I
Nella prima lassa Pasolini si trova a visitare il giardino degli inglesi a Roma al crepuscolo del pomeriggio e vede che il giorno è freddo e pieno di grigio come se fosse una brutta giornata autunnale. Si rende conto che in questa giornata tutte le sue speranze e illusioni di rifare la sua vita personale e di cambiare l’Italia sono svanite. A questo punto si rivolge a Gramsci, sepolto in una tomba di quel cimitero, e gli dice che lui (Gramsci), nel maggio del 1919, aveva avuto il coraggio di fondare un nuovo giornale con la speranza di cambiare l’Italia e con la sua mano magra scriveva l’ideale (politico e filosofico) che ancora oggi illumina il silenzio di Pasolini e di altri. Purtroppo Gramsci, non padre, ma umile fratello del poeta, in quanto entrambi giovani, non può più guidarli, dato che è sepolto e confinato in quel cimitero; al cimitero arriva soltanto dal quartiere limitrofo, il testaccio, qualche colpo di martello da un’officina sul calare della sera, colpo di martello che un garzone batte tra ferri vecchi mentre la giornata termina nel buio e intanto spiove.
II
Nella seconda lassa Pasolini descrive il paesaggio fisico e anche il silenzio e il clima del cimitero degli inglesi di Roma. Egli vede le iscrizioni dei nomi sulle tombe che mostrano la superstite sorte di gente laica. E gli sembra di sentire le ironie dei nobili e dei pederasti i cui corpi dentro tombe sono inceneriti ma non ancora casti. La terra del cimitero fa nascere cipressi asciutti e i muri sono ricoperti di chiazze piene di umidità e inoltre la terra fa crescere un’erbetta fragile e inodore e l’aria che scende porta con sé un profumo di menta e di fieno marcio. Il suolo del cimitero richiama il suolo della madre patria e anche l’umidità ricorda altra umidità. Infine gli sembra di udire le pie invocazioni dei familiari che provengono da boschi inglesi e da laghi spersi nel cielo, verdi come praterie o come smeraldi.
III
Nella terza lassa Pasolini descrive la tomba di Gramsci sulla quale si trova un fazzoletto rosso e sopra due gerani e la scritta Cinera Gramsci. Il poeta si avvicina alla sua tomba e in un dialogo muto gli dice che lui (Gramsci) è sepolto libero tra altri liberi mentre lo spirito del poeta è qualcosa di diverso: più estasiato e più umile. Lo spirito di Pasolini è una sintesi effervescente di sesso con morte. Il poeta, rivolgendosi a Gramsci, gli dice che egli conosce quanto è stata tribolata la sua vita in Italia e sa quale è il suo torto e quale la sua ragione, scritte nelle supreme pagine delle sue opere stilate durante la prigionia fascista. Il poeta si auto presenta a Gramsci come un povero che vive tra i poveri e a cui ogni tanto capita di amare il mondo così come già adolescente gli capitava di odiarlo quando era borghese; mentre ora il mondo gli appare diviso e forse disprezza la parte che ne ha il potere. Eppure senza il rigore morale e culturale di Gramsci egli vive e sussiste perché ha la volontà di non scegliere tra le due parti e vive in quel periodo del dopoguerra perché non sceglie né l’una né l’altra e ama il mondo che odia, cioè la sua vita misera del sottoproletariato delle borgate, sprezzante e persa perché segue l’impulso cieco della coscienza.
IV
Nella quarta lassa Pasolini esprime la sua contraddizione: da un lato segue Gramsci nella sua luce e nel cuore (nell’intelletto e nei sentimenti); dall’altro lato è contro Gramsci perché nelle viscere segue la vita istintiva del popolo. Il poeta ha tradito il mondo borghese del padre, ma ora è attaccato al calore degli istinti e all’estetica passione; egli è attratto dalla vita dei proletari che è precedente a tutti e due e gli piace il proletariato per la sua natura allegra e non per la sua lotta; gli piace la sua vitalità primordiale e non la sua coscienza di classe. La forza del proletariato è quella che gli dà una ebbrezza e una luce poetica. Altro, sul mondo del proletariato, non sa più dire perché sarebbe soltanto un astratto amore e non una forte simpatia. Il poeta, povero come i poveri, insegue le sue umilianti speranze e lotta ogni giorno per vivere come i proletari. Ma egli sa che è privilegiato perché possiede la più esaltante dote dei borghesi e cioè la conoscenza. Ma appena egli capisce la storia, a sua volta ne viene posseduto perché è illuminato da essa; ma a che serve avere la luce della storia? (perché secondo il poeta, essa è vana in quel periodo).
