PAGINE SCELTE DAI “QUADERNI DEL CARCERE” DI ANTONIO GRAMSCI.

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PAGINE SCELTE DAI “QUADERNI DEL CARCERE” DI ANTONIO GRAMSCI.

L’8 novembre 1926 è la ricorrenza dell’arresto di Antonio Gramsci, quando fu arrestato a Roma, nonostante avesse l’immunità parlamentare, arresto che rappresenta, ancora oggi, uno dei tanti fatti, fattacci e misfatti ignominiosi perpetrato dal regime fascista e dopo, il 28 maggio del 1928, quando il detenuto A. Gramsci, subì un altro processo, alla fine del quale, il pubblico ministero Michele Isgrò affermò: “Per 20 anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Io, B. Carrubba, a distanza di 92 anni da quel terribile e ingiusto processo, propongo e presento, con molto piacere, alcune pagine scelte del grande politico A. Gramsci, il quale a dispetto della sentenza del pubblico ministero, ha scritto la sua imperitura, grandissima, bellissima e immortale opera politica, filosofica, poetica e letteraria.

QUADERNI DEL CARCERE.

Il tema, che io, B. C., ho scelto, riguarda “VECCHIO CATTOLICESIMO E NUOVO UMANESIMO”, sviluppato da A. Gramsci in diverse pagine dei “QUADERNI DEL CARCERE”.

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Vecchio cattolicismo e nuovo umanesimo.

“Fra tutti gli scienziati, i matematici sono i soli per i quali il miracolo non ha nulla di miracoloso”.
(Giorgio Sorel – Da “Quaderni del carcere” – Quaderno nr. 10 – Paragrafo 41 – I – Pag. 1296).

Io, Biagio Carrubba, presento alcune pagine di Antonio Gramsci, molto importanti, scelte da “Quaderni del carcere” che condivido e apprezzo e che ritengo ancora valide ed attuali per l’attuale società post-moderna e globalizzata. La locuzione “Vecchio cattolicismo” da me scelta per il titolo è scritta da Gramsci nel Quaderno nr. 11 – Paragrafo 12 a pagina 1392; la locuzione “Nuovo umanesimo” è tratta dal Quaderno nr. 23 – Paragrafo 3 a pagina 2188. I lacerti da me scelti hanno come tema principale il rapporto tra Gramsci e la religione cattolica, argomento molto importante perché sviluppato dal pensatore comunista in moltissime pagine dei “Quaderni del carcere” e perché Gramsci dava alla questione del cattolicismo molta importanza nella storia e nello sviluppo dell’Italia fino al Concordato del 1929 tra lo Stato fascista e la Chiesa. Gramsci, nel giudicare la Chiesa di Roma e il cattolicismo, seguiva le indicazioni di Marx che aveva definito la religione come “l’oppio dei popoli”; Gramsci, inoltre, giudicava la storia della Chiesa seguendo in modo preciso la teoria del materialismo storico. Gramsci, seguendo dunque le teorie di Marx riguardo la religione, distingue all’interno della storia del cattolicesimo il cristianesimo dal cattolicismo; Gramsci giudica positivamente il cristianesimo come prima fase del cattolicismo quando cioè, durante l’impero romano, il cristianesimo professato da Gesù Cristo e seguito dai suoi discepoli rappresentò una concezione nuova e rivoluzionaria rispetto al vecchio paganesimo dei romani. In questo lacerto da me scelto Gramsci espone chiaramente il cristianesimo come concezione pura, idonea allo spirito delle masse popolari di allora e come rappresentazione di “una forma di razionalità del mondo e della vita”, (pag. 1389) dei primi cristiani, prima di diventare oppio dei popoli e cioè prima di trasformarsi nella Chiesa istituzionale di Roma. Ecco il lacerto completo in cui Gramsci distingue il cristianesimo ingenuo e puro delle masse popolari prima che diventasse “il cristianesimo, divenuto un puro narcotico per le masse popolari” (pag. 1389).
