QUADRILOGIA POETICA SULLA MIA NATURALE NECE. QUARTO COMPONIMENTO POETICO.

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PARAGRAFO N. 66

FENOMENOLOGIA DELLA MIA MORTE.

Ora che sono in procinto di riporre la mia anima

alla morte mi accorgo di quanto il mio corpo sia

invaso da una molteplicità di attacchi di malesseri

e di malanni che stanno distruggendo il mio già

debole, precario, cagionevole e fragile stato di

salute. Mi accorgo, anche, con mio sommo dis-

piacere, che la mia corporatura fisica, con il tem-

po, è divenuta obesa, lenta e anche panciuta.

Ora che mi accingo a porgere il mio spirito alla

fredda terra mi tornano in mente i pensieri più

reconditi e più nascosti, che non ho mai rivelato

a nessuno per paura o per pudore.

Ora che sono prossimo a consegnarmi alla mera

materia sono pronto a confessare, a manifestare

e ad esplicitare che cosa vuol dire morire, fisica-

mente e psicologicamente. Secondo me, B. C.,

morire significa soltanto che è finita la luce elet-

trica che dava energia e vigore a tutto il corpo.

Morire significa, anche, abbassare le ciglia, di

notte, mentre vivere vuol dire alzare le ciglia di

giorno. Morire significa, anche, che la vita finisce

lì, nel medesimo istante, quando subentra la nece.

La morte è silenzio assoluto e pieno. Per tutto il

corpo silente, non c’è più nessun respiro, non c’è

più nessuna aria, da inspirare, né da espirare.

L’Ego, il Super-Ego, e l’Es spariscono. Svaniscono

anche l’amore e l’odio. Non ci sono più, ormai, né

l’acrimonia, né la dolcezza, né l’acrisia, né l’acribia,

ma subentra, soltanto, l’atarassia e la pura aponia.

Il corpo e immerso nel buio totale; le palpebre sono

Ferme; i capelli e i muscoli sono immobilizzati; gli

arti e le articolazioni sono paralizzati; il cervello è

vuoto; gli occhi sono chiusi e il naso non inala più.

Il cuore non batte più, è muto; il respiro è assente.

Il cervello non pensa più; i sentimenti sono scom-

Parsi; le virtù, gli amori e le conoscenze sono inerti.

Non c’è più nemmeno l’autocoscienza, né l’etero-

coscienza. L’attività elettrica è azzerata; la tempera-

tura corporea è glaciale, siderale, sotto zero.

Comincia, subito, il processo di decomposizione e

di lenta putrefazione. La materia inizia a disgregarsi

fino a diventare lentamente polvere, all’insaputa

del morto. Ancora una volta la morte ha adem-

piuto al suo compito, come sempre ha decimato,

vinto e ha trasumanato la vulnerabile umanità.

II

Ma come afferma e ribadisce il saggio Gesualdo

Bufalino, nel suo capolavoro letterario “La morte

è un taglialegna, ma la foresta è immortale”.

Certamente gli ospedali, per i malati e i sofferenti,

sono luoghi di espiazione, di dolore, di lamenti e

di sofferenza; sono purgatori di anime pietose, in

pena, invocanti, oranti, supplicanti, anelanti e spe-

ranzose per una possibile guarigione. I malati degli

ospedali si augurano di ritornare, subito, alla buona

salute e alla sana vita di tutti i giorni, che molte

volte non arriva mai. Al suo posto subentra, invece,

la tetra, lugubre e macabra nece, che, tosto, s’avac-

cia quanto più può, colpendo e portando con sé,

decine di malati, a staia. Allora, compito sacrosanto,

liturgico e doveroso dei parenti, è quello di riporre

la salma onorata tra le quattro assi di una bara.

MODICA 29 MARZO 2022

PROF. BIAGIO CARRUBBA

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