del paese. Entrarono in alcune case povere, anditi di abitazioni e la madre faceva le iniezioni al buio. Silvestro capì allora che i malati che sopportavano la malattia erano più uomini degli altri uomini del genere umano perché soffrivano di più rispetto a loro. Un esempio di uomo più uomo, perché sofferente, era quello di un cinese che viaggiava in Sicilia, in una terra lontana dalla sua. Dopo le ultime punture a due malate, alle quali la madre impose la presenza di Silvestro, madre e figlio uscirono per strada, dove si udiva la musica delle zampogne delle novene.
Parte quarta.
Silvestro non volle più seguire la madre e si fermò in un grande spiazzale sotto un palazzo. Arrivò un arrotino che si rivolse a Silvestro, il quale, per fargli piacere gli diede un temperino che l’arrotino arrotò. L’arrotino allora cominciò ad elencare alcuni aspetti belli del mondo: luce, ombra, freddo, caldo, gioia, non gioia ed altri (pag. 282).
Anche Silvestro condivise la gioia della bellezza del mondo. Poi l’arrotino condusse Silvestro in una bottega di cuoi dove gli fece conoscere Ezechiele, il quale, gli disse che il mondo era offeso e che loro soffrivano per il mondo offeso e non per sé stessi (pag. 286). Poi, tutti insieme, andarono da Porfirio, il panniere, il quale fu, anche lui, contento di fare la conoscenza di Silvestro; Porfirio gli parlò dell’acqua viva che avrebbe salvato il mondo offeso. Poi, tutti insieme, andarono nella locanda di Colombo dove bevvero e si ubriacarono di vino; Silvestro allora, ascoltando Porfirio, capì che quel vino annebbiava la mente e addormentava la coscienza mentre lui non voleva che ciò accadesse. Così lasciò la compagnia e ritornò a casa della madre e qui cominciò, sul pianerottolo di casa, ad immaginare che tutti “i morti, gli uccisi, si erano alzati a sedere nelle tombe, meditavano”.
Parte quinta.
Silvestro immaginò gli spiriti e le fantasime che giravano davanti casa e che potevano essere simbolo della liberazione dell’uomo. Allora sentì una voce che disse Ehm! (pag. 311). Silvestro scese sotto e si trovò nel cimitero; parlò con la voce che aveva detto Ehm! che gli disse di avere un padre che recitava il Macbeth, un fratello di nome Silvestro e aggiunse che doveva recitare in una rappresentazione. Silvestro, per consolarlo, gli tese una sigaretta che però gli restò in mano. Poi, Silvestro, entrò in casa e sprofondò in un sonno profondo; si svegliò l’indomani mattina e sentì degli spari in cielo. Mentre parlava con la madre, una donna, dalla scala, gridò: “madre fortunata!” (pag. 322). La madre allora capì che suo figlio Liborio era morto in guerra perché conosceva la retorica fascista e chiese a Silvestro perché la signora l’avesse definita fortunata. Silvestro spiegò che doveva sentirsi fortunata perché Liborio era morto in guerra per la patria e che con la sua morte l’aveva onorata perché lei l’aveva partorito. Silvestro concluse che, loro, la madre e Liborio, ormai facevano parte della storia e che lei avrebbe ricevuto una medaglia all’onore militare. Ma ora, Silvestro capì il sogno della sera precedente che era stato premonitore e così cominciò a piangere. Trasognato vide una statua di donna dedicata ai caduti in guerra e allora vide tutti i personaggi conosciuti in viaggio che lo pregavano di smettere di piangere. Silvestro si ricordò inoltre dell’Ehm! del soldato morto e lo comunicò agli altri che capirono il significato dell’interiezione ma che lui non poteva esplicitare perché era “una parola suggellata” (pag. 336). Silvestro, prima di partire, ritornò a casa dal sogno, e lì trovò la madre che lavava i piedi ad un vecchio; il protagonista cercò di capire chi fosse l’uomo ma non riuscì nell’intento. La madre smise di lavare i piedi e disse a Silvestro di avere letto, in un libro di storia, che i Gracchi non morirono sul campo di battaglia. Silvestro non rispose, la baciò e uscì di casa in punta di piedi (pag. 340). Segue la nota chiarificatrice in cui Vittorini spiega che il protagonista non è l’autore del libro e che la Sicilia è un luogo scelto a caso perché il nome Sicilia gli suonava meglio di Persia o Venezuela.
Il tema del romanzo.