“Che la concezione meccanicistica sia stata una religione di subalterni appare da un’analisi dello sviluppo della religione cristiana, che in un certo periodo storico e in condizioni storiche determinate è stata e continua ad essere una “necessità”, una forma necessaria della volontà delle masse popolari, una forma determinata di razionalità del mondo e della vita e dette i quadri generali per l’attività pratica reale. In questo brano di un articolo della “Civiltà Cattolica” (Individualismo pagano e individualismo cristiano, fasc. del 5 marzo 1932) mi pare bene espressa questa funzione del cristianesimo: “La fede in un sicuro avvenire, nell’immortalità dell’anima, destinata alla beatitudine, nella sicurezza di poter arrivare al godimento eterno, fu la molla di propulsione per un lavoro di intensa perfezione interna, e di elevazione spirituale. Il vero individualismo cristiano ha trovato qui l’impulso alle sue vittorie. Tutte le forze del cristiano furono raccolte intorno a questo fine nobile. Liberato dalle fluttuazioni speculative che snervano l’anima nel dubbio, e illuminato da principi immortali, l’uomo sentì rinascere le speranza; sicuro che una forza superiore lo sorreggeva nella lotta contro il male, egli fece violenza a sé stesso e vinse il mondo”. Ma anche in questo caso, è il cristianesimo ingenuo che si intende; non il cristianesimo gesuitizzato, divenuto un puro narcotico per le masse popolari.” (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 11 – Paragrafo 12 – Pag. 1389).
In questo secondo lacerto Gramsci spiega l’evoluzione della Chiesa dal cristianesimo al cattolicismo e quindi sintetizza l’evoluzione della Chiesa dal I secolo d.C. fino al XVI secolo quando la Chiesa, per difendersi dalla riforma protestante, creò l’ultimo grande ordine religioso noto come Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola (1491 – 1556), e comunemente chiamato ordine dei gesuiti. Gramsci afferma che alla Chiesa, per risanare le fratture degli eretici, non bastarono soltanto forti personalità come San Domenico o San Francesco, ma fu necessaria la nascita di un nuovo “grande ordine religioso, di origine reazionario e autoritario, con carattere repressivo e diplomatico” tanto che trasformò il cattolicesimo in gesuitismo, cioè una filosofia razionale, liturgica e formalistica, tutta protesa e dedita alla difesa del Papa e della Chiesa.
Ecco il lacerto completo in cui Gramsci spiega questo tema.
“Nel passato queste “rotture” nella comunità dei fedeli erano sanate da forti movimenti di massa che determinavano o erano riassunti nella formazione di nuovi ordini religiosi intorno a forti personalità (Domenico, Francesco). (I movimenti ereticali del Medio Evo come reazione simultanea al politicantismo della chiesa e alla filosofia scolastica che ne fu una espressione, sulla base dei conflitti sociali determinati dalla nascita dei Comuni, sono stati una rottura tra massa e intellettuali nella chiesa “rimarginata” dalla nascita di movimenti popolari religiosi riassorbiti dalla chiesa nella formazione degli ordini mendicanti e in una nuova unità religiosa). Ma la Controriforma ha isterilito questo pullulare di forze popolari: la Compagnia di Gesù è l’ultimo grande ordine religioso, di origine reazionario e autoritario, con carattere repressivo e “diplomatico”, che ha segnato, con la sua nascita, l’irrigidimento dell’organismo cattolico. I nuovi ordini sorti dopo hanno scarsissimo significato “religioso” e un grande significato “disciplinare” sulla massa dei fedeli, sono ramificazioni e tentacoli della Compagnia di Gesù o ne sono diventati tali, strumenti di “resistenza” per conservare le posizioni politiche acquisite, non forze rinnovatrici di sviluppo. Il cattolicesimo è diventato “gesuitismo”. Il modernismo non ha creato “ordini religiosi” ma un partito politico, la democrazia cristiana. (Ricordare l’aneddoto, raccontato dallo Steed nelle sue Memorie, del cardinale che al protestante inglese filo-cattolico spiega che i miracoli di S.Gennaro sono utili per il popolino napoletano, non per gli intellettuali, che anche nell’Evangelo ci sono delle “esagerazioni” e alla domanda: “ma non siamo cristiani?”, risponde “noi siamo prelati”, cioè “politici” della Chiesa di Roma). La posizione della filosofia della praxis è antitetica a questa cattolica: la filosofia della praxis non tende a mantenere i “semplici” nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. Se afferma l’esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare l’attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di masso e non solo di scarsi gruppi intellettuali.” (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 11 – Paragrafo 12 – Pagg. 1384 – 1385). In questo terzo lacerto Gramsci analizza lo sviluppo della Chiesa del XIX secolo e vede che ormai essa, non più difesa dal gesuitismo, è diventata una istituzione che non ha più seguito nel popolo e che ha dovuto creare un nuovo partito, l’azione cattolica, per mantenere contatti vivi con il popolo. Gramsci giudica che ormai la Chiesa è diventata soltanto una istituzione vuota e che il cattolicismo “si è ridotto in gran parte a una superstizione di contadini, di ammalati, di vecchi e di donne”. Gramsci quindi dice che il tomismo, la filosofia ufficiale della Chiesa, è ormai diventata una filosofia vuota e non più attraente per le masse popolari.