V
Nella quinta lassa il poeta espone la sua vita privata e descrive sé stesso. Egli ha tanti vizi ed uno in particolare che lo fa peccare più di tutti gli altri; i suoi comportamenti che lo fanno attaccato alla vita non sono condizionati dalla religione; la sua lotta è sacra e le sue manie sono scaltre. Vive una vita da dandy provinciale ed ha una natura che sfuma tra l’autorità e l’anarchia. Vive il proprio io ben protetto da una virtù impura e da un peccare incosciente. Ma vive con un senso di vita violento ed accorante; tutto ciò gli fa capire lo spirito avventuroso del poeta Shelley che morì inghiottito dalle acque del Tirreno e capisce lo spirito giovanile del poeta che lo portò in Italia. Vede l’Italia che spalanca le sue coste, piene di foreste di pini, sia nel Lazio che in Toscana, che è popolata da campagne e da monti pieni di marmi intarsiati di vari colori; vede altri scogli e frane nella riviera dove il sole lotta con le onde del mare per dare una suprema bellezza. Il poeta intorno sente il rumore del sesso e della luce, un rumore di lietezza che si aggira in tutta Italia, tanto che essa non ne trema perché ne è assuefatta. Infine sente molti giovani dalla faccia scura che gridano i nomi dei loro compagni e si chiede: tu, Gramsci, morto solitario, mi chiederai di abbandonare questa mia vita disperata che io conduco nel mondo?
VI
Nella sesta lassa Pasolini si congeda da Gramsci nella sera ormai calante, che è dolce per i viventi, e con la sua luce grigia ravviva il quartiere del Testaccio, dove si sentono i rumori dei tram e le grida dialettali della gente che ne fanno un concerto sordo e definitivo. Il poeta rivolgendosi a Gramsci gli dice che egli sente la gente che vive nelle loro case e nei loro veicoli che consuma la loro vita ingannevole ed espansiva, ma quella vita non è che un tremore e soprattutto è una comunità corporea. Sente che in quella loro vita non vi è una religione vera, che essa non è vera vita ma sopravvivenza come quella di un popolo di animali che trovano piacere soltanto nella loro vita quotidiana nella quale c’è un senso di festa portato dalla corruzione. A questo punto il poeta riflette su sé stesso e dice che tutte le volte che l’ideale politico è vano, come in questo momento vuoto della storia, allora la stupenda e ardente vitalità del popolo, molto raffinata, si manifesta al suo massimo grado tanto che brucia e accende ogni cosa nel mondo. Il poeta si accorge che la lotta di classe crolla e il proletariato rientra in vuote piazze e in officine svuotate. A questo punto il poeta descrive la sera che sta per arrivare e nelle vie del testaccio (via Zagaglia e via Franklin) si accendono i lampioni; il poeta esce dal cimitero degli inglesi e vede i rari autobus che brillano e si accorge di alcuni militari che vanno senza fretta sul monte che cela prostitute nascoste tra mucchi di immondizia che aspettano irate sopra la sporcizia afrodisiaca; vede, non lontano in mezzo ad altre casette, alcuni ragazzi leggeri come stracci che giocano non più nella brezza fredda ma in quella primaverile; vede altri giovani che fischiano sopra i marciapiedi nella serata romana; sente le saracinesche dei garages che si chiudono e sente il vento che attraversa i capellacci e i tufi del macello e in ogni luogo sprigiona i rifiuti e l’odore di miseria. La vita è un mormorio, e i giovani persi in essa, se il loro cuore è allegro, serenamente la perdono ma altri giovani miseri sono pronti a godersi la sera e in essi inerti il mito della gioventù rinasce. Ma io con il cuore cosciente di chi ha la vita soltanto nella storia, potrò mai vivere con pura passione quando so che la nostra storia politica ideale è finita e non si realizzerà più? La risposta implicita a questa domanda è certamente questa: io tra la vita illuminata, culturale e ideale proposta da Gramsci e la vita pratica, disperata, omoerotica scelgo certamente quest’ultima perché seguo la mia passione estetica e il calore dei miei istinti.