Il tema del romanzo è la perdita della fiducia nella politica fascista, di fronte ai massacri della guerra in Spagna, da parte del protagonista Silvestro-Vittorini, un operaio-intellettuale del nord. Il protagonista nella sua vita privata, elabora la propria rabbia contro i massacri della guerra in Spagna ed entra in uno stato di disorientamento totale verso il mondo che lo fa diventare apatico, muto, insensibile ed indifferente verso tutto e tutti. In questo profondo stato di passività e di inerzia, Silvestro vuole riscoprire le proprie origini e la propria infanzia e per caso ritorna in Sicilia, la sua terra d’origine. Inizia quindi un viaggio interiore, fisico e psicologico, alla riscoperta della propria infanzia e della propria verità che era ben lontana dall’odio e dalla guerra del presente. Un viaggio che Vittorini definisce di quarta dimensione perché, appunto, è un viaggio che è continuamente e contemporaneamente dentro e fuori dalla realtà. Durante il viaggio Silvestro incontra il Gran Lombardo, il quale con il suo discorso di fiducia nel mondo dà a Silvestro l’input di agire e realizzare “altri doveri più alti” che non sono quelli del fascismo. Il protagonista prende coscienza che effettivamente bisogna agire sulla realtà e non rimanere passivi e vittime della politica del fascismo. Anche la lunga conversazione con la madre, che ricorda al protagonista la sua fanciullezza, aiuta Silvestro a ritornare ad inserirsi nella realtà e a non allontanarsi da essa come uno sconfitto che perde fiducia nella società. Silvestro, vedendo la madre entrare nella casa dei malati per portare una buona parola e aiutarli nella malattia, capisce che anche lui non deve essere passivo ma deve entrare nella sua realtà per realizzare, quanto meno, la propria vita. Il colloquio con l’arrotino è molto importante perché questi, esaltando le piccole grandi gioie della gente comune, in un certo qual modo, scuote Silvestro facendogli apprezzare e godere tutti gli aspetti della vita quotidiana. Anche i colloqui con Ezechiele e Porfirio servono a scuotere Silvestro per fargli seguire la propria ideologia e abbandonare quella che ora reputa non rispondente alla sua. Silvestro si rende conto che non deve seguire l’ideologia di Colombo che rappresentava la cultura ufficiale del fascismo e neanche quella di Porfirio, che rappresentava la cultura cattolica, simboleggiata, nel romanzo, dal vino che addormentava la coscienza dei protagonisti. Anche la conversazione con il fratello Liborio, alla fine del romanzo, scuote Silvestro il quale intuisce che la morte del fratello non può essere stata vana, anche se ammantata dalla retorica ufficiale del fascismo. Per cui alla fine, in uno stato di semi-coscienza, ma ormai lontano dal buio totale dell’inizio del romanzo, Silvestro lascia la Sicilia e rientra al nord, con una nuova coscienza critica attiva contro l’ideologia dominante e con una nuova consapevolezza politica e pronto ad inserirsi nella realtà sociale.
Il messaggio del romanzo.
Il messaggio è innanzitutto politico perché la genesi del romanzo è politica e, contemporaneamente, è anche un messaggio di presa di coscienza psicologica e culturale del protagonista, che attraverso il viaggio a ritroso nella sua terra d’origine, riacquista, tramite le piccole grandi conversazioni con le persone che incontra, la consapevolezza che non può tirarsi fuori dalla vita ma che deve lottare nel proprio lavoro per non diventare vittima della politica così come era successo al fratello. Un altro messaggio importante del romanzo è la conversazione che il protagonista ha con la madre e il momento in cui riesce a farle confessare i suoi rapporti extra-coniugali. In questo modo il romanzo affronta la drammaticità del sesso ed illumina la vita di questo aspetto in ogni persona mettendolo in primo piano e quindi portandolo alla luce. Io, Biagio Carrubba, penso che l’insistenza di Vittorini sulla sessualità e sulla istintività della madre del protagonista voleva essere un tema cocente, scottante, che metteva a nudo la coscienza puritana ed ipocrita della borghesia fascista degli anni ’30. Vittorini, in questo modo, tentava di dare un pugno nell’occhio alla società repressiva e compulsiva del regime fascista e uno schiaffo alla mentalità bigotta e cattolica degli anni ’30. Come questo episodio nascosto e sorprendente della vita della madre, al protagonista fa prendere coscienza della vita, così Silvestro capisce che la guerra deve essere guardata, fronteggiata e non temuta, per non essere coinvolti da essa e per limitarla nella sua azione catastrofica.
Un altro messaggio del romanzo è il fatto che il protagonista, tramite le conversazioni con gente umile e non con professionisti ed intellettuali, riesce alla fine ad acquisire una nuova consapevolezza dei rapporti sociali che lo fanno evadere dalla sua apatia e lo immettono, di nuovo, attivamente nella società. Per questo motivo Silvestro rientra energicamente e attivamente dove era partito in modo apatico ed indifferente verso tutti. Un altro messaggio importante del romanzo è la figura centrale del Gran Lombardo il quale è descritto come un uomo saggio e forte che rappresenta la mentalità del popolo che vuole la pace e quindi predica altri doveri, come la pace sociale, opposti alla politica bellicista del fascismo.
