
PARAGRAFO N. 66
FENOMENOLOGIA DELLA MIA MORTE.
Ora che sono in procinto di riporre la mia anima
alla morte mi accorgo di quanto il mio corpo sia
invaso da una molteplicità di attacchi di malesseri
e di malanni che stanno distruggendo il mio già
debole, precario, cagionevole e fragile stato di
salute. Mi accorgo, anche, con mio sommo dis-
piacere, che la mia corporatura fisica, con il tem-
po, è divenuta obesa, lenta e anche panciuta.
Ora che mi accingo a porgere il mio spirito alla
fredda terra mi tornano in mente i pensieri più
reconditi e più nascosti, che non ho mai rivelato
a nessuno per paura o per pudore.
Ora che sono prossimo a consegnarmi alla mera
materia sono pronto a confessare, a manifestare
e ad esplicitare che cosa vuol dire morire, fisica-
mente e psicologicamente. Secondo me, B. C.,
morire significa soltanto che è finita la luce elet-
trica che dava energia e vigore a tutto il corpo.
Morire significa, anche, abbassare le ciglia, di
notte, mentre vivere vuol dire alzare le ciglia di
giorno. Morire significa, anche, che la vita finisce
lì, nel medesimo istante, quando subentra la nece.
La morte è silenzio assoluto e pieno. Per tutto il
corpo silente, non c’è più nessun respiro, non c’è
più nessuna aria, da inspirare, né da espirare.
L’Ego, il Super-Ego, e l’Es spariscono. Svaniscono
anche l’amore e l’odio. Non ci sono più, ormai, né
l’acrimonia, né la dolcezza, né l’acrisia, né l’acribia,
ma subentra, soltanto, l’atarassia e la pura aponia.
Il corpo e immerso nel buio totale; le palpebre sono
Ferme; i capelli e i muscoli sono immobilizzati; gli
arti e le articolazioni sono paralizzati; il cervello è
vuoto; gli occhi sono chiusi e il naso non inala più.
Il cuore non batte più, è muto; il respiro è assente.
Il cervello non pensa più; i sentimenti sono scom-
Parsi; le virtù, gli amori e le conoscenze sono inerti.
Non c’è più nemmeno l’autocoscienza, né l’etero-
coscienza. L’attività elettrica è azzerata; la tempera-
tura corporea è glaciale, siderale, sotto zero.
Comincia, subito, il processo di decomposizione e
di lenta putrefazione. La materia inizia a disgregarsi
fino a diventare lentamente polvere, all’insaputa
del morto. Ancora una volta la morte ha adem-
piuto al suo compito, come sempre ha decimato,
vinto e ha trasumanato la vulnerabile umanità.
II
Ma come afferma e ribadisce il saggio Gesualdo
Bufalino, nel suo capolavoro letterario “La morte
è un taglialegna, ma la foresta è immortale”.
Certamente gli ospedali, per i malati e i sofferenti,
sono luoghi di espiazione, di dolore, di lamenti e
di sofferenza; sono purgatori di anime pietose, in
pena, invocanti, oranti, supplicanti, anelanti e spe-
ranzose per una possibile guarigione. I malati degli
ospedali si augurano di ritornare, subito, alla buona
salute e alla sana vita di tutti i giorni, che molte
volte non arriva mai. Al suo posto subentra, invece,
la tetra, lugubre e macabra nece, che, tosto, s’avac-
cia quanto più può, colpendo e portando con sé,
decine di malati, a staia. Allora, compito sacrosanto,
liturgico e doveroso dei parenti, è quello di riporre
la salma onorata tra le quattro assi di una bara.
MODICA 29 MARZO 2022
PROF. BIAGIO CARRUBBA
Commenti recenti