Il tema
Il tema di fondo del poemetto è il rovello esistenziale, l’indecisione politica di Pasolini rispetto all’ideale di Gramsci e allo stesso tempo il dubbio suo personale, esistenziale di scegliere tra la vita omoerotica che conduce e l’ideale proposto da Gramsci, che contrasta apertamente con la vita gioiosa vissuta da Pasolini. Pasolini sceglie il presente e la sua vita omoerotica pur non rinnegando l’ideale di Gramsci, il quale, resta con l’esempio della sua vita e con la sua opera filosofica, il politico e il filosofo che giudica e illumina la storia d’Italia e del Partito Comunista Italiano. Pasolini è cosciente che i giovani e il popolo italiano non conoscono tutta l’opera filosofica e letteraria di Gramsci, pubblicata dal 1948 al 1951, e quindi non può incolparli di questo, visto che solo pochi intellettuali avevano letto queste opere. Comunque Gramsci viene descritto come un grande intellettuale libero tra i liberi nel cimitero inglese.
La tesi
La tesi del poemetto è indicata nella III lassa nei versi 123 – 128 che dicono:
Eppure senza il tuo rigore, sussisto
perché non scelgo. Vivo nel non volere
dal tramontato dopoguerra: amando
il mondo che odio – nella sua miseria
sprezzante e perso – per un oscuro scandalo
della coscienza
In questi versi Pasolini è perfettamente consapevole che egli non riesce a scegliere tra l’ideale politico espresso da Gramsci nella sua opera e la sua vita vissuta come “disperata passione di essere al mondo”. Comunque, siccome ho detto che la novità del poemetto è la scelta della vita omoerotica, questa la si evince in tutta la V lassa. Pasolini motiva questa scelta perché dice a Gramsci che la vera natura dei giovani del sotto proletariato è la mancanza in loro della coscienza della lotta di classe, mentre la loro vera natura è la loro allegria, vitalità ed operosità, come Pasolini riscontra nei giovani delle borgate romane.
Il genere metrico
Il poemetto è in terzine dantesche pascoliane ed è composto da 307 versi. Talvolta le rime sono assenti, gli endecasillabi incompleti o manca il verso di chiusa. Molte volte i versi sono ipometrici e altre volte ipermetrici. Pasolini spiega la scelta della terzina dantesca pascoliana nel famoso articolo La libertà stilistica del 1957. Ma nel poemetto manca una vera e propria suspense perché non c’è un dialogo diretto tra Pasolini e Gramsci e quindi non si crea una botta e risposta immediato e vivace perché Gramsci è presentato morto e non vivo. Questa mancanza differenzia il poemetto dai canti della Divina Commedia di Dante Alighieri dove invece il dialogo tra Dante e le altre anime è vivo, drammatico ed agonistico a volte ironico e a volte spietato e quindi crea una vera suspense dialogica che poi contribuisce a creare la bellezza incontrastata dell’opera. Nelle Ceneri di Gramsci, invece questa mancanza di suspense è sostituita con la scelta volontaria e determinata di Pasolini di voler vivere la sua vita attiva ed omoerotica tra i giovani del sottoproletariato romano per il quale Pasolini prova odio e amore nello stesso tempo. La mancanza di suspense toglie al poemetto di Pasolini molta vivacità e drammaticità pur facendolo restare ad un altissimo livello di poesia e di letteratura.
Il linguaggio poetico
Il linguaggio poetico del poemetto è condizionato dalle terzine, dai versi e dall’endecasillabo che molte volte non viene rispettato. Comunque il linguaggio è molto alto, raffinato, letterario e comprende sia parole di altissima difficoltà letteraria e poetica, sia parole di linguaggio comune; esempio di parole e sintagmi complesse sono: i tersi stucchi, le tarsie lievi della sua pasquale campagna interamente umana. Un altro esempio di sintagmi difficili sono i versi: la stupenda, adusta sensualità/quasi alessandrina, che tutto minia/e impuramente accende. Esempi di linguaggio comune sono i versi 278 – 280: verso il monte che cela in mezzo a sterri/fradici e mucchi di secchi di immondizia/nell’ombra rintanate zoccolette… Altro esempio di linguaggio popolare sono i versi 290 – 294: e scrosciano le saracinesche/dei garages di schianto, gioiosamente/se il buio ha resa serena la sera… Il linguaggio del poemetto, in alcune parti risulta nel complesso difficile e ostico, mentre in altre è di facile comprensione.