La tesi del romanzo.
La tesi del romanzo è, ovviamente, la tesi di Silvestro-Vittorini che non ha mai dimenticato la sua terra di origine e pensa che in essa possa trovare la forza e l’energia capace di incoraggiarlo e rafforzarlo nella lotta contro la guerra e contro il fascismo. Il grande aiuto nel raggiungere questo obiettivo gli può venire dalla madre che rimane sempre la figura centrale per ogni figlio dato che essa rappresenta la forza originaria e primigenia per ogni individuo. Un’altra tesi universale sviluppata dal romanzo è che il potere, da sempre, partecipa a delle guerre assurde e non necessarie, come fece Mussolini in Spagna alleandosi con Hitler. Mussolini, mandando un reparto di soldati “volontari”, in effetti mandava a morire giovani che nulla avevano a che fare con i suoi scopi di dominio e di prestigio. Quindi, quando la madre di Silvestro capisce che il figlio Liborio era morto, l’unica cosa che le interessava esternare era il dolore per la perdita di un figlio, estraneo agli interessi della guerra; la madre afferma che Liborio “era un povero ragazzo. Voleva vedere il mondo. Amava il mondo” (capitoletto 45). La madre piangeva la morte del figlio e non le interessava la medaglia che il regime fascista le avrebbe dato. Silvestro, in un certo qual mondo, riesce ad attenuare il dolore della madre rendendosi, in questo caso, complice della retorica ufficiale del fascismo; ma in effetti Silvestro valorizza la morte del fratello Liborio, non come soldato fascista, ma come giovane soldato sacrificatosi per la patria, innocentemente e vittima del potere. Questa tesi, purtroppo, rimane sempre attuale, perché, ancora oggi, abbiamo altri casi analoghi come la guerra scatenata da Bush in Iraq nel 2003. Questa guerra, come quella spagnola del ’36, ha causato la morte di migliaia di giovani americani e di altre nazioni. Ogni soldato morto in guerra ritorna a casa dentro la bara avvolta dalla bandiera americana e dalle onorificenze. Il ritorno a casa di questi giovani morti per una causa non loro, procura nei genitori dolore devastante e tremendo come si è visto in tante strazianti immagini trasmesse in televisione e come accadeva alla mamma di Liborio. Un altro aspetto del romanzo, molto importante e dibattuto dai critici, è l’interpretazione della interiezione Ehm! che ancora non ha avuto una univoca interpretazione da parte dei critici, perché il contesto del capitolo (nr. XLVIII) è ambiguo e suscita diverse interpretazioni. Secondo me, Biagio Carrubba, l’interpretazione più reale dell’esclamazione Ehm! non può essere altro che pace. Liborio con quella espressione ermetica voleva, secondo me, lanciare un messaggio di pace contro la guerra in Spagna. Questo sentimento di pace del fratello viene subito recepito da Silvestro che lo comunica ai suoi conoscenti che lo seguono davanti alla statua della donna dedicata ai caduti e condividono e accettano questo sentimento di pace. Silvestro-Vittorini non poteva sostituire l’interiezione Ehm! con la parola pace perché questa sarebbe stata oggetto della censura fascista e perché colpiva direttamente la politica bellicistica di Mussolini.
Carattere dei personaggi del romanzo.