Ecco il lacerto completo in cui Gramsci spiega questo tema. “Il succo del libro del Vercesi pare sia riassunto in queste parole: “Il secolo XIX attaccò il cristianesimo nei suoi aspetti più diversi, sul terreno politico, religioso, sociale, culturale, storico, filosofico, ecc. Il risultato definitivo fu che al tramonto del secolo XIX il cristianesimo in genere, il cattolicesimo romano in ispecie, era più forte, più robusto che all’alba dello stesso secolo. È questo un fatto che non può essere contestato dagli storici imparziali”. Che possa essere “contestato” risulta anche solo da questo fatto: che il cattolicismo è diventato un partito fra gli altri, è passato dal godimento incontestato di certi diritti, alla difesa di essi e alla rivendicazione di essi in quanto perduti. Che sotto certi aspetti la Chiesa abbia rinforzato certe sue organizzazioni è certo incontestabile, che sa più concentrata, che abbia stretto le file, che abbia fissato meglio certi principii e certe direttive, ma questo significa appunto un suo minore influsso nella società e quindi la necessità della lotta e di una più strenua milizia. È anche vero che molti Stati non lottano più con la Chiesa, ma perché vogliono servirsene e vogliono subordinarla ai propri fini. Si potrebbe fare un elenco di attività specifiche in cui la Chiesa conta molto poco e si è rifugiata in posizioni secondarie; per alcuni aspetti, cioè dal punto di vista della credenza religiosa, è poi vero che il cattolicismo si è ridotto in gran parte a una superstizione di contadini, di ammalati, di vecchi e di donne. Nella filosofia cosa conta oggi la chiesa? In quale Stato il tomismo è filosofia prevalente tra gli intellettuali? E socialmente, dove la chiesa dirige e padroneggia con la sua autorità le attività sociali? Appunto l’impulso sempre maggiore dato all’Azione Cattolica dimostra che la Chiesa perde terreno sebbene avvenga che ritirandosi si concentri e opponga maggiore resistenza e “sembri” più forte (relativamente).” (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 14 – Paragrafo 55 – Pag. 1714). In questo quarto lacerto Gramsci illustra in modo chiaro e lucido il Concordato stipulato dalla Chiesa con lo Stato fascista nel 1929 e indica i vantaggi che il Concordato assicurava alla Chiesa di Roma e allo Stato fascista. La Chiesa favoriva l’azione del fascismo di Mussolini e promuoveva il consenso di tutti i cittadini verso il regime. Lo Stato, da parte sua, riconosceva la supremazia della Chiesa cattolica in tutta Italia e la sosteneva economicamente.