Le figure retoriche
Le figure del poemetto sono tantissime: consonanze, assonanze, enjambement, iperbati, anastrofi, ossimori, anticipazione dell’aggettivo, domande retoriche alla fine di ogni lassa. Tutte queste figure abbondano in tutto il poemetto e lo rendono un po’ prolisso e macchinoso anche se nel complesso proprio queste figure retoriche partecipano attivamente alla bellezza del poemetto. Su questo punto Fernando Bandini nell’introduzione a Pasolini, nella serie I Meridiani, così scrive: “iperbati, anastrofi, mixturae, verborum sono la croce dei traduttori francesi di Pasolini poeta, soprattutto nei casi in cui il nome soggetto è posposto talvolta a notevole distanza, poiché il francese di oggi è assai renitente a queste forme di ornatus straniante. Ma esse non soltanto vogliono segnalare la “letterarietà” del testo, ammiccare a luoghi eletti della tradizione, come avviene ad esempio per questi fenomeni, in un poeta come Saba. In Pasolini l’ornatus, la straniante mira a rendere evidente la qualità commossa del discorso, lo status di eccitazione morale. E sull’onda di questa eccitazione il poeta sviluppa attraverso successive accumulazioni, terzina dietro terzina, la sua sintassi segmentata, come allungando un cannocchiale telescopico”. (Pagine XXXV e XXXVI). Io, Biagio Carrubba, credo che la lexis di Pasolini sia unica ed affascinante dovuta all’equazione: originalità + diversità = bellezza. La bellezza del poemetto è dovuta in parte sia alla lexis che alle figure retoriche, ma anche al tema trattato e cioè la dissociazione dei giovani (per ignoranza di lettura) dalle idee di Gramsci e alla novità del poemetto e cioè il coraggio di Pasolini di preferire una vita disperata omoerotica all’ideale utopico del comunismo di Gramsci. Un importante conferma di questo aspetto lo dà anche Enzo Siciliano nella sua importantissima biografia “Vita di Pasolini” quando sulla scelta di vita omoerotica di Pasolini scrive il seguente giudizio:” Pasolini si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, sia per il proprio talento sia per i motivi di “scandalo” (omosessualità non simulata e virilmente vissuta” (Da Vita di Pasolini – Oscar Mondatori – Ed. Ottobre 2005 – Pag. 216)
La bellezza della poesia
La bellezza del poemetto deriva da diversi fattori:
- dalla squisitezza di alcune immagini del poemetto costruite con linguaggio alto e raffinato
- dalla magnifica scelta del titolo e del personaggio Gramsci come modello di politico e come esempio di vita
- dalla magnifica rappresentazione dei giovani che si godono la vita come viene descritto alla fine del poemetto
- dalla scelta della vita erotica del presente rispetto alla vita del passato malgrado il poeta non rinneghi Gramsci che rimane comunque la sua figura guida illuminante
Il primo fattore di bellezza lo si evince dai versi 235 – 239 della VI lassa dove sono scritte le più belle immagini su tale tema del poemetto:
me ne vado, ti lascio nella sera
che benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
che al quartiere in penombra si rapprende.
E lo sommuove lo fa più grande vuoto,
intorno, e, più lontano lo riaccende
Un’altra bella e squisita immagine sono i versi e la rappresentazione della vita sensuale, erotica, del popolo, come descritta nella VI lassa nei versi 256 – 262:
Quanto più è vano
– in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace –
ogni ideale, meglio è manifesta
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende.