Conversazione in Sicilia è un romanzo a focalizzazione interna, cioè il narratore racconta i fatti dal suo angolo di visuale che diventa quindi una angolatura inevitabilmente ristretta e limitata. Noi lettori, quindi, conosciamo i personaggi, la trama e il finale man mano che proseguiamo nella lettura. La focalizzazione interna rende i dialoghi vivaci ed attraenti e lascia intatta la suspense fino alla fine. Un altro aspetto interessante del romanzo è anche l’indole dei vari personaggi che è sconosciuta ai lettori e che viene manifestata a poco a poco. I personaggi del romanzo principali sono quattro: Silvestro, il Gran Lombardo, la madre di Silvestro e il fratello del protagonista, Liborio. Silvestro si auto descrive subito, fin dall’inizio, come un personaggio apatico alla ricerca di una nuova via e di una nuova autocoscienza; per questo motivo non esita a ritornare in Sicilia dove spera di trovare, appunto, nuova forza umana e culturale, vergine e primigenia, che gli dia quella fiducia positiva verso gli altri e verso la vita. Silvestro troverà effettivamente questa fiducia nei personaggi che incontra e questa forza spingerà il protagonista verso la conclusione positiva del romanzo. Il Gran Lombardo, che rappresenta la mentalità siciliana, è un uomo saggio, sereno ed equilibrato che aspira alla pace e al quieto vivere di tutti i giorni ma che avverte, dentro di sé, l’aspirazione a cercare nuovi doveri e nuovi valori che sono sintetizzati implicitamente nel concetto di pace sociale. La madre del protagonista è una donna forte, fiera, indomita e ribelle che non ha paura di restare sola e che rappresenta la forza di reagire alle avversità e alla miseria. Ma la sua indole è anche caratterizzata da una forza impulsiva e disinibita che spiega la sua decisione di tradire, una volta, il marito con un viandante di passaggio. Liborio è il giovane fratello di Silvestro vittima della crudeltà del potere, che mandava tanti giovani a morire in guerra; Liborio prende pienamente coscienza della crudeltà della guerra e la trasmette al fratello che ne diventa consapevole e grazie a questa confessione egli ritorna a Milano con più consapevolezza e maggiore spirito critico. La svolta neorealistica del contenuto e la prosa leggera e ricorsiva, quasi ermetica, fanno di Conversazione in Sicilia un libro, certamente non rivoluzionario, ma un romanzo riformista, comunque sempre forte nello spezzare la mentalità e la politica fascista dell’Italia degli anni ’30.
Il linguaggio del romanzo.
Il linguaggio del romanzo è costruito con un periodare ripetitivo e con espressioni originali ed ermetiche la cui caratteristica principale è ovviamente la ricorsività di molte frasi e la ripetizione di molte espressioni che, nel loro insieme, danno al romanzo un tocco monotono ma, allo stesso tempo persuasivo, e creano una atmosfera simbolica, lirica ed elegiaca. Il linguaggio è costruito soprattutto sui continui dialoghi che Silvestro ha con vari personaggi che incontra nel viaggio in Sicilia. Questi colloqui non sono ermetici, come molti critici affermano, ma sono chiari, limpidi, spontanei, evidenti, perché si svolgono tra gente umile, di non grande cultura.
Il genere del romanzo.
Il genere del romanzo, come molti critici hanno evidenziato, è una fusione tra simbolismo, lirismo e neorealismo.
La bellezza del romanzo.
Io, Biagio Carrubba, trovo belli i seguenti aspetti di Conversazione in Sicilia:
1. la vivacità e la sincerità dei colloqui che Silvestro ha con i vari personaggi, come quello che ha, ad esempio, con la madre quando lei confessa, in modo sconvolgente al figlio il proprio rapporto sessuale extra-coniugale. Un altro esempio di colloquio vivace e sincero è quello con l’arrotino che elenca a Silvestro una serie di aspetti positivi e belli della vita che lo spronano ad abbandonare il proprio pessimismo e la propria apatia;
2. l’indole dei vari personaggi. Primo tra tutti Silvestro stesso che, inizialmente, si lascia vincere dalla crudeltà e della ferocia del mondo ma poi intuisce che deve ribellarsi ad esse e quindi intraprende un viaggio di autocoscienza nella sua Sicilia vergine ed ostile. Un altro personaggio positivo è la madre, la quale, nella sua fierezza e nella sua autonomia di persona, è un esempio positivo per il figlio, il quale trae da essa una carica ancestrale di vitalità e di energia che lo scuotono dal suo torpore iniziale.
3. Il messaggio che Vittorini lancia ad ogni individuo di acquistare una nuova coscienza e di abbandonare l’apatia iniziale per trovare la forza interiore per ribellarsi e contrastare gli eventi negativi causati dal fascismo.
4. Un altro motivo di bellezza del romanzo è dato dal linguaggio lirico, molto affascinante e coinvolgente, che lo fa assomigliare ad un romanzo lirico e, per la sapiente descrizione dei personaggi e dell’ambiente, apre la via al neorealismo che esploderà subito dopo la seconda guerra mondiale.
5. La capacità di Vittorini, come tutti i grandi, di essere precursore di una nuova strada della letteratura italiana che in quegli anni era sommersa nell’ermetismo e nel “realismo magico” degli anni ’30 che deformava la realtà. Vittorini con questo romanzo inizia il filone del neo-realismo.