Ecco il lacerto completo in cui Gramsci analizza il rapporto con il cattolicesimo fino al Concordato del 1929. “Il concordato è dunque il riconoscimento esplicito di una doppia sovranità in uno stesso territorio statale. Non si tratta certo più della stessa forma di sovranità supernazionale (suzeraineté) quale era formalmente riconosciuta al papa nel Medio Evo, fino alle monarchie assolute e in altra forma anche dopo, fino al 1848, ma ne è una derivazione necessaria di compromesso. D’altronde anche nei periodi più splendidi del papato e del suo potere supernazionale, le cose non andarono sempre molto lisce: la supremazia papale, anche se riconosciuta giuridicamente, era contrastata di fatto in modo spesso molto aspro e nell’ipotesi più ottimista si riduceva ai privilegi politici, economici e fiscali dell’episcopato dei singoli paesi. I concordati intaccano in modo essenziale il carattere di autonomia della sovranità dello Stato moderno. Lo Stato ottiene una contropartita? Certamente, ma la ottiene nel suo stesso territorio per ciò che riguarda i suoi stessi cittadini. Lo Stato tiene (e in questo caso occorrerebbe dire meglio il governo) che la Chiesa non intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga, così come una stampella sostiene un invalido. La Chiesa cioè si impegna verso una determinata forma di governo (che è determinata dall’esterno, come documenta lo stesso concordato) di promuovere quel consenso di una parte dei governanti che lo Stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: ecco in che consiste la capitolazione dello Stato, perché di fatto esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui praticamente riconosce la superiorità. La stessa parola “concordato” è sintomatica. Gli articoli pubblicati nei “Nuovi Studi” sul concordato sono tra i più interessanti e si prestano più facilmente alla confutazione.” (Da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 16 – Paragrafo 11 – Pagg. 1866 – 1867). Gramsci, come già aveva affermato Croce che aveva detto che non si può abolire la religione di un popolo senza dargli una adeguata sostituzione culturale e filosofica, costruisce in queste pagine, invece, una nuova Weltanschauung, basata su tre pilastri principali: laicità, razionalità e scientificità che sono ovviamente opposti a quelli della religione fondati su: misticismo, metafisica e fede. Gramsci in questo lacerto afferma che la prima cosa da fare per costruire la nuova Weltanschauung il cui fine ultimo sarà il comunismo è quella di riformare l’uomo, il quale non deve più pensare attraverso categorie metafisiche, religiose e fideistiche ma deve pensare per le categorie della laicità, della razionalità e della scientificità. Gramsci si rende conto che questo processo di cambiamento dalla religione alla scientificità non è facile e infatti, secondo lui, questo costituirebbe la vera rivoluzione per l’umanità perché effettivamente, secondo Gramsci, le masse non sono ancora preparate a questo salto di qualità (perché dominate dal senso comune, incoerente e ascientifico) e occorrono molti secoli per realizzarlo. Ecco il bellissimo lacerto in cui Gramsci fa brillare il passaggio dal buio della religione alla luce della scienza. “È su questo punto che occorre riformare il concetto dell’uomo. Cioè occorre concepire l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo in cui se l’individuo ha la massima importanza, non è però il solo elemento da considerare.” (pag. 1345). Io, Biagio Carrubba, anche se condivido sul piano teorico la strada maestra indicata da Gramsci, credo che questo passaggio, dalla fede alla razionalità, sia quasi impossibile da realizzare, tanto è vero che ancora oggi non si vede nemmeno l’ombra di questa coscienza scientifica. Constato, ancora oggi, che le masse popolari di tutto il mondo sono dominate dalla ricerca della religione e della fede per colmare il senso del mistico e del mistero che ogni uomo ha dentro sé. Da queste constatazioni, concludo che anche questa rivoluzione gramsciana è, come tutte le rivoluzioni sulle religioni, utopistica e inattuale. Ecco il lacerto completo alla fine del quale Gramsci mette in rilievo che la vera rivoluzione per l’umanità non può che nascere dalla “coscienza dell’uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea” (pag. 1346). Anche io, Biagio Carrubba, sono d’accordo con l’importanza data da Gramsci alla attività creativa dell’uomo. “Dal punto di vista “filosofico” ciò che non soddisfa nel cattolicismo è il fatto che esso, nonostante tutto, pone la causa del male nell’uomo stesso individuo, cioè concepisce l’uomo come individuo ben definito e limitato. Tutte le filosofie finora esistite può dirsi che riproducono questa posizione del cattolicismo, cioè concepiscono l’uomo come individuo limitato alla sua individualità e lo spirito come tale individualità. È su questo punto che occorre riformare il concetto dell’uomo. Cioè occorre concepire l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l’individualità ha la massima importanza, non è però il solo elemento da considerare. L’umanità che si riflette in ogni individualità è composta da diversi elementi: 1) l’individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e