Un’altra bella e squisita immagine sono i versi e la rappresentazione del crollo degli ideali politici e dello sconforto conseguente a questa sconfitta, come descritto nella VI lassa nei versi 262 – 265:
Quando qua
nel mondo qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella penombra, rientrando
in vuote piazze, in scorate officine…
L’immagine della vita quotidiana che è lontana dall’ideale politico di Gramsci, come Pasolini la descrive nei versi 275 – 282:
brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d’operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,
verso il monte che cela in mezzo a sterri
fradici e mucchi secchi d’immondizia
nell’ombra, rintanate zoccolette
che aspettano irose sopra la sporcizia
afrodisiaca: …
Il secondo fattore di bellezza è la magnifica scelta del titolo e del personaggio Gramsci come modello di politico e come esempio di vita. Pasolini ha dato delle bellissime immagini di Gramsci come all’inizio della III lassa quando scrive:
Uno straccetto rosso, come quello
Arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l’urna sul terreno cereo,
diversamente rossi due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
Non cattolica elencato tra estranei
Morti: le ceneri di Gramsci…
Ma ancora più bella è l’immagine di Pasolini dinanzi alla tomba di Gramsci:
Alla tua tomba, al tuo spirito restato (libero)
Quaggiù tra questi liberi…
Pasolini stesso, nel famoso articolo La libertà stilistica spiega il motivo della scelta di Gramsci: “domina nella nostra vita politica lo spirito di Gramsci: del Gramsci “carcerato” tanto più libero quanto più segregato dal mondo, fuori dal mondo, in una situazione suo malgrado leopardiana, ridotto a puro ed eroico pensiero”. Un importante conferma di questo aspetto lo da anche Enzo Siciliano nella sua importantissima biografia “Vita di Pasolini” quando su Gramsci scrive il seguente giudizio:” Da un lato sono di scena gli istinti, l’”estetica passione”; dall’altro, l’immaginazione di Gramsci eroe -, lui il Super-io, lui il padre. È un’immagine che la coscienza restaura a fatica sulle armonie cascanti delle terzine” (Da Vita di Pasolini – Oscar Mondatori – Ed. Ottobre 2005 – Pag. 246). Il terzo fattore di bellezza è la magnifica rappresentazione dei giovani che si godono la vita come viene descritto alla fine del poemetto. Pasolini dà una bellissima immagine dei giovani che vivono la vita spensierata e gaudente come rappresentato nella VI lassa nei versi 299 – 304:
è un brusio la vita, e questi persi
in essa, la perdono serenamente,
se il cuore ne hanno pieno: a godersi
eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi il mito (della gioventù)
rinasce…
Il quarto fattore di bellezza è la scelta della vita omoerotica del presente rispetto alla vita del passato malgrado il poeta non rinneghi Gramsci che rimane comunque la sua figura guida illuminante, come si evince nella V lassa nei versi 220 – 224:
E intorno ronza di lietezza
lo sterminato strumento a percussione
del sesso e della luce: così avvezza
nell’Italia che non ne trema, come
morta nella sua vita…
Il quinto fattore di bellezza del poemetto dipende e consiste nel gran numero di figure retoriche adoperate da Pasolini. Esse conferiscono al poemetto un inconfondibile e peculiare stile pasoliniano, ricco di voli pindarici, di cambiamento di toni, di ispirazioni e di intercalari che rendono il poemetto un vero e proprio capolavoro poetico, perché la raffinatezza, l’artificiosità e l’eleganza delle figure retoriche e dello stile pasoliniano, unico e inconfondibile, riescono a mantenere viva l’attenzione, la curiosità e la suspense dei lettori fino alla fine. Io, B. C., penso reputo e giudico che i lettori rimangano affascinati e meravigliati sia per l’intrecciarsi dei temi poetici proposti e sia per le idee politiche e filosofiche espresse da Pasolini. Il poeta manifesta, secondo me B. C., nel poemetto, il suo scandalo interiore e le proprie contraddizioni logiche, cioè quelle di seguire, da un lato la politica e la filosofia di Gramsci, ma, dall’altro lato il poeta afferma che vuole continuare ad esercitare la sua volontà di scegliere, di seguire e di praticare la sua vita omoerotica, come spiega in una quarta lassa del poemetto nei versi 129 – 131: ecco i versi.
Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere
con te e contro te: con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere.
Finale.
Io, B. C., penso, reputo e giudico che il poemetto Le ceneri di Gramsci narri il vario e variegato mondo del poeta e sviluppi l’intreccio delle sue riflessioni esistenziali, culturali e politiche, manifestando la sua incoerenza logica ed emotiva. Infatti il poeta passa dal pessimismo iniziale alla domanda esistenziale finale. Io, B. C., penso, reputo e giudico che lo sviluppo personale e originale del poemetto contribuisca a rendere il poemetto poetico un vero e proprio capolavoro poetico, nuovo, dinamico ed innovativo, rispetto alla poesia, statica e tradizionale, italiana prevalente e dominante in Italia negli anni ’50. Infine, io, B. C., penso, reputo e giudico che Pasolini, come poeta, nel poemetto esprime e varia le sue emozioni e i suoi sentimenti in modo che i lettori del poemetto si sentono coinvolti e trascinati nel mondo poetico e politico di Pasolini. Infine, io, B. C., per tutti questi motivi, sopra elencati, penso, ritengo e giudico che il poemetto Le ceneri di Gramsci sia diventato, con il passare dei decenni, un classico, sempre nuovo e sempre poetico, della poesia e della letteratura italiana.
Modica, 29 aprile 2023 Prof. Biagio Carrubba
Modica, 02 maggio 2023
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