6. Un altro aspetto estetico da evidenziare è certamente il significato simbolico della conclusione del romanzo quando Silvestro non riconosce il padre invecchiato come rappresentante dell’autorità paterna siciliana. Vittorini, allo stesso modo, non riconosce più Mussolini come il capo del fascismo, perché lo vede invecchiato, anacronistico e dittatore del regime fascista. Questa interpretazione è stata ben capita ed evidenziata da Romano Luperini nel suo commento a Conversazione in Sicilia che così scrive: “Il mancato riconoscimento del padre, ridotto a un vecchio scemo, allude all’impossibilità, ormai, di riconoscersi nelle ragioni del potere e della storia ufficiale”. (da La scrittura e l’interpretazione – Volume III – Tomo III – Edizione Rossa – a cura di Romano Luperini e altri – Palumbo editore – Pag. 385). Quindi, come Silvestro esce dalla casa dei genitori in silenzio ed in punta di piedi, allo stesso modo Vittorini esce dalla corte di Mussolini in punta di piedi e va per la sua strada non riconoscendo più i valori del fascismo. A differenza di Silvestro, Vittorini esce dalla corte di Mussolini, dicendolo attraverso la pubblicazione del romanzo, quindi pubblicamente perché è consapevole della nuova strada che vuole intraprendere.
Alcuni giudizi critici su Conversazione in Sicilia.
Il primo giudizio critico che trascrivo su Conversazione in Sicilia è quello di Giuliano Manacorda che insiste, opportunamente, sulla dimensione politica del romanzo: “Eppure, fu certo di grande momento che Vittorini subisse lo shock per un fatto pubblico di così tragica portata storica come la guerra di Spagna, che la sua via di Damasco si spalancasse per portarlo a contatto con il sangue d’Europa che allora cominciava a scorrere, e non, come pure allora avrebbe potuto indurlo il modo della contestazione ermetica, per sprofondarlo in un privilegiato e sussurrato dramma interiore, per mantenerlo ancora in “astratti furori”. “Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori” è il celebre attacco di Conversazione in Sicilia, ed è l’inverno del 1936-37, la paralisi che attanaglia l’Europa: “Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non avere febbre di fare qualcosa in contrario”. Conversazione è la guarigione dalla secchezza dell’indifferenza, è la passione dolorosa che vince sul privilegio dell’apatia, è l’immersione nelle cose degli uomini per riemergerne sapendo, è la scoperta del mondo dei “piccoli siciliani affamati e soavi” dal quale Vittorini sente che rischiava di rimanere disconosciuto ed escluso. E subito scatta la ferrea contrapposizione tra offesi e privilegiati, tra deboli e potenti, tra disperati mangiatori di aranci e i “due siciliani di tipo carrettiere, ma ben messi, floridi presuntuosi nella nuca e la schiena”, due poliziotti per i quali “ogni morto di fame è un uomo pericoloso”; e Vittorini è già tutto dalla parte degli offesi, per istintiva onestà, per una generale avversione allo Stato vagamente anarchica, per una più precisa e polemica avversione a quello Stato di cui si tratta. Ma la simbologia del mondo moderno va completata dalla robusta voce di una coscienza giudicante, il Gran Lombardo – “Credo che l’uomo sia maturo per altro, per nuovi, per altri doveri”, egli dice, e già il mondo degli oppressori e degli oppressi si toglie dalla sua immobilità e si apre finalmente alla speranza. Con questo viatico può cominciare la regressione agli inferi, la madre, l’infanzia, il cuore dell’isola: “il ricordo e l’in più d’ora”, e l’in più è la maturità della ragione, la disperata volontà di penetrare il perché di tante lacrime e di far sì che cessino di scorrere; è la prima coscienza che Vittorini ha e bandisce della funzione non meramente consolatoria dell’arte, ma modificatrice di quella realtà amara: “la piccola Sicilia ammonticchiata; di nespoli e tegole e rumori di torrente, fuori; di spiriti, dentro, nel freddo e nel buio”.”
(da Storia della letteratura italiana contemporanea 1940 – 1996 – Volume I – Giuliano Manacorda – Editori Riuniti- Pagg. 88 – 89).