il 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L’individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l’uomo non entra in rapporto con la natura semplicemente, per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica. Ancora. Questi rapporti non sono meccanici. Sono attivi e coscienti, cioè corrispondono a un grado maggiore o minore d’intelligenza che di essi ha il singolo uomo. Perciò si può dire che ognuno cambia sé stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso di rapporti di cui egli è il centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può essere altri che il politico, cioè l’uomo attivo che modifica l’ambiente inteso per ambiente l’insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte. Se la propria individualità è l’insieme di questi rapporti, farsi una personalità significa acquistare coscienza di tali rapporti, modificare la propria personalità significa modificare l’insieme di questi rapporti. Ma questi rapporti, come si è detto, non sono semplici. Intanto, alcuni di essi sono necessari, altri volontari. Inoltre averne coscienza più o meno profonda (cioè conoscere più o meno il modo con cui si possono modificare) già li modifica. Gli stessi rapporti necessari in quanto sono conosciuti nella loro necessità, cambiano d’aspetto e d’importanza. La conoscenza è potere, in questo senso. Ma il problema è complesso anche per un altro aspetto: che non basta conoscere l’insieme dei rapporti in quanto esistono in un momento dato come un dato sistema, ma importa conoscerli geneticamente, nel loro moto di formazione, poiché ogni individuo non solo è la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè è il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare è ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò che è vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e, se questo cambiamento è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile. Società alle quali un singolo può partecipare: sono molto numerose, più di quanto può sembrare. È attraverso queste “società” che il singolo fa parte del genere umano. Così sono molteplici i modi con cui il singolo entra in rapporto colla natura, poiché per tecnica, deve intendersi non solo quell’insieme di nozioni scientifiche applicate industrialmente che di solito s’intende, ma anche gli strumenti “mentali”, la conoscenza filosofica. Che l’uomo non possa concepirsi altro che vivente in società è luogo comune, tuttavia non se ne traggono tutte le conseguenze necessarie anche individuali: che una determinata società umana presupponga una determinata società delle cose e che la società umana sia possibile solo in quanto esiste una determinata società delle cose è anche luogo comune. E’ vero che finora a questi organismi oltre individuali è stato dato un significato meccanicistico e deterministico (sia la societas hominum che la societas rerum): quindi la reazione. Bisogna elaborare una dottrina in cui tutti questi rapporti sono attivi e in movimento, fissando ben chiaro che sede di questa attività è la coscienza dell’uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea, in quanto già conosce, vuole, ammira, crea ecc. e si concepisce non isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini e dalla società delle cose, di cui non può non avere una certa conoscenza. (Come ogni uomo è filosofo, ogni uomo è scienziato ecc.)”. (Da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 10 – Paragrafo 54 – Pagg. 1344 – 1346).
In questo quinto lacerto, Gramsci ribadisce, ancora una volta, l’importanza della scienza nello sviluppo dell’umanità, che costituisce la base della nuova Weltanschauung scientifica, razionale e laica. La scienza, con le sue condizioni, dà senso all’attività e all’agire dell’umanità e condanna, una volta per tutte, la visione escatologica del cattolicismo e del cristianesimo che rimane una religione ideologica costruita e basata sulla fede e sulla credenza e quindi per nulla scientifica, che non dà nessuna prova e nessuna dimostrazione di razionalità e di finalità, e non dà nemmeno certezze né concretezza sulla parusia di Gesù Cristo. Ecco il lacerto completo in cui Gramsci afferma apertamente che la filosofia della praxis rigetta l’ideologia del senso comune e religioso e accetta solo le condizioni poste e accettate dalla scienza. “La quistione più importante da risolvere intorno al concetto di scienza è questa: se la scienza può dare, e in che modo, la “certezza” dell’esistenza obbiettiva dalla così detta realtà esterna. Per il senso comune la quistione non esiste neppure; ma da che cosa è originata la certezza del senso comune? Essenzialmente dalla religione (almeno dal cristianesimo in occidente); ma la religione è un’ideologia, l’ideologia più radicata e diffusa, non una prova o una dimostrazione. Si può sostenere come sia un errore domandare alla scienza come tale la prova dell’obbiettività del reale, poiché questa obbiettività è una concezione del mondo, una filosofia e non può essere un dato scientifico. Cosa può dare la scienza in questa direzione? La scienza seleziona le sensazioni, gli elementi primordiali della conoscenza: considera certe sensazioni come transitorie, come apparenti, come fallaci