QUADRILOGIA POETICA SULLA MIA NATURALE NECE. SECONDO COMPONIMENTO POETICO.

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PARAGRAFO N. 64

L’ATTESA DELLA NECE NON È UN’ATTESA QUALUNQUE

PERCHE’ È L’ULTIMA CHIAMATA DELLA NATURA.

Ora che sono arrivati gli ultimi giorni della mia vita

sono sempre più certo che si muore da soli e non c’è

nessun Dio che ascolti la nostra e ultima preghiera

perché non esiste nessun Dio creatore dell’Universo.

C’è soltanto l’impassibile natura che accoglie e

sotterra nel suo ventre, dopo la morte, tutti gli

esseri viventi: oggetti, vegetali, animali e umani.

Infine io, B.C., voglio pronunziare le mie ultime

parole famose: “O umana gente rendete e riportate

alla natura la vostra anima, ancora più degna,

ancora più giusta, ancora più buona, ancora

più generosa e ancora più felice di come vi è

stata consegnata o prestata, o donata o

semplicemente perché è immanente alla vostra

mente sin dalla nascita della vostra vita terrena,

perché, dopo di questa vita terrena, secondo me,

non c’è più nessun altro viaggio, escatologico

e soteriologico, illusorio e ultraterreno da percor-

rere, cristianamente e religiosamente inteso.” 

Del resto, secondo me, è meglio così: perché

il corpo umano trasformandosi nella materia o

annullandosi nel nulla finisce di soffrire e penare

una volta per sempre; invece, credere e illudersi,

che l’anima vada a rivivere nell’inferno, come

Dante insegna nella Divina Commedia, quando

Descrive le terribili pene delle anime discese nell’

inferno, significa non avere il senso naturale della

realtà, ma significa, anche, immaginare e fantasti-

care un mondo ultraterreno che non esiste, invero-

simile, immaginifico, infernale, fantomatico, disto-

pico, (l’Inferno) e utopico (il Purgatorio e il Paradiso).

Anime condannate a una nuova vita evanescente

e senza fine che il sommo poeta definisce “ombre”.

Esse sono condannate ad avere un corpo aereo,

fittizio, e costrette a subire e a provare: pene,

pianti, tormenti, afflizioni, dolori, umiliazioni,

derisioni e degradazioni per l’eternità, così come

Dante scrive, con caratteri eterni e scultorei, nelle

celebri terzine scolpite sopra la nuda roccia della

porta dell’inferno:

“PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE,

PER ME SI VA NE L’ETTERNO DOLORE,

PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.

GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE:

FECEMI LA DIVINA PODESTATE,

LA SOMMA SAPIENZA E ‘L PRIMO AMORE.

DINANZI A ME NON FUOR COSE CREATE

SE NON ETTERNE, ED IO ETTERNO DURO.

LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE.”

(Inferno, canto III, versi 1 – 9).

Io, B. C., tra il nulla eterno e le pene eterne

scelgo, sicuramente, il nulla eterno perché

non voglio mai finire tra i condannati, i tortu-

rati, i maltrattati, i derisi, i vilipesi, i bolliti e

gli infelici viventi di Dante, dannati in eterno.

MODICA 29 MARZO 2022

PROF. BIAGIO CARRUBBA

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