Anche Ferraro e Zulati insistono sulla dimensione politica del romanzo ma ne mettono in luce anche gli altri aspetti importanti come il carattere dei personaggi, l’autocoscienza del protagonista e mettono in luce l’importanza della madre che, secondo loro, costituisce una figura positiva e costruttiva del romanzo: “Conversazione in Sicilia è il racconto del viaggio di un tipografo, Silvestro Ferranto, che a distanza di quindici anni decide di ritornare nel suo paese di origine, la Sicilia, in seguito a una lettera del padre che gli comunica di aver abbandonato la madre per un’altra donna. Per il protagonista, che versa in una profonda crisi intellettuale e morale (“astratti furori”), da cui non riesce a emergere, è l’occasione per ricercare le sue radici familiari e antropologiche, attraverso la rievocazione dei ricordi personali e collettivi; ma è anche l’opportunità di ritrovare, a contatto diretto con le sofferenze di un popolo, l’energia per operare concretamente al fianco dei vinti e delle vittime della storia. Il libro, formato da quarantanove brevi capitoli, si divide in cinque parti più un epilogo. La prima si sofferma a descrivere il viaggio di ritorno del protagonista verso il suo paese natio. Già a un iniziale contatto con un’umanità sofferente e derelitta, Silvestro riacquista il valore della comunicazione e della solidarietà tra gli uomini. Sul treno per Siracusa avviene, inoltre, il primo fondamentale incontro del suo itinerario spirituale, quello con il “Gran Lombardo”, che gli parlerà dei “nuovi doveri” da assumere verso il prossimo. La seconda parte è incentrata sul soggiorno a casa e sulla conversazione con la madre Concezione. Attraverso i racconti della donna, ritornano alla mente del protagonista i luoghi, i personaggi e i fatti del passato, e in particolare alcune significative figure della sua infanzia, come quella del nonno materno, rievocato in una dimensione favolosa, come un eroe mitologico. Nella terza parte, dalle atmosfere un po’ ovattate del ricordo, si ritorna bruscamente alla realtà concreta. Accompagnando la madre nel suo abituale giro per fare siringhe ai malati di tisi e malaria del paese, Silvestro conosce direttamente le drammatiche condizioni di miseria e arretratezza di un popolo abbandonato da secoli alla propria sofferenza. A cominciare dalla quarta parte si accentua il carattere allegorico del romanzo. I personaggi assumono sempre più un significato simbolico, come l’arrotino Calogero e i suoi amici Ezechiele e Porfirio, con i quali Silvestro si sofferma a discutere nell’osteria di Colombo. Essi rappresentano tre possibili forme di riscatto dalla condizione di subalternità: la ribellione armata (Calogero), la denuncia intellettuale (Ezechiele) e la spiritualità (Porfirio). Nella quinta e ultima parte c’è il decisivo incontro al cimitero con il fantasma del fratello Liborio, morto nella guerra di Spagna, che incarna il simbolo della sofferenza individuale e collettiva. Le sue parole avviano il definitivo processo di redenzione di Silvestro. Egli dapprima cerca di spiegare la morte del fratello e il lutto della madre alla luce dell’ideologia dominante (la gloria), ma nella scena finale, di fronte alla statua di una donna, dedicata ai caduti in guerra, alla presenza di tutti i personaggi del romanzo improvvisamente riapparsi, comprende l’inganno della retorica ufficiale e la necessità di assumere, in una rinnovata coscienza, nuovi doveri verso l’intera umanità offesa. Il racconto è condotto in prima persona dal narratore protagonista e si svolge in tre giorni e tre notti. Il tempo del viaggio è indeterminato e solo alcune allusioni, riferibili alla guerra di Spagna, consentono di collocarlo verso la fine degli anni Trenta. La struttura è circolare: nell’epilogo Silvestro prende commiato dalla madre e dal padre, misteriosamente riapparso in casa, e fa ritorno nella sua città, guarito da quell’inerzia che lo aveva reso muto e inoffensivo nei confronti delle ingiustizie del mondo e consapevole del suo nuovo compito. La ripetitività dei personaggi e delle situazioni all’interno delle cinque parti conferisce al racconto una connotazione mitica, come una sorta di viaggio di iniziazione. Il carattere allegorico del romanzo è evidenziato, inoltre, dalla fitta presenza in tutto il testo di figure e situazioni simboliche, con cui Vittorini intende trasferire i fatti da un piano reale a uno universale, da un tempo storico a uno metastorico. Il crudo volto della sua terra diviene così l’emblema della condizione di sofferenza dell’intera umanità; da ciò deriva quella particolare atmosfera surreale che grava su tutto il libro, in cui personaggi e ambienti si innalzano al di sopra di una dimensione puramente documentaria, per farsi portatori, dietro la cruda consistenza storica e sociale, di significativi più profondi e concreti”.
(da La pagina e i tempi – a cura di Giuseppe Ferraro e Alessandra Zulati – Simone editore – Pagg. 624 – 625).