perché dipendono da speciali condizioni individuali e certe altre come durature, come permanenti, come superiori alle condizioni speciali individuali. Il lavoro scientifico ha due aspetti principali: uno che incessantemente rettifica il modo della conoscenza, rettifica e rafforza gli organi delle sensazioni, elabora principi nuovi e complessi di induzione e deduzione, cioè affina gli strumenti stessi dell’esperienza e del suo controllo; l’altro che applica questo complesso strumentale (di strumenti materiali e mentali) a stabilire ciò che nelle sensazioni è necessario da ciò che è arbitrario, individuale, transitorio. Si stabilisce ciò che è comune a tutti gli uomini, ciò che tutti gli uomini possono controllare nello stesso modo, indipendentemente gli uni dagli altri, purché essi abbiano osservato ugualmente le condizioni tecniche di accertamento. “Oggettivo” significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo. Ma in fondo anche questa è una particolare concezione del mondo, è una ideologia. Tuttavia questa concezione, nel suo insieme e per la direzione che segna, può essere accettata dalla filosofia della praxis mentre è da rigettare quella del senso comune, che pure conclude materialmente nello stesso modo. Il senso comune afferma l’oggettività del reale in quanto la realtà, il mondo, è stato creato da dio indipendentemente dall’uomo, prima dell’uomo; essa è pertanto espressione della concezione mitologica del mondo; d’altronde il senso comune, nel descrivere questa oggettività, cade negli errori più grossolani, in gran parte è ancora rimasto alla fase dell’astronomia tolemaica, non sa stabilire i nessi reali di causa ed effetto ecc., cioè afferma “oggettiva” una certa “soggettività” anacronistica, perché non sa neanche concepire che possa esistere una concezione soggettiva del mondo e cosa ciò voglia o possa significare”. (da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 11 – Paragrafo 37 – Pagg. 1455 – 1456).
In questo sesto e ultimo lacerto Gramsci riesce a sintetizzare, in modo logico e congruente, il rapporto tra il nuovo partito comunista, che lui fa derivare dallo sviluppo del Principe di Machiavelli, e la nuova Weltanschauung a-religiosa, razionale, scientifica descritta precedentemente. Gramsci quindi afferma che è compito fondamentale del nuovo partito comunista proporsi come il centro di diffusione della nuova visione laica, razionale e scientifica per l’umanità al fine di creare “una forma superiore e totale di civiltà moderna” (pag. 1560). Gramsci quindi affida al nuovo partito comunista due compiti fondamentali: costruire per il popolo una nuova riforma intellettuale e morale e una volontà collettiva nazionale – popolare capace di realizzare per l’appunto la nuova civiltà moderna. Questo grande compito riformatore del partito comunista deve prendere il posto della Chiesa nelle coscienze di ogni cittadino e di ogni uomo e deve diventare il centro propulsore per creare una società basata su “un laicismo moderno e su una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”.
Ecco il lacerto completo in cui Gramsci spiega e illustra il grande compito del nuovo partito comunista che deve assumersi la responsabilità di elaborare “una riforma intellettuale e morale” per le classi popolari che vogliono realizzare, appunto, il progresso della civiltà verso una società comunista. “Il moderno Principe deve e non può non essere il banditore e l’organizzatore di una riforma intellettuale e morale, ciò che poi significa creare il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare verso il compimento di una forma superiore e totale di civiltà moderna. Questi due punti fondamentali – formazione di una volontà collettiva nazionale – popolare di cui il moderno Principe è nello stesso tempo l’organizzatore e l’espressione attiva e operante, e riforma intellettuale e morale – dovrebbero costituire la struttura del lavoro. I punti concreti di programma devono essere incorporati nella prima parte, cioè dovrebbero “drammaticamente”, risultare dal discorso, non essere una fredda e pedantesca esposizione di raziocini. Può esserci riforma culturale e cioè elevamento civile degli strati depressi della società, senza una precedente riforma economica e un mutamento nella posizione sociale e nel mondo economico? Perciò una riforma intellettuale e morale non può non essere legata a un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e morale. Il moderno Principe, sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume”. (Da Quaderni del Carcere – A cura di Valentino Gerratana – Einaudi Editore – Quaderno 13 – Paragrafo 1 – Pagg. 1560 – 1561).
Io, Biagio Carrubba, condivido appieno la rivoluzione gramsciana sul piano religioso e filosofico anche se mi rendo conto che rimane utopistica ed irrealizzabile perché le masse si affidano sempre, ancora oggi, alla fede per risolvere i loro problemi mistici ed ultraterreni. Inoltre condivido soprattutto l’analisi che Gramsci fa sul Concordato del 1929.

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Modica, 17 novembre 2018.                                                                      Prof. Biagio Carrubba

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