Ferraro e Zulati in questo lacerto si soffermano sull’aspetto psicologico del protagonista: “In questo primo capitolo Vittorini si sofferma a descrivere lo stato psicologico del protagonista prima della decisione di partire alla volta della sua Sicilia per rivedere, dopo quindici anni, la madre e i luoghi dell’infanzia. Silvestro dichiara di essere in preda ad astratti furori, di trovarsi cioè in uno stato di rabbia sterile e impotente nei confronti della realtà che lo circonda. Egli, pur percependo che il male radicatosi nella società, con la stessa capillarità di una pioggia insistente, ha corrotto totalmente il genere umano, non è in grado tuttavia di elaborare una reale azione di contrapposizione, perché nella grigia quiete della normalizzazione politica imposta dal fascismo, s’è spento ogni slancio, ogni speranza di una possibile rinascita. L’incapacità di dare un segno propositivo alla sua rabbia, di rendere eroici i suoi furori, genera soltanto inerzia e passività: nient’altro che una supina rassegnazione al proprio stato di degrado sociale e intellettuale (scarpe rotte). Ogni cosa gli è indifferente, ogni sentimento si è inaridito, ogni ricordo si è dissolto, come se l’incessante diluvio della ridondante e retorica “storia ufficiale” avesse cancellato ogni traccia della storia e dell’identità personale. Questa drammatica crisi esistenziale, che coinvolge non solo il singolo uomo, ma un intero gruppo sociale (si noti l’insistente riferimento agli amici), impone una radicale rigenerazione individuale e collettiva, un urgente recupero di valori e significati, che il protagonista comincerà a compiere a partire dai primi contatti con la gente della sua terra. L’uscita dall’astrattezza intellettuale passerà soprattutto attraverso il ritrovamento del “linguaggio dialogante”, della conversazione come fonte di scambio e arricchimento, che gli consentirà di ritrovare il senso di solidarietà umana. Nello stato di non speranza in cui si trova il protagonista prima della partenza, invece, non c’è spazio per la parola: muto è il rapporto con gli amici, muta la relazione con la ragazza o moglie. Il linguaggio è in possesso dei potenti che ne fanno un uso strumentale e propagandistico (manifesti di giornali squillanti), rendendolo inservibile per ogni altro contatto umano”.
(da La pagina e i tempi – a cura di Giuseppe Ferraro e Alessandra Zulati – Simone editore – Pag. 627).
Dardano e Giovanardi, in questo lacerto, danno un giudizio positivo sul romanzo mettendone in risalto il fatto che Vittorini tocchi, con i vari personaggi, temi universali come il ritorno nella terra d’origine, la sofferenza della dittatura e la morte: “Considerato con giudizio quasi unanime il capolavoro narrativo di Vittorini, Conversazione in Sicilia rappresentò una svolta nella vita e nella produzione letteraria dell’autore. Questi, infatti, disorientato dalla guerra civile di Spagna, in cui il fascismo mostrò il suo vero volto crudele e militarista, si trovò in un momento di grande incertezza esistenziale. Interrotta la redazione del romanzo Erica e i suoi fratelli (pubblicato nel 1954), Vittorini si dedicò anima e corpo alla composizione di questo libro. L’esperienza del ritorno alle origini, dell’immersione purificatrice nel mondo semplice della sua infanzia, che si realizza in Conversazione in Sicilia, fu per lui apportatrice di nuovi stimoli e nuovi entusiasmi.
Il protagonista del romanzo, Silvestro Ferrauto, vive in una città del nord Italia. Trentenne, frastornato dalla vita e dagli avvenimenti che accadono intorno a lui, Silvestro intraprende, quasi per caso, un viaggio verso la natia Sicilia. Il lungo viaggio in treno, però, si trasforma quasi in un viaggio a ritroso nel tempo, in un’esplorazione all’interno della propria coscienza. Tutto il romanzo si riduce ad una lunga e ininterrotta conversazione intrattenuta dapprima con gli enigmatici compagni di viaggio, rappresentanti di un’umanità ancora forte e incontaminata, poi con la madre ormai anziana, infine con gli abitanti di Neve, il paesino dell’entroterra in cui il protagonista aveva trascorso la sua infanzia. In preda all’ubriachezza Silvestro arriva anche a scambiare le proprie idee con il fratello morto nella guerra di Spagna. I vari colloqui toccano tutti i temi più profondi dell’esistenza: la sofferenza, la morte, la morale, mettendo in crisi a più riprese la vuota retorica della propaganda fascista.”
(Dai I testi, le forme, la storia – a cura di Maurizio Dardano e Claudio Giovanardi – Palumbo editore – Pag. 717)
Romano Luperini definisce Conversazione in Sicilia un romanzo di iniziazione e lo giudica come un romanzo di formazione in quanto Silvestro alla fine riuscirà a liberarsi dai “vecchi doveri” e a formarsi una nuova coscienza politica: “Essa non fu mai finita: lo scoppio della guerra di Spagna gettò nello sconforto Vittorini facendo capire a lui e ai suoi amici (Bilenchi, Pratolini) il carattere illusorio delle posizioni politiche sino allora sostenute: il fascismo, infatti, si schierò dalla parte di Franco e non della legittima repubblica, come essi avevano sperato. Ha inizio per Vittorini una fase di vuoto e di “astratti furori” da cui nasce Conversazione in Sicilia e in cui il ripiegamento nella letteratura si accompagna nondimeno a una forte tensione etica e populistica. La tendenza a tradurre i dati reali in liricità, in musica, in analogie simboliche avvicina Vittorini agli ermetici; ma ciò non impedisce allo scrittore di mostrare il proprio interesse per ambienti e situazioni del mondo popolare e di schierarsi a favore degli offesi e delle vittime, anticipando modi che saranno ripresi dal Neorealismo. Il romanzo è costruito in modo circolare, essendo basato sulla ripetizione, in ognuna delle sue cinque parti, di battute, situazioni e personaggi che ritornano anche nelle altre. Esso ha la forma mitico-simbolica di un ritorno alle origini: il protagonista, Silvestro, che parla in prima persona, supera la situazione d’inerzia e di “astratti furori” compiendo un viaggio verso il paese siciliano in cui è nato. Nel romanzo la storia – la miseria siciliana, la guerra di Spagna – è ben presente. Rimandano a questa dimensione storica l’ideologia del “mondo offeso”, per cui “non ogni uomo è uomo”, alcuni (coloro che soffrono) sono “più uomini” e altri (gli oppressori) “meno uomini” (questa ideologia torna nel titolo del libro successivo: Uomini e no), e la convinzione che occorrono perciò “nuovi doveri”. Ma la componente storica viene filtrata ed espressa nella forma simbolica del mito, del ritorno alle origini, del viaggio di iniziazione. Nel romanzo l’allegoria complessiva – la costruzione dell’opera, il rinvio alla realtà storico-sociale, la ricerca di un significato – si associa a procedimenti opposti di tipo simbolico, e cioè metastorico e analogico”.
(da La scrittura e l’interpretazione – Volume III – Tomo III – Edizione Rossa – a cura di Romano Luperini e altri – Palumbo editore – Pag. 376).
Attilio Cannella, in questo lacerto, evidenzia la bella scrittura del romanzo di Vittorini, mettendo in rilievo lo stile lirico, affascinante e quasi ermetico e sottolineando tutti gli aspetti sintattici e stilistici che caratterizzano in modo innovativo ed originale tutto il romanzo: “Il brano si apre con il pronome Io, che dichiara fin dall’inizio la forma essenzialmente lirica del romanzo. Manca ogni indicazione di tempo: quell’inverno è un riferimento generico, che allude a un “inverno” dell’animo avvilito; e manca qualsiasi precisazione sull’identità dell’io narrante: non sappiamo (per ora) il suo nome e la sua professione; sappiamo solo che è sposato con una ragazza o moglie. L’accenno ai massacri e ai giornali che ne parlano con titoli di scatola ci fa capire che è in corso una guerra: sta a noi dedurre che si tratta della guerra di Spagna. Celeberrimo è il sintagma astratti furori: di derivazione letteraria (gli “eroici furori” di Bruno), allude a una condizione di impotenza che non ha nulla di eroico, riducendosi il furore a una rabbia cerebrale, che non circola nel sangue, non è cioè vitale, ma passiva. La condizione del protagonista è di sospensione in un limbo di non speranza, che somiglia alla quieta della morte: egli intuisce che il genere umano è perduto, ma non si sente in grado di far nulla; rinuncia alla “conversazione”, che sarà il tema dominante del libro; l’unico libro che li riesce di sfogliare è un dizionario, con le sue parole mute, come muti sono gli amici che incontra. Questo stato di astrazione è il risultato di un’impossibilità di azione, che consuma la rivolta in un sordo sogno; nella condizione di assoluta apatia, il protagonista giunge a dubitare della propria identità: forse anche la sua infanzia in Sicilia, fra i fichidindia e lo zolfo, è solo un sogno. Sul piano stilistico, l’elemento più rilevante è la tecnica della ripetizione, che Vittorini ha appreso dagli scrittori americani. Le continue iterazione assumono un valore emblematico: si vedano le martellanti negazioni preposte a determinazioni positive (non eroici…non speranza), al termine chiave furori (non eroici, non vivi), ai verbi (Non dirò… non di questo mi sono messo a raccontare… non vi era … ecc.) e la ripetizione ossessiva di pronomi o avverbi di negazione (nulla…mai). Sul carattere lirico della prosa vittoriniana, una conferma può essere data dalla possibile trascrizione delle frasi in versi: basterà ad esempi, nelle prime tre righe del testo, andare a capo ad ogni segno di punteggiatura per ottenere una lirica: “Io ero, / quell’inverno, / in preda ad astratti furori. / Non dirò quali, /non di questo mi son messo a raccontare. / Ma bisogna dica ch’erano astratti, /non eroici, / non vivi; / furori, / in qualche modo, / per il genere umano perduto”.”
(da La realtà e la parola – Volume II – a cura di Attilio Cannella – Principato editore – Pag. 860).
Modica, 28 dicembre 2018. Prof. Biagio Carrubba
Commenti recenti